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ancora sulla "carne"
- Subject: ancora sulla "carne"
- From: Osvaldo Pieroni <o.pieroni at unical.it>
- Date: Thu, 3 Feb 2005 23:18:26 +0100
Carissimi, mi spiace per chi chiede di essere cancellato dalla lista. Basterebbe invece cancellare le mail che non interessano o - se proprio si vuole - sospendere temporaneamente dalla propria casella le missive provenienti dalla mailing list con un semplice comando da "opzioni". Io trovo interessante la discussione, purché non si riduca ad un dialogo a due. Qui di seguito alcune osservazioni aggiuntive. Sulla questione del consumo alimentare di carne, così come sui diritti degli animali – problematiche l’un l’altra connesse – esiste un’ampia letteratura, in parte frutto di ricerca scientifica. Il bel libro di Jeremy Rifkin, Ecocidio (Mondadori, Milano, 2001), offre un’ampia rassegna degli studi e della produzione letteraria in merito. Aspetti economici, medici, ecologici ed etici vengono esaminati e messi a confronto per trarne una conclusione logica e convincente. Riporto – al proposito – le prime e le ultime righe del libro: “Attualmente il nostro pianeta è popolato da un miliardo e 280 milioni di bovini. Quest’immensa mandria occupa, direttamente o indirettamente, il 24 per cento della superficie terrestre e consuma una quantità di cereali sufficiente a sfamare centinaia di milioni di persone. Il peso complessivo di questi animali supera quello dell’intera popolazione umana. Il continuo incremento della popolazione bovina sta sconquassando l’ecosistema terrestre, distruggendo l’habitat naturale di sei continenti; l’allevamento di bovini è la principale causa della distruzione delle sempre più ridotte aree di foresta pluviale rimaste sulla terra. (…) Il pascolo eccessivo in aree aride o semiaride ha creato deserti sterili e desolati in quattro continenti. (…) I bovini sono anche responsabili di buona parte del riscaldamento globale del pianeta…” (Introduzione, p. 11) “ Eliminando la carne dalla dieta umana, la nostra specie può compiere un significativo passo in avanti verso una nuova consapevolezza, che contempli uno spirito di comunione con i bovini e, per estensione, con le altre creature viventi con cui condividiamo il pianeta.” (ca. XL, Oltre la carne, p. 326). Dati aggiornati sul consumo di carne e sul parallelo impiego di cereali per l’alimentazione del bestiame ci sono offerti da Norman Myers e Jennifer Kent, in I nuovi consumatori (Edizioni Ambiente, Milano, 2004) in particolare nel capitolo 3 intitolato “Carne: bistecche appetitose e costi nascosti”. Gli autori evidenziano il preoccupante aumento del consumo di carni che dai paesi opulenti (ad es. gli Stati Uniti) va estendendosi ai “nuovi consumatori” (ad es. della Cina). “Un chilogrammo di carne bovina prodotta in feedlot (ambiente confinato per l’allevamento intensivo, ndr) può richiedere 7 kg. di cereali, quella di maiale 4 kg. e quella di pollo 2 kg., il che rende la carne bovina molto più costosa delle altre. Il rapporto fra carne e cereali indica che il feedlot è un metodo molto inefficiente per produrre proteine. Un campo di un ettaro a cereali produce 5 volte più proteine dirette che proteine indirette attraverso l’allevamento. Il manzo contenuto in un hamburger equivale grossomodo a cinque filoni di pane.” (p.60) Al di là delle conseguenze ambientali dell’allevamento e dell’insensatezza economica, sotto il profilo sociale l’incremento del consumo di carne significa che “grandi quantitativi di cereali per il bestiame si traducono in una diminuzione di cereali per le popolazioni povere”. (p.61). L’ingiustizia sociale che deriva dal modello di produzione, di distribuzione e di consumo della carne è evidente anche se si considerano le implicazioni per l’acqua. “L’acqua usata per produrre una bistecca da 2,5 etti può eguagliare quella necessaria al fabbisogno domestico quotidiano di una famiglia americana. Un americano ricco consuma più di una tonnellata annua di cereali (un vegetariano ne consuma all’incirca 200 kg., ndr), e i quattro quinti di questo quantitativo vengono consumati in forma di cibi di origine animale. Una dieta che prevede carne quasi tutti i giorni della settimana richiede due volte l’acqua della alimentazione standard di un paese in via di sviluppo.(…) Eliminare anche un solo pasto di carne di manzo alla settimana porta a un risparmio di oltre 150.000 litri di acqua l’anno.” (pp. 63-64). La correlazione tra consumo di carne ed insostenibilità dell’impiego conseguente di acqua è evidente e – come oggi sappiamo – l’acqua non è una risorsa illimitata, al contrario la sua crescente scarsità costituisce uno dei principali problemi del nuovo millennio e molti prevedono che l’accesso all’acqua sarà fonte di conflitti al pari di quelli odierni per il petrolio. Attualmente “l’indiano medio mangia meno di 5 kg. di carne l’anno, i cinesi hanno un consumo di 50 kg. e gli statunitensi di 122 kg.” (p. 108): se il modello di consumo di carne dei nostri paesi occidentali si estendesse a Cina ed India – che si avviano ad essere l’una la fabbrica del mondo e l’altra il suo laboratorio tecnologico – sarebbe una catastrofe globale, con il perverso esito di mettere “a rischio le condizioni di alimentazione di tutta la popolazione, sia ricca che povera”. (p.109) Molte indagini di etnografi, antropologi, storici ed anche biologi mostrano come il consumo di carne abbia relativamente poco a che fare con le esigenze alimentari degli esseri umani. D’altro canto la diffusione interclassista e quotidiana di questa abitudine alimentare è un fenomeno molto recente. Craig B. Standford, nel suo libro Scimmie cacciatrici (Longanesi, Milano, 2001) mostra come il regime carnivoro all’origine del comportamento umano sia un fatto sociale, piuttosto che una esigenza alimentare, e come un simile comportamento sia rintracciabile anche nelle società dei primati (in particolare nelle scimmie antropomorfe, nei bonobo) come caratteristica delle relazioni di dominio dei maschi sulle femmine. Scrive Standford: “Nelle società umane ed in quelle di alcuni primati, il consumo di carne ha a che fare non solo con la nutrizione, ma anche con la politica. Il controllo di una risorsa a cui viene attribuito un valore ha a che fare con il potere. Quando i due sessi sono coinvolti nella lotta per il potere, spesso quello fisicamente dominante monopolizza una risorsa, e attraverso quella controlla anche la riproduzione femminile. La politica sessuale ha un ruolo essenziale nel consumo di carne fra gli scimpanzé, proprio come lo ha in alcune società tradizionali umane.” (p.207) “Il fatto che, pur costituendo una piccola parte della dieta, essa (la carne, ndr.) sia tanto ambita è una testimonianza molto convincente della sua importanza come valuta sociale.” (p.208) Ma non sono le qualità alimentari e nutrizionali della carne che ne fanno un bene altamente valutato. Secondo Standford il modo di considerare la carne è probabilmente legato alla difficoltà nel procacciarsela ed al fatto che questa sia controllata solo da un sesso, solitamente i maschi-cacciatori. Nel bel libro The Sexual Politics of Meat (Continuum Publishing Company, New York, 1990), Carol Adams osserva come in molte società le donne consumino una dieta principalmente vegetariana, mentre gli uomini consumano più carne. Nell’analizzare la distribuzione della carne e del potere nelle società umane in termini storici, Adams sottolinea che quando i maschi controllano una risorsa come la carne, alla quale perciò viene attribuito un grande valore, la sua importanza nutrizionale diventa in larga misura questione di mito. Tuberi e legumi assicurano una dieta ugualmente ricca di proteine, ma la carne – associata alla cattura di prede – assume un valore mitico che affonda nei miti patriarcali (piuttosto che nella realtà) e giustifica il dominio maschile sulle donne, sui bambini e sul mondo. D’altro canto lo stesso Standford osserva che “probabilmente le donne raccolgono la maggior parte delle proteine presenti nella dieta del cacciatore-raccoglitore; tuttavia – aggiunge – non dovremmo ignorare che gli uomini sono in grado di usare la carne per i propri fini egoisti e manipolativi.” (cit., p. 218) Numerosi sono poi gli studi che stabiliscono nella caccia e nell’attitudine del cacciatore ad uccidere l’ origine della guerra. L’antropologo Claude Meillassaux, studioso di etnie africane, mette in relazione la caccia, il mercato delle donne e la guerra (che inizialmente è, a sua volta, conquista di donne al nemico). Così egli scrive in Donne, granai e capitali (Zanichelli, Bologna, 1978): “Quando la caccia occupa un posto decisivo nella organizzazione sociale, le tecniche ad essa relative, che sono le meglio conosciute tendono ad essere impiegate per correggere la ripartizione aleatoria delle donne, con la differenza tuttavia che, dal momento che le donne non sono degli animali ma degli esseri umani incorporati in strutture sociali complesse che ne assicurano la protezione, bisogna, se si vuole impadronirsi di esse, usare tattiche diverse: il cacciatore, affrontando non più degli animali, ma altri esseri umani, diventa guerriero.” (p. 37) Il fatto che cibarsi di carne implichi l’uccisione di un essere vivente non è tuttavia senza conseguenze sulla coscienza che gli esseri umani hanno di se stessi e del mondo che li circonda. L’uccisione finalizzata alla soddisfazione di bisogni alimentari è spesso stata anticamente vissuta come un atto sacro, in base al quale una vita è mangiata affinché un’altra vita possa continuare. Graffiti rupestri e testimonianze archeologiche mostrano rituali mistici che accompagnano simili pratiche, che assumono quindi un carattere eccezionale e gli stessi animali delle specie uccise sono oggetto di ringraziamento. A risentirci, spero Osvaldo > Mailing list Consumo Critico dell'associazione PeaceLink. > Per ISCRIZIONI/CANCELLAZIONI: http://www.peacelink.it/mailing_admin.html > Archivio messaggi: > http://www.peacelink.it/webgate/consumocritico/maillist.html > Area tematica collegata: http://italy.peacelink.org/consumo > Si sottintende l'accettazione della Policy Generale: > http://www.peacelink.it/associazione/html/policy_generale.html > > Osvaldo Pieroni Presidente corsi di Laurea in DES Scienze Sociali per lo sviluppo la Cooperazione e la Pace Università della Calabria 87036 Arcavacata di Rende 0984 492565 ------------------------------------------------- This mail sent through IMP: http://horde.org/imp/
- References:
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- From: "Gianluca Miano" <gianluca.miano at piccolopopolo.org>
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