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Minime. 500
- Subject: Minime. 500
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 28 Jun 2008 00:34:50 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 500 del 28 giugno 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Dijana Pavlovic: L'impronta del razzismo 2. Elena Ribet intervista Anna Bravo 3. Bobby Ghosh: Storia di Hasna 4. Maria Serena Palieri intervista Simonetta Agnello Hornby (2004) 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. DIJANA PAVLOVIC: L'IMPRONTA DEL RAZZISMO [Dal quotidiano "L'Unita'" del 27 giugno 2008 col titolo "Schedatura etnica. L'impronta del razzismo". Dijana Pavlovic e' nata nel 1976 in Serbia, vi ha vissuto e studiato fino al '99, laureandosi a Belgrado; dal 1999 vive e lavora a Milano; e' attrice drammatica, docente, mediatrice culturale] Egregio signor Maroni, ministro dell'Interno, Lei annuncia che verranno "censiti" i bambini rom, ma ci rassicura non sara' una "schedatura etnica", solo un semplice "censimento che riguardera' tutti i nomadi che vivono in Italia, minori compresi". Che io sappia, quando si fa un censimento questo riguarda tutti i cittadini dello Stato, lo si fa secondo certe modalita' uguali per tutti e con finalita' chiare a tutti. Ma Lei per censimento intende forse entrare in un campo con 70 poliziotti, carabinieri, vigili urbani in assetto antisommossa e un furgone della polizia scientifica per rilevare le impronte digitali alle cinque di mattina della famiglia Bezzecchi, 35 cittadini italiani, senza precedenti penali? Questo e' ben altra cosa. Si chiama schedatura etnica e lo sappiamo bene perche' l'abbiamo gia' vissuto nel passato. E dunque e' in atto una schedatura su base etnica che vuol dire che si sta creando un archivio parallelo. A cosa servira' l'archivio Rom? Nel passato, l'archivio che aveva creato l'"Ufficio di polizia per zingari" di Monaco, che aveva schedato ed arrestato piu' di 30.000 Rom tra il '35 e il '38, e' passato all'Rkpa di Berlino, cioe' alla Centrale di polizia criminale del Reich, sotto il controllo diretto di Himmler, il quale l'8 dicembre '38 ha emanato il Zigeunererlass, decreto fondamentale nella storia dello sterminio zingaro, perche' ha stabilito che, "in base all'esperienza e alle ricerche biologico-razziali, la questione zingara andava considerata una questione di razza". Ma, se possibile, mi inquieta di piu' il Suo annuncio che i primi a essere schedati saranno i minori e se sorpresi a elemosinare saranno sottratti ai loro genitori. Un vero e proprio atto di violenza e discriminazione che nessuna questione di sicurezza puo' giustificare, tanto piu' se si considera che dei 152.000 rom presenti in Italia, secondo lo stesso Ministero degli Interni, la meta' ha meno di 16 anni. Senza tener conto che in Italia sotto i 14 anni non si e' punibili e che in questo modo si criminalizza un intero popolo, senza distinzione. Come accade con gli adulti, cosi' anche le migliaia di bambini Rom che vanno a scuola, che cercano faticosamente di aprirsi una strada verso un futuro "normale", per Lei sono pericolosissimi criminali da schedare e da tenere d'occhio. Non e' anticostituzionale, illegale e contro la Convenzione dell'Onu sui diritti dei fanciulli? Ma a Lei dovrebbe importare della legge e del diritto, oppure e' solo importante solleticare il ventre del Suo popolo? Prendersela con dei bambini, anche se rubano o chiedono l'elemosina e' molto piu' facile che avere a che fare con la piu' potente organizzazione criminale, la 'ndrangheta, che e' padrona del territorio negli ordinati vialetti della sua Varese, come in tutta la Lombardia e il nord Italia. Secondo i dati della commissione antimafia e dell'Eurispes questi bravi adulti hanno un fatturato annuo di 36 miliardi di euro (altro che finanziarie di Tremonti), tra traffico di droga, appalti, traffico d'armi e altri sciocchezze certo molto meno gravi dei furtarelli di qualche ragazzino. Ma questo avveniva anche pochi anni fa: cosa c'era di piu' facile di prendersela con ebrei e zingari? Nessuno di loro reagiva e l'ordine era garantito. Certo, Lei quando ci annuncia queste cose, sorridendo serafico dai salotti tv parlando di sicurezza, forse non pensa ai forni crematori che invece molti Suoi simpatici seguaci in camicia verde invocano impunemente nelle ronde e negli agguati agli "zingari", ma forse a nuove forme di campi di concentramento si'. Mi fa venire i brividi la Sua rassicurazione che questo serve a garantire ai bambini rom "condizioni dignitose" in piena attuazione dei patti di sicurezza di alcune citta'. In questi ghetti moderni uomini, donne e bambini di etnia rom, che siano cittadini italiani, comunitari o no, verranno sottoposti alla segregazione di un regime speciale che viola qualunque norma di diritto, di umanita' e perfino di buon senso e nega un futuro dignitoso ai nostri bambini. 2. RIFLESSIONE. ELENA RIBET INTERVISTA ANNA BRAVO [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Demolire i soffitti di cristallo. Con i regolamenti" e il sommario "Sessantesimo anniversario della Costituzione. Noi donne siamo molto fedeli in politica, sopportiamo. Finche' non si rompe questo discorso sulla fedelta' e non si vedono i propri compagni di partito anche come una controparte, io penso che non si ottenga molto". Elena Ribet e' nata nel 1973 a Roma, dove attualmente vive e lavora occupandosi della comunicazione per una onlus che promuove l'integrazione delle persone con disabilita' intellettiva. Si interessa di ecumenismo, teologia e integrazione culturale. Ha presieduto il convegno interreligioso Religione, pace e violenza (5 e 6 aprile 2003, Mappano, Torino). Il suo intervento "La Marialis Cultus: una lettura evangelica" e' inserito negli atti del XV Colloquio Internazionale di Mariologia, Patti (Messina), 16 e 18 aprile 2004 (Edizioni Ami, Roma, 2005). Ha partecipato all'allestimento del musical Israel, dove vai? di Daniel Lifschitz sulle vicende e contraddizioni del popolo ebraico nella storia, curandone anche l'ufficio stampa. Collabora con riviste e periodici fra cui il settimanale delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi "Riforma" e il mensile "Noidonne". E' vincitrice del quinto concorso Le donne pensano, le donne scrivono, sezione poesia, promosso dalla Citta' di Torino, VI Circoscrizione, e dal Centro Donna, ed e' stata pubblicata nell'antologia del premio. Opere di Elena Ribet: Diario dei quattro nomi, Edizioni Joker, 2005. Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Luminosa figura della nonviolenza in cammino, della forza della verita'. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003; A colpi di cuore, Laterza, Roma-Bari 2008] Sull'intreccio tra i principi costituzionali e i diritti delle donne abbiamo intervistato Anna Bravo, storica e docente universitaria, che si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, di resistenza armata e resistenza civile. * - Elena Ribet: L'articolo 3 della Costituzione dice "Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". - Anna Bravo: "Senza distinzioni di sesso". Lo dice, il buffo e' che nella riga precedente dice "tutti i cittadini". E "cittadini", e' ovvio, e' maschile plurale, non e' neutro. Questa e' gia' una bella contraddizione. Allo stesso modo, quando la Costituzione parla di "lavoratori" sembra che il "lavorare", il lavoro produttivo, sia legato a una caratteristica tipicamente maschile. Sarebbe auspicabile che la Costituzione si riferisse, intanto, a tutti gli esseri umani e non a tutti i "cittadini", in questo senso. "Tutti gli esseri umani" e' la dizione della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948; inoltre, si dovrebbe includere la variabile dell'eta', perche' anche bambini e neonati devono avere accesso all'uguaglianza. Infine il "senza distinzioni" andava applicato anche alle predilezioni sessuali: queste non vengono citate per motivi complessi da riassumere, ma molte discriminazioni si fondavano e si fondano proprio sulle preferenze sessuali. * - Elena Ribet: Che ruolo hanno avuto le donne nella Costituzione? - Anna Bravo: Un ruolo importante; le donne c'erano, non erano tante, ma erano molto brave. C'erano donne di tutti i partiti, comuniste, cattoliche, socialiste, che hanno spinto molto perche' fosse una Costituzione aperta; aver inserito la frase sulla "distinzione di sesso" per allora era qualcosa di molto significativo. Poi hanno contribuito a promulgare leggi importanti, ad esempio Teresa Noce, che era una dirigente del Pci e una grande sindacalista, promosse quella sugli asili nido e sulla maternita'; poi ci fu la legge Merlin per l'abolizione delle case chiuse; queste sono leggi importanti, nonostante in politica ci fosse un livello di partecipazione femminile piuttosto basso. * - Elena Ribet: In 60 anni molte cose sono cambiate per le donne... - Anna Bravo: Basti pensare al diritto di famiglia, pero' i nodi oscuri rimangono. Pensiamo ad esempio alle carriere. E' ancora vero che le donne fanno piu' fatica nelle carriere politiche e lavorative; e' vero che una donna madre ha ancora piu' difficolta' e che si arriva all'eccesso di far firmare una lettera di dimissioni in bianco alle ragazze, ancora oggi. C'e' poi il problema reale, da vedere con molto equilibrio, della sicurezza, in casa e fuori di casa. Molti di questi aspetti sono ancora da risolvere. * - Elena Ribet: Oggi la situazione per le donne e' molto instabile e complessa, ad esempio nel mercato del lavoro e in politica. Quale puo' essere il ruolo delle donne nella difesa e nell'attuazione della Costituzione? - Anna Bravo: Penso che bisogna essere piuttosto "dure" per far passare certi concetti. Bisogna essere dure per rompere il soffitto di cristallo, oltre il quale le carriere femminili non salgono; oppure nel caso della politica, in cui ci sono signori ultraottantenni, senatori o deputati, che si attaccano al potere. L'unico modo per le donne di riuscire e' quello di essere molto decise. Basta un regolamento, non c'e' bisogno di fare centomila leggi e tanto meno una Costituzione. Serve che non si conceda troppo alla coesione di partito e di schieramento: essere meno fedeli, insomma. Noi donne siamo molto fedeli in politica, sopportiamo. Finche' non si rompe questo discorso sulla fedelta' e non si vedono i propri compagni di partito anche come una controparte, io penso che non si ottiene molto. * - Elena Ribet: Vale la pena per le donne mettere al centro delle loro odierne battaglie la difesa della Costituzione? Quali sono i principi e gli articoli che le donne non devono consentire che siano modificati? - Anna Bravo: Io direi che la cosa importante riguardo alla Costituzione e' di prenderla in parola. Si parla di rimuovere gli ostacoli? Allora andiamo a vedere come vengono rimossi. Si parla di protezione del lavoro? Andiamo a vedere come viene protetto. Insomma, bisognerebbe comportarsi come se lo Stato fosse davvero preoccupato dei suoi cittadini, pronto ad aiutare, pronto a riconoscere diritti. Se consideriamo che tante cose sono cambiate e guardiamo all'aspetto propulsivo che hanno avuto certe leggi, non vedo altra strada se non essere ostinate e impegnare lo Stato con altrettanta fermezza sulle cose che dice e poi non fa. Io non vedo il bisogno di modificare gli articoli: la Costituzione e' il prodotto di un'epoca, e' un po' la nostra tavola della legge. Il problema e' di vedere dov'e' che non funzionano le cose, dov'e' che un determinato articolo non offre la via per arrivare dove vogliamo arrivare. Facciamo un esempio: se anche si togliesse la dizione riguardo all'essenziale "funzione familiare" della donna (art. 37, primo comma: "La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parita' di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione") riconoscendo che la donna ha tante altre funzioni, il punto e' un altro. Possiamo anche togliere o modificare quell'affermazione, ma l'importante sarebbe di fare in modo che questa funzione (cioe' quella familiare) fosse supportata, appoggiata, condivisa, e che non ci fossero piu' casi come quello della ragazza che ha detto "guadagno poco, devo abortire". Sarebbe importante che la societa' fosse accogliente. A questo punto non importa che rimangano degli articoli che magari a noi non piacciono: l'importante e' che si facciano leggi giuste e che si applichino. 3. MONDO. BOBBY GHOSH: STORIA DI HASNA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo del 22 giugno 2008 di Bobby Ghosh, apparso sulla rivista "Time" col titolo "La stupida donna ce l'ha fatta". Bobby Ghosh e' corrispondente dall'Iraq per "Time"] Nessuno ricorda che Hasna Maryi abbia mai aperto il Corano di famiglia. Raramente frequentava la moschea, e diceva ad altri che l'imam locale era lascivo. Percio' non e' stato l'estremismo religioso che ha condotto questa abitante di un villaggio della provincia di Anbar a farsi saltare in aria ad un checkpoint della polizia irachena. La religione puo' non essere stata la sua motivazione, pure Hasna e' stata una vittima volontaria dell'ultimissima tendenza della jihad, e cioe' l'uso delle donne sui fronti della "guerra santa". Sebbene meno di 30 su circa mille attentati suicidi commessi dalla fine ufficiale della guerra siano attribuibili a donne, ufficiali iracheni e statunitensi sostengono che i gruppi jihadisti stanno usando donne come bombe umane piu' di frequente, al fine di oltrepassare pesanti cordoni di sicurezza (che sono la strategia principale usata contro l'insorgenza). Domenica scorsa un'attentatrice suicida ha ucciso 16 persone e ne ha ferite almeno altre 35 a Baquba. Solo pochi giorni prima due uomini e quattro donne hanno fatto esplodere un'autobomba in un affollato mercato di Baghdad, uccidendo 63 persone. In ogni caso esaminato, le attentatrici sono riuscite a raggiungere il proprio bersaglio, nonostante i dispositivi multipli di sicurezza. In una cultura che proibisce ai poliziotti di sesso maschile di perquisire le donne, e che nel contempo resiste all'arruolamento di donne nelle forze di sicurezza, molte di esse arrivano facilmente ad obiettivi molto "appetibili", quali appunto i mercati o le centrali di polizia. Possono arrivare senza controlli dove nessun uomo oserebbe andare. Le bombe umane possono aver messo fine alla propria vita nello stesso modo, ma sarebbe sciocco tirare conclusioni sulle loro ragioni basandosi su una sola storia: pure, il modo in cui Hasna si e' fatta saltare in aria getta un po' di luce sul circolo vizioso della disperazione in cui alcune donne irachene si trovano. "Time" ha saputo della storia di Hasna da sua sorella Sadiya e dalla loro madre Shafiqa, che ora vivono nascoste in Siria (i nomi della suicida e dei suoi familiari sono stati cambiati a loro richiesta). Alcuni aspetti della storia sono impossibili da verificare, ma dettagli importanti combaciano con la versione fornitami dalla polizia irachena di Anbar. L'esercito Usa mi ha solo confermato che un'attentatrice suicida ha attaccato il checkpoint al chilometro 5 il 23 luglio 2007. Sadiya e Shafiqa hanno anche permesso a "Time" di visionare, ma non di copiare, due dvd dati loro da un combattente di Al-Qaida: uno e' l'ultima testimonianza di Hasna, l'altro e' la registrazione della sua missione suicida. Il quadro che ne emerge e' quello di una donna un tempo forte, condotta alla disperazione dalla sofferenza seguita alla morte del fratello, Thamer. Costui ando' volontario come bomba umana al principio del 2007 ed Hasna, che stravedeva per il fratello, lo aiuto' ossessivamente a prepararsi. Una mattina di febbraio Thamer fu condotto al checkpoint del chilometro 5 da alcuni altri jihadisti, ma una della cinture esplosive detono' prima del tempo, uccidendo tutti i presenti sull'automobile. Hasna sembro' impazzire: non perche' il fratello era morto, ma perche' non aveva completato la sua missione. "Era pronta a sapere della sua morte", dice Sadiya, "Ma l'idea che non sarebbe diventato un martire e' stato troppo, per lei". Hasna si chiuse in casa per una settimana, sino a che i vicini chiamarono Sadiya, certi che la sorella fosse morta. Buttarono giu' la porta e la trovarono, in stato semicomatoso e circondata da escrementi. Grazie alle cure di Sadiya, Hasna si rimise un po' in salute, ma continuava ad essere tormentata dalla vergogna per il fallimento di Thamer, a cui si riferiva come al "martirio incompleto". Non ci volle molto prima che arrivasse alla conclusione che l'unico modo per redimere il fratello era completarne la missione. Poco dopo, Hasna contatto' i compagni del fratello con una proposta. Se le fornivano una cintura esplosiva avrebbe fatto saltare in aria il chilometro 5 lei stessa. Il gruppo all'inizio era scettico. Non avevano mai lavorato con una donna, e si sentivano sicuri che ad un certo punto avrebbe perso il controllo. Ma Hasna li convinse con la sua insistenza, e cosi' la mandarono in Siria affinche' fosse addestrata da comandanti jihadisti esperti e fornita di una cintura esplosiva (la polizia irachena di Ramadi mi ha confermato che compi' diversi viaggi in Siria). La volta successiva in cui Sadiya vide la sorella, Hasna era resa frenetica dall'attesa. Le racconto' anche storie buffe sulle sue esperienze siriane. Le credenze religiose proibivano ai jihadisti di toccarla percio', disse, non avevano idea di come misurare la sua cintura. Hasna si offri' di dar loro un suo reggiseno, ma prima bisogno' consultare un imam per sapere se l'islam permetteva ad un uomo di toccare l'indumento intimo di una donna. Il mattino in cui si fece saltare in aria, nel luglio dell'anno scorso, vi erano in servizio quaranta poliziotti (tutti uomini) al checkpoint. Alle 9.30 una Opel chiara si arresto' a circa cento metri dal posto di blocco, ne lascio' uscire una passeggera e torno' indietro verso Ramadi. La donna era bassa e ben piantata, indossava una lunga veste nera (l'abaya) ed era velata. Mentre si avvicinava al checkpoint la donna sembro' inciampare nell'abaya, e cadde. Secondo i testimoni, chiamo' gli agenti: "Soccorretemi, mi sono ferita". Mentre due poliziotti si avvicinavano, la donna raggiunse il grilletto all'interno della tunica e la cintura esplose immediatamente, uccidendo i due agenti e ferendone seriamente un terzo. Una grossa palla di fuoco colpi' un'auto parcheggiata al checkpoint, e i cinque civili al suo interno ne risultarono gravemente ustionati. Una settimana dopo la morte di Hasna, Sadiya ricevette i due dvd. Dice che a stento riconosce come sua sorella la donna ripresa nel filmato: "E' Hasna, ma e' Hasna senza Thamer", spiega, "Quando lui mori', lei divenne meta' di se stessa, e nel video tu vedi solo meta' di lei". E' usuale per gli attentatori suicidi registrare un filmato come testamento, o "wasiyeh": di solito i filmati vengono postati sui siti web jihadisti. Vi si vedono gli attentatori, mascherati, che recitano il Corano, esaltano le virtu' del martirio e maledicono i loro nemici (tipicamente gli Usa) condannandoli all'inferno. Il wasiyeh di Hasna la mostra a volto scoperto, con i lunghi capelli scuri sciolti. Guarda diritto in camera da presa e parla in tono basso, monocorde. Sebbene non sembri consultare alcuna nota, il suo discorso dev'essere stato preparato: non fa mai una pausa per raccogliere i pensieri. Il monologo, lungo quindici minuti, parla solo del suo fratellino, di come fosse un bimbo obbediente, e di come crebbe sino a diventare un giovanotto rispettoso, uno che amava la sua famiglia e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per renderla felice. Hasna racconta aneddoti sulla bravura di Thamer a scuola, narra del suo talento nel disegnare, della sua abilita' nel riparare elettrodomestici. "Quando chiunque nel vicinato aveva un problema con il frigorifero o con la tv, veniva da mio fratello", dice Hasna, "Era cosi' contento quando riusciva ad aggiustare le cose". Non vi e' un solo riferimento religioso o politico nell'intero monologo, il che spiega come mai non sia stato postato sui siti jihadisti. Vi e' solo un fuggevole accenno alla presenza statunitense in Iraq. "Quando gli americani arrivarono per la prima volta nel nostro villaggio", racconta Hasna, "mio fratello fece un disegno dei loro mezzi e lo diede al loro comandante. Costui fu molto impressionato da quanto velocemente e accuratamente Thamer aveva disegnato l'immagine". Hasna conclude con una dichiarazione semplicissima: "Ora vado a raggiungerlo in paradiso". L'altro video, girato dagli uomini che la condussero al checkpoint, mostra Hasna che guarda impassibile dal finestrino sino a che l'auto non giunge in prossimita' del chilometro cinque. Allora si vela e sistema la cintura attorno alla vita prima di uscire. Uno degli uomini in macchina sussurra "Dio e' grande!". Lei non risponde, ne' si volta indietro. Mentre l'auto si allontana il video, girato attraverso il lunotto posteriore, la mostra mentre avanza verso il posto di blocco. Presto la sua figura viene inghiottita dalla polvere sollevata dall'automobile. Circa un minuto dopo si vede un lampo e una colonna di fumo nero. "Dio e' grande!", dice il cameraman, "La stupida donna ce l'ha fatta". 4. LIBRI. MARIA SERENA PALIERI INTERVISTA SIMONETTA AGNELLO HORNBY (2004) [Dal quotidiano "L'Unita'" del 6 settembre 2004 col titolo "Non chiamatela Gattoparda". Maria Serena Palieri (Roma, 1953) giornalista, dal 1979 scrive su "L'Unita'", attualmente lavora alle pagine culturali e si occupa di narrativa italiana e internazionale e mercato editoriale; ha collaborato con diverse testate, tra cui "l'Espresso" e "Marie Claire", e' stata consulente di Rai Educational e autrice-conduttrice per Radiodue; in campo editoriale lavora anche come editor e traduttrice dal francese; un suo libro-intervista con Domenico de Masi, Ozio creativo, sui tempi di vita, ha avuto quattro edizioni (Ediesse, Rizzoli) ed e' stato pubblicato in Brasile da Sextante. Simonetta Agnello Hornby e' nata a Palermo nel 1945 e vive dal 1972 a Londra dove svolge la professione di avvocato ed e' presidente del Tribunale di Special Educational Needs and Disability. Il suo studio legale nel quartiere di Brixton lavora per lo piu' con le comunita' nera e musulmana. Opere di Simonetta Agnello Hornby: La Mennulara, Feltrinelli, 2002; La zia marchesa, Feltrinelli, 2004; Boccamurata, Feltrinelli, 2007] "E' volgare come la Zia Marchesa. Cattiva come la Zia Marchesa. Si veste male come la Zia Marchesa. Rossa di capelli, brutta, come la Zia Marchesa": Simonetta Agnello Hornby spiega che il suo secondo romanzo, che s'intitola appunto La zia marchesa, e' nato dal desiderio di riscattare la figura di un'ava destinata, nei discorsi dei discendenti, a diventare la pietra di paragone per ogni nequizia. Divenuta, nel male, proverbiale, probabilmente a causa di un temperamento eccentrico. Visto che aveva gia' avuto la ventura di ispirare una novella di Luigi Pirandello, Tutte e tre: storia d'una signora che alleva come fosse suo il figlio di un'amante del marito e che, quando lui muore, invita la mantenuta in casa. "E' un racconto che, quando l'ho letto, non mi e' piaciuto, e' contro le donne", spiega. "In realta' non era, quello della mia ava, un gesto generoso?". Cosi', ecco il nuovo romanzo di questa avvocata agrigentina trapiantata da piu' di trent'anni in Inghilterra, che si e' scoperta scrittrice a cinquantasei anni e, con il primo titolo, La mennulara edito nel 2002 da Feltrinelli e arrivato alla sesta edizione, si e' piazzata per mesi - a sorpresa - in testa alla classifiche di vendita. L'esordiente, quando fa il botto, sa di dover aver paura della gran prova: l'opera seconda. La zia marchesa non deludera' chi ha letto con piacere La mennulara. Anzi, diciamo che, in questo caso, se l'opera prima era un romanzo originale ma sobrio, costruito con non frequente consapevolezza dei propri mezzi di esordiente, l'opera seconda cresce e si ramifica come un bell'albero poderoso. Simonetta Agnello Hornby, siciliana anglicizzata, torna nella sua isola. Dal paese immaginario di Roccacolomba, dov'era ambientata, negli anni Sessanta del Novecento, la vicenda della famiglia Alfallipe governata da quella enigmatica figura di serva ribattezzata la "mennulara" (la raccoglitrice di mandorle) eccoci, di nuovo, nell'Agrigentino, ma nella seconda meta' dell'Ottocento, in pieno passaggio dal regno borbonico all'unita' d'Italia. Di nuovo una serva, questa si chiama Amalia e ci racconta la storia dei baroni Safamita di Serentini e della bambina che ha tenuto a balia, Costanza, che sembrava destinata a pagare per tutta la vita la "bruttura" dei suoi capelli rossi, come segnale di una diversita' non redimibile. La lingua di Simonetta Agnello Hornby si apre poi qui, sontuosa, a tutte la sonorita' del dialetto siciliano. E la vicenda si dilata, tra l'Agrigentino e Palermo, a una coorte di personaggi: gli aristocratici con i lori servi e accanto i "burgisi", la nuova classe in attesa. In quei castelli, quei palazzi e quelle grotte si aggrovigliano destini: storie di ricchezze e di alcolismo, amori e incesti, devozioni e tradimenti. Si pensera': un feuilleton. No, questa scrittrice - figlia di famiglia aristocratica, i baroni Agnello, ma non esageratamente ricca, infanzia con istitutrice privata fino alle scuole medie, poi studi di diritto a Cambridge, matrimonio a Londra e un lavoro impegnato, importante, come avvocata dei minori, per lo piu' con le famiglie di immigrati, e come presidente del Tribunale di Special Educational Needs an Disability - taglia la vicenda intrecciando con sapienza stilistica piani narrativi imprevisti. E legge questi destini con occhio moderno, laico. * - Maria Serena Palieri: Lei sara' a Mantova, al Festivaletteratura. Alla vigilia, e' in Sicilia, con la sua famiglia. In quale situazione? - Simonetta Agnello Hornby: Sono a Mose', vicino ad Agrigento, con figli e nipoti. E' la casa di campagna dove mio padre mi portava da piccola ogni estate e dove mi rimproverava se non parlavo in siciliano con i figli dei contadini. Salvo, quando tornavamo in citta' a settembre, rimproverarmi se non parlavo in italiano. C'e' mia madre. Le ho dato il libro che mi e' appena arrivato. Mentre scrivevo questo romanzo mi diceva "a Costanza non puoi dare un raggio di sole?". Ma era un mondo intero di infelici, quello, a quell'epoca. E in fondo Costanza ha la capacita' di costruirsi, con gli anni, una serenita' a propria misura. * - Maria Serena Palieri: Erano infelici, i nobili come i servi, perche' schiavi delle consuetudini sociali? - Simonetta Agnello Hornby: Non potevano mai essere se stessi. L'infelicita' nasceva da quella durezza. * - Maria Serena Palieri: E' una fissita' di classi che lei ha sperimentato in prima persona? - Simonetta Agnello Hornby: No, poco, quello e' l'Ottocento. Quella che e' rimasta uguale e' la vita di campagna, come la descrivo nel romanzo. E ho vissuto, ma non in modo cosi' esasperato, quei rituali del lutto. Conosco, anche, due o tre persone che hanno avuto il matrimonio combinato. Una mia cugina di recente mi raccontava di una sua amica che s'era innamorata del figlio di un contadino, lui fu radiato dal paese, ando' al Nord e divento' medico, ma quando lei, alla morte della madre, e' tornata a casa, e' stata cacciata dai fratelli. Ancora nel 2004: una situazione inconcepibile. * - Maria Serena Palieri: Eppure, i tabu' si ripetono: non e' quello in cui incorre oggi chi si innamora dell'immigrato? - Simonetta Agnello Hornby: Si', e' come innamorarsi oggi di un tunisino. * - Maria Serena Palieri: Campeggia, nei suoi due libri, il rapporto ambiguo e potente che lega i padroni ai loro servi. Con un'eco di Losey: il servo che e' l'altra faccia del padrone e il custode dei suoi segreti. Perche' e' cosi' propensa a questo tema? - Simonetta Agnello Hornby: Nel nostro mondo era un rapporto comunissimo, quello con persone di servizio che, per generazioni, stavano dentro la famiglia, anche se a distanza. Erano famiglie parallele. Mia madre, ultima tra i suoi fratelli, e' stata la prima a essere allattata da sua madre: il baliatico e' finito con la seconda guerra mondiale. Era un rapporto difficile, sempre, ma con le sue norme non scritte. Funzionava ed era bello. E non era esattamente subalterno: il servo dice cose importanti ai suoi padroni, il padrone lo protegge. Specie nella piccola aristocrazia c'era questa consuetudine di vita in comune, in simbiosi. Nel suo essere un sistema sbagliato pure germinava forme d'affetto. * - Maria Serena Palieri: Sia la Mennulara, nel primo romanzo, che Amalia, in questo secondo, vengono pero' accusate dai parenti di essersi snaturate, di aver imparato a parlare come i padroni, in un modo incomprensibile ormai ai loro uguali. Questo e' bello? - Simonetta Agnello Hornby: No, questo e' terribile. Io, vede, l'ho visto succedere in tutt'altro luogo in questi anni: tra i giovani che lavorano a Londra nella City e che hanno accesso a ricchezze incredibili. Quando vanno in pensione, e ci vanno giovanissimi, non si ritrovano piu'. Erano abituati al lavoro sfrenato, a finire alle tre di notte e a ordinare a quell'ora la cena nel ristorante piu' fastoso. Dopo, devono misurarsi, e non ce la fanno. Mio figlio maggiore, ha trentacinque anni, lavorava alla City. Abbiamo dovuto ridimensionarlo. * - Maria Serena Palieri: Il suo primo romanzo si svolgeva nella Sicilia che assaggiava la modernita' del Cynar e degli sceneggiati in tv. Questo, in quella che passa dai Borbone ai Savoia. Che cosa le suggeriscono le epoche, come queste, di transizione? - Simonetta Agnello Hornby: Non lo sono tutte le epoche? Sono arrivata a questa conclusione pensando in quale ambientare La zia marchesa. Avrei potuto ambientarla a fine Settecento, mi sarebbe piaciuto, ed era un'epoca che fu un susseguirsi di rivoluzioni. Oppure a inizio Novecento, e sa che sconquasso dovette essere la prima guerra mondiale? In realta' questa, dopo la spedizione di Garibaldi, e' l'eta' piu' tranquilla. Si', c'e' la rivoluzione del '66, i fasci siciliani... * - Maria Serena Palieri: E' inevitabile pensare all'altro libro ambientato nella Sicilia di quegli anni, Il gattopardo. Ma anche a un altro romanzo, Il cigno, in cui Sebastiano Vassalli ha raccontato un omicidio mafioso-istituzionale che anche lei evoca, il delitto Notarbartolo. Qual e' il suo rapporto con questi antecedenti? - Simonetta Agnello Hornby: Vassalli non lo conosco, il libro non l'ho letto. Il gattopardo muove da un'altra prospettiva: l'alta aristocrazia e il rimpianto. Io, di rimpianto per quel mondo, non ne ho: come si fa ad averne? E il baronello Domenico Sefamita, il mio personaggio, assomiglia solo in apparenza al principe di Salina: il mio e' un uomo sensibile alle esigenze degli altri e alle donne, ha una tolleranza enorme, come marito, arriva a perdonare l'adulterio. Ha una sessualita' ambigua, poi, impensabile nella Sicilia di quegli anni. E la modernita' l'affronta con spirito fattivo, imprenditoriale. Il gattopardo e', mi sembra, un libro contemplativo. * - Maria Serena Palieri: Il baronello fa pero' un matrimonio dal sapore d'incesto: sposa la figlia di suo fratello. E' un segno di decadenza? - Simonetta Agnello Hornby: Sa che io ho annesso sapore d'incesto a questo matrimonio, solo parlandone con i miei amici inglesi? Conosco tanti zii, in Sicilia, che hanno sposato le loro nipoti: figli minori di famiglie numerose che hanno sposato la figlia del fratello maggiore, quasi un coetanea. * - Maria Serena Palieri: Vuol dire che la sorpresa antropologica e' inutile cercarla lontano, ce la ritroviamo in casa? - Simonetta Agnello Hornby: Si'. * - Maria Serena Palieri: In questo romanzo la modernita' che arriva, sembra legata implacabilmente alla mafia e alla sua crescita. - Simonetta Agnello Hornby: E questo e' sconvolgente. Nel fare le ricerche ho capito che tutto quello che e' successo in Sicilia negli ultimi vent'anni era gia' successo negli anni Settanta e Ottanta dell'Ottocento: il racket, la gente onesta che se ne andava, le commissioni parlamentari d'inchiesta e le leggi a favore dei mafiosi. Tutto e' fiorito con l'unita' d'Italia. E niente e' cambiato. * - Maria Serena Palieri: Davvero lei e' esplosa come scrittrice oltre i cinquant'anni? Davvero prima non scriveva? - Simonetta Agnello Hornby: Scrivevo solo come avvocato. La maggior parte dei miei clienti sono accusati di aver trascurato i figli e io dovevo scrivere le loro storie, cercando di dimostrare il perche' e, se e' cosi', che sono disposti a cambiare. * - Maria Serena Palieri: Ora invece la sua vita e' invasa dalla scrittura? - Simonetta Agnello Hornby: Dal 2000 mi ha scompigliato tutti i piani. Procedevo bene con i miei tre lavori, di avvocato, di bannister e di giudice, coi miei tre nipoti e il prossimo in arrivo. Avevo in mente una ricerca sul diritto di famiglia islamico, dopo quella che abbiamo gia' realizzato col mio studio sul diritto caraibico. Perche' i miei clienti hanno bisogno di sentire che quando mi parlano io li capisco. Qualcosa dovro' lasciare. * E, Simonetta Agnello Hornby lo dice, non sara' la scrittura. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 500 del 28 giugno 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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