aviaria: un farmaco per noi "polli"



dal manifesto 
 
Un farmaco per noi polli

Il caso del celebre Tamiflu: serve a una sola cosa, portar profitti alla
Roche
Una strategia di comunicazione strepitosa e una psicosi di massa hanno
fatto vendere alla multinazionale svizzera quantità sbalorditive di un
farmaco nato male, sostanzialmente inutile e in pratica mai testato per lo
scopo cui è destinato
SERENA TINARI
Ginevra, 24 agosto 2005. Un comunicato dell'Organizzazione Mondiale della
Sanità informa che il colosso farmaceutico Hoffmann-La Roche ha donato alla
comunità internazionale tre milioni di trattamenti al Tamiflu, che saranno
destinati alla lotta contro l'influenza aviaria nei paesi più poveri.
Perché «In caso di pandemia e se combinata con altre misure, la
somministrazione di Tamiflu potrebbe aiutare a limitare le malattie e le
morti e contenere l'esplosione del virus. O a rallentarne la diffusione»
afferma la suprema autorità per la salute pubblica. Nel quartier generale
di Basilea, lo stato maggiore della Roche deve aver brindato all'eccellente
ritorno di immagine. Con l'obolo all'Oms il gigante della farmaindustria si
fa vedere a fianco dei poveri. E con il comunicato dell'Oms, il Tamiflu
entra da protagonista nel circo mediatico al tempo dell'aviaria. È una vera
consacrazione. Nel pane quotidiano di numeri dispensati con tono pandemico,
fra un rogo di polli vivi e «men in white» che disinfestano, si fa largo
«l'unico antivirale che potrebbe contrastare l'influenza aviaria umana» A
dispetto del condizionale, nello spazio di pochi mesi sessanta nazioni si
assicurano riserve per il 25 per cento della popolazione, mentre le
farmacie sono prese d'assalto da chi diffida delle promesse dei governi.
Roche annuncia che gli stabilimenti lavorano 24 ore su 24: dal 2004 a fine
2006, la produzione della preziosa polvere bianca sarà decuplicata. Un
farmaco mezza tacca Curioso destino, per un farmaco finora considerato
dagli addetti ai lavori una «mezza tacca ». Il Tamiflu, principio attivo
Oseltamivir, viene scoperto nel 1994 dai ricercatori della Gilead Sciences,
impresa biofarmaceutica con sede in California. Di casa alla Gilead è il
segretario di Stato americano Donald Rumsfeld: ne è stato direttore dal
1988, presidente del consiglio di amministrazione dal 1997 al 2001 e ne è
tuttora azionista. Nel 1996 Gilead cede a Roche i diritti di sfruttamento
del Tamiflu, in cambio del 10 per cento sul venduto. Il farmaco arriva sul
mercato nord-americano e svizzero nel 1999-2000, nella maggiorparte dei
paesi europei fra il 2002 e il 2003. Indicazione: influenza stagionale.
Fino all'avvento dell'aviaria, il Tamiflu vendeva poco - talmente poco che
nei salotti della farmaindustria mondiale si sussurrava che Roche meditasse
di ritirarlo dal mercato. Il tiepido successo dell'antivirale non stupiva i
farmacologi. I test effettuati prima della commercializzazione indicano,
infatti, che Oseltamivir, in gergo tecnico un «inibitore della
neuraminidase», agisce sui ceppi «A» e «B» dell'influenza - ceppi che solo
un apposito esame può individuare con certezza. Assunto entro 48 ore dalla
comparsa dei primi sintomi, Tamiflu può ridurre la durata dell'influenza di
un giorno e mezzo. Guadagno modesto, per competere con latte e miele, pezze
fredde e aspirina. Per questo, più che una pillola dei miracoli, Tamiflu
era considerato un «flop». E Roche, in effetti, non sembrava puntarci
particolarmente. Tanto che nel 2005 Gilead ha chiesto - ed ottenuto - la
revisione dell'accordo del 1996, pena la decadenza del contratto, perché la
multinazionale svizzera svizzera non avrebbe fatto abbastanza per
promuovere il farmaco e omesso di versare al partner americano quasi venti
milioni di dollari. Gilead riassume: «Roche ha ottenuto l'autorizzazione
per il mercato in 64 paesi, ma l'ha portato solo in 21 (...) e non l'ha
promosso presso medici, pazienti e autorità sanitarie». Roche nega. Ma
paga: nello scorso novembre, il contenzioso è stato dichiarato chiuso con
reciproca soddisfazione. E' un farmaco efficace? Ma perché Roche non
avrebbe investito le sue potenti risorse di comunicazione e marketing su
questo farmaco? Una risposta sorge spontanea a leggere articoli e ricerche
pubblicati dalle riviste specializzate. Sulla questione chiave, ovvero «è
un farmaco efficace?», non ci sarebbero sufficienti evidenze scientifiche.
La stroncatura della newsletter svizzera Infomed/Pharmakritik è lancinante:
«In base alle conoscenze attuali, non c'è nessun gruppo ben definito di
malati di influenza ai quali si possa consigliare un trattamento a base di
Oseltamivir». La francese Prescrire è categorica: «A parte gli effetti
collaterali, non si capisce cosa aggiunga alla terapia sintomatica
tradizionale». Nel febbraio 2006, The Lancet ci mette una pietra sopra. I
ricercatori del gruppo Cochrane hanno esaminato 50 studi sull'efficacia del
Tamiflu e concludono: «E' troppo modesta, per consigliarne l'assunzione».
Ma se l'effetto sull'influenza sarebbe blando, nessun addetto ai lavori può
garantire dell'efficacia del Tamiflu sull'influenza aviaria umana.
Anzitutto, perché è un virus che non esiste. Il ceppo attuale non si
trasmette fra esseri umani - una manciata di casi sospetti sono stati
segnalati in Asia, ma se il virus fosse già mutato, a fronte di 180 milioni
di pennuti morti, le vittime umane sarebbero ben più del centinaio scarso
registrato fino ad oggi. E soprattutto, spiega da Ginevra il portavoce
dell'Oms per l'aviaria, Dick Thompson, è impossibile giurare che il Tamiflu
funzioni, perché «non abbiamo dati clinici per affermarlo». La speranza dei
governi mondiali è scaturita, invece, dal «pezzo da novanta » della
strategia di Roche per collocare Oseltamivir nell'arsenale contro la temuta
pandemia. Si tratta di un test di laboratorio, i cui esiti sono stati resi
noti nel 2004. Venti topi sono stati infettati con il virus H5N1; i dieci
trattati con un altro antivirale sono morti; dei dieci che hanno ricevuto
Oseltamivir, due sono sopravvissuti. Esperimento ripetuto in seguito, con
analoghi risultati: sui topi in preda all'aviaria, Oseltamivir almeno un
poco funzionerebbe. Ma sugli esseri umani? In letteratura sono riportati
pochissimi casi di persone affette da influenza aviaria curate col Tamiflu.
Uno studio vietnamita ha analizzato dieci pazienti: dei cinque trattati col
Tamiflu, quattro sono morti. Molto citato, uno studio olandese che risale
al 2003 - ma il virus era un altro (H7N7) e i risultati sono definiti
«inconcludenti». The Lancet nello scorso gennaio ha dato il colpo di
grazia: «Non abbiamo trovato nessuna evidenza dell'efficacia degli
inibitori della neuraminidase sull'influenza aviaria umana», ha scritto Tom
Jefferson del gruppo Cochrane. Le prove dell'efficacia del Tamiflu sono
talmente labili da mettere in imbarazzo il portavoce dell'Oms, che
dichiara: «È frustrante, ma è la situazione in cui ci troviamo. Il virus ha
colpito talmente poche persone al mondo che non abbiamo pazienti su cui
testare il Tamiflu». Peggio: nelle scorse settimane alcuni ricercatori
giapponesi hanno constatato che, somministrato il farmaco ad alcuni malati
di aviaria, questi sviluppavano immediatamente la resistenza al principio
attivo - che dunque non funzionava affatto. Dick Thompson ammette che sulla
questione non c'è uno speciale programma di coordinamento con gli ospedali
asiatici, né ci sono test clinici in corso. D'altronde: «Non sappiamo cosa
potrebbe accadere in futuro. Perché se il virus mutasse e si trasmettesse
all'uomo, magari non sarebbe più H5N1 - e allora potremmo sperare che altri
antivirali potrebbero rivelarsi efficaci». E cosa ce ne faremmo delle
tonnellate di Oseltamivir stoccate in giro per il mondo? La risposta degli
addetti ai lavori è univoca: nel dubbio, per sicurezza e sperando serva a
qualcosa, facciamo riserve. Un farmaco sicuro? La seconda domanda
elementare a proposito di farmaci, oltre all'efficacia, è quella della
sicurezza. Secondo la Roche, Tamiflu ha pochi e lievi effetti collaterali -
fra cui nausea e vomito. Tesi sposata dalle autorità sanitarie e punto
forte di tanto nebuloso dubitare: «non siamo sicuri che funzionerà», dicono
gli esperti, ma almeno.. non fa male. Ma anche su questo, nella comunità
scientifica non c'è consenso. Prima dell'approvazione da parte delle
autorità sanitarie, un farmaco viene testato su poche migliaia di persone e
difficilmente emerge un effetto collaterale raro. Il profilo di sicurezza
del farmaco si chiarirâ con il passare degli anni, quando milioni di
persone lo avranno assunto. Del Tamiflu, giovane e tutt'altro che campione
di incassi, la rete mondiale della farmacovigilanza sa dunque poco e
niente. Drugdex, una delle banche dati internazionali in materia, alla voce
Oseltamivir inanella una sequela di «non testato». Nel dubbio, e
nell'attesa di studi clinici puntuali, le autorità e la farmaindustria
ostentano ottimismo. Ma è il Giappone, la spina nel fianco: nel paese in
cui la pillola d'oro è stata più venduta, il Tamiflu è stato collegato alla
morte improvvisa di bambini piccoli. Il presidente dell'istituto di
farmacovigilanza giapponese, Rokuro Hama, da due anni lo va ripetendo per
congressi e riviste scientifiche. Sul British Medical Journal, Hama
sottolinea che i bambini sono deceduti per collasso respiratorio e cita tre
studi di laboratorio, dove «la somministrazione di Oseltamivir a cuccioli
di topo ne ha provocato la morte per collasso respiratorio ». Proprio sulla
scorta di questi studi, non è consentito somministrare il Tamiflu ai
bambini che hanno meno di un anno. Molti ricercatori, però, data la carenza
di dati clinici, nutrono dubbi anche sulla fascia da 1 a 12 anni. Dal punto
di vista delle autorità sanitarie, quello dei bambini è un punto dolente
per il motivo opposto. In caso di pandemia, sarebbero la categoria più a
rischio. E se il Tamiflu è l'unico rimedio a disposizione, è necessario
poterlo dare anche a loro. Per questo, le autorità europee e americane ne
hanno recentemente autorizzato l'uso a scopo di profilassi anche su
pazienti da 1 a 12 anni. L'altro effetto indesiderato del Tamiflu
registrato in Giappone riguarda la psiche: ci sono state alterazioni del
comportamento e suicidio in giovanissimi che l'avevano assunto. Secondo
Roche, sono dati falsati perché «in presenza di febbre alta, è facile che
peggiorino le condizioni psicologiche di un paziente». Ad ogni buon conto,
nel maggio 2004 le autorità giapponesi hanno aggiunto alla lista dei
possibili effetti collaterali del Tamiflu «disturbi neurologici e
psicologici: alterazioni di coscienza, comportamenti anormali e
allucinazioni ». Nel novembre 2005 l'Emea, l'autorità europea che vigila
sulla sicurezza dei farmaci, dopo avere ricevuto due segnalazioni di
suicidio, ha chiesto a Roche di fornirle tutti i dati clinici disponibili
sugli effetti a carico della psiche. Intanto, soldi a palate In tanta
confusione, una cosa è chiara: il gruppo Hoffmann-La Roche sta facendo
soldi a palate. Nel 2005, il fatturato del Tamiflu ha superato il miliardo
di euro e la multinazionale ha realizzato una cifra d'affari pari a oltre
22,5 miliardi di euro - il miglior risultato della sua storia. Niente male,
per un farmaco la cui efficacia è legata a una serie di «se» e «forse». Nel
frattempo, mentre mezzo pianeta implorava di aumentarne la produzione o
mollare il brevetto e consentire così la messa a punto di «generici», la
farmaindustria svizzera ne alimentava la leggenda. Ricavato dall'anice
stellata coltivata in Cina, Tamiflu «ha un processo produttivo articolato
in 12 tappe, che richiedono da 6 a 8 mesi di lavorazione e si basano su
tecnologie sofisticate ». Nell'ottobre 2005, Roche fa sapere che è disposta
a negoziare. La pressione di Nazioni Unite e Usa si è fatta sentire - ma è
la scelta della strategia di comunicazione che ancora una volta è
fenomenale. Roche si dichiara preoccupata per la salute pubblica e dunque
pronta a discutere le condizioni di cessione della licenza «a qualunque
governo e azienda che ci contatterà». D'altronde, l'Organizzazione Mondiale
del Commercio aveva stabilito nel 2001 (e ribadito nel 2003) che in caso di
emergenza sanitaria i governi hanno il diritto di copiare i farmaci, a
dispetto di qualunque brevetto. Anticipando i tempi, Roche fa un'altra
bella figura da Robin Hood - e si garantisce una parte di royalties. Visto
il successo della prima donazione, rincara la dose con altri due milioni di
trattamenti all'Oms - il relativo comunicato dell'Organizzazione Mondiale
della Sanità recita: «Siamo grati a Roche per la generosa donazione ». La
produzione del farmaco, che era di 5,5 milini di dosi all'inizio, è
prevista per il 2007 in 300 milioni di dosi. Oltreoceano, anche gli
azionisti della Gilead Sciences non se la passano male. Scrive Fortune
(novembre 2005): «Grazie alla paura di una pandemia, le azioni della Gilead
sono passate in sei mesi da 35 a 47 dollari. Il capo del Pentagono ci ha
guadagnato un milione di dollari».