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Re: [pace] unire la sinistra? Cittadini non politici
- Subject: Re: [pace] unire la sinistra? Cittadini non politici
- From: "Conques" <conques at alice.it>
- Date: Mon, 23 Apr 2007 14:25:39 +0200
la definizione "cittadini" è assiologica. raffigura tutti e nessuno in particolare. per cambiare il mondo è invece necessario distinguere, dare il nome alle cose concrete, comprendere i rapporti di forza, agire. perciò, "cittadini" per riconoscerci reciprocamente, ma soprattutto "politici" per cambiare lo stato di cose presente.
veniamo al merito e alla forma del mio appello per "unire la sinistra".è innegabile che di fronte e a fianco di un Pd prossimamente maggioritario nel quadro politico italiano, 4-5 formazioni all'estrema sinistra che non superano ognuna il 6%, possono pesare ben poco divise, ma moltissimo se unite sulla base di una piattaforma comune e condivisa
ed ora veniamo all'esempio Usa.la sinistra democratica e radical è ben presente nel Pd statunitense, ma conta come il due di briscola. basta ricordare le primarie presidenziali di questi ultimi 20 anni. ogni volta, nei primi stati in cui si votava, il candidato democratico più a sinistra e radicale sembrava decollare. poi, alla fine, rusiltava candidato a presidente il più moderato.
che fare?sarò anche vetero-marxista, d'accordo, ma sono dell'avviso che negli Usa la politica non subirà un profondo cambiamento finché non accadrà una profonda e drastica crisi economica. una riedizione del crak finanziario del '29 - non del tutto fantascientifica - aprirebbe orizzonti inediti anche lì, nella roccaforte del moderatismo e della conservazione planetaria.
LM----- Original Message ----- From: "Doriana Goracci" <doriana at inventati.org>
To: <pace at peacelink.it> Sent: Monday, April 23, 2007 1:42 PM Subject: Re: [pace] unire la sinistra? Cittadini non politici
Credo che questo testo possa emblematicamente, malgrado venga da lontano, dare una risposta a quell "Unire la sinistra!", a cui io ho messo un punto interrogativo, invece. Doriana ________________________________________________________ Cittadini, non politici di Howard Zinn (The Progressive) Noi non siamo politici, siamo cittadini. Abbiamo solo le nostre coscienze, che ci spingono verso la verità. La storia insegna che non c'è niente di più realistico che un cittadino possa fare Il Congresso sta decidendo quando ritirare i soldati dall'Iraq. In risposta all'improvvisa richiesta di nuove truppe da parte dell'amministrazione Bush e al rifiuto dei Repubblicani di limitare la nostra [degli americani, NdT] occupazione, i Democratici, timorosi come al solito, propongono un ritiro - da effettuarsi, però, solo tra un anno o diciotto mesi. Sembra anche che si aspettino l'appoggio del movimento pacifista. Ciò è risultato in un recente comunicato del movimento MoveOn, che riguardo la proposta democratica ha sondato l'opinione tra i propri affiliati: "I progressisti del Congresso, come molti di noi, non pensano andrà in porto, ma vedono questa proposta come il primo passo verso la fine della guerra". Paradossale è il fatto che questa proposta consente di stanziare centoventiquattro miliardi di dollari in termini di ulteriori fondi destinati alla guerra. È come se, prima della guerra civile, gli abolizionisti si fossero accordati nel posporre l'emancipazione degli schiavi di un anno, o due, o cinque, accompagnando questa decisione con lo stanziamento di fondi per implementare l'Atto sugli Schiavi Fuggiaschi (Fuggitive Slave Act). Quando un movimento scende a patti col legislatore, fatalmente dimentica il proprio ruolo: sfidare la politica, non esserne subalterno Noi che protestiamo contro la guerra non siamo politici. Siamo cittadini. Qualsiasi cosa i politici facciano, facciamo loro sentire, per la prima volta, la nostra grande forza, parlando a favore di ciò che è giusto e non di ciò che si può ottenere in un Congresso oggi vittima della paura. La tempistica del ritiro non è solo moralmente deplorabile (daresti all'invasore che ha distrutto la tua casa e terrorizzato i tuoi figli una tabella per il rientro?), è anche logicamente insensata. Se le nostre [degli americani, NdT] truppe impediscono lo scoppio di una guerra civile, aiutano la popolazione, controllano la violenza, perché ritirarle? Se stanno facendo l'opposto - com'è vero che stanno facendo - , e cioè alimentano la guerra civile, attaccano la popolazione, perpetuano la violenza, dovrebbero essere riportate a casa ora. Sono passati quattro anni da quando gli Stati Uniti hanno invaso l'Iraq con i bobmbardamenti "shock and awe" (dottrina militare fondata nel 2003, fondata sull'uso spettacolare di una forza militare dominante in grado di paralizzare il nemico e minarne gli istinti bellicosi). Quattro anni sono abbastanza per decidere se la presenza delle nostre truppe sta migliorando o peggiorando la qualità della vita della popolazione irachena. Le prove sono inconfutabili. A partire dall'invasione, centinaia di migliaia di iracheni sono morti. Secondo le stime dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, circa due milioni di iracheni sono fuggiti dal paese, mentre altrettanti, cacciati dalle loro case, continuano a vivere in Iraq come fuggiaschi. È indiscutibile, Saddam Hussein è stato un crudele tiranno. La sua cattura e la sua morte, però, non hanno migliorato la vita degli iracheni. L'occupazione americana ha portato solo caos: niente acqua potabile, tasso crescente di malnutrizione, disoccupazione al 50%, scarsità di alimenti, elettricità, petrolio, aumento di morti infantili. La presenza americana ha diminuito la violenza? Al contrario, dal gennaio 2007 il numero degli attacchi sovversivi è cresciuto drammaticamente - fino alla cifra di 180 al giorno. La risposta dell'amministrazione Bush, dopo quattro anni di fallimenti, è stata quella di mandare nuove truppe. Come a dire: se capisci che stai andando nella direzione sbagliata, raddoppia la velocità. Tutto ciò mi ricorda quel medico europeo che, all'inizio dell'Ottocento, decise che il salasso avrebbe curato la polmonite. Di fronte al manifesto insuccesso, si difendeva dicendo che non era stato perso abbastanza sangue. La proposta dei democratici al Congresso Usa è quella di finanziare ulteriormente la guerra e, allo stesso tempo, stabilire una tabella di marcia relativa al ritiro - che farà proseguire l'agonia per un anno o più. Dicono sia necessario il compromesso - e qualcuno, nel movimento pacifista, sta cooperando. Comunque, scendere a un compromesso in questi casi ha senso solo se si ha la certezza di poter ottenere di più in futuro. Una situazione analoga è descritta nell'ultimo film di Ken Loach, "Il vento che accarezza l'erba" (The wind that shakes the barley): ai ribelli irlandesi che insorgono contro le forze inglesi, l'Inghilterra propone un compromesso - avere una parte dell'Irlanda libera, lo Stato Libero d'Irlanda. Nel film, gli irlandesi combattono tra loro sull'accettazione o meno di questo compromesso. Per lo meno, questo compromesso, seppur ingiusto, creò lo Stato Libero d'Irlanda. Al contrario, la data del ritiro proposta dai Democratici non prevede nessun cambiamento tangibile, lasciando tutto nelle mani dell'amministrazione Bush. Il movimento operaio deve aver vissuto simili dubbi. Infatti, è circostanza comune che i sindacati, battendosi per un nuovo contratto, debbano decidere se accettare l'offerta di turno che dà loro solo la metà di quanto richiesto. Si tratta sempre di una decisione difficile ma, in quasi tutti i casi, sia che il compromesso venga considerato una vittoria o una sconfitta, i lavoratori ottengono sempre qualcosa di concreto, suscettibile di migliorarne le condizioni. Se si trovassero di fronte alla promessa di un miglioramento futuro, nel contesto di una condizione attuale inaccettabile immutata, l'offerta non verrebbe considerata un compromesso, bensì un tradimento. Un sindacalista che dicesse "Accettatelo, meglio di così non possiamo ottenere" (che è ciò che i membri di MoveOn dicono riguardo alla delibera dei Democratici), verrebbe deriso e disprezzato. Tutto ciò mi ricorda il Convegno Nazionale Democratico del 1964, tenutosi ad Atlantic City (New Jersey), quando la delegazione nera del Mississippi chiese di ottenere i seggi per poter rappresentare la popolazione di colore (40%) dello stato. Venne proposto un "compromesso" - due seggi senza diritto di voto. "Meglio di così non possiamo ottenere", disse qualche leader nero. La popolazione del Mississippi, guidata da Fannie Lou Hamer e Bob Moses, declinò l'offerta e continuò a lottare ottenendo, più tardi, quello che aveva originariamente chiesto. Quel mantra - "meglio di così non possiamo ottenere" - è la strada maestra verso la corruzione. Non è scontato, nella corruzione che ancora imperversa a Washington, appellarsi alla verità e resistere alla capitolazione travestita da compromesso. Alcuni ci riescono. Penso a Barbara Lee, l'unico membro della Camera dei Rappresentanti che, nell'isterismo generale dei mesi successivi all'11 settembre, ha votato contro la risoluzione che autorizzava Bush a invadere l'Afghanistan; oggi, rimane una dei pochi nel Congresso a rifiutarsi di finanziare l'avventura irachena e a spingere per una sua fine immediata, rifiutando la disonestà di un falso compromesso. Eccezion fatta per rarità che portano il nome di Barbara Lee, Maxine Waters, Lynn Woolsey e John Lewis, i nostri rappresentanti sono politici tout court - gente che svenderà la propria integrità nel nome del "realismo". Noi non siamo politici, siamo cittadini. Non abbiamo nessuna carica da preservare, nessuna poltrona da riscaldare. Abbiamo solo le nostre coscienze, che ci spingono verso la verità. La storia insegna che non c'è niente di più realistico che un cittadino possa fare. Howard Zinn prestò servizio come bombardiere nell'Air Force durante la Seconda Guerra Mondiale; è autore di 'Storia del popolo americano. Dal 1942 ad oggi'. È co-autore, con Anthony Arnove, di 'Voices of a People's History of the United States' (Seven Stories Press, 2004). Il suo ultimo libro è 'A Power Governments Cannot Suppress'. Di Howard Zinn Nuovi Mondi Media ha pubblicato Dissento - Storie di artisti in tempo di guerra. Fonte: The Progressive Traduzione a cura di Margherita Ferrari per Nuovi Mondi Media _ -- Mailing list Pace dell'associazione PeaceLink. Per ISCRIZIONI/CANCELLAZIONI: http://www.peacelink.it/mailing_admin.html Archivio messaggi: http://www.peacelink.it/webgate/pace Area tematica collegata: http://italy.peacelink.org/pace Si sottintende l'accettazione della Policy Generale: http://www.peacelink.it/associazione/html/policy_generale.html
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