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La nonviolenza e' in cammino. 361




LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO



Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di 
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: <mailto:nbawac@tin.it>nbawac@tin.it



Numero 361 del 21 settembre 2002



Sommario di questo numero:

1. Lorenzo Milani, in lingua italiana

2. Appello degli intellettuali nordamericani contro la guerra: "Non nel 
nostro nome"

3. Luigi Pintor, la dottrina globale

4. Giobbe Santabarbara, ancora un piccolo discorso sull'uccidere

5. La presenza nonviolenta dell'Operazione Colomba in Palestina

6. Estratto da un progetto per un corso di formazione alla nonviolenza per 
operatori di Polizia Municipale

7. Germaine Greer, la domanda

8. Paul Tillich, finitudine

9. Ida Dominijanni intervista Etienne Balibar

10. Arianna Marullo, Aby Warburg raccontato da Ernst H. Gombrich

11. Alcuni siti amici della nonviolenza

12. "Azione nonviolenta" di settembre

13. "Keshet. Vita e cultura ebraica"

14. Fondazione Roberto Franceschi, pubblicazioni sui diritti

15. Editori: L'Harmattan Italia

16. Letture: Andrea Kettenmann, Frida Kahlo

17. Letture: Marina Paladini Musitelli, Introduzione a Gramsci

18. Riletture: "Re/search", J. G. Ballard

19. Riletture: Charles C. Walker, Manuale per l'azione diretta nonviolenta

20. La "Carta" del Movimento Nonviolento

21. Per saperne di piu'



1. IN BREVE. LORENZO MILANI: IN LINGUA ITALIANA

[Da Documenti del processo di don Milani, L'obbedienza non e' piu' una 
virtu', LEF, Firenze, piu' volte ristampato, p. 61]

In lingua italiana lo sparare prima si chiama aggressione e non difesa.



2. APPELLO DEGLI INTELLETTUALI NORDAMERICANI CONTRO LA GUERRA: "NON NEL 
NOSTRO NOME"

[Questo appello degli intellettuali e degli artisti nordamericani contro la 
guerra, dal titolo "Non nel nostro nome", sta circolando in questi giorni 
nella rete telematica; noi lo riprendiamo nella traduzione italiana diffusa 
da "Latinoamerica" (per contatti con la redazione: Gianni Mina': 
g.mina@giannimina.it, Alessandra Riccio, a.riccio@giannimina.it, Marilena 
Giulianetti, m.giulianetti@giannimina.it, Loredana Macchietti, 
l.macchietti@giannimina.it; il sito internet  di "Latinoamerica e tutti i 
sud del mondo" e': www.giannimina-latinoamerica.it]

Che non si dica che negli Stati Uniti la gente non abbia fatto niente 
quando il suo Governo ha dichiarato una guerra senza limiti e ha instaurato 
nuovi mezzi di repressione. I firmatari di questo appello invitano la 
popolazione nordamericana a reagire alle politiche e alle restrizioni 
generali che sono emerse  dopo l'11 settembre, mettendo in pericolo le 
popolazioni del mondo.

Noi crediamo che le persone e le nazioni hanno diritto  alla determinazione 
del proprio destino, liberi da qualsiasi coercizione militare delle grandi 
potenze. Crediamo che tutte le persone detenute o perseguite dal governo 
degli Stati Uniti debbano avere gli stessi diritti. Crediamo che fare 
domande, criticare e dissentire sono attitudini che devono essere 
valorizzate e protette.

Noi crediamo che le persone di coscienza debbano assumere la 
responsabilita' delle azioni dei loro governi e, soprattutto, dobbiamo 
opporci alle ingiustizie commesse  in nostro nome.

Invitiamo tutti i nordamericani ad opporsi alla guerra e alla repressione 
che e' stata lanciata al mondo dall'amministrazione Bush. E' ingiusta, 
immorale e illegittima. Decidiamo di essere parte in causa con i popoli del 
mondo.

Anche noi abbiamo osservato con angoscia i terribili fatti dell'11 
settembre del 2001. Anche noi abbiamo pianto le migliaia di vittime 
innocenti e ci siamo terrorizzati di fronte alla orribile carneficina che 
ci ha portato alla memoria scene simili avvenute in Bagdad, Panama o, una 
generazione fa, in Vietnam. Anche noi ci siamo domandati, come milioni di 
statunitensi, com'e' stato possibile che sia successo tutto questo.

Pero', mentre il dolore era appena cominciato, i pregiudizi piu' vecchi 
hanno scatenato il loro spirito di vendetta coniando un ordine 
semplicistico: "buoni contro cattivi", che e' stato subito adottato da 
tutti i mezzi di comunicazione, sottomessi e impauriti. Ci hanno detto che 
il solo fatto di formulare domande su questi terribili fatti sfiorava il 
tradimento. Non ci doveva essere nessun dibattito, ne' spazio per i dubbi 
etici o politici. L'unica risposta possibile era la guerra fuori e la 
repressione dentro casa.

In nostro nome l'amministrazione Bush, con la quasi unanimita' del 
Congresso, ha attaccato l'Afghanistan e si e' arrogata, insieme ai suoi 
alleati, il diritto di distruggere forze militari in qualunque luogo e 
momento. Le brutali ripercussioni si sono fatte sentire dalle Filippine 
alla Palestina, dove i carrarmati e i bulldozer israeliani hanno tracciato 
un terribile sentiero di distruzione e morte. E il governo si sta 
attrezzando per intraprendere una guerra totale in Iraq, un paese che non 
ha nessuna relazione con i tragici attentati dell'11 settembre. Che razza 
di mondo sara' questo se si permette al Governo degli Stati Uniti di 
lanciare comandi, assassini e bombe dove gli fa piu' comodo?

In nostro nome, il Governo ha creato negli Stati Uniti due classi di 
cittadini: quelli a cui, almeno a loro, hanno promesso i diritti elementari 
del sistema legislativo e quelli che, ora, pare non abbiano nessun diritto.

Il Governo ha arrestato piu' di mille immigrati e li ha segretamente 
incarcerati, senza limite di tempo. Centinaia di persone sono state 
deportate e centinaia sono ancora in prigione. Per la prima volta negli 
ultimi dieci anni, le regole per l'immigrazione sono stati applicate in 
modo diseguale.

In nostro nome, il Governo ha scatenato un'ondata di repressione nella 
societa'. Il portavoce del presidente ha intimidito la gente dicendo: 
"Attenzione a quello che dite" e la visione degli accadimenti espressa 
dagli artisti, dagli intellettuali e dai professori e' stata distorta, 
attaccata o eliminata. Il cosiddetto "Atto Patriottico", insieme ad una 
miriade di strumenti simili in tutto il paese, da' alla polizia nuovi e 
piu' ampli poteri di investigazione e sequestro, sotto la copertura dei 
procedimenti segreti.

In nostro nome l'esecutivo usurpa gli atti e le funzioni degli altri rami 
del Governo. Un ordine esecutivo ha messo in funzione i tribunali militari.

E' sufficiente una firma del presidente per definire "terrorista" un 
determinato gruppo di persone. Dobbiamo prendere molto seriamente i 
governatori quando parlano di una guerra che durera' una generazione e 
quando parlano di un nuovo ordine. Stiamo di fronte a una nuova politica 
imperiale verso il mondo e a una politica interna che genera e manipola la 
paura per limitare i diritti fondamentali.

C'e' una strategia mortale negli accadimenti di questo ultimo mese che deve 
essere vista cosi' com'e' e contro la quale dobbiamo resistere.

Molte volte, nella storia, la gente ha indugiato a resistere fino a quando 
era troppo tardi. Il presidente Bush ha dichiarato: "O con noi, o contro di 
noi". Questa e' la nostra risposta: noi neghiamo che egli possa parlare a 
nome di tutti i nordamericani. Noi non consegnamo le nostre coscienze in 
cambio di una vana promessa di sicurezza.

Diciamo no in nostro nome.

Noi ci neghiamo di far parte di questa guerra e rinneghiamo tutte le azioni 
fatte in nostro nome o per il nostro bene. Tendiamo invece la mano a chi 
nel mondo soffre per la conseguenza di queste decisioni.

Mostreremo la nostra solidarieta' con le parole e con le azioni. I 
firmatari di questo appello invitano tutti i nordamericani a unirsi a 
questa sfida.

Applaudiamo e appoggiamo tutte le proposte che si faranno, ogni volta che 
riconosceremo l'esigenza di fare molto per porre fine a questa pazzia.

Noi siamo stati ispirati dalla decisione dei riservisti israeliani che, 
assumendone i rischi  in prima persona, hanno dichiarato che c'e' un limite 
e si sono negati di prestare il loro servizio a Gaza e nei territori occupati.

Noi siamo stati ispirati dai numerosi esempi di resistenza e di coscienza 
che ci offre la storia degli Stati Uniti: da chi ha combattuto la 
schiavitu' a chi ha posto fine alla guerra in Vietnam non obbedendo agli 
ordini, o negandosi a ingrossare le fila o appoggiando chi opponeva resistenza.

Non permettiamo che il mondo, che oggi ci osserva, si disperi per il nostro 
silenzio e per la nostra incapacita' di azione. Facciamo in modo che tutti 
possano sentire il nostro impegno.

Resisteremo di fronte alla macchina da guerra e alla repressione e faremo 
tutto il possibile per frenarla.

Firmano: Michael Albert; Laurie Anderson; Edward Asner, attore; Rosalyn 
Baxandall,storica; Russell Banks, scrittore; Jessica Blank, attrice e 
drammaturga; Medea Benjamin, Global Exchange; William Blum, scrittore; 
Theresa Bonpane; Fr. Bob Bossie, SCJ; Leslie Cagan; Henry 
Chalfant,produttore cinematografico; Bell Chevigny, scrittore; Paul 
Chevigny, docente di Diritto; Noam Chomsky, politologo e linguista; Robbie 
Conal, pittore; Stephanie Coontz, storica; Kimberly Crenshaw, docente di 
Diritto; Kia Corthron, drammaturga; Kevin Danaher, Global Exchange; Ossie 
Davis, attore; Mos Def, musicista; Carol Downer, direttrice del Centro 
Femminista di Salute per le Donne; Eve Ensler, drammaturga; Leo Estrada, 
professore dell'UCLA; John Gillis, scrittore; Rutgers Jeremy Matthew Glick, 
editore di "Another World Is Possible"; Suheir Hammad, scrittore; Rakaa 
Iriscience, interprete di hip hop; David Harvey, antropologo; Erik Jensen, 
attore e drammaturgo; Casey Kasem Robin D.G. Kelly; Martin Luther King III; 
Barbara Kingsolver; C. Clark Kissinger, "Refuse and Resist!"; Jodie Kliman, 
psicologa; Yuri Kochiyama; Annisette & Thomas Koppel, cantanti e 
compositori; Dave Korten, compositore; Tony Kushner, drammaturgo; James 
Lafferty, direttore esecutivo della "National Lawyers Guild" a Los Angeles; 
Rabbi Michael Lerner, editore del "Tikkun Magazine"; Barbara Lubin; 
Anuradha Mittal, condirettore dell'Istitut for Food and Development 
Policy/Food First; Malaquias Montoya, scultore; Robert Nichols, scrittore; 
Rev. E. Randall Osburn, vicepresidente della Southern Christian Leadership 
Conference; Grace Paley; Jeremy Pikser, sceneggiatore; Juan Gomez Quinones, 
storico; Michael Ratner, presidente del Center for Constitutional Rights; 
Adrienne Rich, poetessa; Boots Riley, artista hip hop; David Riker, 
produttore cinematografico; Edward Said; Starhawk Michael Steven Smith, 
della National Lawyers Guild; Bob Stein, pubblicitario; Gloria Steinem; 
Alice Walker; Naomi Wallace, drammaturga; Rev. George Webber, presidente 
emerito del NY Theological Seminary; Leonard Weinglass, avvocato; John 
Edgar Wideman; Saul Williams e Howard Zinn, storici.



3. RIFLESSIONE. LUIGI PINTOR: LA DOTTRINA GLOBALE

[Riprendiamo questo articolo dal quotidiano "Il manifesto" del 20 
settembre. Luigi Pintor, nato nel 1925 a Roma, fratello di Giaime, 
antifascista, giornalista a “L’Unità” dal 1946 al 1965, parlamentare, nel 
1969 ha dato vita al “Manifesto”, dapprima rivista e poi quotidiano su cui 
ancora scrive. E’ uno straordinario corsivista politico, unisce una prosa 
giornalistica di splendida bellezza ad un rigore morale e di ragionamento 
di eccezionale nitore. Opere di Luigi Pintor: I mostri, Alfani, Roma; 
Servabo, Bollati Boringhieri, Torino; Parole al vento, Kaos, Milano; La 
signora Kirchgessner, Bollati Boringhieri, Torino; Il nespolo, Bollati 
Boringhieri, Torino; Politicamente scorretto, Bollati Boringhieri, Torino]

Esiste una "dottrina Bush", non ancora scritta e codificata come si deve ma 
enunciata ripetutamente dal presidente americano dopo l'11 settembre fino a 
oggi, secondo la quale gli Stati Uniti hanno diritto di intervenire con la 
forza in ogni parte del mondo quando giudichino in pericolo la loro 
sicurezza. Questa dottrina, comune a tutta la squadra presidenziale che 
governa l'America, si e' gia' tradotta in una strategia politico-militare 
di lunga durata (molte generazioni, secondo il vicepresidente) ed ha gia' 
fatto le prime prove. La nuova guerra che si annuncia non sara' 
un'operazione militare locale paragonabile alle precedenti ma si inscrive 
in questa nuova dottrina come un anello di una catena lunga quanto la 
circonferenza terrestre.

Sono molti gli stati, le nazioni, che possiedono armi di distruzione di 
massa o le possederanno, che sono retti da regimi totalitari, che sono 
ostili agli Stati Uniti o possono diventarlo, o che hanno semplicemente 
interessi o concezioni incompatibili col nuovo ordine americano. Se e 
quando gli Stati Uniti giudicheranno minacciosa per la propria sicurezza 
questa asimmetria, e i rapporti di forza lo consentiranno, il ricorso alla 
guerra preventiva sara' gia' stato sperimentato e potra' essere replicato 
senza bisogno di ulteriori giustificazioni.

Forse questa dottrina non si puo' definire tradizionalmente imperialista o 
imperiale, forse non e' meccanicamente connessa agli interessi materiali 
americani o, piu' mediocremente, agli affari interni dell'amministrazione 
in carica e alla sorte personale di un presidente malamente eletto. Forse 
risponde a una visione messianica che una parte dell'America ha di se 
stessa. Ma peggio sarebbe in questo caso, perche' una dottrina che abbina 
il massimo di potenza militare e tecnologica a pulsioni religiose spalanca 
abissi insondabili.

Molti pensano che la dottrina Bush sia pero' pur sempre rivolta ad 
esportare il bene della democrazia, anche se molti dittatori sono stati o 
sono di esportazione americana. Altri pensano che sia comunque diretta 
contro paesi dell'altro mondo, sebbene stia umiliando senza riguardi buona 
parte dei governi e degli interessi occidentali. Altri pensano che terra' 
comunque conto della comunita' internazionale e delle sue regole, sebbene 
chieda all'Onu di violare il proprio statuto inviando ultimatum a un 
aggressore virtuale. Evidentemente la dottrina Bush non e' ancora percepita 
per quello che significa, E' uno di quei fenomeni storici la cui dimensione 
e i cui effetti si comprendono purtroppo solo quando se n'e' fatta esperienza.

La dottrina Monroe e' celebre, tra le altre cose, per avere affermato in 
linea di principio e di fatto il primato degli Stati Uniti su tutto il 
continente, riducendo il Sudamerica a cortile di casa e facendo tributarie 
le sue popolazioni. La dottrina Bush, se e' lecito il parallelo, 
trasferisce dopo due secoli la stessa idea di primato da una scala 
provinciale a una globale, militarizzando un dominio produttivo, mercantile 
e ideologico gia' acquisito.

Poiche' non esiste un campo o sistema contrapposto, questa dottrina 
panamericana puo' essere impunemente formulata e apparire vincente. La 
sproporzione delle forze e' molto grande. Tuttavia, per dirla volgarmente, 
nessuno e' mai riuscito a mettere le brache al mondo e neanche il creatore 
e' riuscito a modellare il creato a sua immagine e somiglianza e a evitare 
che gli sfuggisse di mano. Ci sono contraddizioni di cui ogni dottrina, 
come insegna la storia, resta prima o poi vittima.

C'e' uno spazio per contrastarla, meglio prima che poi. Lo scenario che 
prospetta e' intollerabile e gli uomini in carne ed ossa troveranno un 
antidoto perche' ne va del loro destino. Tuttavia la lotta per la pace non 
potra' piu' vincere solo come rifiuto degli orrori di ogni guerra, bensi' 
prendendo coscienza per tempo dell'entita' della minaccia che ci sovrasta e 
della sua vera natura.



4. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: ANCORA UN PICCOLO DISCORSO SULL'UCCIDERE

[Giobbe Santabarbara e' impegnato nel "Centro di ricerca per la pace" di 
Viterbo]

1. Un istante prima qui c'era una persona umana. Un istante dopo qui c'e' 
una cosa inerte. Tra istante e istante c'e' stata un'uccisione. Dove 
avviene l'uccisione esseri umani si trasformano in cosa, cio' che era 
umanita' diventa niente. L'uccidere e' la negazione dell'umanita'.

2. L'atto di uccidere implica il fatto dell'essere ucciso; perche' avvenga 
l'azione di uccidere deve avvenire che qualcuno resti ucciso. Solo se trovi 
ammissibile di essere ucciso puoi dire di trovare ammissibile uccidere. Ma 
tu vuoi vivere, e cosi' tutti. E poiche' tu non ammetti di essere ucciso 
tu, e rivendichi come diritto il tuo vivere, cosi' devi riconoscere anche 
agli altri di non ammettere di essere uccisi loro, e di rivendicare la loro 
vita come diritto. Poiche' vivere e' quel diritto senza del quale nessun 
altro diritto si da'. Se tutti, ciascuno per se', rivendichiamo il diritto 
a non essere uccisi, ne consegue di necessita' affermare il dovere di tutti 
di non uccidere. Perche' si dia il non essere uccisi come diritto e come 
certezza, occorre la decisione comune di non uccidere. "Tu non uccidere" e' 
il pensiero che l'umanita' cosciente afferma da quando esiste un pensiero 
umano, da quando esiste una umana coscienza.

3. Uccidere nega alla radice l'esistenza della societa': affinche' si dia 
associazione tra esseri umani essa deve basarsi sul presupposto che l'un 
l'altro non ci si togliera' la vita. L'uccidere e' il contrario della 
convivenza.

4. Uccidere distrugge qualunque ordinamento giuridico: poiche' il 
presupposto dell'ordinamento giuridico e' un accordo finalizzato al bene 
comune dei contraenti. Un ordinamento giuridico che uccide nega se' stesso.

5. Se vi e' universale consenso che uccidere e' il peggiore dei crimini, 
esso e' crimine sia quando a commetterlo e' un singolo, sia quando a 
commetterlo e' un gruppo, sia quando a commetterlo e' un'istituzione.

6. La guerra consiste nella commissione di omicidi di massa. Essa e' quindi 
la peggiore espressione del peggiore dei crimini. Essa e' inammissibile sempre.

7. Vi e' una considerazione ulteriore: essendo gli armamenti disponibili 
nel mondo di quantita' e qualita' tali che essi sono sufficienti a 
distruggere piu' volte la civilta' umana, la guerra, qualunque guerra, 
mette in pericolo qui e adesso l'umanita' intera. Per dirlo con le parole 
di don Milani: "E noi stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o 
no distruggere la specie umana?".

8. Opporsi alla guerra e' allora il primo e piu' grande impegno 
dell'umanita'. Ma opporsi alla guerra e' possibile solo se si ripudia in 
modo assoluto l'uccidere, e contro l'uccidere si lotta nel modo piu' 
limpido ed intransigente.

9. La nonviolenza e' la decisione morale, l'azione pratica e la cognizione 
teoretica che afferma e realizza il dovere e il diritto di ogni essere 
umano in quanto tale di opporsi alla guerra, alla violenza, alla menzogna, 
a tutte le forme di denegazione dell'umanita'. Solo la nonviolenza si 
oppone alla guerra. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.



5. ESPERIENZE. LA PRESENZA NONVIOLENTA DELL'OPERAZIONE COLOMBA IN PALESTINA

Sono da mesi in Palestina con la loro attiva presenza nonviolenta alcuni 
amici dell'Operazione Colomba (per i quali nutriamo ammirazione e affetto 
grandi): per leggere le loro testimonianze e per conoscere la loro 
attivita' (ed anche per persuadersi a sostenerli) invitiamo tutti i nostri 
lettori a visitare il sito dell'Operazione Colomba e leggere i loro 
materiali: www.operazionecolomba.org; si veda anche il sito: 
www.peacelink.it/amici/apg23



6. MATERIALI. ESTRATTO DA UN PROGETTO PER UN CORSO DI FORMAZIONE ALLA 
NONVIOLENZA PER OPERATORI DI POLIZIA MUNICIPALE

[Il seguente progetto e' stato elaborato dal "Centro di ricerca per la 
pace" di Viterbo (e-mail: nbawac@tin.it), presso cui puo' essere richiesta 
varia documentazione sul tema]

Progetto di corso di formazione alla conoscenza e all’uso dei valori, delle 
tecniche e delle strategie della nonviolenza rivolto a operatori di Polizia 
Municipale e ad altri dipendenti del Comune di ..., articolato in 8 
incontri, di cui 6 incontri di studio ed esercitazioni, e due incontri di 
verifica e di autovalutazione, da svolgersi con cadenza settimanale

*

Parte prima: premessa

E’ ormai convincimento largamente condiviso che tutti gli operatori 
pubblici addetti a garantire la sicurezza dei cittadini possano trarre 
grande giovamento nell’espletamento dei loro compiti dalla conoscenza e 
dall’uso delle risorse analitiche ed operative messe a disposizione dalla 
riflessione teorica e dalle esperienze pratiche della nonviolenza.

In attesa che, come da più parti autorevolmente auspicato, la formazione 
alla conoscenza e all’uso delle risorse della nonviolenza per tutti gli 
operatori delle varie forze dell’ordine diventi disposizione legislativa, 
sono già state realizzate in varie parti d’Italia esperienze di formazione 
a tal fine.

Con il presente progetto si intende mettere a disposizione degli operatori 
della Polizia Municipale del Comune di ... un percorso formativo di base.

*

Parte seconda: programma del corso

1. Primo incontro: il rispetto della dignità umana come base della civile 
convivenza: persona, comunicazione, conflitto, mediazione, cooperazione;

2. Secondo incontro: la persona e la società: norma, coscienza, diritti umani;

3. Terzo incontro: la violenza come negazione della dignità umana;

4. Quarto incontro: la nonviolenza come riconoscimento di umanità ed 
inveramento dei diritti umani per tutti gli esseri umani;

5. Quinto incontro: la nonviolenza come insieme di valori e di tecniche 
ermeneutiche, deliberative ed operative;

6. Sesto incontro: la nonviolenza in azione (esperienze storiche, figure 
esemplari, casi quotidiani);

7. Settimo incontro: autovalutazione del corso e stesura della relazione 
conclusiva;

8. Ottavo incontro: discussione ed approvazione della relazione conclusiva.

*

Parte terza: proposta di calendario e questioni organizzative (...)



7. MAESTRE. GERMAINE GREER: LA DOMANDA

[Da Germaine Greer, La donna intera, Mondadori, Milano 2000, 2001, p. 297. 
Germaine Greer, intellettuale femminista, e' nata a Melbourne, in 
Australia, nel 1939; docente di letteratura inglese e comparata 
all’Università di Warwick in Inghilterra. Opere di Germaine Greer: L’eunuco 
femmina, Bompiani, Milano 1972; Viaggio intorno al padre, Mondadori, Milano 
1990; La seconda metà della vita, Mondadori, Milano 1995; La donna intera, 
Mondadori, Milano 2000]

Una volta Margaret Atwood chiese a un gruppo di uomini perche' trovassero 
le donne minacciose. "Abbiamo paura che ridano di noi" risposero. Quando 
chiese a un gruppo di donne perche' avevano paura degli uomini, quelle 
risposero: "Perche' abbiamo paura di essere uccise".



8. MAESTRI. PAUL TILLICH: FINITUDINE

[Da Paul Tillich, Teologia sistematica, I, Claudiana, Torino 1996, p. 219. 
Paul Tillich, 1886-1965, e' stato uno dei massimi teologi contemporanei; 
docente universitario in Germania, destituito all’avvento del nazismo, dal 
1933 si trasferisce in America. Opere di Paul Tillich: segnaliamo 
particolarmente La mia ricerca degli assoluti, Ubaldini-Astrolabio, Roma 
1968 (un libro aperto da un’ampia autopresentazione, impreziosito dagli 
stupendi disegni di Saul Steinberg); Lo spirito borghese e il kairós, 
Claudiana, Torino (consiste dell’edizione italiana curata da A. Banfi ed 
edita da Doxa, Roma 1929); cfr. ovviamente anche la fondamentale Teologia 
sistematica, il primo dei quattro volumi è stato finalmente edito in 
italiano dalla Claudiana di Torino nel 1996. Opere su Paul Tillich: cfr. 
l’interessante volume di Stefano Mistura, Paul Tillich, teologo della nuova 
psichiatria, Claudiana, Torino 1978]

Tutte le strutture della finitudine costringono l'essere finito a 
trascendersi e, proprio per questo motivo, a diventare consapevole di se 
stesso come finito.



9. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI INTERVISTA ETIENNE BALIBAR

[Questo articolo abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 
settembre 2002. Ida Dominijanni e' una giornalista del quotidiano, Etienne 
Balibar un filosofo di grande impegno civile]

Professore emerito di filosofia politica all'universita' di 
Parigi-Nanterre, autore fra l'altro di Spinoza et la politique e, con Louis 
Althusser, di Leggere il capitale, Etienne Balibar non ha bisogno di 
presentazioni presso il pubblico del "Manifesto". Piu' di un suo testo, 
come Razza, nazione, classe scritto con Immanuel Wallerstein, o i piu' 
recenti Le frontiere della democrazia (manifestolibri) e Noi, cittadini 
d'Europa appena pubblicato in Francia (La Decouverte) interrogano 
direttamente i processi del mondo globale e ne sono interrogati. 
Proseguiamo con lui il viaggio iniziato ieri con Eric Foner nelle fratture 
provocate nel pensiero politico occidentale dal crollo delle Torri gemelle.

Ida Dominijanni: Esattamente un anno fa eravamo tutti davanti al 
televisore, calamitati dall'icona totale di un evento che sembrava senza 
paragoni. Un anno dopo, quell'effetto si e' smorzato? Di che entite' ti 
appare oggi l'evento dell'11 settembre?

Etienne Balibar: Bisogna intendersi sul termine "evento": ormai, ed e' un 
segno dei tempi, lo si usa troppo spesso in senso escatologico, giocando 
col linguaggio religioso per alludere a una frattura epocale. Eviterei di 
dare all'11 settembre questo significato. Si e' trattato invece certamente 
di un evento storico, che dentro una costellazione di altri eventi dice 
chiaramente che stiamo vivendo un passaggio di secolo in cui i problemi e i 
concetti della politica si pongono in modo nuovo. L'11 settembre e' stato 
anche un evento di grande impatto nell'immaginario occidentale. E certo 
coinvolge e chiama in causa la coscienza europea: tuttavia io non avrei mai 
scritto, come hanno fatto all'indomani dell'attentato Le Monde in Francia e 
il Corriere della Sera in Italia, "siamo tutti americani". Per due ragioni. 
Primo, perche' non e' giusto isolare le vittime americane dalle altre 
vittime della violenza mondiale. Secondo, perche' dire "siamo tutti 
americani" rientra nella logica tradizionale dell'imperialismo e 
dell'anti-imperialismo. Equivale a dire: gli americani sono stati 
attaccati, o stiamo con loro o stiamo contro di loro. Ma lo scenario che 
l'11 settembre ha aperto, o forse solo rivelato, non puo' essere 
rappresentato in questi termini binari, perche' si presenta con 
caratteristiche esattamente opposte: frontiere mescolate, identita' 
intrecciate, contendenti senza linee di demarcazione netta e anzi, per 
certi versi, simili tra loro se non addirittura speculari.

I. D.: Concordo. Pero' uno degli effetti paradossali dell'11 settembre e' 
che, a fronte di questa "rivelazione" del mondo globale e interconnesso, 
c'e' stata una reazione che potremmo definire neo-bipolare. Nel campo 
americano e filoamericano ma anche, come tu stesso dici, in quello 
antiamericano. Come se il trauma riportasse a galla la tentazione di avere 
un campo di battaglia nettamente demarcato, confini certi, nemici certi...

E. B.: E' una sorta di nostalgia della guerra fredda, ed e' uno dei sintomi 
della regressione culturale che noto con amarezza anche fra gli 
intellettuali di sinistra. Credo che sia uno degli effetti perversi 
dell'Ottantanove. Fra il `68 e l'89, abbiamo vissuto due decenni di scambio 
culturale intenso fra i circoli della sinistra critica europea, francesi e 
italiani in particolare. Con il crollo del Muro, paradossalmente questo 
dialogo invece che intensificarsi si e' interrotto. La fine del socialismo 
reale ha avuto contraccolpi terribili. Prima, ci univa la ricerca di 
un'alternativa al modello sovietico. Dopo, ha prevalso una postura 
reattiva: scomparso il grande esempio negativo dell'Unione sovietica, molti 
di noi si sono sentiti catapultati nel vuoto. E, disarmati dalla 
sproporzione delle forze in campo nel mondo dominato da un'unica potenza, 
tendono a riprodurre mentalmente uno scenario da guerra fredda, con un 
nemico definito, la logica amico-nemico funzionante e una resa di conti 
finale. Ma figurarsi un nemico compatto, e contrapporgli una strategia 
frontale, oggi e' una grande illusione. Dall'altra parte, in campo 
conservatore, non si tratta solo di illusioni: c'e' un arco di forze - non 
tutta l'amministrazione Bush, ma una sua parte consistente, potenze 
economiche e religioni neofondamentaliste - che persegue il folle progetto 
di utilizzare eventi come l'11 settembre per ricreare le condizioni di uno 
scontro bipolare col mondo islamico. Senza temere un innalzamento del 
livello di violenza su scala mondiale, anzi auspicandolo, guerra compresa.

I. D.: E' lo schema dello "scontro di civilta'" di Huntington che si invera 
nella politica.

E. B.: Esattamente. Uno schema da cui lo stesso Huntington ha preso le 
distanze, sostenendo che lui lo usava per descrivere una tendenza, non per 
proporre una strategia. E' chiaro che una parte dell'amministrazione 
americana lo persegue invece come progetto.

I. D.: Perche', secondo te? E quante possibilita' ha di avere successo?

E. B.: La spiegazione mi pare di tipo classico: gli Stati Uniti, come 
potenza economica, sono in una fase di recessione, che queste forze tentano 
evidentemente di risolvere ricorrendo alla soluzione dell'investimento 
sulla guerra. Quanto alle possibilita' di successo, ci andrei piano. Negli 
stessi Stati Uniti ci sono forze importanti che non vedono le cose cosi'. E 
la situazione mondiale, soprattutto, non si lascera' ridurre a un confronto 
bipolare Occidente-Islam di questo tipo. Nel mondo globale, il bipolarismo 
e' un fantasma.

I. D.: Lo schema bipolare e' finito, ma i conflitti restano. Per quali 
contraddizioni passano? O, rovesciando la domanda: lungo quali cerniere si 
puo' pensare di "riordinare" politicamente le contraddizioni del mondo globale?

E. B.: Bisogna chiedersi: ci sono, e quali sono, le forze in grado di 
bilanciare la potenza schiacciante degli Stati Uniti? Si puo' pensare di 
individuarle nell'Europa, nella Cina, nell'India. Con cautela: la Cina ad 
esempio sta diventando una grande potenza nel giro di un decennio, non 
possiamo farci troppe illusioni sul suo ruolo in una governance mondiale. 
Ma bisognerebbe lavorare su piu' fronti. Ridare delle possibilita' ai paesi 
sottosviluppati, perche' non siano alla merce' degli Stati Uniti. Ridare 
delle chance alle Nazioni Unite e al diritto internazionale, sulla 
questione palestinese come sui diritti umani come sulla questione 
ecologica. Naturalmente, immaginando forme post-statuali e post-nazionali 
di governo del pianeta.

I. D.: Torniamo a Huntington. Dicevi che lui stesso prende le distanze dal 
suo schema sostenendo che si tratta di una diagnosi e non di una prognosi. 
Il fatto e' pero' che una diagnosi sbagliata apre la strada a una cattiva 
prognosi. Se si parte da un'idea statica delle culture, si arriva dritti 
allo scontro di civilta'. Ma se una caratteristica ha il mondo globale, e' 
di essere abitato da culture fratturate, divise, meticciate. Questo, di 
recente tu l'hai sottolineato molto bene parlando degli apporti degli studi 
postcoloniali...

E. B.: Sono d'accordo. In risposta al libro di Huntington, che e' della 
meta' degli anni '90, Edward Said scrisse un famoso articolo in cui gli 
rimproverava di voler ricostruire su scala mondiale il mito nazionale delle 
culture omogenee. Che e' un mito falso e privo di riscontri reali, sia a 
livello nazionale sia a livello delle grandi civilta'. Non esistono culture 
omogenee e totali. Ogni cultura e' sempre il luogo di fratture interne. E 
la storia dei processi di differenziazione e parziale unificazione di 
ciascuna cultura e' sempre una storia di interazione continua con culture 
altre. In questo senso, esistono solo processi transculturali. Avevo 
cominciato a riflettere su questo punto durante gli anni delle guerre nella 
ex Jugoslavia, constatando come all'interno di piccole regioni europee 
esistano fratture che possono diventare insuperabili esattamente come 
quelle fra Occidente e Oriente. Del resto, la storia d'Europa l'hanno fatta 
le guerre civili... D'altro canto, penso che non possiamo prendere troppo 
sottogamba la sfida che ci viene dal fatto che nel campo dei valori 
esistono realmente alcune divergenze radicali, che non ci consentono di 
dare per acquisito un orizzonte cosmopolita di valori comuni. Sono 
divergenze che vengono a galla non appena discutiamo di questioni di fondo, 
come le relazioni fra uomini e donne, o i sistemi penali. Il problema - 
tutto politico - e' in primo luogo come evitare di cristallizzare queste 
divisioni e di usarle per costruire artatamente l'incompatibilita' fra 
civilta' diverse. E in secondo luogo, come promuovere e far crescere un 
processo di costruzione di un linguaggio comune a livello mondiale: che e' 
l'utopia cosmopolita da Kant in poi, a lungo viziata dall'idea che a 
esprimere il "comune" fosse la razionalita' europea. Ora che questo marchio 
eurocentrico dell'universalismo e' stato smascherato e messo sotto accusa, 
bisogna tornare a lavorare sull'utopia cosmopolita di una lingua comune, in 
cui i possibili clash fra valori diversi possano almeno sciogliersi, 
confrontarsi, misurarsi dialetticamente. Ma questo lavoro, che e' cruciale 
per contrastare le strategie di neo-bipolarizzazione in atto, sembra molto 
lontano dagli attuali orizzonti ristretti della politica. Il fatto e', come 
tutti i processi che attengono al linguaggio, non e' un problema di buona 
volonta', e non si risolve razionalisticamente a tavolino: su questo 
ostacolo si infrange anche molto pensiero democratico contemporaneo.

I. D.: Su questo ostacolo si infrange spesso la razionalita' politica tout 
court e quella della sinistra in particolare, purtroppo. Ma facciamo un 
passo indietro. Poco fa accennavi all'asprezza che il problema del 
confronto fra culture diverse assume all'interno della stessa Europa, come 
ben dimostra l'esempio della ex Jugoslavia, e ricordavi che la storia 
europea e' una storia di guerre civili. Dopo l'11 settembre, io ho sempre 
guardato con una certa incredulita' alla retorica europeista che, di fronte 
al compito ineludibile di inventare una politica della convivenza fra 
diversita' etniche, culturali e quant'altre, attribuisce al vecchio 
continente un vantaggio rispetto al nuovo. Certo, oggi gli Usa di Bush 
hanno riscoperto la politica identitaria e lo schema dello scontro di 
civilta' che abbiamo detto. Ma sul piano storico, non mi pare che la storia 
europea dia piu' garanzie di quella americana, quanto a capacita' di 
fluidificazione e integrazione pacifica delle differenze. Auschwitz 
l'abbiamo inventata noi.

E. B.: Sono d'accordo con te. Pochi mesi dopo l'11 settembre sono stato in 
California, dove ogni anno tengo un seminario, e mi ha colpito sentire 
circolare fra gli studenti liberal e radical una sorta di speranza 
irriflessa nell'Europa, l'idea che Bush li sta portando alla regressione 
politica e morale e che non c'e' salvezza se l'Europa non interviene nel 
gioco. Allora ho fatto una conferenza intitolata Europa vanishing 
mediation, per spiegare che la loro e' una pura illusione, perche' in 
questo momento l'Europa non ha alcuna capacita' di svolgere questo ruolo: 
l'Europa e' parte del problema, non e' la soluzione. Intendimi, parlo da 
europeista convinto, penso non da oggi che la costruzione europea sia 
diventata imprescindibile. Ma non sono ottimista: senza un progetto della 
sinistra europea, la costruzione europea crollera'. E viceversa: senza un 
progetto europeo, non ci sara' politica di sinistra, in senso forte, in 
nessuno dei nostri paesi.

I. D.: L'11 settembre ha avuto delle conseguenze anche su questo piano? Ad 
esempio, l'affermazione dei partiti xenofobi, da quello di Le Pen in 
Francia alla lista Fortuyn in Olanda, cui abbiamo assistito quest'anno, e' 
anche un effetto della paura diffusa di la' e di qua dall'Atlantico 
dall'attentato di Al Quaeda?

E. B.: Si' e no. Berlusconi e altri leader europei si sono accodati al 
carro di Bush per affermarsi o per consolidarsi, ma le radici del loro 
successo erano autoctone: non si e' trattato, o non solo, di un fenomeno 
d'importazione provocato dall'11 settembre. Da vecchio hegeliano-marxista, 
continuo a pensare che i processi decisivi sono quelli interni: le radici 
europee della xenofobia, l'incapacita' delle sinistre europee di rispondere 
alla situazione globale con una loro proposta.

I. D.: Pero' sull'eventualita' della guerra contro l'Iraq l'Europa sta 
forse ritrovando una sua autonomia, stando alle prese di posizione di 
Schroeder e anche di Chirac.

E. B.: Siamo sull'orlo dell'abisso. Ho qui sul tavolo un appello europeo 
contro la guerra promosso da Actuel Marx, ma non credo che lo firmero' 
perche' giustamente sottolinea il pericolo che incombe sulla popolazione 
irachena, ma non spende una sola parola di critica verso Saddam Hussein, 
ne' abbozza una prospettiva politica credibile per contrastare il tentativo 
egemonico e il messianesimo anti-islamico degli Stati Uniti. Quanto ai capi 
di governo, mi pare che Schroeder abbia assunto una posizione chiara, 
mentre sono meno convinto di quella di Chirac. Va bene, ma non basta. Il 
vero problema e' elaborare una nuova concezione politica della sicurezza 
collettiva mondiale, in un mondo non piu' bipolare dove non puo' piu' 
essere l'equilibrio del terrore a realizzarla. Ed e' qui che la debolezza 
politica dell'Europa si sente, tanto piu' a fronte di un'opinione pubblica 
certamente meno seducibile di quella americana dalla sirena delle armi.



10. MEMORIA. ARIANNA MARULLO: ABY WARBURG RACCONTATO DA ERNST H. GOMBRICH

[Arianna Marullo (e-mail: ariannamarullo@tiscali.it) e' da molti anni una 
delle piu' preziose collaboratrici del "Centro di ricerca per la pace" di 
Viterbo]

Gombrich scrisse il libro Aby Warburg. Una biografia intellettuale, 
pubblicato per la prima volta nel 1970, con il duplice scopo di "introdurre 
il lettore alle idee ed alla personalita' dello studioso", noto soprattutto 
per i suoi studi sul Rinascimento fiorentino, e di pubblicare un compendio 
dei molti inediti da lui lasciati.

L'opera di Gombrich ci guida lungo l'intero percorso biografico e culturale 
di Warburg, iniziando dalla sua formazione: la sua precoce decisione di 
dedicarsi alla storia dell'arte, gli studi a Bonn ed i professori che piu' 
lo influenzarono, il soggiorno fiorentino.

Nonostante alcuni nodi irrisolti del suo pensiero il personaggio Aby 
Warburg oggi continua ad attrarre il lettore e lo studioso. La sua 
straordinaria lucidita' ed autoconsapevolezza, acuita dalla lotta contro la 
malattia mentale, la sua autoironia (quando venne pubblicata la sua tesi 
"trovo' quasi bizzarro che qualcuno si interessasse di simili cose"), non 
lasciano indifferente chi si accosta al pensiero di questo studioso che 
tanto ha influenzato il corso degli studi storico-artistici, anche 
attraverso l"omonimo Istituto ed i suoi allievi, tra i quali non e' ozioso 
ricordare i nomi di Fritz Saxl ed Erwin Panofsky.

Colpisce la profondita' e la vastita' dei suoi interessi, la sua 
versatilita': nel 1859 si reca nel Nord America per assistere al matrimonio 
del fratello Paul, ma interessatosi alle cerimonie ed ai rituali degli 
indiani pueblo e navaho prolungo' il suo soggiorno di otto mesi per studiarli.

Aby Warburg era fermamente convinto che l'arte fosse l'espressione dei 
problemi fondamentali dell'uomo e che lo stile di ogni artista 
presupponesse una scelta morale: all'interno dello spirito del tempo 
l'artista doveva compiere una scelta, uniformarsi a tale spirito o cercare 
il linguaggio piu' congeniale al proprio temperamento ed alle proprie 
necessita' di espressione. Warburg apprezzava maggiormente le opere che non 
erano prodotto dell'ambiente ma che implicavano una scelta etica 
dell'autore, il suo occhio e la  sua mente erano piu' sensibili nel 
cogliere il conflitto ed i significati sociali ad esso intrinseci.

Il suo tentativo di riportare l'arte a stretto contatto con la vita, di 
risalire alle motivazioni ed alla realta' vissuta dallíartista coinvolge il 
lettore: quel che attira l'interesse di Warburg non e' l'identificazione 
del contenuto di un dipinto ma le immagini mentali e la loro atmosfera 
emotiva sottese all'opera d'arte. Warburg stesso ricordera' in un suo 
scritto come fosse giunto a provare "un vero e proprio disgusto per la 
storia dell'arte estetizzante. La considerazione formale dell'immagine 
incapace di comprendere la sua necessita' biologica... - mi sembrava 
condurre soltanto a uno sterile chiacchiericcio".

Giunti alla fine di questa biografia intellettuale costruita magistralmente 
da Gombrich, conquistati o meno dalla figura di Aby Warburg, non si puo' 
che concordare con l'autore sul fatto che "uno storico che ha scritto la 
parola Mnemosyne, memoria, sull'entrata della sua creazione chiede e merita 
di restare accessibile al ricordo di coloro che benefico'".



11. CONTATTI. ALCUNI SITI AMICI DELLA NONVIOLENZA

- www.altreconomia.it

- www.amnesty.it

- www.cosinrete.it

- www.emergency.it

- www.lilliput.org

- www.nonluoghi.it

- www.nonviolenti.org

- www.paxchristi.it

- www.peacelink.it

- www.tavoladellapace.it

- www.unimondo.org



12. INFORMAZIONE. "AZIONE NONVIOLENTA" DI SETTEMBRE

[Da "Azione nonviolenta" riceviamo e diffondiamo]

E' uscito il numero 8-9/2002 (agosto-settembre) di "Azione Nonviolenta", 
rivista mensile del Movimento Nonviolento, di formazione informazione e 
dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo, fondata 
da Aldo Capitini nel 1964.

Chi volesse chiederne una copia saggio puo' farlo per e-mail: 
azionenonviolenta@sis.it

In questo numero:

- Le 10 parole della nonviolenza in cammino verso il lupo di Gubbio (di Mao 
Valpiana e Daniele Lugli);

- Dopo un anno di combattimento nei Territori occupati per noi sparare e' 
diventato un orrendo gioco (di Uri Blau);

- Una terza forza per riconciliare le parti (Jesse Jackson);

- Arabi ed ebrei insieme contro l'esercito occupante (di Adam Keller);

- A Praga un vertice sto-Nato (di Paolo Bergamaschi).

E poi le consiete rubriche: Lilliput, Alternative, Educazione, Economia, 
Storia, Libri, Lettere.

"Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 
0458009212, e-mail: azionenonviolenta@sis.it, sito: www.nonviolenti.org

Abbonamento annuo 25 euro sul ccp n. 10250363, oppure bonifico bancario sul 
c/c n. 9490570 Unicredito, Agenzia di Borgo Trento, Verona, Cab 11718  Abi 
06355, intestato ad "Azione nonviolenta" via Spagna 8, Verona.



13. RIVISTE. "KESHET. VITA E CULTURA EBRAICA"

"Keshet. Vita e cultura ebraica" e' una rivista promossa dall'omonima 
associazione. La dirige Bruno Segre, luminosa figura di straordinario 
prestigio morale e intellettuale, presidente degli "Amici italiani di Neve' 
Shalom / Wahat al-Salam". E' una lettura che vivamente raccomandiamo. Per 
contatti: via S. Gimignano 10, 20146 Milano, tel. 024150800, e-mail: 
keshet@libero.it



14. MATERIALI. FONDAZIONE ROBERTO FRANCESCHI: PUBBLICAZIONI SUI DIRITTI

[Dalla Fondazione Roberto Franceschi riceviamo e diffondiamo]

In questi ultimi giorni, venendo incontro a molte richieste, abbiamo 
inserito i formati PDF su tutte le pubblicazioni presenti nel nostro sito 
nella "collana  documenti"; in questo modo esse potranno essere 
gratuitamente consultate o scaricate nel formato originale.

1) Del diritto alla buona acqua: 
www.fondfranceschi.it/hdoc/pubblicazioni/acqua.htm

2) diritti dei popoli indigeni: 
www.fondfranceschi.it/hdoc/pubblicazioni/popoli.htm

3) Dei diritti della donna: www.fondfranceschi.it/hdoc/pubblicazioni/donne.htm

4) Dei diritti dei bambini: www.fondfranceschi.it/hdoc/pubblicazioni/bimbi.htm

5) Dei diritti dell'uomo: www.fondfranceschi.it/hdoc/pubblicazioni/uomo.htm

6) La costituzione della Repubblica Italiana: 
www.fondfranceschi.it/hdoc/pubblicazioni/costituzione.htm

Fondazione Roberto Franceschi, via E. De Marchi 8, 20125 Milano, sito: 
www.fondfranceschi.it, e-mail: fondazione@fondfranceschi.it



15. EDITORI. L'HARMATTAN ITALIA

[Pubblichiamo uno stralcio da una nota di presentazione diffusa da 
L'Harmattan Italia, casa editrice che come la sua "sorella maggiore" 
francese ha pubblicato libri di grande importanza dal punto di vista di una 
cultura della pace, della solidarieta', della dignita' umana. E' possibile 
richiedere il catalogo della prestigiosa casa editrice inviando una e-mail 
a: harmattan.italia@agora.it; sito: www.editions-harmattan.fr]

Dal 1995 e' aperta a Torino la filiale italiana dell'editrice francese 
L'Harmattan (5-7, rue de l'Ecole Polytechnique - 75005 Paris). Il discorso 
editoriale copre un'area specialistica: scienze sociali (antropologia, 
politica, sociologia, interculturalita', psicologia...), saggi (Africa, 
Mondo Arabo, Asia, America Latina) e letterature.

L'Harmattan Italia distribuisce il proprio catalogo nelle librerie, presso 
i privati e le istituzioni. Commercializza inoltre i volumi francesi de 
L'Harmattan (ampio catalogo su: Sciences humaines et sociales, 
Developpement, Immigration et Interculturel, Litteratures, Afrique, Asie, 
Ocean Indien et Pacifique, Ameriques, Jeunesse).



16. LETTURE. ANDREA KETTENMANN: FRIDA KAHLO

Andrea Kettenmann, Frida Kahlo, Taschen, Colonia (2001), pp. 96. Un'agile 
monografia sulla grande artista messicana, con moltissime illustrazioni.



17. LETTURE. MARINA PALADINI MUSITELLI: INTRODUZIONE A GRAMSCI

Marina Paladini Musitelli, Introduzione a Gramsci, Laterza, Roma-Bari 1996, 
pp. 210, lire 18.000. Apparso nella collana laterziana de "Gli scrittori", 
un buon testo introduttivo.



18. RILETTURE: "RE/SEARCH": J. G. BALLARD

"Re/search" (edizione italiana), J. G. Ballard, Shake Edizioni, Milano 
1994, pp. 272. Un assai utile volume sulla figura e l'opera di James Graham 
Ballard, con testi creativi e critici di Ballard, biografia, bibliografia, 
interviste, saggi critici.



19. RILETTURE: CHARLES C. WALKER: MANUALE PER L'AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA

Charles C. Walker, Manuale per l'azione diretta nonviolenta, Edizioni del 
Movimento Nonviolento, Perugia 1982, pp. 48. Una guida semplice ed 
essenziale; una lettura necessaria. Puo' essere richiesto (al costo di euro 
2,10 a copia) al Movimento Nonviolento, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 
0458009803, fax 0458009212, e-mail: azionenonviolenta@sis.it



20. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale 
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale 
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae 
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo 
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova 
il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, 
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di 
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza 
geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e 
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e 
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio 
comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono 
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e 
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell’uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto 
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, 
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, 
l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la 
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione 
di organi di governo paralleli.



21. PER SAPERNE DI PIU'

* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org 
; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it

* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della 
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in 
Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it 
; angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it

* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista 
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati 
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per 
contatti: info@peacelink.it



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO



Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di 
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it



Numero 361 del 21 settembre 2002