Re: A che serve ora il consumo critico?



Il 12 Apr 2005, alle 23:52, Nicoletta Landi ha scritto:

> A cosa serve ora il consumo critico?
> 
> Questa e' una domanda che mi faccio sul serio. Non e' una
> provocazione. Per andare avanti bene, avrei bisogno di nuove risposte.
> Purtroppo al momento mi stanno salendo solo nuove domande.

quello che dici è importante, e può aiutarci a fare chiarezza anche 
nelle nostre menti (in primo luogo nella mia). proviamo a dirci quello 
che davvero vogliamo e cerchiamo.
prima cosa: il consumo critico è una parte di quella che dovrebbe 
essere la revisione dei propri stili di vita. è una parte importante, 
ma credo che sia solo l'inizio.
credo sia solo l'inizio, perché non posso pretendere di cambiare il 
mondo cambiando tipo di caffè. Posso cominciare da lì, con 
qualcosa di concreto e che posso verificare con facilità, ma poi, per 
promuovere il cambiamento, dovrò diminuire i miei consumi di 
caffè, in modo che le piantagioni di caffè messicane o vietnamite o 
di dove volete vengano trasformate in piantagioni di riso, carote, 
patate e così via: generi che possano essere utilizzati localmente 
per i bisogni locali.
detto questo, posso dire quali sono i miei personalissimi criteri per 
rispondere alle domande di nicoletta:
un produttore potrebbe reggere le richieste "altre" in questa 
situazione? forse sì, se chi acquista sapesse che certe cose 
vemgono fatte "in una certa maniera": per esempio, sono rimasto 
molto sorpreso che in portogallo vengano prodotte senza 
sfutamento le blackspot sneackers, le scarpe anti-nike di 
adbusters. dopo aver creduto finora che non ci fossero scarpe 
ginniche "made in europe" (eccettuate probabilmente le new 
balance inglesi), ho fatto questa scoperta. è certo che, comunque, 
le mie scarpe saranno portate ad oltranza fino in prossimità della 
loro distruzione per sfinimento, quindi niente scarpe da cambiare 
ogni 3-5 mesi, ma dopo 3-5 anni...
per quanto riguarda "i miei fornitori" :-) io cerco (e ripeto cerco) di 
acquistare il maggior numero di prodotti locali, ma anche 
scegliendo tra marca e marca, con i miei parametri (per fortuna che 
c'è la guida al consumo critico). poi scelgo anche attraverso un 
gas, ma vado anche alla coop, per fare un esempio.
piuttosto, io non farei la distinzione tra azienda profit e azienda no-
profit. facciamola tra azienda socialmente e ambientalmente 
responsabile e no.
tra la cooperativa gestita alla cialtrona e una piccola e corretta 
azienda, magari familiare, non ho dubbi, meglio la seconda. ho 
conosciuto l'esperienza di una persona vicina, educatrice 
professionale, che ha lavorato per anni in una pessima cooperativa 
fatta di regole non rispettate (diciamo così). una piccola azienda 
(come quella dei biscotti che diceva nicoletta) attenta alla qualità 
della produzione, all'ambiente e alle condizioni di lavoro secondo 
me sta già facendo una testimonianza di cambiamento. 
piccoli negozi e supermercati: è un grosso dilemma. se il 
supermercato rimane "di quartiere", quindi piccolo e in un tessuto 
urbano, direi che potrebbe anche essere sostenibile.
un centro commerciale distante dalle abitazioni e che costringe ad 
andarci sempre in auto mi pare meno sostenibile.
sulla delocalizzazione, vale il discorso iniziale: io consumatore 
posso scegliere e indirizzare i miei consumi, sta a me scegliere 
verso cosa. qualche settimana fa volevo acquistare un seghetto 
alternativo. uno fatto in cina, da una ditta sconosciuta, costava 
circa 15-20 euro.
uno bosch made in switzerland costava circa 45 euro. alla fine ho 
optato per farmelo prestare...

per riprendere il libro di gesualdi, direi che davvero adesso è il 
momento di muoversi e di fare azioni concrete.
tra l'altro, di quel libro mi è piaciuta anche l'idea del lavoro a favore 
dello stato.
alla fine però la domanda che mi faccio è sempre la stessa? quale 
sarà la reazione dei consumatori acritici? come arrivare a rendere 
"la conversione ecologica desiderabile da tutti"? possiamo 
cominciare, tutti, a fare un piccolo e apparentemente inisignificante 
passo, ma che sia fattibile e sperimentabile da ciascuno nella sua 
condizione di vita? 
mi pare che la cosa migliore sia quella di tessere relazioni , più 
che fare convegni-seminari-proclami. 
e quello che ci servirà dopo è rimettere in discussione il nostro stile 
di vita, per poi passare ai nostri modelli di città, all'organizzazione 
degli spazi pubblici, e anche (ora la dico grossa) i nostri modelli 
culturali.
troppo?

ciao
patrizio