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Re: Jovan Rashkovic, di Shibenik
- Subject: Re: Jovan Rashkovic, di Shibenik
- From: Paola Lucchesi <paola.lucchesi at mail.inet.it>
- Date: Sun, 8 Apr 2001 16:44:41 +0200
>Era il professore Jovan Rashkovic, di Shibenik. Jovan, Jovan, certo! Mi sono confusa di brutto con Karadzic, anche sulle poesie! eheheh, tanto mi vanto della mia memoria, ed ora guarda che figure! probabilmente perche' erano entrambi psichiatri. >Ricattato da Tudjman, >con quei nastri registrati. Questa storia non la conosco, di quand'e'? Che nastri? Pare che fosse una fissazione, quella di registrare colloqui riservati, il "Nacional" (ma anche gli altri, "Globus", "Imperijal") e' andato avanti mesi a fare presunti scoop sulle registrazioni di questo e quel colloquio: coi militari, sulle privatizzazioni sospette, colloqui politici... di tutto, di piu'. Da chiedersi com'e' che facevano poi a metter le mani su tutto questo bendiddio. Com'era la storia di Raskovic, comunque? >Ha fatto bene di aver rifiutato la proposta >di Tudjman, perchè la costituzione di Croazia era quello che citavi. No, quella volta la costituzione ancora non c'era, la proposta fu fatta immediatamente dopo le elezioni, nell'aprile 1990, e la costituzione nuova fu approvata appena a dicembre. Penso che alla fin fine sia stato uno sbaglio chiudersi cosi' totalmente, all'epoca non solo Tudjman ma un po' tutta la classe politica croata forse avrebbe potuto prendere un'altra direzione. All'epoca erano piu' ingenui che prepotenti, per quel che riuscivo a vedere io, stando in giro per Zagabria a parlar con questo e con quello. Comunque erano ancora incerti e timorosi, si trovavano in mano quella vittoria fulminante ma sentivano anche addosso gli occhi del mondo. In quel momento la', i giochi erano ancora tutti aperti. Per quello dico che se ci fosse stata una politica europea saggia, di mediazione - invece che un ripiegamento totalmente conservatore sul puntellare la sedia dei "potenti" e amici a Belgrado - poteva ancora andare a finire bene. Oltretutto, all'epoca la Croazia stava DENTRO la Jugoslavia, e anche se molti fantasticavano di indipendenza, all'epoca era un'idea piuttosto lontana. Non era affatto garantito che perfino Tudjman ci si sarebbe lanciato su. Le rogne iniziarono a scoppiare quell'estate, ed erano molto bene organizzate. Da fuori. Ad agosto ci fu la prova generale di quel che sarebbe stata l'estate calda del '91, un anno dopo. Anche geograficamente era evidente quel che sarebbe accaduto. Io stavo a gironzolare per la Dalmazia proprio nei giorni in cui si cucinava la prima "insurrezione" di quella che sarebbe poi divenuta la Kraijna. Ricordo esattamente il momento in cui mi venne un brivido giu' per la schiena all'idea che sarebbe scoppiata una guerra. Era la mattina del 17 agosto, sabato, e leggevo il Vjesnik in piazzetta di Trogir. C'era un servizio con interviste ai ragazzi dei paesi serbi dell'interno (la zona fra Benkovac e Knin), e le foto, le espressioni sulle facce... Erano sorridenti, eccitati come bambini, parlavano del loro ruolo di "guardie", stavano coi fucili in mano pronti a difendere le loro case.... Insomma, giocavano alla guerra. Io pensavo a che razza di vita del cavolo dev'essere per dei giovani stare fra quelle pietraie, un giorno dopo l'altro, che noia, quali aspettative per il futuro? All'improvviso, qualcuno ti offre l'opportunita' di vivere un momento eroico... Roba da brivido. Comunque, la storia in quei giorni era che Radio Knin (i serbi in quelle zone ascoltavano solo ed esclusivamente i mass media serbi, radio e giornali, e credevano fedelmente ad ogni parola) aveva iniziato una campagna di diffusione del panico. Proprio quel giorno la' avevano annunciato che da Zagabria erano in arrivo trecento "specialci" croati armati fino ai denti. Opla'! in un attimo furono su le barricate. Ci capitai dritta sopra con la mia 126, perche' ovviamente avevo deciso di passare dritta per Benkovac (dove peraltro era tutto zitto e tranquillo, pare che fu peggio in altri posti, piu' tardi un camionista di Lubiana mi disse che si era trovato con i fucili spianati sotto il naso, mi pare a Gracac). Fu un effetto fenomenale, perche' la strada per Plitvice era bloccata (la polizia mi rispedi' sulla costa, come migliaia di altri viaggiatori), e tutto il traffico normale, piu' la valanga di turisti che rientravano dopo Ferragosto, fra cui moltissimi italiani, si rievrso' sulla Jadranska Magistrala, che e' una stradetta stretta e piena di curve, sepreggiante sulle pietraie del Velebit. Dalle due del pomeriggio alle dieci di sera per fare i cinquanta chilometri fino a Karlobag, sotto il sole battente, impacchettata in una colonna di trecento chilometri che andava da Zara a Fiume (ovvero Zadar-Rijeka). Il giorno dopo feci quell'altra strada dell'interno, su da Karlobag verso Plitvice, e fu una guidata memorabile perche' la bandiera con la stella rossa che sventolava su una serie di centri indicava chiaramente il territorio che un anno dopo avrebbe costituito la Kraijna. Nei giorni seguenti, i partiti d'opposizione si riunirono nel palazzo dei sindacati a Zagabria per discutere della situazione. Qualcuno lancio' un'ottima idea, che purtroppo rimase li', senza seguito: dobbiamo andare la', nei villaggi serbi, a parlare con questa gente, a rassicurarli. Ecco, quello secondo me fu il momento clou: il fatto che l'opposizione non ando' avanti con quell'idea indica il problema piu' scottante della Croazia, ovvero la debolezza intellettuale della classe politica. L'assenza di veri leaders, con visione e spina dorsale per portarla avanti. Purtroppo, la figura politicamente piu' compatta di tutto lo scenario croato risulto' essere proprio Tudjman, e Tudjman quell'autunno se ne ando' per una strada di non ritorno. Anche perche' aveva un sacco di "consiglieri" interessati a farsi potere e denari agitando la sahovnica (gioco piu' facile che non quello di lavorare davvero, e creare benessere per il paese). Tant'e' che poco dopo, in ottobre, ci fu Petrinja: altra prova generale. E poi Pakrac. A Pasqua, Plitvice, il primo sangue (son stati dieci anni proprio ora). A maggio, Borovo Selo. Ma chissa', forse ancora non sarebbe stato troppo tardi. Slovenia e Croazia erano ancora DENTRO la Jugoslavia, ne' c'era stata ancora una decisione definitiva. Le sezioni repubblicane del partito erano uscite dalla sessione federale a gennaio (fra l'altro, lo strappo era stato... sul Kosovo!); l'altro strappo erano state le elezioni multipartitiche. Pero' la Jugoslavia esisteva ancora. Altro fatto spesso e volentieri dimenticato: le proteste di Belgrado del marzo 1991. Forse DK ci aiutera' un po' a ricordare quel momento molto, molto importante. Non fu una cosetta da niente, giorni e giorni sulle Terazije con gran massa di gente, e Slobo gli mando' adosso i carri armati. Tutti segnali che il mondo si rifiuto' ostinatamente di vedere. > I >Serbi hanno perso la posizione del popolo costitutivo. Questo io penso >oggi, ma nei quelli anni, ero fanatico di sostenere che si dovevano >utilizzare tutti i mezzi democratichi e parlamentari, cioè piegare la >testa per almeno provare la conciliazione, per avere argumenti di >ribellarsi con più autorevolezza, invitando le camere CNN. Penso che avevi ragione. Magari non sarebbe servito comunque (soprattutto per questa indifferenza internazionale), pero' sarebbe stato bello che si fosse almeno provato. Chissa' come sarebbe andata. Io ho visto incancrenirsi il risentimento croato, partendo da quella primavera del 1990 dove tutto era possibile, e c'era nell'aria piu' che altro entusiasmo per le possibilita' di un mondo nuovo, passando per il precipitare, mese dopo mese, di questa tragedia. I croati non capirono la profondita' della paura serba di uno stato croato, i serbi non capirono la profondita' del desiderio croato di avere uno stato. Due mondi che, dopo cinquant'anni sotto lo stesso tetto, in realta' non si erano mai parlati, mai veramente integrati. Questo, alla fin fine, era il dramma della Jugoslavia: una bella idea, ultramoderna, di stato multietnico, che copriva una realta' di paure reciproche, diffidenza, incomunicabilita'. Non del tutto, c'era uno strato non indifferente di gente che ci credeva, e non solo intellettuali. Purtroppo, per questa tornata della storia il sopravvento lo hanno avuto le forze distruttrici. Io sono un'inguaribile ottimista e penso che qualche modo nuovo di parlarsi questa gente alla fine lo trovera'. Penso che potremmo cercare di dare una mano. Quindi m'incazzo sinceramente a vedere chi soffia sul fuoco delle divisioni, soprattutto quelle su linea etnica che sono in buona parte una strategia artificiale del "divide et impera". Con le macchiette: gli albanesi son tutti mafiosi, i croati ustascia, i serbi vittime della NATO... Ma dai, ragazzi, insomma! Questa gente si merita qualcosa di meglio, non vi pare? buona domenica... paola
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