Caro Enrico, non so se ti rivolgi a me nelle tue
prime righe (sembra di sì visto che hai ripreso proprio il mio commento),
comunque io non ho mai equiparato Prodi a Berlusconi, né Obama a Bush, ho solo
chiesto se per questi ultimi due ci sono differenze sostanziali, e mi riferivo a
un preciso campo, quello di fare la guerra globale in nome della lotta al
terrorismo.
Possiamo avere opinioni diverse su Obama, o forse
solo sensibilità diverse su come considerare lui e il suo operato, magari tu più
ottimista, io più pessimista, tu più propenso a cogliere le differenze io le
continuità, però penso che tutti quanti, per quanto riguarda la sua politica
estera, dovremmo renderci conto che non possiamo dare la colpa delle scelte di
Obama in fatto di guerre ai suoi nemici repubblicani o democratici, che gli
impedirebbero di essere diverso: abbiamo sentito tutti il suo (non
richiesto) discorso di legittimazione della (sua) guerra al ritiro del premio
Nobel per la pace (non so se altri politici l'abbiano mai fatto), abbiamo
sentito tutti i toni bushiani da lui usati nel legittimare l'esportazione della
guerra al terrorismo su tutta la Terra. E' farina del suo sacco, quella, nessuno
l'ha obbligato a pronunciare quei discorsi, nessuno lo obbliga ad aumentare i
contingenti militari in Afghanistan: è lui che vuole così, è nei suoi atti e
nelle sue intenzioni di fare così. E non si era presentato così, Obama, in
campagna elettorale, si era presentato come il presidente del cambiamento e
sarebbe bello sapere come si concilia tutto questo con il suo discorso di
apertura e fiducia all'Islam fatto in Egitto.
Quindi, secondo me, non dovremmo nascondere questo,
perchè la speranza deve partire da una lucida analisi della realtà. E la
speranza tua, così come il tuo concetto di politica, cioè quello che hai scritto
sotto, sono le stesse cose che penso anch'io.
E con questo auguri anche a te, e se posso
permettermi un abbraccio.
Subject: Re: [pace] Obama e la guerra
globale (sempre contro il terrorismo, si intende)
Secondo me, equiparare Prodi e
Berlusconi, Bush e Obama, è martellarsi le dita delle mani e dei piedi, ecc. ,
è volersi male, e voler male anche alle vittime.
La politica è una piccola cosa, stretta
nella realtà spesso brutta. Condiziona molto, ma soprattutto dipende
dall'animo della società. Spec. nelle "democrazie" vuole il consenso. Sembra
primaria, ma è secondaria.
Il potere militar-materiale degli stati
"ottunde l'intelligenza" (Kant), è pericoloso anzitutto a chi ce l'ha, che
diventa pericoloso per gli altri. Noi "cittadini" (=
"politici") facciamo (cioè tentiamo, ci arrabattiamo di fare) la vera politica
(vita della "polis" umana), col "potere di", col "potere per", e non il
"potere su".
Di quella politica là, dei governi,
possiamo già essere contenti se, insieme a un passo indietro, ne fanno uno e
mezzo in avanti, sui tempi lunghi. E se hanno qualche idea più giusta di ciò
che fanno.
Più dei singoli passi, conta la
direzione, cioè i valori in vista, l'orizzonte. Questo spetta a noi tenerlo
sempre chiaro, ed esigere l'orientamento. Dobbiamo discutere gli atti dei
potenti, giudicarli, ma sapere che tutto è solo sempre gradualità, sempre con
contraddizioni. Si arranca sulla terra e non si vola.
A noi, movimenti, cultura e anima
della società, tocca la responsabilità di "dire la verità al potere" (Gandhi),
e di correggerlo in continuazione, senza rifugiarci nell'autosoddisfazione
paralitica di non vederne le pur piccole differenze e variazioni. I risultati
si preparano e non si vedono. I ritmi della giustizia e della pace sono
secolari. Una regola dell'azione giusta è la costanza, anche a mani
vuote.
So bene che in altri momenti dico cose
diverse, complementari a queste. Camminare è squilibrarsi, ora buttare avanti
il piede destro, ora il sinistro.
Subject: Re: [pace] Obama e la guerra
globale (sempre contro il terrorismo, si intende)
Due premesse:
1. Io non volevo giudicare in alcun modo
Obama per tutta la sua politica, il mio intervento si riferiva alla sua
politica estera, non a quella interna (su cui comunque occorrerebbe dire
molto, per es. sulla riforma della sanità con l'esclusione dell'intervento
pubblico: Obama aveva fatto la sua propaganda proprio sull'intervento
pubblico, se mi ricordo bene!).
L'altro giorno il tg della notte ha presentato
queste frasi di Obama come un atto di continuità con la linea di Bush. Io
non dico che Obama abbia promesso un cambiamento radicale e una pace
perenne, ma mi sembra anche
sbagliato pensare che Obama abbia promesso solo
guerre ovunque, ha detto chiaro che l'approccio americano sarebbe cambiato
in senso più diplomatico e meno unilaterale (vedi Iran) e ha promesso di
affrontare la questione Occidente -Islam in un discorso molto enfatizzato
dai media (in Egitto), in cui si parlava anche della questione
israelo-palestinese.
2. La premessa da cui sono partito nello
scrivere la mia frase di commento all'articolo è che, per il mio sentire,
molte persone pacifiste o comunque di sinistra hanno come un occhio di
riguardo per Obama, cioè due pesi due misure per giudicare dichiarazioni ed
atti suoi e di Bush: le stesse cose dette o fatte da Bush sarebbero
condannate, da Obama no o ben poco, se non addirittura imputate ai suoi
avversari, che lo condizionerebbero solo nell'agire in negativo -
come dire: a Obama spettano solo le belle azioni o intenzioni, quelle
negative sono altri che lo inducono a farle.
Era insomma una provocazione.
Detto questo, se poi vogliamo ragionare su cosa
può attendersi o su cosa può fare il mondo pacifista per cercare la pace,
questo è un discorso molto interessante, perchè mette in gioco il Che fare,
e secondo me ne avremmo bisogno di parlare.
Subject: R: [pace] Obama e la guerra
globale (sempre contro il terrorismo, si intende)
Scusate, ma faccio fatica a seguire gli interventi di
"denuncia" del Presidente Obama. Beninteso, non condivido nulla
delle sue scelte recenti di politica estera, ma vorrei capire meglio
da quali premesse essa viene analizzata. Mi spiego.
Se il perseguimento della pace dovesse (o avesse dovuto)
contare prevalentemente sull'azione del Presidente degli USA Obama,
le reazioni di denuncia, sdegno, critica eccetera per la sua
politica in Afghanistan sarebbero più che giustificate.
Non mi pare, però, che le premesse e la storia del pacifismo
siano quelle -semplicemente- di implorare politiche di pace dai
governi in carica. Mi pare che ci sia sempre stato dell'altro e di
più, in termini di autoorganizzazione, di critica della democrazia
come puro formalismo, di critica del riarmo (sue conseguenze
sociali, politiche, perfino ideologiche...). Il movimento contro la
guerra, cioè, almeno nelle sue espressioni meno eterodirette
(segreterie nazionali di partiti o sindacati, o miniburocrazie
fantoccio al servizio di quelli, tipo Tavola dela Pace), è sempre
stato l'espressione di settori della società civile che nel loro
sincero sforzo di autodeterminazione hanno cercato di connettersi, e
rendere il desiderio di pace e di opposizione alla guerra una
POLITICA, capace di agire nel qui ed ora, e non un'opzione confinata
nel solo mondo morale dei desideri.
Nel mio piccolo è stato con questo spirito che ho speso
anni ed energie nei movimenti contro la guerra degli anni
Ottanta (Còmiso) e di questo inizio secolo (Iraq).
Per chi ha fatto attivismo in questo spirito, "scoprire",
quindi, che un presidente in carica alla Casa Bianca non è un
pacifista, mi sembra la scopertta dell'acqua calda.
Detto questo, visto che la carica di cui parliamo ha un
discreto potere nella politica mondiale attuale, e dispone anche di
un discreto "credito" di opinione pubblica, non è inutile discutere
del giudizio da dare su questa presidenza, neppure per poche piccole
ridicole formichine di una provincia lontana e soggetta (la più
soggetta dell'intera UE, e non da ieri) quali noi siamo.
Da questo punto vista, due cose solo, su un argomento che
potremmo sviscerare per ore e ore, volendo.
1- la politica estera e la politica interna sono cose
diverse
2- un politico può essere giudicato da tanti punti di vista -e
quello morale è sempre legittimo, e anche significativo a mio
avviso- ma lo deve anche da quello della coerenza fra impegni
pubblici e realizzazioni.
Sul punto 1. Obama ha una politica non molto diversa da
quella del suo predecessore in Afghanistan (il chè non vuol dire
identica), ma è agli antipodi -quanto può esserlo un presidente- per
quella sociale: a noi può sembrare secondario, ma state pur certi
che non lo è affatto per la maggior parte dei suoi concittadini, e
per milioni e milioni di suoi elettori.
Sul punto 2. Obama NON HA MAI promesso un'inversione di rotta
radicale in tema di politica estera. Ha promesso il ritiro
dall'Iraq, pur diluito nel tempo, e mi pare che lo stia attuando,
più o meno. Quello che invece ha "promesso", o meglio ha posto al
centro del suo programma, sono due cose di politica interna: il
welfare (la sanità per tutti, che non esisteva) e gli investimenti
per l'istruzione.
Il fatto che a noi come pacifisti non piacciano le scelte
estere di Obama -e a me non piacciono- non ci deve impedire di
formulare un giudizio obiettivo sulla sua presidenza, a meno di
entrare a far parte della schiera sterminata degli irrilevanti
autoreferenziali eterni minoritari.
La pace mondiale ha bisogno di un Nordamerica che impari a
starsene un po' a casa sua e a non pretendere di dare lezioni
oltreconfine ma ci vorrà -temo- qualche generazione, o guerre
che preferisco non immaginare (o entrambe le cose) perchè ciò possa
avvenire. Intanto, però, un Nordamerica che elegge un presidente
figlio di un immigrato africano e che sceglie di investire
massicciamente sulla sanità e sulla scuola è un cambiamento non
piccolo dall'era Bush (ma Clinton anche, direi).
La storia è imprevedibile -checchè ne pensassero tanti
"teorici" sia di destra che di sinistra-, ma io una previsione provo
ad azzardarla. Perchè un cambio davvero radicale
nella politica estera degli USA possa avvenire sarà
necessario -come spesso è accaduto in passato- che a ciò li
costringano forze esterne (non necessariamente, sia chiaro, con
mezzi militari).
Liberarsi da ogni residuo di sudditanza alla falsa coscienza e
all'deologia neoimperiale dei "diritti umani", per esempio, è un
passo necessario -sempre a mio modestissimo avviso- per vedere con
chiarezza queste dinamiche e questa dimensione della politica estera
USA. In nessun paese -forse, salvo la Cina- la classe dirigente sa
essere pragmatica come negli USA, e se le energie di tanti attivisti
dei diritti umani e della pace si dedicassero un po' (giusto per
fare un esempio) a far le pulci al paese che ha il più alto
rapporto (o almeno uno dei più alti) fra cittadini e
popolazione incercerata, questo alla lunga potrebbe non restare
privo di conseguenze.
Così la vedo io.
Gualtiero Via
«Una
volta furono gli Ebrei a conoscere la ”diaspora”. Vennero dispersi,
cacciati dal medio oriente e dispersi per il mondo; adesso sono
invece i Palestinesi. Ebbene io affermo ancora una volta che i
Palestinesi hanno diritto sacrosanto a una patria ed a una terra
come l’hanno avuta gli Israeliti».
Sandro Pertini, dal
Messaggio di fine anno in diretta TV in qualità di Presidente della
Repubblica, 31 dicembre del 1983
--- Mar 29/12/09,
lorenzo_galbiati <lorenz.news at tele2.it> ha
scritto:
Da:
lorenzo_galbiati <lorenz.news at tele2.it> Oggetto: [pace]
Obama e la guerra globale (sempre contro il terrorismo, si
intende) A: pace at peacelink.it, "lista pax christi gr
discussione" <paxchristi at yahoogroups.com>, "lista
nonviolenti" <nonviolenti at liste.retelilliput.org>, "lista
Mir dibattito" <mir-riconciliazione at yahoogroups.com>, "Lista
Menapace" <lista123lm at gmail.com>, "lista lilliput glt NV"
<glt-nonviolenza at liste.retelilliput.org>, "lista eco-fem-nv"
<eco-fem-nonviolenta at lists.unbit.it>, "lista donne in nero"
<donneinnero-owner at listas.nodo50.org>, "lista angelo casati
01" <sullasoglia at yahoogroups.com>, "lista alteracultura"
<info at alteracultura.org> Data: Martedì 29 dicembre 2009,
19:47
Obama, vacanze stop e discorso alla nazione combatteremo i
terroristi ovunque siano
28 dicembre 2009, Il Secolo XIX
Vacanze interrotte per il discorso alla Nazione a
testimonianza della delictezza del momento, dopo le ultime minacce
di Al Qaeda, il tentato attentato a bordo di un aereo a Detroit,
un altro sventato con la minaccia di dieci kamikaze addestrati e
pronti a colpire nel 2010 “al cuore” gli Stati Uniti. Livello di
massima allerta come dopo l’11 settembre 2001 e l’attentato alle
torri gemelle.
LA
SITUAZIONE
Il presidente americano Barack Obama ha parlato alla nazione
in un breve discorso dopo l’attentato fallito al volo
Delta-Northwest «ci ricorda i pericoli che abbiamo davanti», ha
detto nel primo commento pubblico sull’episodio, che ha riportato
il terrore nei cieli americani. «È un serio promemoria dei
pericoli che abbiamo di fronte», ha aggiunto Obama. «Il popolo
americano deve sapere che stiamo facendo tutto quel che è in
nostro potere per garantire la sicurezza». Faremo «tutto ciò che è
in nostro potere per garantire la sicurezza di ogni famiglia
americana» e «per garantire la sicurezza degli Usa», ha detto
ancora annunciando una revisione delle politiche di sicurezza
negli aeroporti per evitare il ripetersi di incidenti come il
fallito attentato il giorno di Natale. Gli estremisti che
complottano contro gli Stati Uniti sappiano che gli Stati Uniti
sono pronti a usare ogni loro risorsa, e ovunque, contro di loro:
«in Afghanistan o in Pakistan, in Yemen o in Somalia».
«Non abbiamo tutte le risposte su questo ultimo tentativo -
ha detto Obama - ma chiunque uccide uomini, donne e bambini
innocenti deve sapere che gli Stati Uniti non si limitano ad
alzare le difese all’interno»: gli Stati Uniti faranno tutto
quello che è in loro potere contro i nemici che «in Afghanistan o
in Pakistan, in Yemen o in Somalia o ovunque complottano per
organizzare attacchi contro il suolo americano». Obama ha detto
poi agli americani di «restare vigili, ma avere fiducia».
Il presidente ha espresso poi «una dura condanna» delle
violenze in Iran, con morti e feriti, e ha chiesto al regime di
rispettare i diritti del proprio popolo.
C'è ancora qualcuno che vede
una differenza sostanziale tra l'Obama premio Nobel (sic!) per la
pace e George w. Bush?
Scritto
nella notte, il primo testo conteneva diversi errori. Guardare
questo e non quello.
Ciao,
Enrico
Come la Germania anni ‘30
Sentiamoci tutti in debito di
vedere questo film, Welcome, di Philippe
Lioret, francese. Ci mostra
quello che sappiamo, ma cerchiamo di ignorare, più altri
particolari polizieschi, della guerra francese ai migranti. Con
le leggi si cacciano gli umani discriminati, con l’aiuto di cani
cacciatori di umani.
Ma la guerra è quasi uguale da
noi. Si esce dalla sala vergognosi e colpevoli, per il crimine
di lesa umanità perpetrato dai governi, dai legislatori, dalle
polizie, e da noi cittadini sovrani, anche se aborriamo l’infima
Lega razzista. All’uscita, ci guardiamo in faccia, un anziano
signore e la moglie, indignati e colpiti come noi, e ci diciamo:
«Come in Germania anni ’30!». Stringo le loro mani senza poter
parlare per il nodo alla gola. Leggete trama e recensioni, ma
guardate il film, per rispetto al dolore che noi causiamo due
volte: nei paesi prima dissanguati dal capitalismo e ora
pugnalati dalla guerra.
Siamo in Francia, 2008, a Calais, e,
secondo le leggi applicate ad arbitrio della polizia, è reato
aiutare un clandestino che cerca di passare in Inghilterra,
anche solo ospitarlo una notte. Sul filo di un amore tra due
giovani iracheni – Bilal che vuole raggiungere Mina in
Inghilterra - c’è una storia orrenda e tragica. È storia nostra,
di questi giorni. Anche a Torino c’è un campo di detenzione di
innocenti, colpevoli di essere stranieri in fuga da condizioni
che noi non sapremmo tollerare. Perciò li rinchiudiamo in corso
Brunelleschi e li rispediamo nell’inferno da cui fuggono. Noi
cittadini siamo colpevoli di non ribellarci. Io sono colpevole.
Ho fatto solo qualche manifestazione. Ho scritto più duro che
potevo. Non di più.
Gridiamo che legislatori e governanti
sono colpevoli di lesa umanità, legge superiore alle loro leggi
disumane. Poliziotti, informatori, insegnanti, intellettuali,
sono colpevoli di collaborare, o tollerare, o tacere. Sono
colpevoli i predicatori del vangelo che non dichiarano
flagellatori di Cristo tutti i colpevoli di razzismo, noi
compresi. Nell’elenco di tutto ciò che offende Dio, i preti non
dicono che solo offendere e scacciare il povero schiaffeggia
Dio. Filtrano il moscerino e ingoiano il cammello.
L’Italia
manda, tutti i partiti d’accordo, migliaia di costosissimi
militari in guerre chiamate pace, in onore al falso, che è la
lingua del dominio e del prestigio armato. E neghiamo il
necessario per l’accoglienza umana delle vittime. Per un profugo
che cede alla disperazione, li criminalizziamo tutti. L’Italia
razzista si danna il cuore, e le chiese non lo gridano in
piazza, come Giona a Ninive (che oggi è
bombardata).
Ci sono
associazioni di legali per questa causa. Ci sono associazioni di
volontari impegnatissimi. Chiedo a chi vuole di unirci tutti, con
l’assistenza professionale dei primi, per denunciare personalmente
alle istanze mondiali ed europee dei diritti umani gli autori
personali del grande crimine di lesa umanità. I partiti si
scambiano accuse personali, e nessuno pone la condizione assoluta:
essere umani.
Noi siamo obbligati a violare queste
leggi. La prigione mi fa paura (forse la eviterei coi miei 74
anni), soldi per pagare risarcimenti non ne ho l’ombra. Ma
dobbiamo violarle insieme, in tanti. Mostrare sulle nostre persone
di cittadini l’offesa fatta agli extra-cittadini. C’è una sola
umanità e una sola cittadinanza mondiale. Certo, gli afflussi non
possono essere caotici, per il bene degli stessi profughi. Il modo
si trova se c’è l’animo. E l’animo finora è nemico del
profugo.
Oggi noi siamo come i tedeschi e i
polacchi che vedevano passare i treni piombati o i prigionieri al
lavoro schiavile, e non gridavano. Anche a loro era facile vedere
che non c’era nulla da fare. I ragazzi della “Rosa Bianca” non
tollerarono. A noi è facile anche accusare Pio XII di silenzio, ma
oggi il diritto umano, che è unico, accusa noi, colpevoli dello
stesso silenzio.
Io cerco con lo scritto, e chiedo
aiuto a chi sa meglio come agire in tutta chiarezza, di trovare
insieme la più frontale sfida personale e collettiva alle leggi
razziste e alla mentalità feroce che le sostiene e la applica.
Tocca anzitutto ai vecchi come me, che hanno meno da perdere,
spendere fino in fondo i dolorosi apprendimenti della vita, per
risvegliare nelle coscienze qualche seme di
giustizia.