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Nonviolenza. Femminile plurale. 191
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 191
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 26 Jun 2008 12:45:01 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 191 del 26 giugno 2008 In questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Streghe 2. Elena Loewenthal: Hannah Arendt 1. RIFLESSIONE. MARIA G. DI RIENZO: STREGHE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione il seguente testo, traccia della conferenza su "La strega come mito" tenuta il 5 giugno 2008 a Bologna nell'ambito del ciclo di conferenze "Cosa resta delle streghe oggi" organizzato dall'associazione "Armonie". Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Con Michele Boato e Mao Valpiana ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" da cui e' scaturita l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81] Da dove viene la strega come mito? La storia delle streghe, l'evidenza storica, vi e' stata un po' raccontata negli incontri precedenti e comunque e' possibile oggi trovare saggi, ricerche, numeri e nomi, per cui sappiamo ad esempio che la "strega" come figura non nasce con la sua condanna e persecuzione da parte delle chiese cattolica e protestante, sebbene i "tempi dei roghi" siano senz'altro la manifestazione piu' eclatante e crudele dell'odio per le streghe. * In epoca romana vi e' gia' una legislazione che si occupa di stregoneria su tutto il territorio dell'impero. Frequenti sono le menzioni nei testi latini delle maghe o streghe di Tessaglia, quelle donne capaci di "tirar giu' la luna" dal cielo con i loro incantesimi. Nel 200 a.C. abbiamo la prima caccia "di massa" alle streghe, qualcosa che costera' alla fine circa 7.000 vite umane. Quasi tutti gli elementi della successiva caccia alle streghe europea sono presenti in questa storia: raduni segreti notturni; diretti da donne; che iniziano i loro figli al culto; durante riti estatici che comprendono orge e sacrifici umani ecc. Manca il diavolo, questo lo aggiungeranno i padri della chiesa. Sappiamo anche che l'identificazione della donna con la natura e dell'uomo con un cielo trascendente, frutto dell'impianto patriarcale, ha condotto alla demonizzazione di ogni aspetto del femminile: nel XVI secolo, uno dei piu' brutti quanto a persecuzione delle streghe, questa cosa si traduceva con la convinzione che la donna fosse in se' "disordinata" a priori, non raffinata come l'uomo, non "finita" come essere umano, tant'e' che fino al XIX secolo in Europa, e ancora oggi in altri luoghi, le donne vengono assimilate legalmente ai minorenni. Sono sotto tutela, sostanzialmente, perche' non sono in grado di "svilupparsi" sino ad essere davvero degli esseri umani. La questione non cambia, e per certi aspetti addirittura peggiora, con la "rivoluzione scientifica" del XVII e XVIII secolo, in cui il mondo naturale viene oggettificato allo scopo di essere controllato. In questo quadro, che vede la nascita della moderna classe medica, totalmente maschile, le guaritrici e le levatrici, come vi e' gia' stato raccontato, sono il nemico principale, sono le streghe da annullare. Perche' la natura e' matrigna, cela i suoi segreti e deve essere violata e torturata affinche' li ceda ai cercatori. La donna, associata alla natura, e' intrinsecamente cattiva, e qui pensiero religioso e pensiero cosiddetto scientifico si sono dati la mano per molti anni, e in alcuni casi lo fanno ancora. Alcune branche della psicologia tuttora in voga, e che sono poi quelle che vengono volgarizzate piu' di frequente, sostengono in pratica la stessa divisione di cui parlavo prima: una donna/corpo ed un uomo/pensiero, una donna che e' caotica e pulsionale, pericolosissima comunque perche' tutti i problemi dei figli, soprattutto dei figli maschi, vengono fatti ricadere sul comportamento della madre. Leggendo questi psicologi (che io trovo abbiamo molto di psico - nel senso del notorio film, "Psycho" - e molto poco di logico) non c'e' modo di trovare un comportamento corretto, o meno pericoloso, che un'aspirante madre possa seguire, perche' ad ogni modo essendo "male" la donna in se', non potra' che fare del male. * La figurina della brutta vecchia con il cappello a punta, che cavalca una scopa solcando i cieli notturni, che nelle fiabe avvelena principesse, che non e' mai madre ma sempre matrigna (quindi una madre cattiva per antonomasia), e' il mito quale lo conosciamo oggi. Perpetuiamo addirittura in varie parti d'Italia, seppure solo in modo simbolico, la morte per fuoco di questo maligno personaggio, bruciando fantocci a forma di vecchia donna il 6 gennaio. Ma tanto per cominciare a districare questa matassa dovremmo chiederci: che cos'e' un mito? Che influenza ha sui modi in cui noi abbiamo relazioni o leggiamo la realta'? Un mito potrebbe essere definito come una storia di cui sappiamo di aver sentito parlare, di cui conosciamo qualche elemento o interamente la vicenda, ma senza che sia necessario averla letta da qualche parte o che qualcuno ce l'abbia raccontata a scuola: perche' e' intessuta nella nostra cultura e parla di questioni che potremmo dire "fondamentali" per gli esseri umani. Gli elementi che compongono il mito sono percepiti come eterni e li pensiamo con la maiuscola: sono l'amore, la morte, la vita, il sacro eccetera eccetera. I miti ci forniscono un intero repertorio di intrecci e temi letterari, ma piu' di tutto ci forniscono un'interpretazione del nostro retaggio, del nostro "background", che condiziona il modo in cui pensiamo a noi stessi. I miti sono usati dai politici, dagli psichiatri e dagli artisti, solo per citare alcune categorie, al fine di dirci chi siamo e da dove veniamo. Ogni mito e' stato ovviamente costruito, non si e' generato da solo, pure la sua struttura si presenta come se fosse nato da se stesso, senza intervento umano, e percio' viene inteso come intrinsecamente "oggettivo": in effetti spiega perche' gli uomini e le donne fanno certe cose e chi sono, che rapporto hanno con il trascendente, come dovrebbero comportarsi, e cosi' via. E se non siamo in grado di tracciarne l'origine con certezza, e questo e' il dato di fatto della maggior parte dei miti, ci culliamo nella convinzione che questa storia sia nata da se' agli albori del tempo e che sia rimasta intatta sino ad oggi. * Invece, come ogni prodotto umano, e cioe' come ogni prodotto di un essere che si trasforma e muta incessantemente, i miti si evolvono, crescono, si arricchiscono, decadono, scompaiono e vengono sostituiti da altri, e cosi' via. In sintesi, rappresentano l'immaginario collettivo di una data cultura, in quel dato momento, a causa del tal fatto e del tal altro che sono accaduti, e del modo in cui si e' scelto di interpretare questi fatti. Molte delle cose che noi diamo per scontate, in cui crediamo, e che presentiamo come "fatti oggettivi" hanno un sostrato mitologico, e questo e' un livello talmente importante per la nostra mappa cognitiva che alcuni tentano di intervenirvi scientemente, creando nuove figure mitiche, nuove storie, che facciano da bussola per il tempo presente. Naturalmente non sempre ci si riesce. Nei miti che conosciamo, spesso il male e' chiaramente riconoscibile e, come il bene, non presenta sfumature. La strega maligna basta guardarla in faccia: ha il naso extralungo e i porri e i peli e un dente ogni tre. Potrebbe essere buona, una creatura del genere? Cosi' basta che l'eroe la uccida, e il male e' cancellato dalla terra. Questo mito sussiste ancora: se la scuola lombrosiana (il dedurre la moralita' di una persona dai suoi tratti facciali, in sostanza) non informa piu' i criminologi attuali in modo pesante come in passato, pure ha lasciato le sue tracce. Quando un partito al potere, o un gruppo economico di potere, ha deciso chi sono i nemici, uno dei primi servizi che chiede ai media e' di presentarli come "brutti", disgustosi, sporchi, di modo che chi guarda le immagini possa identificarli immediatamente come cattivi. Dicevo che non sempre il tentativo raggiunge un risultato perche' i problemi che abbiamo di fronte come umanita', oggi, sono decisamente complessi; non che quelli del passato non lo fossero, la differenza sta nel fatto che siamo sempre piu' consci di questa complessita'. Cosi', ridurre all'eterna lotta dualistica tra dio e satana, tra bene e male, la moria per fame nel Corno d'Africa, la schiavitu' infantile nei laboratori filippini, la lotta fra gerarchi della droga in Colombia, la distruzione della fascia d'ozono, il femminicidio in corso su tutto il pianeta, la desertificazione delle foreste pluviali... e cioe' tirar fuori un archetipo mitologico, un eroe, che con un colpo di spada metta a posto tutto questo e' abbastanza difficile. * Dunque, tornando al tema principale, per antonomasia la strega del mito moderno e' brutta. Poi, naturalmente, e' anche vecchia (quasi sempre) da quando l'essere anziana, per una donna, ha perduto ogni tratto di reverenza e potere nella societa'. Le sagge sono divenute saccenti e petulanti; la conoscenza da loro custodita, frutto dell'esperienza e dell'eta', si e' mutata in un mucchio di stupide superstizioni. Non e' solo propaganda, sapete. Solo per fare un esempio, la caccia alle streghe in Europa distrusse praticamente tutto il sapere erboristico occidentale. L'erboristeria occidentale moderna ha dovuto ricostruirsi in base a quella orientale che non era andata perduta. Se poi sapete qualcosa della spiritualita' o religiosita' preistorica vi accorgete subito che dei tre aspetti del ciclo femminile (fanciulla, madre e anziana) i primi due furono incorporati e addomesticati prima dalla cultura greco-romana e poi da quella cattolica, ma il terzo archetipo resto' sempre fuori dalla domesticazione: una vecchia non era appetibile sessualmente, o lo era comunque meno; non poteva piu' fornire figli per la guerra e figlie per il commercio/scambio fra uomini, e magari una volta vedova pretendeva di gestire le risorse ereditate, invece di farne spontaneamente dono ai parenti di sesso maschile e morire gentilmente di fame prima che l'eta' facesse il suo corso normale. E', quest'ultimo punto, il problema che hanno molte delle odierne accusate di stregoneria: perche' se non ne siete a conoscenza ve lo racconto io, ma le streghe sono ancora cacciate e assassinate. In parecchie zone dell'India le vedove vengono accusate di essere streghe, torturate e uccise nei villaggi, di modo che i parenti possano prendersi la loro terra e i loro armenti. In Arabia Saudita esiste ancora il reato penale di stregoneria. In questi giorni pende la condanna a morte su una donna saudita accusata di aver reso impotente il vicino di casa con i suoi incantesimi. La sessualita' associata all'eta' anziana e' qualcosa che e' stato reso ridicolo, improprio, sconveniente da molti e molti anni: per il semplice fatto che il patriarcato associa, per la donna, la sessualita' alla fertilita'. Se non puoi piu' mettere al mondo bambini non c'e' ragione che tu faccia sesso. Come si traduce questa parte del mito nella vita quotidiana? Be', per esempio nelle scelte che i medici fanno rispetto alla chirurgia pelvica. Se una donna deve essere sottoposta, per qualsiasi ragione relativa alla sua salute, all'isterectomia, il chirurgo difficilmente tiene conto della conformazione della clitoride (il cui tessuto circonda l'uretra per tre lati) e taglia via tutto allegramente: le conseguenze sono l'incontinenza urinaria e il calo del desiderio sessuale. Ma che gliene frega, al chirurgo? Se la donna non ha piu' l'utero non puo' fare figli, e quindi, non deve fare sesso. Che si metta i pannoloni e ringrazi dio di essere ancora viva. Brutta, vecchia, inutile agli uomini, e lasciva e invidiosa perche' vecchia e brutta e inutile, ecco che la costruzione della strega come mito comincia a delinearsi. Ma abbiamo ancora due elementi da esaminare nella sua iconografia, e sono elementi che hanno piu' storia di quel che appare. Si tratta del cappello a punta e della scopa. * Se mai vi venisse voglia di venirmi a trovare a Treviso, in Veneto, fate una deviazione e passate dal museo di una piccola cittadina nel padovano, che si chiama Este. Non si chiama Este per caso, il nome glielo diedero i romani quando conquistarono il territorio e fecero dell'insediamento una loro colonia, e glielo diedero in onore di una dea: Hestia, o Vesta che dir si voglia. La Hestia greca e la Vesta romana hanno caratteri similari e differenze (Hestia e' - in sintesi - un po' piu' potente della sua versione latina), ma comunque questa decisione, dare il nome della dea alla citta', deriva da quell'attitudine nota come "interpretatio" romana. I romani arrivavano in un luogo, combattevano contro i residenti, li annettevano, e davano uno sguardo alle loro divinita', perche' non volevano assolutamente inimicarsele. Percio' osservavano, per dire, i tratti di un Odino e concludevano: Si', brandisce i fulmini, e' il capo di un pantheon, quindi Odino dev'essere il nome che loro danno a Giove, rimettiamogli in piedi il tempio, e consideriamola "religio licita". Ad Este non trovarono Odino, ma una dea che per i suoi tratti sembro' loro una versione di Hestia/Vesta. Purtroppo non c'e' nessuno che abbia approfondito le ricerche sul materiale che e' stato ritrovato, e líunica narrazione disponibile elaborata in base ad esso, almeno fino a un paio d'anni fa (ma non credo la situazione sia cambiata), sta in un fascicoletto e in un filmato prodotti ad uso delle scuole in modo abbastanza superficiale. Quindi nessuno ha fatto caso al cappello di questa dea, il cui vero nome sembra significasse "terra". Voi entrate al museo, guardate le figurine, decine e decine, in metallo e pietra, e non c'e' una sola immagine della dea priva del cappello a punta delle streghe. La postura e la veste ricordano la dea di Creta: le braccia sono tese come se reggessero strumenti, o i serpenti (e in alcuni casi vedrete i fori nelle mani, ma purtroppo i piccoli attrezzi erano evidentemente piu' fragili e sono andati perduti), e la veste ha un corpetto attillato e una gonna a balza. Le genti di Este avevano una scrittura, del tipo bustrofedico, e vi sono frammenti anche di quella, ma non mi risulta che sia stata tradotta in modo soddisfacente. Restano, in maggior misura, le iscrizioni latine: i romani non imponevano dei, ma la lingua si'. Resta anche il frammento di un tempio: e' un blocco di pietra in cui sono stati scavati fori. In quei fori, si inserivano chiodi con su inciso preghiere e ringraziamenti alla dea, tipo ex voto. Come ho detto, i chiodi che portano le iscrizioni originali sono meno, e non sappiamo esattamente cosa vi sia scritto. Pero' quando gli abitanti cominciarono ad usare il latino per le loro devozioni ci fornirono una chiave che siamo in grado di usare. E qui io mi sono stupita di nuovo, perche' nessuno ha notato neppure che tutti i messaggi inviati "via chiodo" alla dea, almeno quelli che ci sono pervenuti e che io ho visto, sono firmati da donne. La tal tizia chiede guarigione per la sua amica. La tal altra invoca che il viaggio del figlio vada a buon fine. Un'altra ancora ringrazia perche' le e' nata una bimba, o perche' suo marito ha avuto fortuna, e cosi' via. Ora, avere una dea non significa necessariamente che le donne vengono rispettate e godono di uno status egualitario. La mitologia greca e' un buon esempio, avendo sconciato e ridotto a ochette gelose o figlie di solo padre dee ben piu' antiche della civilta' greca, mentre le donne non e' che godessero ampi diritti nella cosiddetta culla della democrazia. Neppure il fatto che ad Este sembrano essere state solo donne, o in maggioranza donne, a svolgere la funzione di messaggere nello scambio con la divinita' puo' voler dire che nel resto della loro giornata fossero onorate, o che poi potessero ereditare i beni della famiglia in condizioni di parita' con i parenti di sesso maschile. Non lo sappiamo. Di cio' che era prima della romanizzazione dell'area abbiamo troppo poco per fare deduzioni attendibili. Che tipo di mentalita', che tipo di concezione del sacro puo' elaborare la faccenda dei chiodi? A prima vista pare solo una curiosa stramberia. Ma se si considera cos'e' il chiodo simbolicamente, e cioe' una delle antiche raffigurazioni dell'asse cosmico, dell'albero cosmico primordiale, la cosa comincia a diventare piu' intrigante. L'albero cosmico ha radici che affondano nell'oltretomba, il suo tronco attraversa verticalmente acqua e terra, ed i suoi rami sono il cielo: cosi' i tre regni sono uniti dalla sua presenza. E usare qualcosa che lo rappresenta e' il sistema per assicurarsi che il messaggio attraversi i tre regni, sia "sentito" dalla dea che li abita tutti. Sara' utile sapere che molte culture hanno identificato l'albero cosmico con il frassino, e su questo tornero' fra poco, quando arriveremo a parlare della scopa delle streghe. Naturalmente dei buchi e dei chiodi si puo' dare un'interpretazione semplicistica, nello stile voyeristico che in ogni cavita', ed ogni attrezzo che in essa venga posto, vede una mimesi del coito, pero' il fatto che la nostra societa' sia ossessionata dal sesso non significa che lo siano state tutte quelle che la hanno preceduta. Ma senza "piantarvi un chiodo", quel che mi premeva raccontarvi era che in Italia avevamo una dea con in testa l'alto cappello a punta della strega. Su alcune lampade votive etrusche sono stati incisi disegni che raffigurano una donna con cappello a punta, a cavallo di una scopa. Anche degli etruschi sappiamo troppo poco per dire chi fosse, cosa rappresentasse, ma vedete, a cercare cappello e scopa stiamo andando sempre piu' indietro. * E allora vi devo parlare della raffigurazione piu' antica che abbiamo di questo copricapo. Ha oltre 4.300 anni, ed e' un sigillo, un disco di alabastro traslucido, che raffigura una grande sacerdotessa mentre celebra una cerimonia. Un sigillo che ritrae una donna della cui esistenza storica non vi sono dubbi, ed e' la donna che conosciamo come il primo poeta della storia umana. Uso il maschile come generico, anche se di solito non ritengo corretto farlo, perche' sia chiaro che non e' la prima donna che scrive poesia, ma il primo essere umano che scrive poesia di cui abbiamo conoscenza certa. Puo' darsi che prima di lei abbiano composto versi altre donne, o altri uomini, ma non abbiamo evidenza di questo. Percio' il primo poeta noto della storia umana e' una donna, ed ha un nome ed una storia. Il suo nome era Enheduanna. Era la figlia di un sovrano, Sargon di Akkad, il re-guerriero che unifico' le regioni babilonesi e stabili' la propria dinastia. Enheduanna era alta sacerdotessa del dio lunare Nanna: si trattava di una posizione di enorme prestigio, perche' solo tramite l'auspicio dell'alta sacerdotessa un re otteneva la legittimazione a regnare: e qui si capisce che dev'esserci stato un inciucio babilonese, perche' e' assai probabile che la figlia non delegittimi il padre... Quando noi pensiamo a un tempio, pensiamo automaticamente ad una chiesa o a un convento moderni (perche' sono le esperienze piu' simili che la nostra mappa cognitiva e' in grado di trovare) e quindi di una sacerdotessa pensiamo che offici riti, che canti litanie, che preghi e basta. I templi babilonesi erano qualcosa di diverso: innanzitutto erano significativi economicamente e politicamente. Quello che Enheduanna dirige ha circa 250 lavoratori, produce vasellame e cura del bestiame. Un altro compito dei sacerdoti e delle sacerdotesse del tempio lunare e' stabilire il calendario basato sull'osservazione delle fasi lunari e delle stelle: in base al calendario si pianta e si semina, si miete, si favorisce un'attivita' economica piuttosto che un'altra, si commercia oppure no, si fa la guerra oppure no. Quindi Enheduanna e' anche la prima astronoma di cui conosciamo il nome. Ancora oggi noi calcoliamo il passaggio delle stagioni, la pasqua, eccetera, sulla base del suo calendario. Nel 2300 avanti Cristo, quindi, c'e' questa donna che svolge una funzione essenziale all'esistenza della societa' in cui vive, e tale funzione e' simboleggiata dal suo cappello conico. Che e' segno di autorita' e di liberta', di potere e sapienza, che in tutta la regione viene portato dai sovrani: poiche' copre la testa, simbolicamente contiene il pensiero. Ma perche' e' fatto a cono e non, che ne so, a palla, quadrato, tricorno? Perche' il cono e' stato emblema e attributo di dei e dee quali Dioniso, Bacco, Sabazio, Serapide, Cibele, dell'Astarte di Biblo e dell'Artemide della Panfilia? Perche' un cono bianco era sacro ad Afrodite? Perche' il cono e' il modo fisico piu' semplice in cui possiamo raffigurare concretamente il vortice, la spirale, la grande forza generativa e creativa dell'universo che sta alla base di tutte le cosmogonie che siamo arrivati a conoscere e a scandagliare. Le streghe moderne lo ricordano. La danza a spirale, e la creazione del "cono d'energia" durante i rituali, condividono lo stesso significato del cappello a punta. * Cerco di concludere velocemente, perche' non vorrei "sforare" con il tempo a disposizione, e poi farvi addormentare sulle sedie non mi darebbe un buon punteggio nel curriculum da strega. Il simbolismo della scopa non e' arduo da individuare: e' stata usata, e lo e' ancora, in tutto il mondo, come attrezzo per la purificazione delle aree rituali, come sistema per "spazzare via il male". Il rovesciamento che il mito odierno della strega cattiva ne fa e' altrettanto evidente. Quando molte antiche tradizioni relative alla scopa sparirono, per le ragioni che sappiamo, la scopa non perse immediatamente il suo simbolismo divinatorio e fu associata alle "nozze sacre", perche' si poteva vederla composta da due elementi e identificarli come maschile e femminile: il bastone vero e proprio e il fascio di rametti ad esso legato. E questa e' la ragione per cui in alcune culture e periodi storici si saltava la scopa per sposarsi, oppure si danzava con la scopa durante i matrimoni (a noi questo e' rimasto come gioco di societa', privo ovviamente di tutti i rimandi simbolici). Numerosi autori, antichi e moderni, ritengono che la scopa tradizionale delle streghe occidentali sia composta da un asse di frassino e da rametti di betulla e salice. Vi ricordate, credo, che nelle fiabe e nei fumetti per uccidere un vampiro o un licantropo ci vuole un paletto di frassino, pero' forse fino ad ora non sapevate perche'. Il frassino in occidente, e altri alberi simili in zone diverse, e' il simbolo dell'asse cosmico, la spina dorsale dell'universo. E' alto, le sue foglie toccano il cielo, e ha radici che si estendono a largo raggio, il che fa si' che debba crescere con dello spazio intorno, e tali fattori possono aver diretto l'immaginazione dei nostri antenati ad identificarlo con l'albero primordiale. Diverse tradizioni sciamaniche intendono il viaggio fuori dal corpo, nel regno dell'oltretomba e in quello dello spirito, come un viaggio lungo l'albero cosmico, e percio' una scopa con il manico di frassino e' semplicemente l'attrezzo giusto per volare in altri mondi. E se qui c'e' qualche fan de Il signore degli anelli, probabilmente rammentera' che il bastone magico dello stregone Gandalf e' di frassino. Alcuni inquisitori, durante il "tempo dei roghi", sospettarono che il manico della scopa fosse un modo per camuffare la bacchetta magica delle streghe, e che nei rametti esse nascondessero erbe velenose e proibite, e cosi' via. Non erano nemmeno lontanissimi dalla verita', nella loro fantasia malata, perche' comunque frassino, betulla e salice hanno tutti usi medicinali, curativi. * Allora, per chiudere il cerchio tornerei all'immagine iniziale. Di tutto quel che vi ho detto a noi resta una brutta vecchiaccia a cavallo di una scopa, che pero' il 6 gennaio scende dai camini a portare dolci e frutta, o carbone, ai bambini. La chiamiamo Befana, e se vogliamo insultare qualcuna che riteniamo poco attraente o petulante, le diamo della Befana. L'abbiamo separata dalle sue due sorelle, perche' in origine la Befana fa parte della triade delle Parche romane, le Morae, le tre filatrici delle nostre vite, una versione dell'originaria triade divina femminile. Costoro erano Befana, Marantega e Rododesa. Marantega sopravvive solo come insulto in Veneto: dare ad una donna della "marantega" significa darle piu' o meno della vecchia rognosa. Cosa vuol dire "marantega"? E' una contrazione di "mater antiga", ovvero antica madre, vecchia madre. Rododesa e' scomparsa del tutto: non mi sorprende, a livello linguistico, perche' e' difficile tramutare in insulto una parola che si puo' tradurre come "dea delle rose". Befana e' una derivazione di ceppo celtico, e significa sia "triade divina" sia "che incanta tramite la parola". Guardiamola un po' meglio, seriamente, la donna a cavallo della scopa. E' anziana e sapiente, porta un copricapo che denota il suo alto status, maneggia la possibilita' di viaggiare in altri stadi di coscienza, di spazzare via il male, di guarire. Il suo sapere affonda in tempi remoti e in un divino femminile, e parla di trasmissione di conoscenza al femminile. Chiudo con una battuta: io non oso credere che potrei diventare una completa Befana, qualcuno che davvero "incanta tramite la parola", pero', visto che le parole sono il mio mestiere, ci spero. 2. MEMORIA. ELENA LOEWENTHAL: HANNAH ARENDT [Dal supplemento librario "Tuttolibri" del quotidiano "La stampa" del 23 settembre 2006, col titolo "Arendt, un'ebrea che sa perdonare". Elena Loewenthal, limpida saggista e fine narratrice, acuta studiosa; nata a Torino nel 1960, lavora da anni sui testi della tradizione ebraica e traduce letteratura d'Israele, attivita' che le sono valse nel 1999 un premio speciale da parte del Ministero dei beni culturali; collabora a "La stampa" e a "Tuttolibri"; sovente i suoi scritti ti commuovono per il nitore e il rigore, ma anche la tenerezza e l'amista' di cui sono impastati, e fragranti e nutrienti ti vengono incontro. Nel 1997 e' stata insignita altresi' del premio Andersen per un suo libro per ragazzi. Tra le opere di Elena Loewenthal: segnaliamo particolarmente Gli ebrei questi sconosciuti, Baldini & Castoldi, Milano 1996, 2002; L'Ebraismo spiegato ai miei figli, Bompiani, Milano 2002; Lettera agli amici non ebrei, Bompiani, Milano 2003; Eva e le altre. Letture bibliche al femminile, Bompiani, Milano 2005; con Giulio Busi ha curato Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo, Einaudi, Torino 1995, 1999; per Adelphi sta curando l'edizione italiana dei sette volumi de Le leggende degli ebrei, di Louis Ginzberg. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano 2006; i recentemente pubblicati Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Anche e soprattutto le contraddizioni rendono grande la figura di Hannah Arendt. Nata ad Hannover il 14 ottobre 1906, cresciuta intellettualmente con Husserl, Jaspers e Heidegger, emigro' prima in Francia e poi definitivamente negli Stati Uniti: quest'anno compirebbe cent'anni. Tale distanza mette in moto quel metronomo che segna la Storia con la maiuscola, impone un confronto con la sua esperienza. Non che sia una comoda soluzione per risolvere i problemi dell'oggi, questo confronto: e' piuttosto una lezione complessa, su cui riflettere senza lesinare le energie spirituali apportate dal futuro che lei non ha fatto in tempo a conoscere. Cominciando proprio da quelle specie di contraddizioni - o forse sono "soltanto" arditi accostamenti - che la contraddistinguono. Hannah Arendt scrisse molto - testi, saggi, critiche d'occasione - ma con un sorriso ironico spiega a Guenter Gaus che "se avessi avuto in dono una memoria cosi' prodigiosa da conservare davvero tutto cio' che penso, dubito fortemente che avrei scritto alcunche' - conosco la mia pigrizia". Il suo e' un pensiero essenzialmente politico, nel senso originario e alto della parola: si occupa della polis, cioe' del vivere insieme. Della natura sociale dell'uomo, con il potenziale catastrofico che essa implica. Eppure, quasi tutta la produzione intellettuale di Hannah Arendt e' dettata dalla sua esperienza individuale, da cio' che ha vissuto in prima persona: "Per esempio, da bambina... sapevo di avere delle fattezze ebraiche, di essere diversa dagli altri bambini. E ne ero pienamente consapevole, ma non nel senso che mi sentissi inferiore: semplicemente le cose stavano cosi'". Anche addentrandosi nel suo pensiero spicca la coabitazione di "richiami" molto diversi, che sono proprio la chiave della sua originalita'. Hannah Arendt e' stata la grande esploratrice del fenomeno del totalitarismo. La sua indagine nell'oggetto uomo ruota intorno al mistero politico e sociale della sopraffazione. E', per l'appunto, un'indagine radicalmente politica: dove pero' insieme al "comprendere" c'e' sempre una misura di stupore. Di sbigottimento. E' permeata, questa ricerca, da una combinazione di "responsabilita' e passione, di lucidita' e partecipazione". "Biograficamente, l'Olocausto, le notizie sulla soluzione finale e sui campi di concentramento nazista rappresentarono un vero e proprio trauma emotivo e cognitivo per Hannah Arendt, 'qualcosa con cui era impossibile venire a patti'. Questo fatto puo' aiutarci a comprendere il pathos 'essenzialista' che caratterizza l'interpretazione arendtiana del totalitarismo, l'insistenza, cioe', sul carattere di novita' assoluta e unicita' del fenomeno totalitario", scrive Paolo Costa in prefazione all'Antologia che Feltrinelli manda in libreria in questi tempi di anniversario (mentre Bruno Mondadori ripropone il saggio di Simona Forti, Hannah Arendt tra filosofia e politica, e Fazi annuncia gli scritti di Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt. Esistenza e liberta', autenticita' e politica). Proprio all'indomani della guerra in Europa, mentre le notizie sulla catastrofe da vaghe ombre si tramutavano in certezze inequivocabili, risale la conoscenza fra Hannah Arendt e Hermann Broch: siamo nel 1946. Lui e' uno scrittore affermato nonche' formidabile tombeur de femmes, lei ha vent'anni esatti meno di lui. Ma non era ammissibile che la loro relazione restasse entro i confini dei ruoli tradizionali: divento' invece un sodalizio segnato da cauta, ironica distanza - usarono sempre il "lei" per dialogare. Ne e' testimone un nutrito carteggio lungo cinque anni - fino al 1951, appena prima della morte di lui - che l'editore Marietti pubblica ora in traduzione italiana (con vari materiali in appendice), a cura di Roberto Rizzo. Iniziando il carteggio, Hannah Arendt sapeva "benissimo a cosa andava incontro": entrava nella zona di seduzione di Broch, mera propedeutica all'abbraccio. Eppure queste lettere sono sempre prova di un magistrale equilibrio che non esclude affatto una reciproca confidenza ai limiti della complicita'. Arendt giudica i libri di Broch, in particolare La morte di Virgilio, ne suscita reazioni e considerazioni, il tutto sospeso in uno spazio autonomo che sembra escludere ogni altro membro della loro vivace comunita' sociale. Il senso di appartenenza - al mondo ebraico, alla comunita' degli esuli, alle menti pensanti - e' sempre mitigato, se non negato, da Arendt. "Non ho mai cercato appartenenza, nemmeno in Germania". E questa e' la chiave per leggere i saggi raccolti da La Giuntina sotto il titolo Hannah Arendt. Percorsi di ricerca tra passato e futuro. 1975-2005. Con una eccezione di cui la pensatrice parla spesso e volentieri a dispetto del carico di sofferenza che comporta: il suo rapporto con la lingua tedesca. Mai rinnegata, come comprensibilmente fecero molti esuli. Anzi: "Mi sono sempre deliberatamente rifiutata di perdere la mia lingua madre. Ho sempre mantenuto una certa distanza rispetto al francese, che un tempo parlavo molto bene, come pure rispetto all'inglese, la lingua in cui scrivo oggi... In tedesco mi permetto delle cose che non oserei mai fare in inglese... la lingua tedesca e' la cosa essenziale che e' rimasta e che ho sempre volutamente conservato", racconta a Gaus nella bella intervista che apre l'antologia di Feltrinelli. Il suo rapporto con la lingua madre risente presumibilmente dei tre cardini "metodologici" del suo pensiero: comprendere, perdonare, criticare. Queste tre azioni intese nel senso filosofico di atteggiamento mentale, rappresentano il suo approccio alla storia. Alla storia che si fa collettiva per eccellenza, o meglio per infimita', quando diventa sterminio di massa ad opera del totalitarismo nazista, e di quella personale irrimediabilmente intrecciata con essa. In questo senso L'umanita' in tempi bui, scritto in occasione del conferimento del premio Lessing (1959), e' una sintesi completa del percorso arendtiano. Ora e' disponibile nella traduzione di Laura Boella sia entro l'antologia di Feltrinelli sia in un volume a parte, pubblicato da Raffaello Cortina. Qui, verso la fine, Hannah Arendt spiega quale misura di attinenza alla realta' s'abbia da tenere presente in un mondo sfigurato, divenuto inumano: spiega cioe' la ragione di quella istanza a comprendere che tiene insieme tutto il suo pensiero. Giustifica il perche', alla domanda "chi sei?", la sola risposta adeguata - in quegli anni, prima di "emigrazione interiore" in una Germania sempre piu' nazificata e poi di fuga per la sopravvivenza -, l'unica risposta possibile (malgrado il ribadito rifiuto d'ogni appartenenza) fosse: "un'ebrea". Perche' "solo questa risposta teneva conto della realta' della persecuzione" e qualunque altra risposta sarebbe risultata come una grottesca e rischiosa fuga dalla realta'. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 191 del 26 giugno 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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