RE: R: [pace] Houla, a chi credere?



Purtroppo tante sono le voci che si accavallano sulla Siria.
Vorrei inviarvi quanto scrive padre Dell'Olio a Kofi Annan. Sono convinto che questo gesuita che vive da tanto tempo in Siria e che ha sempre dimostrato di non ricercare potere o favoritismi, debba essere ascoltato e, da parte di tutti noi, rispettato.
Paolo Bertagnolli

La sete di Ismaele
Paolo Dall'Oglio
Gesuita del monastero di Deir Mar Musa (Siria)
Crisi siriana, lettera aperta a Kofi Annan

Anticipiamo il testo della lettera aperta scritta a Kofi Annan, inviato speciale delle Nazioni unite e della Lega araba per la crisi siriana, da Paolo Dall'Oglio, gesuita e fondatore della Comunità monastica di Deir Mar Musa. Nella lettera, che il gesuita intende consegnare personalmente all'ex Segretario generale dell'Onu in questi giorni in visita in Siria, si chiede la creazione di una forza di interposizione di tremila caschi blu, per garantire il rispetto del cessate-il-fuoco e la protezione della popolazione civile, accompagnati da trentamila volontari della società civile che sostengano la ripresa della vita democratica nel Paese. «La presenza disarmata dell’Onu oggi in Siria - conclude padre Dall'Oglio - è una profezia gandhiana che vale ben oltre la crisi puntuale che si vuole risolvere. La priorità sia allora quella di proteggere la libertà d’opinione e d’espressione della società civile siriana senza la quale è impossibile perseguire gli altri obiettivi essenziali alla pacificazione nazionale».


Ecc.mo Signor Kofi Annan, Segretario Generale emerito dell’Onu,

Pace e bene. Con questa pubblica comunicazione vorrei esprimerle innanzi tutto gratitudine per aver accettato questo incarico delicatissimo per la salvezza della Siria e per la pace regionale. Ci aggrappiamo alla sua iniziativa come dei naufraghi a una zattera! Lei è riuscito a superare lo scoglio dell’opposizione russa a qualunque proposta che comportasse un autentico cambiamento democratico. In prospettiva, la Siria può e deve costituire un elemento di bilanciamento delle problematiche regionali e non un cancro corrosivo. Mi sembra che una maggioranza di siriani ragioni in termini di equilibrio multipolare e non in quelli d’una nuova guerra fredda. Il popolo siriano è tradizionalmente antimperialista, ma molto di più è a favore della creazione d’un polo arabo che ne rappresenti il diffuso desiderio di emancipazione e autodeterminazione. Un sentimento questo che implica l’aspirazione a vera democrazia e riconosciuta dignità delle componenti culturali e religiose di questa società e degli individui umani che la compongono.

La dinamica regionale è marcata oggi da una difficoltà reale di convivenza tra popolazioni sciite e sunnite e di concorrenza tra esse. Ciò provoca anche grave disagio alle altre minoranze, innanzitutto quelle cristiane. La primavera araba, caratterizzata inizialmente dalla richiesta, specie giovanile, dei diritti e delle libertà, rischia la deriva confessionale violenta specie quando l’irresponsabilità internazionale favorisce la radicalizzazione del conflitto.

Signor Annan, lei sa meglio di chiunque altro che il terrorismo internazionale islamista è uno dei mille rivoli dell’«illegalità-opacità»  globale (mercato di droga, armi, organi, individui umani, finanza, materie prime …). La palude interconnessa dei diversi «servizi segreti» è contigua alla galassia della malavita anche caratterizzata ideologicamente e/o religiosamente.  Meraviglia che pochissimi giorni siano bastati ad altissimi rappresentanti dell'Onu per accettare la tesi della matrice «qaedista» degli attentati «suicidi» in Siria. Una volta accettata mondialmente la tesi liberticida che in loco c’è solo un problema d’ordine pubblico, non rimane che aspettarsi il ritiro dei suoi caschi blu disarmati per lasciare alla repressione tutto lo spazio necessario a conseguire il «male minore». Che la potenza nucleare e confessionale israeliana abbia interesse in una guerra civile a bassa intensità e lunga durata è solo un corollario al teorema. Si aggiunga che «gli arabi» non sono culturalmente maturi per la democrazia «reale» e il gioco è fatto! Resta in alternativa l’opzione della frantumazione su base confessionale del Paese, magari ritagliando ai caschi blu un ruolo anti strage per evitare disdicevoli eccessi bosniaci.

A causa delle esperienze non sempre felici degli osservatori Onu, l’ottimismo resta condizionato all’emergenza d’una concreta volontà negoziale nel  Consiglio di Sicurezza e all’interno del paese e a una larga assistenza da parte della società civile internazionale a quella locale. Tremila caschi blu e non trecento sono necessari a garantire il rispetto del cessate il fuoco e la protezione della popolazione civile dalla repressione per consentire una ripresa della vita sociale e economica. È urgente chiedere l’abolizione delle sanzioni non personalizzate che puniscono le parti più deboli e innocenti della popolazione.

C’è inoltre bisogno di trentamila «accompagnatori» nonviolenti della società civile globale che vengano ad aiutare sul terreno l’avvio capillare della vita democratica. Si tratta di favorire un’organizzazione statale basata sul principio di sussidiarietà e del consenso, eventualmente favorendo quella struttura federale più corrispondente alle principali particolarità geografiche (la federazione è l’esatto contrario della spartizione!). Solo dando fiducia all’autodeterminazione delle popolazioni sul piano locale si potrà riportare l’ordine e combattere ogni forma di terrorismo senza ricadere nella repressione generalizzata e settaria.

È opportuno e urgente creare delle commissioni locali di riconciliazione, protette dai caschi blu e in coordinazione con le agenzie Onu specializzate, anche in vista della ricerca dei detenuti, rapiti e scomparsi delle diverse parti in conflitto. Sarà anche necessario porre al più presto la questione della riabilitazione civile dei giovani coinvolti in organizzazioni terroriste e malavitose.

Lei ha ripetuto che per riappacificare occorre un processo politico negoziale. Ma si può immaginare questo senza un vero cambiamento nella struttura del potere, specie in una situazione come questa dove il governo è una facciata e anche il regime al potere obbedisce a un oscuro gruppo di supergerarchi? Bisogna salvare lo stato, certo. Esso è di proprietà del popolo. Ma prima è necessario liberarlo.

La sua iniziativa, caro Signor Annan, segna una tappa rivoluzionaria nel percorso dell’esercizio della responsabilità internazionale nella soluzione dei conflitti locali. La presenza disarmata dell’Onu oggi in Siria è una profezia gandhiana che vale ben oltre la crisi puntuale che si vuole così risolvere. La priorità sia allora quella di proteggere la libertà d’opinione e d’espressione della società civile siriana senza la quale è impossibile perseguire gli altri obiettivi essenziali alla pacificazione nazionale.
Con stima e gratitudine.
23/05/2012



Subject: R: [pace] Houla, a chi credere?
To: pace at peacelink.it
From: a.marescotti at peacelink.it
Date: Sat, 23 Jun 2012 16:04:33 +0000

"Gli osservatori ONU indicano il regime", scrivi.

E invece no.
Il capo degli osservatori dell'Onu, il generale Robert Mood, ha dichiarato che le circostanze non erano state chiarite.

E ancora ora sono non sono chiarite.

Non mi risulta che la missione Onu o Amnesty abbia scritto un rapporto definitivo.

"Gli stati tolgono gli ambasciatori (...) Gli ambasciatori potevano essere espulsi già un anno fa, per intenderci".
L'esplusione degli ambasciatori prelude alla guerra. Pensa che non si arrivo' a questo neppure durante la guerra del Kossovo. Con chi tratti se espelli l'unico deputato a trattare?

Ma il punto non e' tanto questo. Cio' che preoccupa e' il copione. Un copione che si e' ripetuto con l'attentato al giornalista dell'Ansa in Siria. Si addossa la colpa al regime quando non ve ne sono le prove.

Questi sono dei fatti clamorosi che che dimostrano chiaramente l'esistenza di un copione concordato, un copione messo in atto in mala fede verso chi crede in buona fede ai media, un copione che funziona solo se c'e' un'opinione pubblica inorridita da un fatto vero di cui pero' mancano gli elementi per valutarne le responsabita'.

Amnesty e' venuta meno anche in questo caso al suo compito di garante dell'oggettivita' perche' ha accreditato - sull'onda del'emozione - una responsabilita' delle forze del regime che non poteva verificare.
Questa meritoria associazione che va con i piedi di piombo quando ci sono i bombardamenti Nato su Sirte decide poi in pochi minuti di accreditare una versione non appurata dagli osservatori Onu? Io comincio ad avere dubbi quando succedono queste cose...


Ciao
Alessandro




www.peacelink.it

From: <lorenz.news at yahoo.it>
Sender: pace-request at peacelink.it
Date: Sat, 23 Jun 2012 15:23:54 +0200
To: <pace at peacelink.it>
ReplyTo: pace at peacelink.it
Subject: R: [pace] Houla, a chi credere?

Alessandro, tu mi chiedi delle considerazioni politiche, e io ci provo.

 

Dopo un anno e mezzo di massacri e di qualcosa come quasi 10 000 morti civili, ma diciamo per essere cauti più di 5000 civili uccisi da parte del regime, c’è un’altra strage che colpisce per la sua efferatezza. Le dinamiche fanno pensare al regime. Gli osservatori ONU indicano il regime.

Gli stati tolgono gli ambasciatori. In una dittatura dove i giornalisti in pratica non possono circolare, e a quasi guerra civile in corso, non si può aspettare anni per accertare la verità nei dettagli e poi reagire a livello politico, i tempi della politica non sono i tempi degli storici. Gli ambasciatori potevano essere espulsi già un anno fa, per intenderci.

Amnesty reagisce in tempo reale per condannare i crimini, non dopo anni, con il rischio di commettere errori che nell’era di internet sono usciti spesso, perché Amnesty ha ormai perso il ruolo che aveva prima di internet. Non vedo cmq come possa fare diversamente. Il dubbio sul suo operato ce lo dobbiamo porre se le sue condanne sono unilaterali. Tuttavia non possiamo dimenticare che i crimini commessi dagli insorti restano molto pochi rispetto a quelli del regime e quindi non possiamo aspettarci che Amnesty dedichi pari tempo e spazio ai crimini degli insorti.

 

La ricerca della verità dovrebbe guidarci tutti ma quando una guerra è blindata dai giornalisti, i tempi della politica impongono forzature sul diffondere news e prendere posizione. Qual è il limite da tenere? Questo è il problema, la linea di confine tra fare informazione corretta e legittima e fare informazione di parte che rischia di essere pro-guerra non è fissata facilmente.

 

Però, Alessandro, quando eravamo nella guerra di Israele a Gaza, noi avevamo solo Arrigoni e le fonti di Hamas a dirci quanti morti civili c’erano, l’ONU diceva qualcosa quando veniva colpito ma poco. Però tutti noi credevamo senza tanti problemi alle centinaia e poi migliaia di morti palestinesi. Eppure la verità era ben lungi dall’essere accertata. Con la Siria non vogliamo crederci perché abbiamo forse noi la convinzione aprioristica che si voglia fare la guerra ad Assad da più di un anno.

Io questa idea me la son fatta l’anno scorso, quando abbiamo fatto la nostra petizione, poi col tempo mi sono ricreduto. Che ce l’abbiano dei giornalisti questa volontà, lo riconosco, anche dei politici senz’altro, ma in generale gli stati uniti e l’europa non si sono preparati finora a entrare in guerra, come hanno fatto con la libia, e non stanno quindi spingendo i media a una campagna per giustificare questa entrata. Forse accadrà un intervento quando la situazione degenererà del tutto ma non credo proprio che Usa e UE ci sperino.

E’ un dato di fatto che questa guerra è un caso di crimine enorme e l’ONU al momento ha fatto poco per fermarlo. E ricordo bene che quando la repressione è iniziata, più di un anno fa, quando c’era ancora in corso la guerra in Libia, tutti si diceva: in Siria in poco tempo stanno accadendo crimini peggiori della Libia ma non si interviene perché la Siria è una questione molto più spinosa e sappiamo perché.

 

Lorenzo

 


Da: pace-request at peacelink.it [mailto:pace-request at peacelink.it] Per conto di Alessandro Marescotti
Inviato: sabato 23 giugno 2012 9.24
A: Lista pace Peacelink
Oggetto: R: [pace] Houla, a chi credere?

 

Il punto mi sembra un altro.

Visto che su Houla le cose non sono state ancora chiarite, perche' sono stati espulsi gli ambasciatori?
Perche' Amnesty ha sostenuto quella scelta che non aveva la certezza di poter sostenere?
Perche' si fanno scelte aprioristiche quando dovrebbe guidarci la ricerca della verita' e delle prove?

Alessandro

www.peacelink.it


From: <lorenz.news at yahoo.it>

Sender: pace-request at peacelink.it

Date: Sat, 23 Jun 2012 06:01:15 +0200

To: <pace at peacelink.it>

ReplyTo: pace at peacelink.it

Cc: 'Enrico De Angelis'<edeangelis at gmail.com>

Subject: [pace] Houla, a chi credere?

 

Le dichiarazioni di Riccardo Noury di Amnesty International a Olivier Turquet di Pressenza (il link non funziona, almeno a me) sulla strage di Houla, che individuano nell’esercito siriano l’auotre, secondo una tattica ben precisa di azione con mezzi pesanti a cui segue il crimine, combaciano con tutte le news di questo tipo, e sono dovute a testimoni sul campo da cui attinge Amnesty.

 

Questa dichiarazione di Amnesty dice esattamente la stessa cosa che sostiene Lorenzo Declich nel suo blog 30 secondi, esattamente: è il tipo di azione che fa pensare al regime e solo al regime perché è lo stesso tipo già usato in altre occasioni e perché i ribelli non avrebbero avuto i mezzi per fare una cosa del genere.

 

Si aggiungano le considerazioni di Enrico De Angelis, che giustamente chiede: davvero pezzi del Les sono così marci e ora, ammesso che abbiano i mezzi, iniziano a uccidere decine di civili sunniti per fare cadere la colpa sul regime a livello mediatico, rischiando così di inimicarsi la popolazione che dovrebbe sostenerli?

 

Enrico inoltre ci manda questo report sui fatti di Houla, in cui si sostiene come fosse molto improbabile che i ribelli potessero avere facile accesso a quell'area per motivi logistici-strategici, e come tutte le testimonianze degli abitanti della zona agli osservatori dicano la stessa cosa: che sono stati gli Shabbiha. 

 

http://blogs.channel4.com/alex-thomsons-view/piecing-bloody-truth-houla/1687

 

 

Aggiungo: anche Ossamah Al Tawel del CNSCD ossia il coordinamento dei siriani che lottano in modo nonviolento, sostiene questa tesi, aggiungendo che si è trattata di una vendetta privata tra famiglie, compiuta però con pezzi dell’esercito.

 

Alla fine, mi chiedo: perché credere al Frankfurter allora?

E la risposta che mi viene è che si crede al Frankfurter perché si pensa che si faccia di tutto per dare colpe al regime che il regime non ha e tutto questo per promuovere la guerra alla Siria. Ma questo ragionamento ha sempre il solito difetto: in questo modo continueremo ad assolvere o sospendere il giudizio sul regime. E ad apparire per ciò filo-regime.

 

Mi sembra indicativo che per quel poco che so da Ossamah, le sue posizioni sulle news a cui credere sono nettamente più vicine a quelle degli arabisti di appellosiria che alla nostre. E sto parlando delle posizioni dei siriani nonviolenti che si ribellano al regime.

Ma a quanto pare sono solo io a preoccuparmi del fatto che continuiamo a fare circolare news che i rivoluzionari nonviolenti siriani sconfessano totalmente.

 

Lorenzo