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mangiare carne: che ne pensano Plutarco e Battiato?
- Subject: mangiare carne: che ne pensano Plutarco e Battiato?
- From: Osvaldo Pieroni <o.pieroni at unical.it>
- Date: Fri, 4 Feb 2005 00:42:18 +0100
Franco Battiato, vegetariano convinto, ha intitolato un suo recente
pezzo “Sarcofagia” (che significa mangiare animali morti) richiamandoci
dottamente un’operetta morale di Plutarco.
".....Come può la vista sopportare l'uccisione di esseri che vengono sgozzati
e fatti a pezzi?
Non ripugna il gusto di berne gli umori e il sangue? .......
Non è mostruoso desiderare di cibarsi di un essere che ancora emette
suoni? ......."
Franco Battiato ("Sarcofagia")
Ed Olga Romano (“I diritti degli animali nella storia della filosofia” in:
http://www.italica.it/olga/home%20page.htm) ci offre la seguente sintesi
delle ragioni del filosofo greco.
Nel De esu carne Plutarco sostiene che la "sarcofagia" è una pratica contro
natura, giacchè l'uomo non è costituzionalmente dotato di mezzi per catturare
e uccidere le sue prede, né di un apparato digerente idoneo a ricevere carne.
Per Plutarco, la "sarcofagia" non solo contravviene al principio del rispetto
della vita di ogni essere vivente, ma nuoce sia alla salute fisica dell'uomo
che a quella della sua anima, anch'essa contaminata e intorpidita da cibi
impropri. Egli arriva a chiedersi
"quale stato d'animo o disposizione mentale abbia spinto il primo uomo a
compiere un delitto con la bocca, ad accostare le labbra alla carne di un
animale morto e a definire cibo e nutrimento, davanti a tavole imbandite con
corpi morti e corrotti, membra che poco prima digrignavano i denti e
gridavano, che potevano muoversi e vedere".
Nel Le virtù degli animali, conosciuto anche come Il Grillo, Plutarco confuta
le tesi stoiche sulla presunta irrazionalità degli animali, dimostrando come
essi abbiano invece evidenti capacità di ricordare, agire, prevedere. Gli
animali non sono dunque privi di ragione, ma ne sono dotati secondo modalità
diverse:
"il senno delle bestie, però, non dà spazio a nessuna arte inutile e vana; e
quanto alle arti necessarie, non le abbiamo da estranei, non paghiamo per
impararle[...] il nostro senno produce le arti necessarie da se stesso, come
legittime capacità congenite."
Plutarco arriva ad ammettere un certo grado di imperfezione della razionalità
animale rispetto a quella umana, ma ritiene destituito di ogni fondamento di
verità negarne l'esistenza. In questa opera vi è anche un'interessante e
precisa presa di posizione di Plutarco contro la caccia: si tratta, a suo
giudizio, di un'attività che imbarbarisce gli uomini, abituandoli al sangue e
alla violenza che poi scateneranno tra di loro, e viola il principio etico
fondamentale del divieto di uccidere senza necessità, Plutarco infatti fa dire
al Grillo che l'uomo
"si nutre di carne, non perché gli manchino altre risorse, ma per dissolutezza
e sazietà del necessario va in cerca di alimenti inadatti e impuri, animali
sgozzati, con una crudeltà ancora superiore a quella delle bestie più
selvagge".
Ed è proprio in quest'opera che Plutarco più si propone di mettere in luce le
virtù proprie degli animali, in contrapposizione alla crescente decadenza dei
valori umani riscontrata nel suo tempo. Vengono così valorizzate, forse un po'
ingenuamente, alcune virtù degli animali, come il coraggio, esercitato
apertamente e senza inganni, la temperanza, ben lontana dalle smodatezze
dell'uomo, l'amore per la prole e numerose altre virtù che proverebbero una
indubbia superiorità etica degli animali rispetto agli uomini.
Olga Romano
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