[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Voci e volti della nonviolenza. 197
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 197
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 28 Jun 2008 10:00:51 +0200
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 197 del 28 giugno 2008 In questo numero: 1. Zygmunt Bauman: Un'analisi critica di alcune parole chiave del XXI secolo 2. Zygmunt Bauman: L'ideologia senza ideali 3. Zygmunt Bauman: L'Europa e l'unificazione del genere umano 4. Livia Profeti intervista Zygmunt Bauman 5. Tonino Bucci intervista Zygmunt Bauman 1. RIFLESSIONE. ZYGMUNT BAUMAN: UN'ANALISI CRITICA DI ALCUNE PAROLE CHIAVE DEL XXI SECOLO [Dal "Corriere della sera" del 22 marzo 2007 col titolo "Societa' liquida, politica e citta'. Le parole chiave del XXI secolo" e la nota "Oggi e domani, alla Facolta' di Architettura e Societa' del Politecnico di Milano (via Ampere 2, Aula Rogers, dalle 9,30) si svolgera' il Convegno internazionale "Architettura e politica". I lavori saranno introdotti dal rettore, Giulio Ballio. E' previsto anche un contributo del sociologo Zygmunt Bauman, di cui anticipiamo una parte". Zygmunt Bauman, illustre sociologo, intellettuale democratico, ha insegnato a Varsavia, a Tel Aviv e Haifa, a Leeds; e' il marito di Janina Bauman. Opere di Zygmunt Bauman: segnaliamo almeno Cultura come prassi, Il Mulino, Bologna 1976; Modernita' e olocausto, Il Mulino, Bologna 1992, 1999; La decadenza degli intellettuali, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Il teatro dell'immortalita', Il Mulino, Bologna 1995; Le sfide dell'etica, Feltrinelli, Milano 1996; La societa' dell'incertezza, Il Mulino, Bologna; Dentro la globalizzazione, Laterza, Roma-Bari 1999; Voglia di comunita', Laterza, Roma-Bari 2001; Modernita' liquida, Laterza, Roma-Bari 2002; Intervista sull'identita', Laterza, Roma-Bari 2003; La societa' sotto assedio, Laterza, Roma-Bari 2003; Vite di scarto, Laterza, Roma-Bari 2005; Vita liquida, Laterza, Roma-Bari 2006; L'Europa e' un'avventura, Laterza, Roma-Bari 2006; Lavoro, consumismo e nuove poverta', Citta' aperta, Troina (Enna) 2007; Homo consumens, Erickson, Trento 2007; Modus vivendi, Laterza, Roma-Bari 2007; Paura liquida, Laterza, Roma-Bari 2008] Quando, al primo erompere dei tumulti rivoluzionari in Francia, venne proclamato lo slogan "Liberte', egalite', fraternite'" esso racchiudeva la dichiarazione essenziale di una filosofia di vita: in un'unica espressione si fondeva la direttiva ideologica al grido di battaglia. La felicita' e' un diritto umano e la ricerca della felicita' e' una propensione umana universale, questo diceva il tacito e pratico presupposto della filosofia della vita. E per raggiungere la felicita', gli esseri umani dovevano essere liberi, uguali e fraterni... Due taciti presupposti assiomatici sottendevano questo progetto tripartito. Nel programma di "liberta', eguaglianza e fratellanza" era implicito che era dovere della societa' instaurare e agevolare le condizioni piu' propizie alla ricerca della felicita' cosi' compresa... L'altro presupposto, tacito eppure accettato come assioma, era la necessita' di condurre la battaglia per la felicita' su due fronti. Mentre gli individui dovevano acquisire e sviluppare l'arte della vita felice, i poteri che plasmavano le condizioni, grazie alle quali quell'arte poteva praticarsi efficacemente, dovevano essere essi stessi rimodellati per diventare piu' "favorevoli ai praticanti"... Tuttavia, sono proprio questi presupposti del legame intimo e inscindibile tra la qualita' della societa' e le possibilita' dell'individuo di raggiungere la felicita', ad aver perso, o logorato, il loro appiglio assiomatico sul pensiero popolare, come pure sui prodotti di questo riciclaggio sublimato dall'intelletto. Ed e' forse per questa ragione che le condizioni presunte di felicita' individuale sono state trasferite dalla sfera della Politica (con la p maiuscola) sovraindividuale verso il territorio della politica dell'esistenza, di pertinenza individuale, ipotizzato come il campo delle azioni primariamente individuali nel quale si esercitano principalmente, anche se non esclusivamente, le risorse appartenenti a ciascun individuo e da esso gestite in autonomia. Questo spostamento riflette i cambiamenti nelle condizioni di vita, che risultano dai processi fluidi della modernita' nel campo della liberalizzazione e della privatizzazione, ovvero "sussidiarieta'", "terziarizzazione", "outsourcing" o, in qualche altro modo, rinunciando agli elementi successivi delle funzioni fino a quel punto esercitate dalle istituzioni sociali. * La formula che attualmente emerge per lo scopo (immutato) della ricerca della felicita', si potrebbe esprimere con i termini di "sicurezza", "parita'", "rete". "Sicurezza" e' il nuovo valore che sta estromettendo quello di liberta'... I rischi che comportano l'individualizzazione e la privatizzazione della ricerca della felicita' - abbinati al graduale scompaginamento delle misure di sicurezza concepite, attuate e gestite dalla societa', e dalla scomparsa progressiva dell'assicurazione sociale contro i possibili tracolli della vita - si sono dimostrati enormi, e la conseguente incertezza, assillata da mille paure, addirittura sconfortante. Una vita intessuta di qualche certezza e sicurezza in piu', anche se pagata in cambio da una minore liberta' personale, di colpo e' apparsa piu' interessante e seducente. Nell'attuale costellazione di condizioni di una vita decente e gradevole, la stella della "parita'" brilla sempre piu' fulgida, mentre sbiadisce quella dell'uguaglianza. La "parita'" non e' affatto, e ci tengo a dirlo, "uguaglianza"... L'idea di innalzare il livello generale di ricchezza, benessere, agi e aspettativa di vita, e ancora di piu' l'idea di una uguale condivisione tanto della vita comune, quanto dei benefici che quella vita ha da offrire, sta scomparendo dall'agenda dei principi basilari e degli obiettivi realistici della politica. Sempre di piu', tutte le forme della societa' moderna fluida si adattano ad accettare la permanenza della disuguaglianza economica e sociale. La visione di condizioni di vita uniformi e condivise universalmente viene sostituita da quella della diversificazione illimitata per principio, e il diritto all'uguaglianza dal diritto di essere e di restare diversi, senza per questo vedersi negare dignita' e rispetto... Infine, la "rete". Se la "fratellanza" comportava una struttura preesistente che predeterminava e predefiniva le regole sulle quali era impostata la condotta, gli atteggiamenti e i principi dell'interazione, la "rete" non ha una storia pregressa: nasce nel corso dell'azione e si mantiene in vita (o piuttosto viene ricreata/risuscitata continuamente e a ripetizione) soltanto grazie ad azioni comunicative successive. A differenza di un gruppo o qualsiasi altro genere di entita' sociale, la rete e' attribuita all'individuo e focalizzata sull'individuo, poiche' l'individuo focale, il suo fulcro, ne e' la sua parte precipua, permanente e inamovibile. Ciascun individuo porta la sua rete unica e individuale sul suo stesso corpo, come le chiocciole si portano dietro il guscio... L'aspetto piu' importante delle reti resta tuttavia la straordinaria flessibilita' del loro campo d'azione e l'eccezionale facilita' di modifica della loro composizione: gli individui vengono aggiunti o eliminati a piacimento, con il semplice gesto con cui si aggiunge o si elimina un numero di telefono dall'elenco del cellulare... In netta opposizione ai "gruppi di appartenenza", ai quali si e' assegnati o ci si associa per scelta personale, le reti offrono ai loro proprietari/gestori la sensazione consolatoria (anche se alla fin fine irreale) di controllo totale e incontestato sui propri obblighi e responsabilita'. 2. RIFLESSIONE. ZYGMUNT BAUMAN: L'IDEOLOGIA SENZA IDEALI [Dal quotidiano "La Repubblica" del 17 settembre 2007 col titolo "L'ideologia senza ideali" e il sommario "L'intervento del sociologo al Festival di Filosofia a Modena. C'e' chi crede che cercare una societa' giusta sia una perdita di tempo. Cosa significa l'invito di Sarkozy a 'guadagnare e lavorare di piu''. Questo pensiero proclama che e' inutile, anzi dannoso, unire le forze per una causa comune. Cosi' si prende di mira la solidarieta' sociale e si deride il principio della responsabilita' collettiva"] Lo scorso giugno, poco dopo la sua elezione a Presidente della Francia, Nicolas Sarkozy ha dichiarato in un'intervista televisiva: "Non sono un teorico, non sono un ideologo, non sono certo un intellettuale: io sono uno concreto". Cosa voleva dire con queste parole? Con ogni probabilita' voleva dire che crede fermamente in talune convinzioni mentre con altrettanta fermezza ne respinge risolutamente altre. Dopo tutto ha affermato pubblicamente di essere un uomo che crede "nel fare, non nel pensare" e ha condotto la sua campagna presidenziale invitando i francesi a "lavorare di piu' e guadagnare di piu'". Ha detto piu' volte agli elettori che lavorare piu' duramente e piu' a lungo per diventare ricchi e' cosa buona (si tratta di un invito che i francesi sembrano aver trovato attraente, anche se non l'hanno affatto ritenuto unanimemente sensato dal punto di vista pratico: secondo un sondaggio Tbs-Sofres il 39% dei francesi ritiene che sia possibile diventare ricchi vincendo la lotteria, contro il 40% che ritiene che si diventi ricchi grazie al lavoro). Dichiarazioni come queste, se sono sincere, rispettano tutte le condizioni della credenza ed espletano la funzione principale che ci si attende dalle credenze: dicono cosa si deve fare e suscitano fiducia che, cosi' facendo, si otterranno risultati positivi. Manifestano inoltre l'atteggiamento agonistico e partigiano normalmente connesso con una ideologia. Alla filosofia di vita di Nicolas Sarkozy manca solo una delle caratteristiche delle ideologie che abbiamo conosciuto finora, ossia una qualche concezione di una "totalita' sociale" che, come suggerito da Emile Durkheim, sia "maggiore della somma delle sue parti", vale a dire diversa, per esempio, da un sacco di patate e quindi non riducibile al cumulo dei singoli elementi in essa contenuti. La totalita' sociale non puo' venire ridotta a un aggregato di individui ciascuno dei quali persegua le sue finalita' private e sia guidato dai suoi desideri e dalle sue regole private. Le reiterate affermazioni pubbliche del presidente francese suggeriscono invece proprio una riduzione di questo tipo. * Non sembra che le previsioni sulla "fine delle ideologie", comuni e largamente accettate venti-trent'anni fa, si siano avverate o stiano per farlo. Le apparentemente paradossali affermazioni che ho citato indicano invece la sorprendente svolta compiuta oggi dal concetto di "ideologia". In contrapposizione a una lunga tradizione, l'ideologia che viene attualmente predicata dai vertici perche' sia fatta propria dal popolo coincide con l'opinione che pensare alla "totalita'" ed elaborare concezioni della societa' giusta sia una perdita di tempo, in quanto irrilevante per i destini individuali e per il successo nella vita. La nuova ideologia non e' un'ideologia privatizzata, e del resto tale nozione sarebbe un ossimoro, perche' l'erogazione di sicurezza e di fiducia in se stessi che costituisce il principale impegno delle ideologie e la condizione primaria del loro carattere seduttivo sarebbero irrealizzabili senza un'adesione pubblica e di massa. Essa invece e' un'ideologia della privatizzazione. L'invito a "lavorare di piu' e guadagnare di piu'", invito rivolto agli individui e adatto solo a usi individuali, scalza quelli del passato a "pensare alla societa'" (o alla comunita', alla nazione, alla chiesa, alla causa). Sarkozy non e' il primo che cerca di avviare o di far accelerare tale trasformazione: la precedenza spetta a Margaret Thatcher e al suo memorabile annuncio secondo cui "non esiste qualcosa che si possa chiamare 'societa'': esistono solo il governo e le famiglie". Si tratta di una nuova ideologia per la nuova societa' individualizzata, a proposito della quale Ulrich Beck ha scritto che uomini e donne, in quanto individui, dovranno adesso trovare soluzioni individuali a problemi creati dalla societa' e implementare individualmente tali soluzioni con l'aiuto di capacita' e risorse individuali. Questa ideologia proclama che e' inutile, anzi controproducente, unire le forze e subordinare le azioni individuali a una "causa comune". Essa prende di mira la solidarieta' sociale; deride il principio della responsabilita' comune per il benessere dei membri della societa' considerandolo fondamento dello "Stato assistenziale"; ammonisce che prendersi cura degli altri e' la ricetta per creare l'aborrita "dipendenza". Si tratta anche di un'ideologia fatta a misura della nuova societa' di consumatori. Essa rappresenta il mondo come un deposito di oggetti di potenziale consumo, la vita individuale come una perpetua ricerca di transazioni aventi per scopo la massima soddisfazione del consumatore e il successo come un incremento del valore di mercato degli individui. Largamente accettata e saldamente accolta, essa liquida le sue antagoniste con un secco "non esistono alternative". Avendo cosi' ridimensionato i suoi avversari, essa diviene, per usare la memorabile espressione di Pierre Bourdieu, veramente "pensee unique". Almeno nella parte ricca del pianeta la posta in gioco in questa spietata concorrenza tra individui non e' la sopravvivenza fisica, e nemmeno la soddisfazione dei bisogni biologici primari necessari alla sopravvivenza; ne' il diritto di affermare se stessi, di darsi i propri obiettivi e di decidere che tipo di vita si vorrebbe vivere. Esercitare tali diritti viene ritenuto, viceversa, un dovere di ogni individuo. Si parte inoltre dal presupposto che tutto cio' che accade agli individui sia conseguenza dell'esercizio di questi diritti oppure di gravissimi errori in tale esercizio, fino al suo blasfemo rifiuto. Cosi' tutto cio' che accade agli individui viene comunque definito retrospettivamente come dovuto alla responsabilita' dei singoli. Cio' che e' ora pienamente e veramente in gioco e' il "riconoscimento sociale" di quelle che vengono viste come scelte individuali, ovvero della forma di vita che gli individui praticano (per scelta o per forza). "Riconoscimento sociale" significa accettazione del fatto che l'individuo che pratica una certa forma di vita conduce un'esistenza degna e decente, e per questo motivo merita il rispetto dovuto e prestato agli altri individui degni e decenti. * L'alternativa al riconoscimento sociale e' la negazione di dignita', cioe' l'umiliazione, e questo sentimento nutre risentimento. E' corretto affermare che in una societa' di individui come la nostra questa sia la piu' velenosa e implacabile forma di risentimento che i singoli possono provare, nonche' la piu' comune e prolifica causa di conflitto, di ribellione e di sete di vendetta. Negazione del riconoscimento, rifiuto di prestare rispetto e minaccia di esclusione hanno rimpiazzato sfruttamento e discriminazione, divenendo le formule piu' comunemente usate per spiegare e giustificare lo scontento che gli individui provano nei confronti della societa' o di quei settori e aspetti della societa' cui essi sono direttamente esposti (personalmente o attraverso i media) e di cui fanno esperienza di prima mano. Cio' non vuol dire che l'umiliazione sia un fenomeno nuovo, specifico dell'attuale forma della societa' moderna, perche' al contrario essa e' antica quanto la socialita' e la convivenza tra gli uomini. Vuol dire pero' che nella societa' individualizzata di consumatori le piu' comuni ed eloquenti definizioni e spiegazioni delle afflizioni e dei disagi che derivano dall'umiliazione hanno rapidamente spostato, o stanno spostando, il proprio riferimento dal gruppo e dalla categoria alle singole persone. Invece che essere attribuite all'ingiustizia o al cattivo funzionamento dell'organismo sociale, cercando dunque rimedio in una riforma della societa', le sofferenze individuali tendono a essere sempre piu' percepite come risultato di un'offesa personale, di un attacco alla dignita' personale e alla stima di se', invocando dunque una reazione personale o una vendetta personale. Questa ideologia, come tutte le ideologie a noi note, divide l'umanita'. Ma in piu' essa genera divisione anche tra chi le presta fede, dando capacita' a qualcuno e rendendo tutti gli altri incapaci. In questo modo essa inasprisce il carattere conflittuale della societa' individualizzata/privatizzata. Depotenziando le energie e neutralizzando le forze che potenzialmente sarebbero in grado di intaccarne il fondamento, questa ideologia conserva tale societa' e rende piu' fievoli le prospettive di un suo rinnovamento. 3. RIFLESSIONE. ZYGMUNT BAUMAN: L'EUROPA E L'UNIFICAZIONE DEL GENERE UMANO [Dal "Corriere della sera" del 21 settembre 2007 col titolo "Lectio magistralis a Pordenonelegge. L'Europa globale erede di Kant" e il sommario "Pubblichiamo un estratto della lezione che il sociologo Zygmunt Bauman terra' domenica a Pordenone nell'ambito della Festa del libro Pordenonelegge, che inizia oggi e vedra' la presenza di ben 185 autori di saggistica e narrativa. L'egemonia solitaria degli Usa aggrava le tensioni"] Formulare i compiti e la missione dell'Europa sulla base dell'assioma del monopolio americano sul potere mondiale e' fondamentalmente errato. La vera sfida all'Europa deriva dall'evidenza, sempre piu' palese, che l'unica superpotenza non e' in grado di condurre il pianeta a una coesistenza pacifica, lontano dall'imminente disastro. Anzi, ci sono ampi motivi per credere che questa superpotenza possa diventare la causa prima di un disastro. A tutti i livelli di convivenza umana, i potenti tendono a dispiegare i propri mezzi per rendere l'habitat piu' congeniale e favorevole al tipo di potere che detengono. La superpotenza americana non fa eccezione. Dato che il suo bene piu' forte e' la forza militare, essa tende naturalmente a ridefinire tutti i problemi planetari - siano essi di natura economica, politica o sociale - come problemi di pericolo e confronto militari, risolvibili esclusivamente con soluzioni militari. Invertendo la formula di von Clausewitz, gli Stati Uniti considerano e trattano la politica come continuazione della guerra con altri mezzi. Per assicurare il proprio dominio, contando e basandosi sul suo unico e incontestato vantaggio - la superiorita' militare - l'America ha bisogno di ricreare il resto del mondo a sua immagine rendendolo, per cosi' dire, "ospitale" alle sue politiche preferite. Deve trasformare il pianeta in un luogo dove i problemi economici, sociali e politici vengono affrontati con mezzi e azioni militari, e dove invece ogni altro mezzo e tipo di azione viene privato di valore e dichiarato inutilizzabile. Ecco da dove nasce la vera sfida all'Europa. * L'Europa non puo' considerare seriamente di uguagliare la forza militare dell'America e di resistere all'avanzamento della militarizzazione del pianeta giocando al gioco americano. Non puo' neppure sperare di recuperare il suo passato dominio industriale, perso irrimediabilmente nel nostro mondo sempre piu' policentrico e ora soggetto, nella sua complessita', ai processi di modernizzazione economica. Tuttavia, puo' e deve tentare di rendere il pianeta ospitale per altri valori e altri modi di esistenza, diversi da quelli rappresentati e promossi dalla superpotenza militare americana; puo' rendere il pianeta ospitale ai valori e ai modi che l'Europa, piu' di ogni altra parte del mondo, e' predisposta a offrire al mondo. George Steiner insiste sul fatto che il compito dell'Europa "e' tanto spirituale quanto intellettuale". Il genio dell'Europa e' per lui "il genio della diversita' linguistica, culturale e sociale, di un mosaico ricchissimo che spesso trasforma una distanza irrilevante, una ventina di chilometri, nella frontiera tra due mondi". Riflessioni analoghe si possono trovare nel retaggio letterario di Hans-Georg Gadamer. A suo parere il "compito dell'Europa" e' quello di acquisire e di condividere l'arte di apprendere gli uni dagli altri. E io aggiungerei: la missione dell'Europa, o meglio, il fato dell'Europa che attende di essere riformulato come destino. Vista sullo sfondo di un pianeta schiacciato dai conflitti, l'Europa sembra una fucina dove vengono continuamente forgiati gli strumenti necessari per raggiungere la kantiana unificazione del genere umano. * Per il momento, tuttavia, l'Europa sembra cercare una risposta ai nuovi problemi in politiche che guardano all'interno, piuttosto che all'esterno, in politiche centripete piuttosto che centrifughe. In breve, sigilliamo le nostre porte e facciamo molto poco, se non addirittura nulla, per porre riparo alla situazione che ci ha indotto a chiuderle. E' chiaro che l'Europa ha le sue buone ragioni per guardare sempre di piu' al suo interno. Il mondo non appare piu' invitante. Sembra ostile, infido, e' un mondo che spira vendetta e che, tuttavia, ha bisogno di essere reso sicuro per noi. Questo e' il mondo dell'imminente "guerra delle civilta'", un mondo in cui ogni passo che si fa, qualsiasi esso sia, presenta molteplici rischi. La sicurezza e' lo scopo principale del gioco e la sua posta piu' alta. E' un valore che in pratica, se non in teoria, oscura e caccia a gomitate ogni altro valore. In un mondo insicuro come il nostro, la liberta' personale di parola e di azione, il diritto alla privacy, l'accesso alla verita' - tutte quelle cose che associavamo alla democrazia - devono essere ridimensionate o sospese. O, se non altro, questo e' cio' che sostiene la versione ufficiale, confermata dalla pratica ufficiale. Ma la verita' e' che noi non possiamo difendere le nostre liberta' a casa nostra, se ci isoliamo dal resto del mondo e ci occupiamo solo dei nostri affari interni. In un pianeta globalizzato, in cui la difficolta' di ognuno, dovunque, determina la difficolta' di tutti gli altri e viene al contempo determinata dagli altri, liberta' e democrazia non possono piu' essere assicurate "separatamente" - cioe', soltanto in un Paese o in una selezione di Paesi. Il fato della liberta' e della democrazia in ogni Paese viene deciso e stabilito su scala globale; e soltanto su quella scala puo' essere difeso con concrete probabilita' di un successo duraturo. 4. RIFLESSIONE. LIVIA PROFETI INTERVISTA ZYGMUNT BAUMAN [Dal quotidiano "Il riformista" del 12 settembre 2007 col titolo "Privatizzare, escludere. E' l'ideologia del reality show. Lo stato penitenziario si accanisce su poveri lavavetri" e il sommario "Filosofia. Colloquio con Zygmunt Bauman, che sara' sabato in Italia. Nell'era 'liquida' in cui viviamo andiamo verso l'accettazione di una conoscenza relativa e flessibile. Per il sociologo, nella societa' dei consumi i poveri sono 'senza funzione', sono consumatori 'difettosi' che comprano prodotti che portano poco o nessun profitto". Livia Profeti e' giornalista culturale e saggista] Zygmunt Bauman, uno dei piu' grandi sociologi del nostro tempo, sara' presente sabato 14 al festival della filosofia di Modena Carpi e Sassuolo con una Lectio magistralis dal titolo "Dalle credenze all'ideologia. Un viaggio di andata e ritorno?". In attesa di venire in Italia ha accettato di conversare con "Il riformista". * - Livia Profeti: Professor Bauman, in un festival dedicato al tema del sapere il titolo della sua relazione suggerisce che le credenze abbiano qualcosa a che fare con la conoscenza. - Zygmunt Bauman: Il termine "credere" non e' solo sinonimo di fede ma ha anche il significato di "avere fiducia", "essere confidenti" in qualcosa o qualcuno, ed in questo senso e' forse una componente indispensabile del processo di conoscenza. Nella folla di comunicazioni contraddittorie che ci circonda, la nostra fiducia in una "credenza" ci dice dove fissare una linea tra proposizioni attendibili e non attendibili. Se privato delle credenze che ci fanno scegliere fra i molti messaggi opposti o incompatibili, il processo della conoscenza sarebbe come affrontare un labirinto di strade che si intersecano e si biforcano senza alcuna mappa ne' segnaletica. Noi quindi abbiamo bisogno di credere, anche se puo' accadere che in seguito ci rendiamo conto di aver commesso un costoso errore. Per lo stesso motivo le credenze non avrebbero alcuna funzione positiva se la nostra fiducia in esse non fosse ostinata e senza esitazioni, ma d'altro canto proprio queste caratteristiche le rendono refrattarie alle revisioni critiche. E' per questa ragione che sono viste dalle scienze moderne in totale opposizione alla "vera" conoscenza, quella sperimentale. Una cosa che gli scienziati pero' raramente confessano e' che la nostra fiducia nella scienza come unica strada verso la conoscenza e' essa stessa basata su una credenza... * - Livia Profeti: Anche i filosofi non hanno molta simpatia per le credenze. - Zygmunt Bauman: I filosofi tendono a rifiutare le credenze come serie protagoniste di un dibattito sempre in ragione della loro indifferenza ai test empirici e agli argomenti razionali. Quando parlano di credenze i filosofi le sviliscono con il prefisso "mere", che suggerisce inferiorita' e inconsistenza. Per i filosofi tesi verso la scoperta della verita' ultima, sub specie aeternitatis, le poco fondate credenze, abbracciate senza riflettere e fermamente mantenute, sono forse l'ostacolo piu' odioso. Questa guerra inizio' con Platone e con il celebre mito della caverna. * - Livia Profeti: Diversamente dalle ideologie, verso le quali non c'e' sempre stata la stessa antipatia. - Zygmunt Bauman: Il concetto di ideologia e' nato alla fine del XVIII secolo ma da allora ha assunto diversi significati. Per Destutt de Tracy, che lo ha coniato, l'ideologia era la scienza che studiava la formazione della conoscenza. I padri dell'Illuminismo erano convinti che nulla esiste al di la' delle idee che possediamo di loro e che quindi le realta' umane possono essere modellate a volonta' rimodellando le idee nelle menti, a partire da quelle del popolo: i pensieri nei quali crede. Era contro tale attribuzione alle idee della capacita' di cambiare la realta' che Karl Marx ha diretto la critica tranchant contenuta ne L'ideologia tedesca. Per Marx e' il modo di essere nel mondo che determina la coscienza umana, non il contrario: se vuoi cambiare gli uomini si devono cambiare le condizioni materiali sotto le quali essi agiscono, se essi hanno pensieri sbagliati e' perche' abitano in un mondo sbagliato. Il problema posto da Marx fu dibattuto nel XIX secolo nel linguaggio della controversia tra materialismo storico e idealismo. * - Livia Profeti: E come si e' compiuto il "viaggio di ritorno"? - Zygmunt Bauman: Il termine ideologia e' rientrato nel vocabolario sociale e scientifico del XX secolo in gran parte per effetto delle tesi di Karl Mannheim nel suo Ideologia e utopia, finendo con l'assumere il significato che ha ora comunemente. Ai nostri giorni, per definizione un'ideologia non e' oggettiva e universale ma tende ad essere associata a visioni parziali in conflitto tra loro, insiemi di "credenze" che non appartengono alla totalita' sociale ma a gruppi o categorie di persone. Il trend dominante della nostra era "liquida" e' quello di andare verso l'accettazione di una conoscenza relativa e flessibile, con proposizioni che hanno una validita' limitata nel tempo; un pragmatismo che consiste nel fare scelte in base alle situazioni calcolando le opportunita' e i pericoli, piuttosto che essere guidati dalla fedelta' a dei principi ritenuti incrollabili. In qualche modo quindi, le ideologie intese come verita' parziali perseguite senza indecisioni sono piu' compatibili con la relativita' e flessibilita' del modo corrente rispetto alla visione ortodossa di scienza come proprietaria di verita' assolute ed universali. * - Livia Profeti: Da qui la nascita di nuove ideologie, come quella che lei definisce ideologia della privatizzazione. - Zygmunt Bauman: In effetti non sembra che la previsione della "fine delle ideologie", largamente data per scontata 20-25 anni fa si stia rivelando corretta. Certe dichiarazioni politiche, come ad esempio quelle del neopresidente francese Sarkozy - che ripete continuamente che lavorando duramente e per piu' ore si diventa ricchi - contengono tutte le caratteristiche delle credenze, di cui svolgono il compito: spingono ad agire e infondono fiducia che quello che si sta facendo portera' risultati positivi; inoltre manifestano uno spirito agonistico normalmente associato all'idea di ideologia. Forse l'unica caratteristica che manca alla filosofia di vita di Sarkozy rispetto a quelle delle ideologie cosi' come siamo abituati a conoscerle e' una certa visione della "totalita' sociale" che, come sosteneva Durkheim, e' piu' della somma delle parti. Sta accadendo cioe' una curiosa torsione: a dispetto della sua lunga tradizione, l'ideologia che i vertici attualmente propongono alla popolazione e' la credenza che le visioni di una buona societa' come composizione della "totalita'" sociale siano una perdita di tempo, perche' non influiscono sul successo della vita individuale. L'ideologia della privatizzazione sta scansando da se' tutti i passati richiami alla comunita', di qualsiasi tipo essa fosse. Sarkozy non e' stato il primo ad accelerare questo spostamento, la priorita' spetta piuttosto a Margaret Thatcher che dichiaro' che "non c'e' piu' qualcosa come la 'societa''. Esistono solo il governo e le famiglie". * - Livia Profeti: Dunque l'ideologia della privatizzazione tende a presentare l'idea di una societa' di tutti contro tutti... - Zygmunt Bauman: E' forgiata per la nuova societa' individualizzata e proclama la futilita', o meglio la controproduttivita', di unire le forze e subordinare le azioni individuali ad una "causa comune". Il popolare "Grande fratello" e' presentato come reality show perche' suggerisce che la vita reale e' come la saga dei suoi concorrenti: che qualcuno verra' escluso e' fuori discussione, l'unica questione e' chi sara'. Il messaggio e' che qualcuno deve essere escluso ogni settimana perche' e' scritto nelle regole della "realta'": l'esclusione e' un aspetto irrinunciabile dell'essere-nel-mondo, una "legge di natura", e quindi ribellarsi non ha senso. Inoltre e' un'ideologia a misura della nuova societa' dei consumatori: fornisce una rappresentazione del mondo come magazzino di potenziali oggetti di consumo e della vita come ricerca continua di "affari", il cui scopo e' la massima soddisfazione nel consumo mentre il successo e' l'aumento del proprio valore sul mercato. * - Livia Profeti: In Lavoro, consumismo e nuove poverta' (Citta' aperta) lei parla di "criminalizzazione post-moderna della poverta'". Un argomento molto attuale in Italia, come mostra il dibattito intorno alla "questione dei lavavetri". Da dove proviene questa tendenza? - Zygmunt Bauman: Nella societa' dei consumi i poveri sono "senza funzione", sono consumatori "difettosi" che comprano prodotti che portano poco o nessun profitto. Non possono svolgere il ruolo che ci si aspetta dalle persone-consumatori: incrementare lo sviluppo economico e cosi' i profitti degli azionisti e dei managers delle aziende commerciali. Investire sulla poverta' ha poco "senso economico" nella societa' dei consumatori, diversamente dalla iniziale societa' moderna di produttori, dove invece erano visti come materia prima, dell'esercito del lavoro o militare. E cosi' la tendenza e' quella di passare da uno "stato sociale" ad uno "stato penitenziario", dove i poveri sono incarcerati, mantenuti fuori dalle mura, vigilati e rimossi dalla pubblica vista e lontano dalla "gente normale". In aggiunta ai vizi e ai peccati ascritti due decenni fa alla cosiddetta sottoclasse, recentemente e' stata aggiunta l'accusa di terrorismo e piu' generalmente di minaccia alla pubblica sicurezza. I poveri, ed in particolare gli immigrati poveri, sono ora "colpevoli sino a prova contraria", ma non hanno affatto i mezzi per dimostrare la loro innocenza. * - Livia Profeti: Ideologia, esclusione, criminalizzazione. Parole che evocano scenari dello scorso secolo che lei ha affrontato nel suo capitale Modernita' e Olocausto (Il Mulino). Un mese fa e' scomparso il grande storico Raul Hilberg, che mise in luce lo sterminio nazista come implacabile processo di razionalita' strumentale. Quanto ha inciso il lavoro di Hilberg nelle sue ricerche? - Zygmunt Bauman: E' a Raul Hilberg piu' che a qualsiasi altro studioso che io devo la comprensione di un una vera e propria "affinita' elettiva2 tra modernita' e Olocausto o, piu' generalmente, "inclinazione totalitaria". L'importanza del suo lavoro, che non ha finito di produrre i suoi effetti, difficilmente puo' essere sopravvalutata. Egli e' stato uno storico formidabile ma gli dobbiamo molto piu' di una migliore comprensione di cio' che e' accaduto in passato e perche'. Hilberg ci ha insegnato come guardare la societa' nella quale noi stessi viviamo, e su cosa focalizzare la nostra vigilanza. Assassinii di massa, massacri tribali e genocidi accompagnano la specie umana sin dai suoi inizi, tuttavia l'Olocausto, l'annientamento sistematico di un intero popolo condotto come una sorta di "genocidio industrializzato", sarebbe impensabile fuori dalla civilizzazione moderna. Non solo per i mezzi tecnologici e l'organizzazione burocratica che l'impresa richiede, ma anche a causa del fenomeno unicamente moderno della "costruzione dell'ordine". Lo spirito moderno spicca per la sua ossessione a cambiare la realta' seguendo un disegno preordinato, presunto come piu' razionale. Ogni qualvolta venga introdotto un nuovo ordine, alcuni elementi del vecchio vengono cambiati in quanto superflui o decisamente dannosi, come le erbacce che, disturbando l'armonia desiderata di un giardino, vanno estirpate. L'Olocausto e' stata una simile operazione di "giardinaggio" in cui le "razze straniere" avevano il ruolo delle erbacce, cosi' come per i gulag di Stalin le erbacce erano le "classi sfruttatrici" e i loro alleati, reali o presunti. Per tentare di sradicare una "razza" o una "classe", nel secolo scorso e' stato necessario sopprimere le emozioni e tutte le altre manifestazioni della soggettivita', e sottomettere il comportamento umano al dominio incontestato della ragione strumentale. * - Livia Profeti: Analizzando le caratteristiche dello sterminio nazista sino agli esempi dei genocidi in Bosnia e nel Kosovo come in Rwanda o Sri Lanka, in un suo lavoro inedito in Italia lei ha coniato la definizione di "assassinio categoriale", sostenendo che "l'era moderna, ed in particolare l'era della modernita' liquida (...) ispira i massacri categoriali in se stessa". Quale strategia possibile per fermare questa tendenza? - Zygmunt Bauman: Un assassinio categoriale si caratterizza non solo per il fatto di privare le sue vittime della propria vita, ma anche, ed a priori, per espropriarle della loro umanita', della quale la soggettivita' e il diritto a decidere delle proprie azioni sono elementi costitutivi. Divisione, separazione ed esclusione sono e rimangono i suoi strumenti fondamentali. Come Hilberg ha osservato, il destino degli ebrei europei si e' segnato nel momento in cui i nazisti completarono il loro "registro" separato dal resto dei tedeschi "normali", e stamparono la lettera "J" sul loro passaporto. Tagliare alle radici la tendenza genocidaria richiede la dichiarazione di inammissibilita' di doppi standard, differenti trattamenti, e della separazione che apre le porte a guerre di sopravvivenza "a somma zero". Qualsiasi norma relativa alla convivenza umana che nasca dalla terribile lezione della lunga serie di questo tipo di massacri puo' essere esclusivamente universale, mai applicata selettivamente. Pena il pericolo che possa essere trasformata, con una scusa qualsiasi, in un'apologia del diritto del piu' forte, chiunque sia il piu' forte nel momento nel quale l'apologia e' proclamata. 5. RIFLESSIONE. TONINO BUCCI INTERVISTA ZYGMUNT BAUMAN [Dal quotidiano "Liberazione" del 16 settembre 2007 col titolo "Intervista al sociologo ospite al Festival di Filosofia. Bauman: I lavavetri? Scarti del sapere-informazione". Tonino Bucci, giornalista, scrive di temi culturali sul quotidiano "Liberazione"] Il nostro mondo e' saturo. E' saturo perche' il nostro stile economico scarta di continuo individui e modi di vita passati che non sono piu' considerati conformi alle leggi della globalizzazione. Il progresso, insomma, produce scarti umani e, insieme, l'inquietudine sul come smaltire i rifiuti in eccesso. Proprio quanto accadeva agli abitanti di Leonia - una delle "citta' invisibili" di Calvino - alle prese con montagne di spazzature. Questo, Zygmunt Bauman, sociologo e pensatore ospite del Festival di filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo dove si parla di sapere, lo sosteneva in un libro pubblicato tre anni fa, Vite di scarto (Laterza, pp. 176, euro 7,50). Un'analisi penetrante dell'attualita', anche uno scavo nel linguaggio dei media, su termini che compaiono d'abitudine sulle pagine dei giornali. Come gli "esuberi", parola che ha trasformato gli operai in prodotti di risulta che non potranno mai piu' essere richiamati in servizio. La loro destinazione e' la discarica. Nel mucchio potremmo aggiungere anche i lavavetri, parola che ultimamente si e' colorata di tinte fosche. * - Tonino Bucci: Avremmo una concezione astratta del sapere se non tenessimo conto del suo trasformarsi in ideologia, in un sapere portatore di un ordine e di un progetto sociale che produce scarti umani. Di questa esclusione abbiamo avuto un esempio nella recente campagna di allarmismo sociale e di repressione contro i lavavetri. Sono loro gli scarti del sapere? - Zygmunt Bauman: E' una domanda abbastanza difficile. Nella modernita' i problemi sono stati sempre considerati come una carenza di conoscenza. Il modo di affrontarli percio' era quello di acquisire maggiori informazioni per meglio comprendere la situazione particolare che di volta in volta si presentava. L'obiettivo era quello di raggiungere una conoscenza sufficiente. Cosa e' cambiato oggi? Negli ultimi trent'anni la quantita' di informazione e' cresciuta a ritmi impressionanti, incalcolabili, inimmaginabili nell'epoca precedente. Basta leggere, per rendersene conto, l'edizione del "New York Times": al suo interno ci sono molte piu' informazioni e conoscenze di quanto una persona mediamente istruita possa padroneggiare e acquisire. Per citare Virilio, la grande minaccia che mette a rischio oggi l'umanita' non e' la guerra atomica, ma l'ipertrofia e la mole impressionante di informazione. Siamo letteralmente inondati. Basta digitare una parola su Google e immediatamente appaiono decine di migliaia di risposte. La domanda e': quanto sono di utilita' alle nostre questioni? Il problema oggi non e' l'assenza di conoscenza, bensi' la difficolta' di muoverci in questo immenso cumulo di informazioni, molte delle quali sono spazzatura. Per il 99% quella mole di informazione e' ingannevole o, comunque, non fa al caso nostro, non ci aiuta a risolvere le nostre domande. Non abbiamo criteri per discernere e distinguere le informazioni che davvero riguardano i problemi piu' urgenti del mondo contemporaneo, quelle che sono importanti da quelle che non lo sono. Non ne abbiamo ne' il tempo ne' gli strumenti. Ecco perche' rischiamo d'avere una visione caotica, appannata, sfocata. In questa situazione facilmente possono prendere piede campagne sulla sicurezza e allarmismi sociali - come quella sugli immigrati e i lavavetri - che funzionano come vere e proprie valvole di sfogo delle nostre inquietudini, della nostra insicurezza, del nostro disagio verso i problemi autentici. Il sociologo tedesco Ulrich Beck ha detto che il nostro e' un tipo di societa' in cui i problemi possono venire inventati oppure messi sotto silenzio. Non riusciremo mai a sapere del tutto cio' che e' vero e cio' che non e' vero. * - Tonino Bucci: Per sapere s'intende spesso una conoscenza neutra. Non rischiamo di restare prigionieri di posizioni idealistiche se non evidenziamo che dal sapere nascono anche le ideologie? - Zygmunt Bauman: L'ideologia e' stata sempre considerata una forma di conoscenza inferiore rispetto agli altri saperi, a partire da quello scientifico. Soprattutto la credenza e' stata scartata, messa ai margini e considerata non degna di essere studiata. Eppure sono le credenze che influenzano e condizionano i nostri comportamenti. * - Tonino Bucci: C'e' una forma di ideologia che fa da sfondo alla nostra societa' consumistica? - Zygmunt Bauman: L'eta' moderna e' stata caratterizzata dalla lotta contro le emozioni e le passioni. Sono state considerate l'esatto opposto della vita felice che doveva essere guidata invece dalla ragione, pianificata. Sartre diceva che abbiamo necessita' di dotarci di un progetto di vita fin dalla nascita capace di costruire un senso della nostra esistenza. Ai giorni nostri ci rendiamo conto invece che c'e' un ritorno al passato. Un ritorno al Romanticismo. Attraversiamo un periodo di riabilitazione delle passioni, delle emozioni. Non c'e' piu' la necessita' del calcolo razionale ma si lascia spazio ai desideri. Ovviamente ci fa piacere perche' ricolloca la nostra esistenza nel mondo nella sua completezza e non solo piu' soltanto nella sua dimensione razionale. Gli aspetti piu' umani, i desideri e le passioni, prima venivano zittiti e repressi nel conflitto con la ragione. Ma in questa riabilitazione hanno un peso anche interessi economici. Se pensiamo agli ultimi cento anni le necessita' e i bisogni degli uomini sono notevolmente cresciuti. In passato si pensava che fosse possibile calcolare i bisogni delle persone: una volta che fossero stati soddisfatti si sarebbe raggiunto uno stato di autosufficienza della societa'. Una condizione permanente in cui non ci sarebbe stato bisogno d'altro. Quest'idea e' fallita. E' subentrata la societa' consumistica, la societa' dei consumatori nella quale il motore principale e' rappresentato proprio dalle necessita' che si trasformano in desideri. Oggi c'e' stato un passaggio ulteriore. Quando compriamo il desiderio non basta piu', non e' piu' sufficiente, c'e' qualcosa di piu' che ci spinge ad acquistare: la volonta' di qualcosa. Va distinta dal desiderio. Quando andiamo al supermercato per acquistare qualcosa di cui abbiamo necessita', per esempio del sapone, dobbiamo passare attraverso gli scaffali. E allora siamo attirati da altre cose cui non pensavamo, un paio di scarpe, un abito. Siamo presi dalla volonta' di acquistare. Ma e' uno stato temporaneo, transitorio. La vita ideale nella societa' consumistica dovrebbe essere una vita di shopping costante senza pero' mai concludere l'acquisto. Perche' cio' che conta non e' l'acquisto in se' e per se', ma la volonta' di acquistare. Le emozioni sono importanti ma non vanno trascurati gli aspetti negativi nella societa' dello shopping. Abbiamo pur sempre bisogno della guida della ragione anche se ci puo' apparire un po' grigia e monotona. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 197 del 28 giugno 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: Minime. 500
- Next by Date: Minime. 501
- Previous by thread: Minime. 500
- Next by thread: Minime. 501
- Indice: