La nonviolenza e' in cammino. 226



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 226 del 12 settembre 2001

Sommario di questo numero:
1. Mao Valpiana, non ci sono parole
2. Davide Melodia, un ritorno all'eta' della pietra
3. Emily Dickinson, ecco quanto ho io oggi da donare
4. Lanfranco Mencaroni racconta i Centri di Orientamento Sociale con le
parole di Aldo Capitini
5. Alberto L'Abate, ultime notizie sul corso di laurea in "operatori per la
pace"
6. Massimo Bricocoli, Marianella Sclavi: sicurezza urbana, gestione dei
conflitti ed esperienze di formazione della Polizia Municipale (parte terza)
7. Per studiare la globalizzazione: da Giaime Pintor a Franco Pittau
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. MAO VALPIANA: NON CI SONO PAROLE
[Mao Valpiana e' il direttore di "Azione nonviolenta", ed un limpido ed
instancabile animatore di iniziative di pace, di verita', di giustizia. Per
contatti: tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it]
Non ci sono parole per descrivere lo sgomento che deriva dall'assistere
impotenti alla tragedia.
Dolore e lutto per le migliaia di vittime.
Paura per le conseguenze.
Solo nel silenzio, nella preghiera, nella meditazione si puo' trovare
rifugio.
In questi casi la nonviolenza sceglie il non-agire.
Il rispetto per le vittime e per l'intero popolo americano impone che il
movimento antiglobalizzazione sospenda le proprie iniziative.
Il movimento per la pace inorridisce davanti alle scene di giubilo che
persone piene d'odio hanno inscenato.
Dio non voglia che chi e' stato colpito cosi' gravemente pensi ad una
risposta di tipo militare. Sangue chiama sangue, odio chiama odio, vendetta
chiama vendetta. E' una spirale impazzita che solo la nonviolenza puo'
fermare.
Ognuno faccia la propria parte.

2. RIFLESSIONE. DAVIDE MELODIA: UN RITORNO ALL'ETA' DELLA PIETRA
[Davide Melodia e' un infaticabile costruttore di pace; è nato a Messina nel
1920; prigioniero di guerra nel 1940-46; maestro elementare, pastore
evangelico battista, maestro carcerario, traduttore al quotidiano "Il
Giorno", pittore, consigliere comunale e provinciale, dirigente dei Verdi;
pacifista nonviolento, segretario del Movimento Nonviolento (1981-83),
segretario della Lega per il Disarmo Unilaterale (1979-83), membro del
Movimento Internazionale della Riconciliazione, vegetariano, predicatore
evangelico, dal 1984 quacchero. Ma questa mera elencazione di alcune sue
scelte ed esperienze non ne rende adeguatamente la personalità, vivacissima
e generosa. Per contatti: e-mail: melody at libero.it]
Occorre sempre deprecare la violenza, ed in particolare quella da cui non ci
si puo' difendere, cioe' il terrorismo.
Ognuno ha diritto di difendere le proprie ragioni, ma mediante il dialogo,
gli strumenti della ragione e della democrazia.
La nonviolenza, intesa nel suo totale significato, e' al presente lo
strumento principe, fondato e sulla ragione, e sulla solidarieta', e sulla
forza morale, e sui sentimenti superiori, nel rispetto dell'altro, dei
diritti dell'altro, della vita dell'altro, delle cose dell'altro, degli
spazi dell'altro, atto a risolvere i gravi problemi della societa' umana.
Il terrorismo, metodo perfezionato nella modernita', e' psicologicamente,
culturalmente e socialmente un bieco ritorno all'Eta' della Pietra. Del
cuore di pietra.

3. RIFLESSIONE. EMILY DICKINSON: ECCO QUANTO HO IO OGGI DA DONARE
[Questa poesia abbiamo ripreso da Emily Dickinson, Poesie, Bompiani, Milano
1978, p. 11. LA traduzione e' di Guido Errante.
Emily Dickinson (1830-1886) e' tra le voci poetiche piu' alte del mondo
moderno]

Ecco quanto ho io oggi da donare
Questo, e il mio cuore in piu'
Questo, e il mio cuore, e i campi
E tutti i prati - immensi.
Conta, ti prego, se ho dimenticato
Ci sara' chi la somma ti puo' dire
Questo, e il mio cuore, e poi tutte le api
Che nel trifoglio stanno.

4. ESPERIENZE. LANFRANCO MENCARONI RACCONTA I CENTRI DI ORIENTAMENTO SOCIALE
CON LE PAROLE DI ALDO CAPITINI
[Ringraziamo Lanfranco Mencaroni per questo intervento.
Lanfranco Mencaroni, amico e collaboratore di Aldo Capitini, e' infaticabile
animatore dell'Associazione Nazionale Amici di Aldo Capitini, di cui cura in
rete l'eccellente sito e un periodico di informazione e commento: "C O. S.
in rete". Per contatti: e-mail: l.mencaroni at libero.it, sito:
www.citinv.it/associazioni/ANAAC/
Aldo Capitini è nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il più grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini:
la miglior antologia degli scritti è (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977;
recentemente è stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza,
Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici,
Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991; e gli scritti sul
Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996. Presso la redazione di "Azione
nonviolenta" sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed
opuscoli di Capitini non più reperibili in libreria (tra cui i fondamentali
Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969).
Negli anni '90 è iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte;
sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, e un volume di
Scritti filosofici e religiosi. Opere su Aldo Capitini: oltre alle
introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo
Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda: Giacomo Zanga, Aldo
Capitini, Bresci, Torino 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, ECP, S.
Domenico di Fiesole 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo
Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Rocco Altieri,
La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo
Capitini, BFS, Pisa 1998; Antonio Vigilante, La realtà liberata. Escatologia
e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999]
I Centri di Orientamento Sociale (C.O.S.) nacquero dalla riflessione di
Capitini sul ruolo innovatore dei CLN e sui modi di costruire la democrazia
dopo vent'anni di dittatura fascista.
"L'importanza dei Comitati di liberazione nazionale, - scriveva Capitini -
specialmente per il loro moltiplicarsi nella provincia, nelle citta' piu'
piccole, non era stata sufficientemente compresa dalla moltitudine degli
italiani che non c'era abituata.
In un paese antico come il nostro, il Comitato di liberazione nazionale
rappresentava una prima manifestazione di compresenza di forze
etico-politiche con una volonta' di amministrazione e di sviluppo
democratico, che voleva salire fino alla forma dello Stato ed era gia'
l'antitesi della monarchia. Ma i C.L.N. non potevano durare, perche',
risultando da una coalizione di partiti, e cessando l'antitesi al fascismo
armato, dovevano svolgersi in altro, nel loro significato reale e dinamico.
Che era, e non poteva non essere, di autentica democrazia (mai stata in
Italia), che chiamasse tutti, cioe' anche la provincia, anche le campagne,
le donne, i giovani, le persone senza partito, che sono la maggioranza in
Italia, al controllo democratico, alla responsabilita', alla consapevolezza
dei problemi".
Per attuare cio', nella Perugia appena liberata e con la guerra ancora in
corso, per iniziativa di Capitini e con l'adesione di tutta la sinistra,
l'antifascismo fece vedere che portava qualche cosa di nuovo per tutti e
invento' i Centri di orientamento sociale (C.O.S.).
La prima riunione del C.O.S. si tenne il 17 luglio 1944. Lo scopo era di
portare nella gente l'interesse per la gestione della cosa pubblica.
Erano libere assemblee dove tutti potevano intervenire e parlare di problemi
amministrativi cittadini e nazionali, e di problemi sociali, politici,
ideologici, culturali, tecnici, religiosi.
Il loro motto era "ascoltare e parlare". "Il fatto che si discutesse insieme
di amministrazione e di idee era, scrive Capitini, profondamente
significativo contro ogni atteggiamento esclusivamente culturale o contro
ogni atteggiamento limitatamente concreto: facendo le due cose insieme, si
migliora l'amministrazione, l'educazione, la consapevolezza della realta',
ci si "orienta"".
I C.O.S. erano per Capitini la vera alternativa alla chiusura del fascismo e
l'apertura verso il potere di tutti.
Grande fu l'impegno per diffondere i C.O.S. Dopo il 1944 si aprirono C.O.S.
in tutta la regione e fuori a Ferrara, Firenze, Arezzo, Ancona, Bologna,
Prato, Cortona, Jesi, Nervi, Napoli, in provincia di Teramo. La guerra
fredda li spense nel 1948.
Sono stati l'unico e vasto esperimento di democrazia dal basso sul
territorio italiano.
Non erano organi di democrazia diretta, come alcuni li accusarono. Erano
strumenti di informazione, discussione critica, di controllo dal basso.
"Stimolare la partecipazione di tutta la popolazione alla vita pubblica",
per Capitini, come per Gandhi, coincideva anche con la testimonianza
religiosa.
"Se dopo l'uccisione di Matteotti, scrisse Capitini, l'Italia avesse avuto
decine di migliaia di C.O.S., nelle citta', nelle cittadine, nei villaggi,
non sarebbe stato facile spegnere la liberta', o il popolo si sarebbe
accorto di cio' che gli si toglieva".
La vita dei C.O.S. prosegui' idealmente con "Il potere e' di tutti", il
periodico fondato da Capitini nel 1963.
In cinque anni, dal 1963 al 1968, sempre con il fine di saldare la societa'
civile e quella politica, il mensile sviluppo' il tema del potere dal basso
in tutti i campi della vita pubblica.
Sui C.O.S. "ho notato - scriveva Capitini -  che gli osservatori, italiani e
stranieri, che sono venuti a Perugia a constatare il loro funzionamento,
cercavano spesso di risalire nel tempo e di stabilire dei riferimenti con la
vita medioevale della citta'... E se io volessi seguirli in questo potrei
collocare i C.O.S. sulla linea di quei "parlamenti", che ebbero il nome di
"arenghi", e senz'altro quello di "comuni". Dovrei, pero', anche indicare le
differenze, e principalmente queste due: che i C.O.S. non sono deliberanti,
e che si occupano anche di idee politiche e sociali. Mi piace pero'
segnalare un'altra linea, piu' interiore e piu' vera, quella dello spirito
con cui sorse il C.O.S., quella della sua anima ideale entro, tuttavia, la
concreta situazione odierna; lo spirito, oso dire, di San Francesco, di
Mazzini, di Matteotti.
Perche' se uno Stato, piccolo o grande che sia, e' tutto animato e
decentrato in queste libere assemblee di popolo che discute i problemi della
propria amministrazione e quelli dell'orientamento politico, assemblee in
ogni rione, in ogni villaggio, aperte a tutti, al popolo anonimo e quindi
soprattutto ai "minori" (nome del partito dei popolo assunto da San
Francesco); se uno stato fa questo, si svolge una specie di pacifica
mobilitazione permanente sul piano del ragionamento e della persuasione, che
educa al piacere dell'ascoltare, del comprendere, dell'amare. Poiche' per le
persone la cosa peggiore e' non incontrarsi, non ascoltarsi reciprocamente.
Se allo spirito di S.Francesco e di Mazzini, si aggiunge poi l'interesse
preciso per i problemi amministrativi, per i lati tecnici della gestione
degli enti nazionali e locali, si ha lo spirito di Matteotti, instancabile
controllore di bilanci e di statistiche, profondo esperto della buona
amministrazione, che seppe unire questo spirito di controllo democratico con
l'ideale del socialismo, e mori' per questo assassinato dai fascisti.
E se e' vero cio' che io penso, che il culmine della civilta' di un popolo
e' quando esso sia capace di sostituire alla lotta armata, ai colpi di mano,
alle mischie dei fronti di battaglia, la "noncollaborazione", che preme
compatta, i C.O.S. sono i punti di raccolta di questo spirito, le fortezze
della nonviolenza e le catacombe, i luoghi di formazione di una solidarieta'
democratica antitirannica.
Avra' l'Italia -  continuava Capitini - la capacita' di realizzare i C.O.S.,
di riassumere in essi questo spirito nonviolento di controllo e di sviluppo
democratico, collocato nel mondo moderno, in mezzo a simili e non simili
assemblee dell'Occidente anglo-americano e dell'Oriente sovietico? I C.O.S.
nelle parrocchie italiane non sarebbero una rivoluzione nelle abitudini del
popolo italiano? e il superamento della separazione tra promotori, eretici,
apostoli, e la vasta moltitudine?".
Creare tanti centri nonviolenti di aggregazione come suggeriva non solo
Capitini, ma anche altri come ad es. Dewey, il grande pragmatista americano,
o padre Haring, il famoso teologo moralista cattolico, sarebbe anche ai
tempi nostri un modo importante di favorire la partecipazione di tutti alla
vita pubblica.
Verrebbero coinvolte tra l'altro anche le tradizionali fasce di emarginati
della societa' e si arricchirebbe la vita privata e collettiva.
In un apposito sito del nostro web su Capitini raccontiamo le ragioni e la
storia dei C.O.S., scritta dal loro fondatore. Nella grande piazza della
rete lo riproponiamo periodicamente dal maggio 1999, con la testata di
"C.O.S. in rete" e l'indirizzo www.cosinrete.it.
Chiudiamo con un'altra delle attualissime pagine di Capitini:
"Va bene che le materie prime e le merci circolino liberamente e vadano dove
se ne abbisogna, e siano abbattute quelle barriere che hanno fatto si' che
in un luogo non si sapeva che fare del grano e in un altro luogo si moriva
di fame; va bene pure che abbiano fine queste contese, queste guerre per una
citta', per un lembo di terra, per una rivalita' di origine storica, e che
invece si allaccino vastissime federazioni internazionali.
Tutto questo va bene, ma non basta, perche' politica, economia sono
l'amministratore, sono la base pratica, ma nell'uomo c'e' tanto d'altro. E
la conquista del potere, il raggiungimento del benessere, sono certamente un
bene, ma portano con se' anche due pericoli, che sono il potere per il
potere, il benessere per il benessere. Il potere e il benessere non sono
fini, ma mezzi per migliorarci, per essere uomini migliori, piu' umani, piu'
buoni, piu' capaci di avvicinarsi alla verita', alla bellezza, alle alte
vette della vita, dove si vive qualche cosa di eterno, di piu' libero della
stessa politica ed economia.
L'uomo chiede a se stesso: perche' sono al mondo? e davanti al dolore, alla
morte, davanti alla gioia stessa, si fa domande, si pone problemi che vanno
oltre la sfera della politica e dell'economia. Arrivati a sentire, a vivere,
a realizzare questa grande unita', questa nuova socialita', che e' la nostra
patria suprema, noi sentiamo che la vita del pensiero e dell'animo acquista
un nuovo valore, quello di orientare, di salvare, di aprire alla vita tutta
l'umanita'".

5. INIZIATIVE. ALBERTO L'ABATE: ULTIME NOTIZIE SUL CORSO DI LAUREA IN
"OPERATORI PER LA PACE"
[Ringraziamo di cuore Alberto L'Abate per questo aggiornamento.
Alberto L'Abate, nato a Brindisi nel 1931, e' docente universitario; amico
di Aldo Capitini, impegnato nel Movimento Nonviolento, nella Peace Research,
nell'attività di addestramento alla nonviolenza, nelle attività della
diplomazia non ufficiale per prevenire i conflitti. Ha collaborato alle
iniziative di Danilo Dolci e preso parte a numerose iniziative nonviolente.
Come ricercatore e programmatore socio-sanitario è stato anche un esperto
dell'ONU, del Consiglio d'Europa e dell'Organizzazione Mondiale della
Sanità. Ha promosso e condotto l'esperienza dell'ambasciata di pace a
Pristina, ed è impegnato nella "Campagna Kossovo per la nonviolenza e la
riconciliazione". E' portavoce dei "Berretti Bianchi". Opere di Alberto L'
Abate: segnaliamo almeno Addestramento alla nonviolenza, Satyagraha, Torino
1985; Consenso, conflitto e mutamento sociale, Angeli, Milano 1990;
Prevenire la guerra nel Kossovo, La Meridiana, Molfetta 1997; Kossovo: una
guerra annunciata, La Meridiana, Molfetta 1999; Giovani e pace, Pangea,
Torino 2001. Per contatti: labate at unifi.it]
Mando qui alcune notizie di aggiornamento sul nuovo corso di laurea in
"operatori per la pace" dell'Universita' di Firenze.
Il corso e' approvato e si sta aprendo: e' un corso interfacolta' tra
Scienze Politiche e Scienze della Formazione. E' stato pubblicato
recentemente, dalle due facolta' citate,  il "Vademecum dello studente" con
le notizie di base sul corso che contiene le seguenti informazioni:
1) Caratteristiche del corso di laurea e sbocchi professionali;
2) Organizzazione didattica;
3) Norme di ammissione;
4) Ordinamento didattico;
5) Corsi di insegnamento, lezioni ed esami;
6) Docenti ed insegnamenti attivati nel corso di laurea.
Il quaderno succitato che comprende questo materiale puo' essere richiesto
ad una delle due Facolta' (Scienze Politiche, Via Laura 48; Scienze della
Formazione, Via del Parione 7). Parte del materiale e' accessibile anche via
internet in http://unifi.it.
Le iscrizioni possono essere fatte fino al 26  ottobre. Il costo
dell'iscrizione e della retta annua e' proporzionale al reddito familiare
delle persone interessate ad iscriversi, e va da un minimo di 919.200 annue
per coloro che hanno un reddito fino a 34 milioni, ad un massimo di
2.216.200 per quelli con reddito oltre 77 milioni.
Nel mese di settembre verra' stampato un fascicolo corrispettivo con tutti i
programmi dei corsi attivati. Per il mese di ottobre e' annunciata invece la
pubblicazione della guida dello studente.
Per gli studenti lavoratori che non possano fequentare le lezioni sono
previsti seminari o incontri compatti o attivita' di assistenza periodica, o
programmi specifici di esame. Il testo del manifesto  dice testualmente:
"Per gli studenti impegnati in attivita' lavorative documentate ciascun
docente attivera' forme alternative di didattica quali incontri individuali
o collettivi sotto forma seminariale".

6. ESPERIENZE. MASSIMO BRICOCOLI, MARIANELLA SCLAVI: SICUREZZA URBANA,
GESTIONE DEI CONFLITTI ED ESPERIENZE DI FORMAZIONE DELLA POLIZIA MUNICIPALE
(PARTE TERZA)
[Siamo assai grati a Marianella Sclavi, che da anni conduce un'esperienza di
formazione con la polizia municipale di Milano, per averci messo a
disposizione queso testo, dal titolo originale "Etnografia della sicurezza
urbana. Il ruolo dell'ascolto attivo e della gestione creativa dei conflitti
nella amministrazione del territorio", gia' apparso nell'"Archivio di studi
urbani e regionali", n. 68 del 2000. Pubblichiamo oggi la terza e ultima
parte del saggio.
Massimo Bricocoli e' impegnato nella ricerca-azione sulla sicurezza urbana e
nella formazione della Polizia Municipale.
Marianella Sclavi e' docente universitaria al Politecnico di Milano, e'
antropologa, e si occupa di progettazione urbana partecipata e di formazione
della Polizia Municipale a Milano. Per contatti: msclavi at libero.it]
2. I nuovi "vigili di quartiere": l'avventura dell'ascolto attivo
Massimo: Nel corso del lavoro di shadowing che ho svolto in questi mesi,
seguendo come un'ombra gli agenti della Polizia Municipale, mi e' successo
spesso di pensare che questi Vigili di Quartiere sono un po' come degli
sportelli ambulanti della Pubblica Amministrazione.
Sportelli un po' anomali perche' non ci sono code di attesa, non c'e' un
bigliettino da staccare per assicurarsi il proprio turno e, soprattutto,
sono privi di quell'orrido vetro con microfono incorporato che divide
sportellista e utente. Il fascino e la visibilita' della divisa garantiscono
una grande facilita' di riconoscimento e accessibilita' a questo "punto di
riferimento mobile" e istituzionale.
Marianella: E' un po' come se questi agenti fossero dei "front office" che
camminano sui marciapiedi, mentre un back office dovrebbe provvedere a
costruire le risposte ai problemi che vengono individuati come prioritari...
Massimo: Esattamente... solo che al momento mi sembra che la Polizia
Municipale, proprio perche' sollecitata ad innovare dal confronto diretto
sul campo stia facendo molti piu' passi rispetto agli altri pezzi del
Governo Locale che dovrebbero fare da back office.
A livello di cultura organizzativa infatti e' una sorta di rivoluzione
quella prodotta da un cambiamento che muove da un approccio centrato su
"ruoli, mansionario e competenze" legati ad un problem solving semplificato
e semplificante, ad un approccio centrato sul problem setting, sulla
comprensione e definizione di problemi "specifici, concreti e contingenti"
indicati come prioritari da chi abita o lavora in un quartiere.
Di fatto la modalita' con cui molti Vigili di Quartiere affrontano i
problemi che incontrano sul campo e' tanto distante da un approccio
tradizionale di trattamento dei problemi cosi' come l'approccio degli
operatori di strada che fanno reach out e street work si differenzia dalle
pratiche tradizionali dei servizi sociali.
Inoltre in qualita' di architetto e urbanista sono rimasto ammirato dalla
conoscenza del territorio, articolata, complessa, capillare dimostratami
dagli agenti che ho seguito. Mi sono convinto che alcune analoghe giornate
di shadowing, farebbero molto bene agli studenti di urbanistica.
Marianella: Ho l'impressione che tu ti sia un po' innamorato di questi
vigili di quartiere... Bisogna stare attenti a non cadere in una
idealizzazione dello "spontaneismo".
Anch'io, quando ho fatto una ricerca nel Sud Bronx, ho incontrato numerosi
"nuovi pionieri urbani", come si chiamano gli attori impegnati al
risanamento fisico e sociale di ambienti urbani degradati, che erano degli
eccezionali osservatori e ascoltatori delle dinamiche del tessuto urbano. Ma
è anche vero che nel dialogo con i loro interlocutori istituzionali, erano
spesso messi ai margini, strategicamente perdenti per un motivo molto
preciso. Si trattava di un dialogo fra chi sa ascoltare l'ambiente urbano,
ma non e' in grado di esplicitare e legittimare la metodologia che segue, e
degli interlocutori che non sanno ascoltare ma si basano su una metodologia
ampiamente legittimata dalle rispettive discipline e dal funzionamento delle
istituzioni in cui operano.
La Riforma della Pubblica Amministrazione e' un processo così lungo e
travagliato perché ha alla sua base una rivoluzione nei paradigmi della
conoscenza che coinvolgono non solo lei, ma la vita quotidiana di tutti i
membri di una societa' che diviene sempre più complessa. Solo se si e'
consapevoli che non si tratta di cambiare "i compiti", i mansionari, "le
competenze" in senso stretto, ma quelle in senso largo (i sensi di identità
e di appartenenza), e' possibile facilitare questi mutamenti e ridurre la
confusione.
*
* Quinta storia: La vecchietta sorda e la musica troppo alta
Massimo: Sento l'esigenza di compensare questi tuoi "voli alti" con il
racconto di una storia piccola piccola, ma pertinente a cio' di cui
parliamo.
Una commerciante del quartiere Molise Calvairate ne ha commentato gli esiti
cosi': "Io ai Vigili di Quartiere gli do 10 e lode. La signora Baccaretti da
cui ho chiesto che andassero non e' mai stata cosi' contenta in vita sua, mi
ha detto che da quando sono andate a trovarla due persone in divisa, non
solo dorme profondamente, ma fa anche dei bei sogni".
Ed ecco l'antecedente, raccontato dai Vigili: "La signora in questione da
diverse settimane aveva preso a telefonare tutte le sere e in modo alternato
a Polizia Municipale, Carabinieri, Polizia di Stato. Nel cuore della notte,
tutta allarmata, chiedeva l'intervento di una pattuglia per mettere fine
alla musica a tutto volume dei suoi vicini. Ma ogni volta che le pattuglie
arrivavano sul posto, tutto era tranquillo. Abbiamo chiesto ai vicini di
casa e tutti hanno dichiarato che non c'era alcun problema ne' di musica
troppo alta, ne' di schiamazzi. Cosi' abbiamo pensato che la cosa migliore
da fare era andare un giorno direttamente a chiacchierare con la vecchietta.
Lei ci ha accolto letteralmente a braccia aperte dichiarando che prima di
allora, nonostante le sue grida di aiuto, mai due uomini in divisa avevano
messo piede nella sua casa. Ci ha fatto accomodare e praticamente ci ha
raccontato la sua vita che secondo lei era essenziale per capire come mai la
musica troppo alta la metteva in agitazione e non la lasciava dormire. L'
aspetto paradossale e' che durante la conversazione noi ci siamo resi conto
che la vecchietta era quasi completamente sorda! E che quindi, anche se ci
fosse stata, la musica lei non l'avrebbe proprio potuta sentire. Beh, in
poche parole, da quando siamo stati a trovarla, la vecchietta non fa altro
che ringraziarci, dorme sonni tranquilli e non ha più chiamato la centrale
operativa".
Marianella: Come diceva Simone Weil "abbiamo bisogno di organismi ricettivi,
capaci di cogliere i pensieri e bisogni latenti".
Credo si debba riflettere sul fatto che un ruolo del genere lo possono
svolgere piu' facilmente in certi casi, in casi come questo, delle persone
in divisa che non, per esempio, una vicina di casa o una assistente sociale.
Sono tentata di vedere in questo "un enorme bisogno di Stato", di una
autorita' pubblica ridefinita, che non solo ti ascolta, ma ti da' un senso
di appartenenza a una comunita' più vasta.
Non vorrei sovraccaricare la figura del vigile di quartiere di troppi
significati, anzi penso che questo vada evitato. Ma per evitarlo e'
necessario che quegli organismi ricettivi di cui parla Simone Weil si
moltiplichino, che i luoghi e le figure dell'accoglienza che gia' esistono
vengano potenziati.
Un quartiere degradato manda in continuazione ai suoi abitanti il messaggio:
"Tu non, sei degno di riconoscimento e rispetto", "Tu non esisti, non servi
a nulla". Come reazione, di nuovo l'ho capito meglio nel Sud Bronx, troviamo
una solitudine disperata, inerme negli anziani e spesso aggressiva nei
giovani ( "Sei tu societa', voi istituzioni, che non contate niente, che per
me non esistete").
Massimo: Le tue riflessioni sul significato simbolico della divisa mi fanno
venire in mente che Simona Pognant, che spesso mi affianca in queste
ricerche, e' una volontaria dei Vigili del Fuoco, oltre ad essere una atleta
eccezionale e Assessore alla Cultura nel suo Comune. Ebbene, in molti casi
proprio il suo dichiararsi "vigile del fuoco" ci ha conquistato le simpatie
immediate e la collaborazione di alcuni interlocutori della Polizia
Municipale all'inizio distanti e diffidenti.
*
* Sesta storia. Un ascensore per "scalare" Ponte Lambro
Massimo: Visto che ti e' piaciuta cosi' tanto la prima storia piccola
piccola, te ne racconto un'altra.
Ponte Lambro e' da tempo alla ribalta della cronaca milanese come uno dei
quartieri piu' a rischio e piu' problematici della città. I due Vigili di
Quartiere che vi prestano servizio hanno raccontato a me e a Simona che la
struttura insediativa e sociale e' nettamente distinta in due realta':
- il vecchio borgo, che conserva ancora l'aspetto di paese, dove sulla
strada centrale si affacciano alcuni negozi, le abitazioni hanno un aspetto
talvolta rurale, sia pure frammisto a nuovi edifici
- e la zona di edilizia residenziale pubblica adiacente, caratterizzata da
grandi "stecche" bianche, ovvero i lunghi edifici paralleli di Via Uccelli
di Nemi dove si concentra, di fatto, il disagio del quartiere.
Ci hanno spiegato che la costruzione di queste case popolari negli anni '70,
con appartamenti molto grandi (quattro stanze con bagno) e' stata una scelta
politica: "in questo modo si potevano marginalizzare quelle famiglie
numerose, immigrate, e/o quelle pericolose".
In un quartiere come questo - va detto - la divisa non e' molto ben vista:
"Qui tutti ci vedono non come vigili urbani ma come poliziotti e noi non
vogliamo dare l'impressione di uno Stato di Polizia. A questo basta e avanza
la presenza dell'aula bunker del tribunale di fianco al quartiere e il via
vai di blindati. Qui i ragazzini si vedono passare il padre o il vicino di
casa avanti e indietro dentro il blindato dei carabinieri. Con la
popolazione ci abbiamo messo un anno prima di entrare in contatto, prima di
conquistare la fiducia della gente "normale", intendendo con questo tutti
coloro che non sono dei delinquenti cronici. Eppure, rispetto ad altri
quartieri piu' tranquilli dove ho lavorato, io preferisco Ponte Lambro.
Qui c'e' un rapporto più franco con la popolazione. In altri quartieri, il
rapporto e' freddo e centrato su una specie di arroganza dei propri diritti.
Qui e' diverso, ci si puo' permettere di sgridare un ragazzino e di fare
delle prediche sul rispetto degli spazi pubblici. L'autorita', anche se
coincide con il nemico, e' riconosciuta maggiormente. Nei quartieri "alti"
ti fanno una denuncia come niente. Vi faccio un esempio: "Ehi ragazzino,
lascia perdere il frisbee, non vedi che e' pericoloso per le altre persone?"
. Risposta nei quartieri "alti": "Beh, e allora? Cosa mi fai? Guarda che se
mi prendi il frisbee ti denuncio per abuso, e prima di tutto mi devi fare un
verbale di sequestro". Vai tu, a fare il vigile di quartiere in un ambiente
cosi'... se va bene ti trattano come un maggiordomo.
Invece in queste zone quello che ti devono dire te lo dicono in faccia,
senza bisogno di passare attraverso l'avvocato. Adesso la gente ci ferma
spessissimo, per ogni sorta di problemi. Ieri, ad esempio, una vecchietta a
cui e' morto il marito e non sa da che parte incominciare con le pratiche
burocratiche...".
Marianella: Vorrei capire meglio come hanno fatto a conquistarsi questa
fiducia, come sono riusciti ad accreditarsi presso degli abitanti cosi'
prevenuti nei loro confronti.
Massimo: Anch'io ho fatto questa domanda, che e' risultata piu' delicata di
quanto pensassi perche' per conquistarsi la fiducia della popolazione loro
stessi hanno dovuto assumere una posizione "borderline" rispetto al sistema
ruolo-mansionario caratteristico della loro struttura Ecco uno dei racconti.
"Un giorno, un signore è corso a chiamarci. Un uomo era chiuso da due ore in
un ascensore, nei palazzoni bianchi dell'Aler. Non potevamo lasciarlo li',
anche perche' iniziava a sentirsi male e cosi' sono saltato su un
cornicione, sono passato dal tetto, ho raggiunto la stanza motore ed ho
riportato l'ascensore al piano.
Sono intervenuto perché i tecnici Aler in tutto quel tempo non si sono fatti
vedere e quando noi abbiamo chiamato i Vigili del Fuoco ci hanno comunicato
che questa per loro non era una vera e propria emergenza prioritaria e che
sarebbero arrivati dopo una ventina di minuti circa...
Ecco, noi su un'azione di questo tipo non possiamo fare una relazione di
servizio sull'accaduto altrimenti va a finire che ci fanno rapporto o
qualcosa di simile, perche' non e' cosa di nostra competenza. Eppure, e'
grazie a interventi di questo tipo che nel giro di un anno la gente ha
incominciato a vederci in modo diverso. Prima non ci salutava nessuno.
Adesso dicono: 'No, no... questi sono bravi!'".
In effetti camminando per il quartiere al loro fianco, abbiamo constatato
che sono moltissime le persone che li salutano: l'autista dell'autobus, un
ragazzo del Centro Territoriale Sociale, il custode di uno stabile, un uomo
con un bambino... A un certo punto una signora concitata, convinta che io e
Simona fossimo tecnici o ispettori dell'Aler, ci aggredisce sotto il portico
del palazzone urlando: "Qui basta che dicano che c'e' mafia e camorra, e poi
ci lasciano ridotti cosi'!", ma si e' immediatamente calmata quando uno dei
vigili ha esclamato in napoletano stretto: "Fidati, loro non c'azzeccano
nulla con l'Aler".
Marianella: Questa faccenda che non possono o non osano far rapporto su un
episodio del genere, e' effettivamente il punto delicato della questione.
Per esempio i vigili del Presidio dello Stadera, che e' un altro quartiere
popolare di Milano molto difficile e che sono stati per molti versi i
pionieri di questo approccio, hanno subito una sorta di repressione, sono
stati tutti spostati a lavori piu' innocui e burocratici. Ci sono stati
momenti quasi di rivolta popolare in loro difesa contro i loro superiori. E'
una storia di grandissimo interesse.
Secondo me questi problemi non sono affrontabili con il richiamo a dei
regolamenti procedurali, ma elaborando una casistica che nasce dall'
esperienza. I Vigili di Quartiere devono essere liberi di aiutare il signore
chiuso in ascensore, se lo giudicano opportuno, o di sostare nel negozio di
animali, ma, per esempio, non di andare a chiacchierare nella casa del boss
mafioso. Bisogna certamente fissare dei limiti, ma non di tipo burocratico.
Si tratta di costruire un orizzonte difficile: degli operatori la cui
capacita' di discernimento sul campo e' centrale, ma non arbitraria. Per
questo ci vogliono riunioni periodiche con i diretti superiori per
riflettere in tutta franchezza e senza timori e tabu' sulle esperienze che
si stanno facendo.
La formazione, il training di chi opera in situazioni complesse, e' cosi'
che si fa; non certo chiudendoli in classe e trattandoli come tanti
scolaretti o misurando il numero delle multe.
Pero' a questo punto mi devi raccontare qualche intervento su qualche atto
di microcriminalita', di infrazione palese delle regole del codice, perche'
la prevenzione nasce anche dalla possibilita' di punire tempestivamente chi
commette questi atti.
*
* Settima storia: Non è vero che i cinesi sono tutti uguali
Massimo: Quella che segue l'ho raccolta seguendo come un'ombra i vigili del
quartiere Sarpi, la Chinatown di Milano. La parola al vigile.
"In novembre, mentre ero di servizio sono stato chiamato da alcuni passanti
che avevano sentito delle urla uscire da un negozio. Mi sono precipitato in
bicicletta e, fermandomi sulla soglia, ho intimato a tutti di stare fermi.
Un gruppo di cinque uomini cinesi circondava la commerciante (cinese anche
lei). Ho chiamato con il cellulare il numero unico della Centrale Operativa
e mentre parlavo al telefono qualcuno dietro di me accennava a minacce di
omicidio fatte alla negoziante. Poi ho subito chiesto di andare a chiamare
una ragazza cinese che lavora nelle vicinanze e che mi aveva aiutato in
altre occasioni in modo che fosse disponibile come interprete per la
Polizia. Grazie alla flagranza dell'intimidazione alla commerciante, la
Polizia di Stato ha potuto procedere all'arresto di cinque persone da tempo
ricercate e portare a termine un'inchiesta che si e' poi conclusa con l'
arresto complessivo di quindici persone che facevano parte del racket. La
signora del negozio da quel momento mi inonda di sorrisi e inchini, quando
mi vede. Questo è il vantaggio di "essere sul posto" e anche avere una
bicicletta di servizio e' fondamentale".
Marianella: Se poi il vigile si innamora dell'interprete, ne viene fuori un
best-seller!
Massimo: Non posso negare che facendo questa ricerca mi diverto e imparo
tantissimo; anche perche' fra "ombra" e chi acconsente a farsi seguire si
creano dei rapporti umani reciprocamente gratificanti. Ti racconto un'ultima
storia e poi basta.
*
* Ottava storia. La vernice del vecchietto e la tattica della custode
Massimo: Anche qui lascio la parola al vigile. "Il quartiere Emilia Grandi
non e' un quartiere "a rischio", e' una zona semicentrale, i palazzi sono
per lo piu' signorili e relativamente pochi quelli destinati ad uffici. Il
mio quindi e' certamente un lavoro "minuto", mirato a risolvere
problematiche apparentemente semplici che pero' se non affrontate al loro
sorgere rischiano di trascendere in risse e anche peggio. Se mi limitassi a
camminare lungo il corso tirando dritto perderei un sacco di informazioni;
invece mi fermo a scambiare due parole con i custodi, i negozianti, le
signore che portano a spasso i cani e cosi' poi la gente si rivolge a me.
In un palazzo che affaccia su piazza Grandi, in collaborazione con la
custode, abbiamo risolto diversi problemi anche molto spinosi.
Te ne racconto uno. Quando ho iniziato il servizio di Vigile di Quartiere le
auto erano ovunque sul marciapiede. Adesso, come vedi sono al 90% a cavallo
tra strada e marciapiede. Per tappe successive e' stato raggiunto un accordo
con i residenti, infatti gran parte del trucco, se vuoi conquistarti la
fiducia dei cittadini e' non imporre le regole, ma negoziarle informalmente.
Piano piano, sanno che quel certo giorno arriva la multa e quello successivo
no. La voce si sparge. E' come un tam tam non indifferente. Un amplificatore
del tam tam e' stato ad esempio il bar qui di fronte, dove ho chiesto di
spargere la voce e poi i custodi delle abitazioni. Poi succede che quando
credi di essere a buon punto succede qualcosa che ti manda all'aria tutto.
Per esempio in questo caso avevo creduto di avere gia' trovato un punto di
mediazione che consisteva nel permettere che le auto nei giorni successivi
al lavaggio strade rimanessero posteggiate sul marciapiede sino alle 9.30-10
di mattina. Solo dopo quest'ora iniziavo con le contravvenzioni. In piazza
Grandi, pero', c'era un anziano signore esasperato contro le auto sul
marciapiede il quale non aveva ancora... siglato l'accordo, e dalla sua
finestra al quarto piano buttava di tutto sulle auto, anche della vernice...
con le reazioni dei proprietari che puoi immaginare. Con la custode del
palazzo, si e' giocato d'astuzia. Io non potevo espormi direttamente. Lei
gli ha detto che io stavo raccogliendo informazioni su di lui. Cosi' lui ha
smesso con le sue vendette contro le auto sul marciapiede, che fra l'altro
adesso non trova piu' perche' nel frattempo ho negoziato una soglia di
tolleranza anticipata".
Marianella: Mi sembrano molto interessanti questi approcci indiretti, questo
far crescere le regole conquistandosi il consenso degli abitanti.
Il filo rosso che lega queste esperienze che stiamo raccogliendo sul campo
e' proprio questo nuovo stile, questa modalita' di approccio ai problemi
della vita quotidiana.
E' la capacità di trasformare le situazioni di tensione e i conflitti in
risorse per costruire una cultura civica diffusa, di cui tutti si sentano
responsabili. E' un'apertura ad un apprendimento che deriva dall'
osservazione diretta e dall'esperienza, una tendenza a travalicare i
comparti di uno specifico campo di ruoli prestabiliti, quando questo e'
richiesto dalla natura delle questioni in gioco.
La pratica di un ascolto attivo comporta la propensione al coinvolgimento e
al racconto, piuttosto che al distacco e alla descrizione puramente neutrale
e tecnica, la centratura sulla propria esperienza piuttosto che sul voler
sostenere fino in fondo una propria tesi. Col linguaggio dell'antropologia:
devono saper trovare un equilibrio fra coinvolgimento e distacco, invece che
trovare difesa nel distacco contro il coinvolgimento. Mi piacerebbero un po'
di esempi sui rapporti interetnici, fra persone di lingue e culture diverse.
Massimo: Io non ho avuto ancora occasione di raccoglierne, ma potremmo farne
uno dei temi del nostro programma di ricerca. Per il momento ti propongo di
chiudere con una definizione di "insicurezza urbana" che mi è stata data da
Maurizio di Mauro, un istruttore direttivo di Desio. E' la seguente.
"Si tratta di un insieme di fastidi che nel loro insieme diventano
insicurezza: l'accumulazione di ragazzi che mettono i piedi sulle panchine,
i disegni con gli spray sui muri, i danni ai cartelli stradali, le auto
posteggiate sui marciapiedi, le bottiglie di birra nei parchi. Tre ragazzi
che parlano non danno fastidio, ma trenta creano preoccupazione... Tutta una
serie di cose di per se' banali ma che nell'insieme producono insicurezza
perche' cumulate alla presenza di nomadi, di uomini extracomunitari che
spesso bighellonano nella piazza dove una volta si trovavano i vecchi che
commentavano quello che era successo il giorno prima.
Per esempio: il problema dei nomadi e' sempre esistito, ma adesso viene piu'
percepito; appena si vede una roulotte scatta l'allarme... l'altro giorno e'
arrivata una telefonata da Nova Milanese: tre roulottes! Erano tre famiglie
di italiani che stavano partendo per le vacanze".
Marianella: Questo mi ricorda che la mia amica Pearl White, che e' nera e
vive nel Sud Bronx, quando faceva l'operatrice telefonica, riceveva chiamate
allarmate: "Operatrice! Avvisi la polizia! C'e' un nero nella mia strada".
Al che lei rispondeva: "Un nero? E cosa fa, cammina? E' davvero
preoccupante, chiamo subito la polizia".
Massimo: Infine, con nostra sorpresa stiamo scoprendo che molti vigili
urbani, sia a livello direttivo che di base, con le loro esperienze
documentano in modo singolarmente efficace che il passaggio dal government
(decisioni e attuazioni prese dall'alto, procedurali e burocratiche) alla
governance, di cui oggi tanto si parla, e' impensabile senza un agire che
nasce dall'apprezzamento delle situazioni contingenti e delle persone
concrete ( la portiera, la negoziante, il rappresentante di scala, i signori
che portano a spasso il cane...), le quali sono gli interlocutori e
protagonisti privilegiati indispensabili per combattere il degrado sia
urbanistico che sociale e creare spazi pubblici più accoglienti e gradevoli
per tutti.
Marianella: Quello che viene fuori e' che la gente non ha bisogno di
 "ordine", ma di "co-ordinare", di essere coinvolta e partecipe di processi
di ascolto e rispetto reciproco.

7. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA GIAIME PINTOR A FRANCO
PITTAU

* GIAIME PINTOR
Profilo: intellettuale ed eroe della Resistenza, caduto nel 1943 a
ventiquattro anni in uno dei primi episodi della guerra partigiana; di
famiglia sarda era nato a Roma nel 1919, cresciuto a Cagliari, a Roma era
tornato nel 1935 per proseguirvi gli studi. Opere di Giaime Pintor:
fondamentale è la raccolta degli scritti politici e letterari dal 1939 al
1943 curata da Valentino Gerratana: Il sangue d'Europa, Einaudi, Torino;
cfr. anche il Doppio diario. 1936-1943, Einaudi, Torino.

* GIAIME PINTOR
Profilo: figlio di Luigi e nipote di Giaime, ha lavorato come giornalista e
operatore culturale nella "controcultura" giovanile, poi come operatore
sociale a fianco delle persone più emarginate ed in ricerca. E' deceduto
ancor giovane nel 1997.

* LUIGI PINTOR
Profilo: nato nel 1925 a Roma, fratello di Giaime, antifascista, giornalista
a "L'Unità" dal 1946 al 1965, parlamentare, radiato dal PCI nel 1969 ha dato
vita al "Manifesto", dapprima rivista e poi quotidiano su cui ancora scrive.
E' uno straordinario corsivista politico, unisce una prosa giornalistica di
splendida bellezza ad un rigore morale e di ragionamento di eccezionale
nitore. Opere di Luigi Pintor: I mostri, Alfani, Roma; Servabo, Bollati
Boringhieri, Torino; Parole al vento, Kaos, Milano; La signora Kirchgessner,
Bollati Boringhieri, Torino; Il nespolo, Bollati Boringhieri, Torino 2001.
Indirizzi utili: "Il manifesto", via Tomacelli 146, 00186 Roma.

* GIOVANNI PIOLI
Profilo: studioso di rigoroso ed intenso impegno per la pace e l'obiezione
di coscienza. Opere di Giovanni Pioli: La rinuncia alla violenza, Alaya,
Milano; Gli obbiettori di coscienza dinanzi alla legge, Alaya, Milano.

* ROBERTO PIPERNO
Profilo: studioso dell'antisemitismo. Opere di Roberto Piperno: L'
antisemitismo moderno, Cappelli, 1964.

* FABIO PIPINATO
Profilo: e' stato fino a  poco tempo fa direttore dell'eccellente sito di
"Unimondo", ed e' attualmente cooperante in Africa.

* AGOSTINO PIRELLA
Profilo: psichiatra, impegnato nel movimento di psichiatria democratica.
Opere di Agostino Pirella: suoi contributi sono in vari volumi collettanei,
tra cui Che cos'è la psichiatria, Einaudi; L'istituzione negata, Einaudi; La
salute in fabbrica, Savelli; I tetti rossi, Mazzotta; La ragione degli
altri, Savelli; Il giardino dei gelsi, Einaudi; Dove va la psichiatria?,
Feltrinelli; Fra regole e utopia, Cooperativa editoriale Psichiatria
Democratica.

* GIOVANNI PIRELLI
Profilo: intellettuale democratico italiano (1918-1973). Opere di Giovanni
Pirelli: con Piero Malvezzi ha curato per l'editore Einaudi le raccolte
delle Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana, e delle
Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea; ha curato anche,
sempre per Einaudi, l'edizione delle Opere scelte di Frantz Fanon (su Fanon
ha anche pubblicato un breve profilo, riedito recentemente in Aruffo,
Pirelli, Fanon, Erre Emme Edizioni).

* HENRI PIRENNE
Profilo: insigne storico belga. Opere di Henri Pirenne: segnaliamo
particolarmente laStoria d'Europa dalle invasioni al XVI secolo (scritta
durante la deportazione in Germania durante la prima guerra mondiale), Le
città del Medioevo; la Storia economica e sociale del Medioevo; e la grande
monografia Maometto e Carlomagno (apparsa postuma, coronamento di una
prospettiva di studi, opera tra le decisive e maggiormente suscitatrici di
ricerche, riflessioni, dibattiti, della storiografia medievista del
Novecento), tutte ora in edizione italiana ultraeconomica presso la Newton
Compton di Roma.

* JOSE' MARIA PIRES
Profilo: vescovo brasiliano, discendente da schiavi neri, è noto per il suo
impegno per i diritti umani ed a sostegno delle lotte nonviolente di
liberazione.

* SERGIO PIRO
Profilo: nato a Napoli nel 1927, psichiatra, docente universitario, uno dei
protagonisti della riflessione e della pratica della psichiatria
democratica. Opere di Sergio Piro: segnaliamo almeno i fondamentali Il
linguaggio schizofrenico, e Le tecniche della liberazione, ambedue presso
Feltrinelli.

* VALENTINA PISANTY
Profilo: nata a Milano nel 1969, studiosa di semiotica, lavora presso
l'Universita' di Bologna. Opere di Valentina Pisanty: L'irritante questione
delle camere a gas, Bompiani, Milano 1998.

* FRANCO PITTAU
Profilo: si occupa particolarmente di problemi dell'immigrazione e diritti
delgi immigrati nella Caritas di Roma. E' uno dei massimi esperti in
materia. Opere di Franco Pittau: è il curatore del dossier statistico
pubblicato annualmente dalla Caritas sull'immigrazione in Italia. Ha curato
anche il volume Forum per l'intercultura. Nuovi itinerari didattici,
Anterem, Roma 1997. Indirizzi utili: Caritas diocesana di Roma, piazza S.
Giovanni in Laterano 6, 00184 Roma.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ;
angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 226 del 12 settembre 2001