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Nonviolenza. Femminile plurale. 190
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 190
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 19 Jun 2008 10:32:32 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 190 del 19 giugno 2008 In questo numero: 1. Anna Bandettini: La strage delle innocenti 2. Franca Bimbi: Femminicidio 3. Hannah Arendt: Alcune note dai diari 4. Lucetta Scaraffia: Sulla legge 194 trent'anni dopo 5. Luisa Muraro: Un commento al testo di Lucetta Scaraffia 6. Cristina Nadotti presenta "Bambine senza parola" di Save the Children 1. IN ITALIA. ANNA BANDETTINI: LA STRAGE DELLE INNOCENTI [Dal quotidiano "La Repubblica" del 21 novembre 2007 col titolo "La donna violata. La strage delle innocenti" e il sommario "In dodici mesi un milione di donne ha subito violenze. Per le piu' giovani. Ancora oggi e' questa la prima causa di morte. Sabato manifestano a Roma. Per denunciare un fenomeno cresciuto in un anno del 22%. E consumato nel silenzio delle nostre case. L'ultimo stupro ieri, a Pordenone, in pieno centro: lei ghanese, lui italiano". Anna Bandettini, giornalista, e' redattrice del quotidiano "La Repubblica"] I loro nomi, le loro storie restano come memorie, la prova di una verita' odiosa, crudele: Hina accoltellata a Brescia dal padre, Vjosa uccisa dal marito a Reggio Emilia, Paola violentata a Torre del Lago, Sara colpita a morte da un amico a Torino... L'ultima e' stata resa nota ieri: una ventenne originaria del Ghana, costretta ad un rapporto sessuale in pieno centro a Pordenone. In Italia, negli ultimi dodici mesi, un milione di donne ha subito violenza, fisica o sessuale. Solo nei primi sei mesi del 2007 ne sono state uccise 62, 141 sono state oggetto di tentato omicidio, 1.805 sono state abusate, 10.383 sono state vittime di pugni, botte, bruciature, ossa rotte. Leggevamo che le donne subiscono violenza nei luoghi di guerra, nei paesi dove c'e' odio razziale, dove c'e' poverta', ignoranza, non da noi. Eccola la realta': in Italia piu' di 6 milioni e mezzo di donne ha subito una volta nella vita una forma di violenza fisica o sessuale, ci dicono i dati Istat e del Viminale che riportano un altro dato avvilente. Le vittime - soprattutto tra i 25 e i 40 anni - sono in numero maggiore donne laureate e diplomate, dirigenti e imprenditrici, donne che hanno pagato con un sopruso la loro emancipazione culturale, economica, la loro autonomia e liberta'. Da noi la violenza e' la prima causa di morte o invalidita' permanente delle donne tra i 14 e i 50 anni. Piu' del cancro. Piu' degli incidenti stradali. Una piaga sociale, come le morti sul lavoro e la mafia. Ogni giorno, da Bolzano a Catania, sette donne sono prese a botte, oppure sono oggetto di ingiurie o subiscono abusi. Il 22% in piu' rispetto all'anno scorso, secondo l'allarme lanciato lo scorso giugno dal ministro per le Pari Opportunita', Barbara Pollastrini, firmataria di un disegno di legge, il primo in Italia specificatamente su questo reato ora all'esame in commissione Giustizia. "E' un femminicidio", accusano i movimenti femminili, "violenza maschile contro le donne": cosi' sara' anche scritto nello striscione d'apertura del corteo a Roma di sabato 24, vigilia della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne istituita dall'Onu, una manifestazione nazionale che ha trovato l'adesione di centinaia di associazioni impegnate da anni a denunciare una realta' spietata che getta un'ombra inquietante sul tessuto delle relazioni uomo-donna. Si', perche' il pericolo per le donne e' la strada, la notte, ma lo e' molto di piu' la normalita'. Se nel consolante immaginario collettivo la violenza e' quella del bruto appostato nella strada buia, le statistiche ci rimandano a una verita' molto piu' brutale: che la violenza sta in casa, nella coppia, nella famiglia, solida o dissestata, borghese o povera, "si confonde con gli affetti, si annida la' dove il potere maschile e' sempre stato considerato naturale", come spiega Lea Melandri, saggista e femminista. L'indagine Istat del 2006 denuncia che il 62% delle donne e' maltrattata dal partner o da persona conosciuta, che diventa il 68,3% nei casi di violenza sessuale, e il 69,7% per lo stupro. "Da anni ripetiamo che e' la famiglia il luogo piu' pericoloso per le donne. E' li' che subiscono violenza di ogni tipo fino a perdere la vita", denuncia "Nondasola", la Casa delle donne di Reggio Emilia a cui si era rivolta Vjosa uccisa dal marito da cui aveva deciso di separarsi. "Da noi partner e persone conosciute sono i colpevoli nel 90% delle violenze che vediamo. E purtroppo c'e' un aumento", dice Marisa Guarnieri presidente della Casa delle donne maltrattate di Milano. "All'interno delle mura domestiche la violenza ha spesso le forme di autentici annientamenti - spiega Marina Pasqua, avvocato, impegnata nel centro antiviolenza di Cosenza, una media di 800 telefonate di denuncia l'anno -. Si comincia isolando la donna dal contesto amicale, poi proibendo l'uso del telefono, poi si passa alle minacce e cosi' via in una escalation che non ha fine". In Italia, l'indagine Istat ha contato 2.077.000 casi di questi comportamenti persecutori, stalking come viene chiamato dal termine inglese, uno sfinimento quotidiano che finisce per corrodere resistenza, difesa, voglia di vivere. "Nella nostra esperienza si comincia con lo stalking e si finisce con un omicidio", accusa Marisa Guarnieri. Per questo le donne dei centri antiviolenza hanno visto positivamente l'approvazione, lo scorso 14 novembre in Commissione Giustizia, del testo base sui reati di stalking e omofobia. Sanzionare penalmente lo stalking, significa, tanto per cominciare, riconoscerlo. "Molte donne vengono qui da noi malmenate o peggio e parlano di disavventura. Ragazze che dicono 'me la sono cercata', donne sposate che si scusano: 'lui e' sempre stato nervoso...'", racconta Daniela Fantini, ginecologa del Soccorso violenza sessuale di Milano, nato undici anni fa per iniziativa di Alessandra Kusterman all'interno della clinica Mangiagalli di Milano. E' in posti come questo, dove mediamente arrivano cinque casi a settimana, che diventa evidente un altro dato angoscioso: come intrappolate nel loro dolore, il 96% delle donne non denuncia la violenza subita, forse per paura. Forse perche' non si denuncia chi si e' amato, forse perche' non si hanno le parole per dirlo. La manifestazione di sabato a Roma vuole spezzare proprio questo silenzio. "Una occasione per prendere parola nello spazio pubblico", come dice Monica Pepe del comitato "controviolenzadonne" che vorrebbe un corteo di sole donne. E Lea Melandri: "Manifestiamo per dire che la violenza non e' un problema di pubblica sicurezza, ne' un crimine di altre culture da reprimere con rimpatri forzati, e che per vincerla va fatta un'azione a largo raggio". Va fatta una legge, concordano tutti. "Speriamo di arrivarci in tempi brevi - promette Alfonsina Rinaldi del ministero per le Pari Opportunita' -. Oggi abbiamo finalmente le risorse per lanciare l'osservatorio sulla violenza e in Finanziaria ci sono 20 milioni di euro per redigere il piano antiviolenza". "Serve una legge che non cerchi scorciatoie securitarie ma punti a snidare la cultura che produce la violenza - dice Assunta Sarlo tra le fondatrici del movimento "Usciamo dal silenzio" -. Una legge come quella spagnola, la prima che il governo Zapatero ha voluto perche' riguarda la piu' brutale delle diseguaglianze causata dal fatto che gli aggressori non riconoscono alle donne autonomia, responsabilita' e capacita' di scelta. Ecco il salto culturale. Chiediamo che anche da noi il tema della violenza sia assunto al primo punto nell'agenda politica dei governi. Chiediamo un provvedimento che dia risorse ai centri antiviolenza e sistemi di controllo della pubblicita' e dei media, cattivi maestri nel perpetuare stereotipi che impongono sulle donne il modello 'fedele e sexy'. E chiediamo agli uomini di starci accanto, di fare battaglia con noi". Qualcuno si e' gia' mosso. Gli uomini dell'associazione "Maschileplurale", per esempio, che aderiscono alla manifestazione romana. "Si', gli uomini devono farsene carico. La violenza e' un problema loro, non delle donne - dice Clara Jourdan, della "Libreria delle Donne" di Milano, storico luogo del femminismo italiano -. Sarebbe ora che cominciassero a interrogarsi sulla sessualita' e sul perche' dei loro comportamenti violenti. E riconoscere l'altro, il maschile, potrebbe essere utile anche alle donne". Nel caso, a fuggire per tempo. 2. RIFLESSIONE. FRANCA BIMBI: FEMMINICIDIO [Dal quotidiano "L'Unita'" del 27 novembre 2007 col titolo "Il nome esatto e' femminicidio". Franca Bimbi (Castelfiorentino, 1947) e' sociologa, docente universitaria, gia' parlamentare. Tra le sue pubblicazioni recenti: (a cura di, con Alisa Del Re), Genere e democrazia. La cittadinanza delle donne a cinquant'anni dal voto, Rosenberg & Sellier, Torino 1997; (a cura di, con M. Carmen Belloni, presentazione di Massimo Cacciari), Microfisica della cittadinanza. Citta', genere, politiche dei tempi, Angeli, Milano 1997; (a cura di, con Rita D'Amico), Sguardi differenti. Prospettive psicologiche e sociologiche della soggettivita' femminile, Angeli, Milano 1998; "L'Italie. Concertation sans representation" (con Vincent Della Sala), in Jane Jenson, Mariette Sineau (sous la direction de), Qui doit garder le jeune enfant? Modes d'accueil et travail des meres dans l'Europe en crise, L. G. D. J., Paris 1998; "Measurement, Quality, and Social Change in Reproduction Time. The Twofold Presence of Women and the Gift Economy", in Olwen Hufton, Yota Kravaritou (eds.), Gender and the Use of Time / Gender and Emploi du Temps, European University Institute, Centre for Advanced Studies, Firenze, Kluwer Law International, 1999; "The Family paradigm in the Italian Welfare State", in Gonzalez Maria Jose', Jurado Teresa, Naldini Manuela (eds.), Gender Inequalities in Southern Europe. Women, Work and Welfare in the 1990s, South European Society & Politics, 4/2, Autumn 1999; (a cura di) Madri sole. Metafore della famiglia ed esclusione sociale, Carocci, Roma 2000; (a cura di, con Cristina Adami, Alberta Basaglia, Vittoria Tola), Liberta' femminile e violenza sulle donne, Angeli, Milano 2000; (a cura di, con Ruspini Elisabetta) "Poverta' delle donne e trasformazione dei rapporti di genere", in Inchiesta, 128, aprile-giugno 2000; (a cura di), Sex Worker. Reti sociali, progetti e servizi per uscire dalla prostituzione, Aesse, Roma 2000; "Prostituzione, migrazioni e relazioni di genere", in Polis, 1, 2001; "Violenza di genere, spazio pubblico, pratiche sociali", in C. Adami, A. Basaglia, V. Tola (a cura di), Dentro la violenza: cultura, pregiudizi, stereotipi, Angeli, Milano 2002; (a cura di), Differenze e diseguaglianze, Il Mulino, Bologna 2003; (a cura di), Madri sole. Sfide politiche e genitorialita' alla prova, Edizioni Lavoro, Roma 2005] Le donne sono capaci di altrettante efferatezze degli uomini: dalle torture sul nemico prigioniero alla violenza sui loro stessi figli perpetrata anche per denaro. Tuttavia ritengo sia giusto usare il termine "femminicidio". Partiamo da lontano: paesi ricchi e poveri, salvo poche eccezioni, hanno in comune il monopolio maschile dell'uso legittimo della forza. Ovvero, in Occidente la lotta per le pari opportunita' nella presenza delle donne nei corpi di polizia e nell'esercito e' cominciata da pochissimo e, per ora, non ha dimostrato che sia possibile umanizzare il rapporto con il nemico (le foto dall'Iraq sono state eloquenti), ma neppure che sia possibile introdurre metodologie non violente nell'addestramento dei corpi di polizia. Dunque siamo lontani dalla civilizzazione dell'aggressivita' umana e, per ora, restiamo all'evidenza pi? semplice: gli uomini sono, in percentuali assolutamente preponderanti, responsabili di atti di violenza su persone di ogni sesso ed eta'. La dicotomia culturale tra i due generi, costruita per gli uomini sulla valorizzazione di alcune forme dell'aggressivita' (il guerriero come ideale della virilita') e per le donne come interiorizzazione e colpevolizzazione delle pulsioni aggressive (l'ideale della madre che muore per il figlio e sopporta ogni "esuberanza" del marito), danneggia ambedue, perche' ha contribuito a costruire una relazione con germi socialmente patologici, a partire dal primo legame, quello familiare. Senza fare sconti alle responsabilita' individuali, la costruzione delle relazioni uomo-donna attorno alle asimmetrie nell'uso dell'aggressivita' svela anche la violenza delle donne sui loro figli, e la violenza sui bambini in generale, come violenza di genere, cioe' inerente a quella relazione primaria in cui il maschile e femminile si fanno la guerra anche attraverso i loro cuccioli. Oggi siamo colpiti da due fenomenologie: la tratta delle donne e quella dei minori; la violenza sulle compagne di scuola, moltiplicata dall'uso di cellulari, blog, internet. La tratta non e' un fenomeno recente: rimando alle ricerche dei sociologi di Chicago degli anni '20-'30 in cui i trafficanti sono per antonomasia gli italiani. Da sempre gli uomini poveri, ma ricchi della proprieta' delle "loro" donne e dei loro figli, ne hanno fatto mercato, offrendoli ad uomini piu' ricchi che, per ragioni culturali, non potevano disporre allo stesso modo delle loro donne e dei loro figli. Dunque, oggi i modelli patriarcali di possesso familiare, e le culture della parita' e della tutela del miglior interesse del bambino, si incontrano nelle metropoli globalizzate, che si estendono anche alle periferie delle piccole e medie citta' italiane. Lo scambio tra sesso e denaro avviene con la mediazione di multinazionali del crimine, in cui prevale chi, volta a volta, rappresenta il gruppo dei venditori. Al di sotto dello scambio c'e' anche la doppia ricerca del rafforzamento di un potere maschile a rischio: nell'emigrazione le "loro" donne si emancipano, ed i "nostri uomini" partecipano con noi del rifiuto esplicito di modelli di virilita' che, purtuttavia, continuano segretamente a desiderare. Eppure, come madri anche "noi" sopportiamo ancora piuttosto bene le "trasgressioni" dei nostri figli: c'e' un punto di giunzione tra i giovani clienti dei "puttan tour" ed i giovanissimi della violenza ripresa con i cellulari. In particolare, la trasposizione dei giochi erotici tra adolescenti in violenza di gruppo non e' un fenomeno della modernita'. E' probabile che il cellulare mostri agli adulti di oggi cio' che gli adulti di ieri non potevano o non volevano vedere, come e' probabile che l'autonomia delle giovanissime sia esposta a forme di violenza ieri sconosciute, tuttavia ben note alle loro madri che, nelle inchieste, ammettono solo per telefono i costi della loro ricerca di felicita' familiare e amorosa. Nell'ambito delle violenze tra giovanissimi, e' emersa di recente l'omofobia: anche qui i modelli di genere contano moltissimo e, di nuovo, siamo di fronte ad un'emersione di vecchie storie. Tuttavia la violenza piu' diffusa, per le donne come per i bambini, e' quella domestica e sessuale, che si colloca nella famiglia e nelle relazioni primarie, che proviene da padri, mariti, compagni, genitori acquisiti, parenti, amici e vicini: e' la violenza dell'intimita' e non dell'estraneita', e' la violenza di chi pensi nell'amore e non quella di chi credi un nemico. Per questo e' importante dare all'insieme delle piu' diverse fenomenologie un nome che le identifichi alla radice. Non e' giusto chiamarla "violenza maschile": anche se i violenti sono per il 90% uomini, non si tratta di propensioni naturali, genetiche e neppure di responsabilita' collettive. Il suo nome e' violenza di genere e sessuale. Si tratti di donne, di bambini, di omosessuali, le forme della violenza vengono agite sulle vittime all'interno delle piu' ovvie e spesso accettate costruzioni della mascolinita', e, poiche' in esse e' in gioco la vulnerabilita' piu' intima delle persone, trattate in ogni caso... come donne, sembra giusto affrontarle assieme sul piano politico, e cercare, sul piano scientifico, di studiarne accuratamente le differenti fattispecie, per dipanare meglio le relazioni tra gli umani e gli intrecci tra vecchi e nuovi modelli. Dunque la giornata del 25 novembre era dedicata alla violenza di genere e sessuale. Tuttavia poiche' le vittime sono per la grandissima maggioranza donne e bambine, e' giusto parlare di "femminicidio", riconoscendo che le donne vengono battute, violate, uccise soprattutto in quanto donne, in relazione alla loro diversita' sessuale. Se possiamo capire, rispetto all'Olocausto, la differenza tra l'essere perseguitati ed uccisi in quanto ebrei oppure come una qualsiasi persona in una "banale" rissa o resa dei conti, possiamo anche accettare il termine "femminicidio", forse sconosciuto al vocabolario ma purtroppo ancora attuale, dove sono negati la liberta' e l'orgoglio della differenza, dove la differenza e' pensata come "natura" da ridurre sotto un dominio o cancellare, li' inizia l'idea del genocidio. 3. MAESTRE. HANNAH ARENDT: ALCUNE NOTE DAI DIARI [Dal quotidiano "La Repubblica" del 16 settembre 2007 alcuni sralci dai diari di Hannah Arendt (editi in italiano presso Neri Pozza nel 2007) col titolo "L'amore secondo Hannah potenza senza tenerezza" e il sommario "Hanna Arendt. Filosofia al femminile. Ha dedicato la vita allo studio del totalitarismo e della politica. Ha scritto un libro fondamentale sulla banalita' burocratica del male nazista. E' stata l'amante di Heidegger. La Arendt ha sempre parlato poco di se stessa, ma ha scritto moltissimo. Come si legge nei suoi diari ora pubblicati in Italia. Soltanto quando e' spezzato il cuore batte al proprio ritmo. Se non si spezza, si pietrifica". Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano 2006; i recentemente pubblicati Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Febbraio 1951 Quel che siamo e sembriamo, A chi importa. Quel che facciamo e pensiamo Nessuno se ne indigna. Il cielo e' in fiamme, Chiaro il firmamento Sopra l'unione Che non conosce la via. * Giugno 1951 I pensieri vengono a me, non sono piu' un'estranea per loro. Cresco e divento la loro dimora come un campo coltivato. * Vieni e abita nella buia stanza obliqua del mio cuore, che' la vastita' delle onde ancora si chiude allo spazio. Vieni e cadi nei fondi colorati del mio sonno, che ha paura del ripido abisso del nostro mondo. Vieni e vola nella lontana curva della mia nostalgia, che l'incendio divampi all'altezza di una fiamma. Stai e resta. Aspetta che l'arrivo giunga inesorabile dal lancio di un istante. * Sopravvivere Ma come si vive con i morti? Di', dov'e' il suono che ne tradisce la presenza, com'e' il gesto se, condotti da loro, desideriamo che la prossimita' stessa a noi si neghi? Chi sa il lamento che li allontana da noi e tira il velo sullo sguardo vuoto? A che cosa serve rassegnarsi alla loro assenza, e rivolta il sentimento che impara a sopravvivere. Il sentimento rivoltato e' come il coltello rivoltato nel cuore. * Agosto 1951 Che fretta ha il tempo, non si sofferma, aggiunge anno dopo anno alla sua catena. I capelli son presto bianchi e soffiati via. Ma se il tempo si divide ogni anno in notte e giorno, se il cuore si sofferma - non gioca all'eternita' col tempo? * Gennaio 1952 Ogni solitudine portata con coerenza sino alla fine sfocia in disperazione e abbandono - semplicemente perche' non e' possibile gettarsi al collo di se stessi. * Sembra che tutto debba ripetersi. E mi chiedo che ne sara' di Te fra sette anni. La prossima tempesta, che soffia gia' da ogni direzione, come se si esercitasse nel soffiare e nello spazzare via, Ti risucchiera' e Ti fara' girare nel vortice, poiche' navigando - e anche nei pericoli della navigazione - hai gettato tutto di bordo e sei rimasto senza un peso tuo? Oppure, per parlare una lingua diversa e molto piu' precisa, che non e' la mia lingua, vuoi veramente fare di Te un "contenitore" [...] e condividere l'essenza del contenitore, che e' il vuoto? Non respingerlo subito. Se vuoi (devi?) imboccare questa strada, hai soltanto un'opportunita' - che ti si possa ancora incontrare. La forza diventa potere solo nel momento in cui si allea con altri. La forza che non puo' diventare potere, perisce da se' in se stessa. * Maggio 1952 Sono solo una Delle cose, Quelle piccole, Che riuscirono Per esuberanza. Stringimi fra le Tue mani, Che si espandano Oscillanti Nella riuscita, Quando hai paura. * Giugno 1952 Manchester Finche' abitiamo questa terra, abbiamo tanto bisogno gli uni degli altri quanto avremo bisogno di Dio nell'ora della morte, quando cioe' lasceremo la terra. * Ottobre 1952 In qualunque modo lo si voglia vedere, e' incontestabile che a Friburgo io mi sia recata (e non caduta) in una trappola. Ma e' ugualmente incontestabile che Martin [Heidegger], lo sappia o no, si trovi in questa trappola, che in essa sia di casa, che abbia costruito la sua casa attorno a questa trappola; cosicche' si puo' andare a trovarlo soltanto se si va a trovarlo nella trappola, se si va in trappola. Quindi sono andata a trovarlo nella trappola. Il risultato e' che ora lui sta di nuovo seduto da solo nella sua trappola. * Maggio 1953 L'amore e' una potenza e non un sentimento. S'impadronisce dei cuori, ma non nasce dal cuore. L'amore e' una potenza dell'universo, nella misura in cui l'universo e' vivo. Essa e' la potenza della vita e ne garantisce la continuazione contro la morte. Per questo l'amore "supera" la morte. Appena si e' impossessato di un cuore, l'amore diventa una potenza ed eventualmente una forza. L'amore brucia, colpisce l'infra, ovvero lo spazio-mondo fra gli uomini, come il fulmine. Questo e' possibile soltanto se vi sono due uomini. Se si aggiunge il terzo, allora lo spazio si ristabilisce immediatamente. Dall'assoluta assenza di mondo (= spazio) degli amanti nasce il nuovo mondo, simboleggiato dal figlio. In questo nuovo infra, nel nuovo spazio di un mondo che inizia, devono stare ora gli amanti, essi vi appartengono e ne sono responsabili. Proprio questa e' pero' la fine dell'amore. Se l'amore persiste, anche questo nuovo mondo viene distrutto. L'eternita' dell'amore puo' esistere soltanto nell'assenza di mondo (dunque: "e se Dio vorra', ti amero' anche di piu' dopo la morte" - ma non perche' allora io non "vivro'" piu' e di conseguenza potro' forse essere fedele o qualcosa del genere, ma a condizione di continuare a vivere dopo la morte e di aver perduto in essa soltanto il mondo!) o come amore degli "abbandonati", non a causa dei sentimenti, ma perche', assieme agli amanti, e' andata perduta la possibilita' di un nuovo spazio mondano. * Gennaio 1954 Amo la terra come in viaggio il luogo straniero, e non diversamente. Cosi' la vita mi tesse piano al suo filo in una trama sconosciuta. All'improvviso, come il commiato in viaggio, il grande silenzio irrompe nel telaio. * Il cuore e' un organo curioso; soltanto quando e' spezzato, batte al proprio ritmo; se non si spezza, si pietrifica. La pietra che ci cade dal cuore e' quasi sempre quella in cui il cuore si era quasi trasformato. * Marzo 1955 Amor mundi - perche' e' cosi' difficile amare il mondo? * Una volta che abbiamo iniziato a pensare, i pensieri arrivano come le mosche e ci succhiano il sangue vitale. * Maggio 1955 Dolcezza grave La dolcezza e' all'interno delle nostre mani, quando la superficie si accomoda alla forma estranea. La dolcezza e' nella volta celeste notturna, quando la lontananza si concede alla terra. La dolcezza e' nella tua mano e nella mia, quando la vicinanza bruscamente ci fa prigionieri. La malinconia e' nel tuo sguardo e nel mio, quando la gravita' ci accorda uno nell'altro. * Fine 1957 Ti vedo soltanto come stavi alla scrivania. Una luce cadeva in pieno sul tuo viso. Il vincolo degli sguardi era cosi' stretto, come se dovesse portare il tuo peso e il mio. Il legame si e' spezzato, e fra noi si e' creato non so quale strano destino, che non si puo' vedere e che nello sguardo non parla e non tace. La voce trovo' e cerco' ascolto nella poesia. * Natale 1964 Un tempo, per corazzarmi contro la vanita', l'ambizione e i desideri folli, ho spesso giocato con la morte. Al cospetto della morte, della mortalita' dei mortali - Vanitas vanitatum vanitas. Un pensiero assai consolatorio. Ma oggi, poiche' in parte il mondo viene incontro proprio alla mia vanita', ricompensa la mia ambizione e ogni tanto esaudisce i miei folli desideri, mi rendo conto che il gioco con la morte non serve piu'. La morte stessa non e' piu' il nostro letto di morte o d¥agonia. Non che io abbia paura, ma le mie preoccupazioni vanno al di la' della morte, voglio che il mio testamento sia in ordine, le mie carte al sicuro, che quel po' di denaro sia distribuito in modo giusto - insomma, quando il mondo ci sorride, in fin dei conti siamo subito disposti a provare un interesse estremamente disinteressato nei suoi confronti. * Maggio 1965 A dire il vero, da quando avevo sette anni, ho sempre pensato a Dio, ma non ho mai riflettuto su Dio. Ho desiderato spesso non dover piu' vivere, ma non mi sono mai interrogata sul senso della vita. * La nostra cognizione del tempo si orienta esattamente rispetto al numero di anni che abbiamo vissuto. Piu' si e' giovani, piu' un anno e' lungo, ma anche un'ora o un giorno. Se ho cinque anni, un anno corrisponde a un quinto della mia vita; se ne ho cinquanta, e' soltanto un cinquantesimo. Cio' cambia solo quando si diventa vecchi e si inizia a contare partendo dalla morte e non piu' dalla nascita. Allora gli anni diventano di nuovo impercettibilmente piu' lunghi. * Novembre 1968 La notte scorsa ho sognato Kurt Blumenfeld - per la prima volta in vita mia, credo. Nel sogno, lo incontravo inaspettatamente su un bel ponte nel bosco. Si levava di bocca il sigaro, per baciarmi. Gli dicevo: "Sei veramente tu? Non posso mica farmi baciare da uno sconosciuto". Ma lo dicevo ridendo. Nel sogno non sapevo che era morto. Mi sono svegliata ridendo. Per la gioia di questo incontro inatteso. 4. RIFLESSIONE. LUCETTA SCARAFFIA: SULLA LEGGE 194 TRENT'ANNI DOPO [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente intervento apparso sul quotidiano "L'Osservatore romano" del 22 maggio 2008. Lucetta Scaraffia, nata a Torino nel 1948, insegna storia contemporanea all'universita' "La Sapienza" di Roma. Socia fondatrice della Societa' italiana delle storiche, si e' occupata, oltre che di storia della religiosita', di storia delle donne, di storia della famiglia e della comunita' contadina. Tra le opere di Lucetta Scaraffia: La santa degli impossibili, Rosenberg & Sellier, Torino 1990; con Gabriella Zarri, Donne e fede, Laterza, Roma-Bari 1994, traduzione inglese Women and faith, Cambridge University Press, 1999; Il Concilio in convento, Morcelliana, Brescia 1996; Rinnegati. Per una storia dell'identita' occidentale, Laterza,1993; Il giubileo, Il Mulino, Bologna 1999 (tradotto in spagnolo per l'editore Acento); con Anna Bravo, Donne del '900, Liberal libri, 1999; con Anna Bravo e Anna Foa, I fili della memoria, Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000 (manuale di storia, in tre volumi); con Anna Bravo, Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Francesca Cabrini. Tra la terra e il cielo, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 2003] In questi giorni la legge 194, che regola l'interruzione di gravidanza in Italia, compie trent'anni, fra polemiche che ricordano, per molti versi, quelle che hanno preceduto e seguito la sua approvazione. Con questa legge, l'Italia si e' allineata agli altri paesi occidentali che, a cominciare dalla Gran Bretagna nel 1967 (Stati Uniti nel 1970, Germania 1974, Francia 1975) avevano legalizzato l'interruzione di gravidanza entro i primi 90 giorni. Si chiudeva cosi' un ciclo legislativo aperto dalla Rivoluzione francese, che aveva introdotto nella legislazione francese prima, dei paesi occupati poi, una severa legge per punire l'aborto in base ad una concezione molto larga dei diritti del cittadino: anche il feto veniva considerato un cittadino. Ma questo atteggiamento anti-abortista non era certo motivato da ragioni umanitarie, o dal rispetto della dignita' del concepito: la ragione di fondo era la nascita del nuovo stato nazionale, dove le tasse venivano pagate individualmente, e non piu' per nucleo familiare, e dove gli eserciti erano formati dalla coscrizione obbligatoria. Questi interessi, ribaditi dopo la grande strage della prima guerra mondiale, che aveva spinto molti paesi europei ad irrigidire la normativa che proibiva l'aborto, vengono meno nel secondo dopoguerra: la meccanizzazione delle forze armate, che sostituiscono i soldati con carri armati e bombardieri, e le innovazioni tecnologiche del lavoro industriale, che diminuiscono la necessita' di manodopera, rendono i governi occidentali piu' disponibili ad accettare le richieste libertarie delle femministe. Mentre gli stati - come abbiamo visto - cambiano radicalmente la loro posizione giuridica nei confronti dell'aborto, spinti dalla trasformazione delle esigenze demografiche, la Chiesa cattolica non ha mai mutato la sua condanna verso l'interruzione della vita umana, temperata pero' dalla misericordia verso coloro che si pentono per l'atto compiuto. I progressi medici realizzati in questi trent'anni, soprattutto riguardo alla possibilita' di individuare malattie o malformazioni nel feto, hanno cambiato profondamente la pratica della legge, trasformando l'aborto terapeutico in una prassi di selezione eugenetica. Quindi e' certo opportuno ripensare a scrivere linee guida per questa legge, e riflettere sugli effetti che ha portato nella coscienza morale del paese, come ha recentemente ricordato Benedetto XVI. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la liberalizzazione dell'aborto e' strettamente legata all'instaurarsi di due nefasti sistemi totalitari come quello sovietico prima, e quello nazista poi, e che quindi, come ha scritto Romano Guardini, questa evidenza storica fa ricordare come "ogni violazione della persona, specialmente quando s'effettua sotto l'egida della legge, prepara lo Stato totalitario". Per il filosofo la questione dell'aborto e' centrale per ogni societa', la qualifica, perche' "riguarda l'intero rapporto del singolo con la societa', investendo il carattere fondamentale dell'esistenza umana". E conclude contrapponendo la moderna "concezione dell'uomo quale unico responsabile e padrone della propria esistenza" con "il senso prima vivissimo della fondamentale intangibilita' della vita umana". 5. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: UN COMMENTO AL TESTO DI LUCETTA SCARAFFIA [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente intervento li' apparso col titolo "Commento di Luisa Muraro al testo di Lucetta Scaraffia pubblicato dall''Osservatore romano' del 22 maggio scorso". Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici femministe, ha insegnato all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997"] Il testo si divide in tre parti. La prima inquadra storicamente la legge 194 sull'interruzione volontaria della gravidanza, approvata dal Parlamento italiano trent'anni fa, e termina notando che gli Stati cambiano la loro posizione giuridica, mentre la Chiesa non ha mai mutato la sua, che e' di condanna. La seconda parte evidenzia un problema che si e' creato con i progressi scientifici che permettono di diagnosticare precocemente malattie e malformazioni del feto. La terza parte collega la legislazione liberale sull'aborto all'istaurarsi dei regimi totalitari, la mediazione essendo offerta da alcune affermazioni di Romano Guardini. La prima parte e' molto sommaria, ma, considerato lo spazio limitato, la trovo accettabile. E' innegabile che la legislazione statuale rispecchia la storicita' della condizione umana, secondo la storicita' che caratterizza lo Stato stesso. Questo vale anche per la Chiesa cattolica, ovviamente, ma con alcune notevoli differenze, in primis che la Chiesa non ha (piu') un potere temporale per cui la sua condanna dell'aborto non equivale a mettere in prigione la persona colpevole. Lo Stato, non avendo l'istituto della "misericordia verso coloro che si pentono", deve decidere la sua condotta legiferando in un modo o nell'altro. Nel confronto, bisognava tener conto di questo aspetto. La terza parte, oltre che sommaria, mi pare molto discutibile. Esiste un legame diretto fra la legislazione liberale sull'aborto e i regimi totalitari? Devo dire che a me non risulta. Se l'argomento sono le parole di Guardini, c'e' da dire che e' un argomento debole: a parte altre considerazioni, il senso premoderno dell'intangibilita' della vita umana, che lui vanta, era perfettamente compatibile con il ricorso frequentissimo alla pena di morte e con la pratica delle piu' atroci torture, offerte al pubblico come uno spettacolo. Trovo che la seconda parte, quella che prende meno posto nel testo di Lucetta Scaraffia, sollevi un problema che domanda attenzione. Al di fuori di ogni intenzione delle singole persone e, a suo tempo, del legislatore, oggi la legge sull'interruzione volontaria della gravidanza agisce come un mezzo per impedire la nascita di persone malate e malformate. Parlare di "prassi di selezione eugenetica" non mi pare giusto, perche' non c'e' un programma ne' un'intenzione in questo senso. Ma il problema si pone. In che termini? Fa problema, per me, che una donna, dopo aver accettato di diventare madre, non si comporti come tale verso il nascituro che dovesse presentare qualche malformazione. Siamo davanti a una dolorosa contraddizione, perche' e' noto quanto sia sconfortante e talvolta al di sopra delle forze di una donna, il mettere al mondo una creatura menomata. E' possibile portare avanti una buona gravidanza in un caso del genere? Io credo che si debba guardare in faccia il problema, resistendo alla tentazione di cercare risposte in direzione della legge: l'invadenza della tecnoscienza da una parte, della legge dall'altra, secondo me contribuisce a distruggere il senso di responsabilita' materna e genitoriale. Un'ultima osservazione. Molte donne hanno l'impressione non infondata che la Chiesa cattolica italiana spinga perche' si torni alla repressione penale dell'aborto, e questo impedisce loro, ci impedisce, di ascoltare l'insegnamento cristiano con l'attenzione che merita. Purtroppo, il testo di Lucetta Scaraffia sorvola su questo punto. Le femministe e molte altre persone, donne e uomini, senza sottovalutare il problema morale, si oppongono al ritorno alle pratiche abortive clandestine, unicamente, ed e' su questo che una che si dice femminista deve prendere posizione. 6. MONDO. CRISTINA NADOTTI PRESENTA "BAMBINE SENZA PAROLA" DI SAVE THE CHILDREN [Dal quotidiano "La Repubblica" del 12 ottobre 2007 col titolo "Le bambine perdute che vanno alla guerra" e il sommario "Sono circa centomila le piccole costrette a combattere nei conflitti dimenticati del Terzo Mondo. La denuncia nel bilancio di 'Save the children' su milioni di ragazzi a rischio. Essere costretta a sparare alla gente era la cosa peggiore, e' ora nei miei incubi". Cristina Nadotti, giornalista, scrive su "La Repubblica" e collabora con varie riviste del gruppo editoriale "L'Espresso"] In un paese in guerra, quando si e' donne si e' vittime due volte. Si soffre per il conflitto e si e' piu' esposte alle violenze. Poi si finisce in una statistica in cui si parla sempre al maschile: i numeri dicono che 77 milioni di bambini nel mondo non vanno a scuola, ma molte piu' della meta' sono femmine. Il mondo si commuove per i bambini soldato e nelle foto, il mitra enorme tra le braccia, si vedono maschietti di neanche dieci anni. Ma arruolate a forza negli eserciti irregolari, che rubano l'infanzia a oltre 250.000 bambini nel mondo, ci sono 100.000 bambine, probabilmente molte di piu', perche' poche sono quelle che sopravvivono alle sparatorie, alle violenze, ai parti ripetuti e all'Aids, fino a raccontare quel che hanno passato. Ce l'ha fatta Esther, una ragazzina di 12 anni della Costa D'Avorio, rapita da un gruppo armato che, ha raccontato, le ha fatto fare "cose che nessuno dovrebbe permettere si facciano a dei bambini". Le ragazzine sono stuprate ripetutamente e si occupano delle vettovaglie delle bande, ma sono impiegate anche in azioni di guerra: "Essere costretta a sparare alla gente era la cosa peggiore, continuo a rivivere quei momenti nei miei incubi", ha detto Esther. Ce l'ha fatta Amani, che viveva nella zona meridionale del lago Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, e fu portata via dalle milizie a 13 anni. "Vivevamo come mogli dei soldati, ma quando c'era bisogno di cibo ci mandavano a prenderlo e dovevamo trovarlo a ogni costo". Anche portandolo via dai villaggi, uccidendo e razziando come vedevano fare dalle bande. Esther e Amina hanno raccontato le loro storie agli operatori di Save the Children, che le hanno pubblicate nel rapporto "Bambine senza parola". I nuovi dati e documenti raccolti dall'organizzazione internazionale chiariscono una volta di piu' quanto sia maggiore l'impatto dei conflitti sulla vita delle bambine e delle donne. Non si nascondono neanche le responsabilita' di chi dovrebbe dare aiuto: le donne denunciano che nel cammino verso i campi dei rifugiati, o nei campi stessi, funzionari governativi, guardie, soldati e compagni di sventura abusano di loro. "Donne e ragazze non sono al riparo dallo sfruttamento sessuale neppure quando si trovano a stretto contatto con gli operatori umanitari", documenta Save the Children in un dossier sulla Liberia, nel quale si racconta come membri delle forze di pace, operatori umanitari e impiegati in cambio di prestazioni sessuali davano a ragazze tra gli 8 e i 18 anni cibo e denaro. Il dossier preparato dalla ong e' stato pubblicato per rilanciare la campagna "Riscriviamo il futuro", iniziativa partita lo scorso anno per raccogliere fondi (si puo' contribuire anche con un sms al 48548) e sensibilizzare i paesi donatori sull'importanza di diffondere l'istruzione nei paesi in guerra. Save the Children lancia una petizione destinata al ministro degli Esteri, D'Alema, perche' siano incrementati gli aiuti per l'istruzione nei paesi in conflitto e perche' in sede internazionale l'istruzione diventi prioritaria nelle politiche e negli interventi in contesti di emergenza. Si chiede anche che alle donne possano pensare di piu' le donne: la presenza femminile nelle forze di pace e nelle strutture di sostegno e' ancora troppo esigua, eppure sono loro che spesso garantiscono la migliore riuscita dei programmi. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 190 del 19 giugno 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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