Re: [pace] Viva il calcio!



Ho capito, ma la stiamo facendo troppo lunga. Il nostro (scarso e assi imperfetto) impegno pacifista e' degno di miglior causa!

Conteniano il gusto per la polemica. Evitiamo di avvilupparci in polemiche stiracchiate e sterili, specie se non si tratta di argomenti dirimenti.

Cari saluti a tutti
Giuseppe


At 16.28 09/07/2006, you wrote:
tutto vero...se si parla si sport.

Ma qui stiamo parlando del calcio nostrano, del fanatismo nostrano.

Tutt' altra cosa.

Franco

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----- Original Message ----- From: "Claudio Bazzocchi" <claudio.bazzocchi at poste.it>
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Sent: Sunday, July 09, 2006 3:53 PM
Subject: [pace] Viva il calcio!


Care e cari,

adesso mi sono proprio stufato. Scusate se ve la dico così brutalmente!
Mi sono stancato da quanto vado leggendo in questi giorni nelle varie liste pacifiste e simili sul calcio.
Il calcio è uno sport ed è molto più di uno sport, è un grande fatto culturale, che muove passioni, attaccamento alla propria terra e contribuisce a creare legame sociale. Il calcio sta a buon diritto  nella storia sociale di un paese, tanto da poter dire che anche nel  calcio possiamo ravvisare i caratteri di un popolo. Chi a questo  proposito parla di guerra, di odio o di nazionalismo, non ha capito  proprio nulla. Le società e le culture hanno bisogno di simboli,  passioni, immagini, rappresentazioni e istituzioni per poter vivere,  per poter resistere alla sfida dell'incerta presenza, come la  chiamava Ernesto De Martino.

Io sono impaurito e spaventato di fronte a coloro che ci vorrebbero essere trasparenti e indifferenziati in equilibrio con la natura.  Questi vogliono portarci di nuovo all'immanenza assoluta dei  totalitarismi! Quella è la violenza, la violenza  dell'indifferenziazione, di un'antropologia della penuria che non  vuole concedere agli esseri umani la passione dell'arte, del gioco,  dei consumi voluttuari, delle rappresentazioni, dei simboli...
Ciò che tiene insieme le società sono i racconti, le storie, gli  impegni, le promesse, la fiducia e persino l’odio e il conflitto. «La  politica e l’utilità funzionale - dice Caillé - sono dalla parte  degli ordini sistemici, il politico e il dono dalla parte delle  storie che gli uomini si raccontano». Noi esseri umani siamo liberi,  siamo storia di libertà solo se siamo in grado di raccontare storie.  Saranno allora quelle  parole, quelle azioni e quelle procedure  rituali da cui si attendono degli effetti benefici in tutte le sfere  e in tutti i momenti dell’esistenza sociale.

Ebbene, il calcio è uno dei racconti che creano passione,  investimento affettivo sui propri simili e sul proprio territorio,  sulla propria patria (non mi vergogno di usare questa parola, io che  sono comunista italiano e gramsciano-togliattiano) e innescano così  il legame sociale. Il calcio può essere anche una metafora della  guerra, ma sappiate che il conflitto è costitutivo della nostra  presenza sulla terra, a fronte delle forze soverchianti della natura  (con la quale non siamo mai stati in equilibrio) e a causa del fatto  che siamo tutti noi contraddizione irrisolta - ma costitutiva della  libertà - fra brama di infinito e condizione mortale. La politica,  che del reale sociale è l’unica sfera di riproduzione, è il campo in  cui giocare la contraddizione fra finito e infinito. E quei racconti,  quelle storie sono il risultato della partita per sopravvivere a  fronte di una contraddizione così opprimente. E sono risultato di  libertà, percorso di libertà, dal momento che la libertà si fonda su  una condizione esistenziale tragica che accetta la politica come unico campo di riproduzione della vita sociale. Le storie e i  racconti, così diversi tra loro nello spazio e nel tempo, ci indicano  che stare e vivere in quella contraddizione tra desiderio di infinito  e condizione mortale ci fa essere capaci ogni volta del nuovo, il  radicalmente nuovo, senza bisogno di pensarlo come impossibile. La  grande tradizione politica occidentale nasce con l’affermazione della  decisione e dell’invenzione. E quella tradizione non dice che  l’universo sociale si ordina per cause ed effetti, in un mondo in cui  le regole dell’esistenza comune deriverebbero dalla natura delle  cose. Al contrario, quella tradizione è tradizione di libertà che si  pone in contrasto con l’utilitarismo contrattualista per affermare  che gli esseri umani sono sempre in società, esseri sociali. La democrazia diventa allora esaltazione del conflitto a partire da  quello tra finito e infinito. E sappiamo bene che proprio Machiavelli  ci ha insegnato che il conflitto è il sale della politica.

Vi ricordo inoltre che Pier Paolo Pasolini era un grande giocatore di pallone e che Antonio Gramsci - che sapeva bene cosa fosse il legame sociale e la creazione di soggettività (a differenza della tradizione marxista precedente che considerava tutto sovrastruttura e si  affidava al determinismo economicista, così come fanno ora i "nuovi"  critici pauperisti della modernità) - era appassionato di calcio.

E allora, per favore, non rompeteci i c... e lasciateci in pace,  almeno oggi, a tifare per la nostra nazionale.

Claudio Bazzocchi



Il giorno 09/lug/06, alle ore 15:29, franco borghi ha scritto:

No, non mi riconosco in questa definizione. Preferisco considerare  la mia appartenza  per altri valori, non per una bischerata COME IL  CALCIO, CHE DIVENTA FANATISMO IN QUANTO PORTA AD ATTEGGIAMETI FUORI  DI OGNI RAZIONALITà

La mia appartenza l ' ho sentita il 26 giugno, con la vittoria dei  NO e la salvezza della nostra Costituzione, la quale  sicuramente  porta vantaggi politici  e sociali, mentre il fanatismo calcistico  crea solo dispersione di energie e di soldi e imbestialisce i tifosi.

Io stasera  non sarò tra i milioni di pecoroni che portano il loro cervello all' ammasso, dietro ad un pallore  calciato da ragazzotti muscolosi e basta.

E poi ci lamentiamo che tanti problemi sociali  non si risolvono ?  Se una minima parte dei soldi e delle energie e del tempo  sprecati  per il calcio, fosse impiegata per i disabili, per i carcerati, per  gli ammalti terminali, per chi non ha lavoro, ecc. ecc.  non  sarebbe meglio?

Franco

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