Dal Boston Globe del 18/ 09



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Di Alice Dembner e David Abel, inviati del Globe, 18/9/2001

 NEW YORK - Si stanno radunando sommessamente in veglie, non organizzano
proteste. E in gran parte li sta soffocando un'ondata febbrile di retorica
di guerra. 

Ma in tutto il paese, le voci a favore del pacifismo e di un atteggiamento
di calma diventano sempre più forti.  

A poco più di un miglio dal "ground zero" del World Trade Center, ormai
ridotto in cenere, a Union Square una veglia per le vittime si è già
trasformata in un centro ad hoc per il nascente movimento pacifista. Il
monumento a George Washington che si trova sulla piazza non solo è coperto
di bandiere americane, ma anche di slogan contro la guerra. 

Veglie per la pace sono state organizzate da Portland, nell'Oregon, a
Cambridge, nel Massachussetts, e nelle prossime settimane se ne terranno
moltissime dappertutto. 

Più di 100 organizzazioni religiose e per i diritti civili hanno intenzione
di riunirsi giovedì a Washington per organizzare una risposta ampia agli
atti terroristici della settimana scorsa, nella speranza di mitigare il
sostegno governativo ad attacchi armati all'estero e ad un ampliamento dei
poteri di imposizione delle leggi negli USA. 

Separatamente, gruppi pacifisti si incontreranno venerdì a New York per
pianificare un'azione nazionale contro la "guerra al terrorismo" dichiarata
da Bush, sostenendo che la guerra non è la risposta giusta e che porterà
solo ad una escalation di violenza. 

"Stiamo mobilitando la comunità pacifista perché si faccia un appello a
favore della riconciliazione e non della rappresaglia", ha dichiarato
Judith Mahoney Pasternak della War Resisters League. "Prima iniziamo a
intonare canti di pace per contrastare i tamburi di guerra, meglio sarà". 

Mentre la War Resisters League ha detto che i propri sforzi organizzativi
sono stati ostacolati da problemi con telefoni e posta elettronica presso i
loro uffici a solo 1 miglio e mezzo dal luogo dell'attentato, altri gruppi
dichiarano di essersi mossi con cautela per rispetto nei confronti delle
vittime.

"Vogliamo costruire un'opinione pubblica nelle nostre comunità, e passare
molto rapidamente a esprimerla a livello nazionale", ha detto Judith
McDaniel, dell'ufficio nazionale del Comitato American Friends Service di
Philadelphia. Ha confermato che l'ufficio ha ricevuto diverse minacce di
attentati da quando ha lanciato una campagna nazionale per la pace chiamata
"No More Victims" (Niente più vittime).  

Intanto, all'interno del Congresso qualcuno si chiede se i legislatori si
stiano affrettando a intraprendere azioni che danneggeranno gli USA. Il
senatore Patrick Leahy, un democratico del Vermont, ha dichiarato ieri di
essere preoccupato che la spinta ad allentare le restrizioni sulle
intercettazioni potrebbe ledere le libertà civili. 

"Non vogliamo legare le mani dei servizi di intelligence, ma non abbiamo
nemmeno intenzione di limitare i diritti di milioni di americani", ha detto.  

E il deputato Barbara Lee, il democratico californiano unico membro del
Congresso a votare contro la risoluzione della settimana scorsa che
autorizzava il presidente Bush all'utilizzo della forza contro il
terrorismo, dice che la sua posizione sta guadagnando sempre più sostenitori. 

"La gente inizia a capire che dobbiamo mostrare una certa calma, che non
vogliamo che la spirale degli eventi ci sfugga di mano", ha dichiarato la
Lee. "Dobbiamo garantire che la democrazia venga mantenuta e che il nostro
paese sia sicuro". 

Non sono solo i pacifisti ad essersi schierati contro la retorica bellica,
ma anche altre persone che guardano alla storia e vedono i fallimenti e le
violenze seguiti ad un intervento degli Stati Uniti non accuratamente
ponderato. 

Nel 1998, fanno notare, gli USA bombardarono un presunto stabilimento di
armi chimiche in Sudan, che si rivelò essere un'industria farmaceutica. E
durante la Seconda Guerra Mondiale, l'isteria collettiva condusse gli
americani a deportare i giapponesi-americani in campi di internamento. 

"L'analogia della guerra è un vero problema per me", dice Stephen Zunes,
presidente del programma di studi per la pace e la giustizia
dell'Università di San Francisco. "Non si è trattato di un atto di guerra
ma di un atto criminale. Dobbiamo pensare in termini di risposta da parte
delle forze di polizia. Ma non credo sarebbe poco realistico organizzare
operazioni di commando su scala ridotta per neutralizzare le cellule
terroristiche." 

Noam Chomsky, pacifista di lunga data e professore del MIT, si oppone anche
a questa azione. "Un appello perché si faccia vendetta senza pensare a
quello che ci aspetta è un regalo per i terroristi", ha detto. "In pratica
garantisce una escalation di violenza. Un'alternativa a breve termine è
seguire lo stato di diritto attraverso il Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite o il Tribunale Mondiale." 

Lo storico Howard Zinn, in passato in servizio presso la Boston University,
suggerisce che la risposta al terrorismo sta da qualche altra parte.
"Dobbiamo trasformarci da una nazione belligerante in una nazione che usa
le proprie risorse a scopo costruttivo… per arrivare al dolore e alla
miseria che alimentano il terrorismo," dice. 

Nella zona di Boston, sono in programma veglie pacifiste per oggi a
mezzogiorno presso il Palazzo Federale JFK e domani alle 18 a Copley
Square, con un incontro organizzativo in merito a ulteriori eventi. Alla
Tufts University, i membri del programma di studi per la pace e la
giustizia stanno facendo circolare una petizione per chiedere che "la
ricerca della giustizia" si concentri solo su chi ha commesso l'orrendo
crimine, evitando di colpire popolazioni intere, nel rispetto delle libertà
civili.  

A Union Square a New York, giovani e vecchi, ebrei e gentili, bianchi e
neri si sono raccolti attorno a migliaia di candele votive, bandiere
americane e fotografie dei dispersi per rendere loro omaggio e cantare
slogan come "La vendetta non è giustizia" e "Spezzate il circolo della
violenza: La guerra è debolezza, la pace è forza".

"La gente ha bisogno di sapere che esistono altri sentimenti in America,
che non siamo tutti falchi in attesa di scambiare occhio per occhio", ha
detto Josh Torpey, 24 anni, un insegnante di Manhattan che ha incontrato un
gruppo di amici a Union Square domenica sera. 

Ted Lawson, un artista di Boston di 31 anni, stava creando un'immagine
della bandiera americana con le impronte delle dita dei passanti per
rappresentare l'unità dell'America, ma ha dichiarato di domandarsi se le
azioni di guerra condotte dagli Stati Uniti avessero incoraggiato il
terrorismo. 

In tutto il parco si sono accesi infuocati dibattiti fra chi mette in
discussione la politica degli USA e chi ritiene che gli Stati Uniti
dovrebbero annientare qualsiasi gruppo o stato che abbia fornito aiuto
nell'organizzazione degli attacchi. 

Ma altri erano spaventati dalla prospettiva di una guerra. Mentre accendeva
una candela vicino a una fila di rose sistemate in modo da ricordare le
Torri Gemelle, Christine Andriopoulos ha detto di essere spaventata. "Il
messaggio dovrebbe essere uno stop alla violenza", dice. "Qui. Ora. Per
sempre. 

Questo articolo è stato pubblicato sulla pagina A3 del Boston Globe il
18/9/2001. 
© Copyright 2001 Globe Newspaper Company. 

Traduzione dall'americano di Paola Manca. 


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