telecomunicazioni sovracapacita' crisi da manuale



     
il manifesto - 20 Luglio 2002 
 
TELECOMUNICAZIONI 
Sovracapacità, ovvero crisi da manuale 
Le reti in fibra ottica sembravano il business del futuro. Ma ce ne sono
troppe per l'uso che se ne fa e nessuno riesce a recuperare gli investimenti 
L'overdose di comunicazione doveva servire ad aumentare la velocità di
circolazione delle merci in eccesso. Una sovraproduzione che si è andata ad
aggiungere all'altra
DOMENICO MORO
A proposito della crisi che affligge l'economia mondiale a partire dalle
sue cittadelle centrali, come gli Usa, risulta particolarmente interessante
quanto rilevato da Susan Kalla, analista della Friedmann Billings di
Washington che - in controtendenza rispetto alla stragrande maggioranza dei
consulenti - sconsigliava già da diverso tempo gli investimenti nelle
telecomunicazioni. Secondo Kalla il problema di fondo di questo settore si
chiama sovraccapacità. Da quando, nel `96, il Telecom Act liberalizzò il
settore, furono in molti a gettarsi nella costruzione di grandi dorsali
nazionali e transoceaniche in fibra ottica, investendo tra `97 e `99
l'incredibile cifra di 500 miliardi di dollari. Un aiuto venne
dall'interesse degli investitori, sollecitato dall'espansione del fenomeno
Internet. Si scatenò, quindi, una accesa competizione tra le varie aziende
tlc per finire prima degli altri il proprio network e alla fine del 2000
tutte le reti erano pronte. I prezzi delle chiamate internazionali erano
però scesi del 60% nel 2000 e del 90% nel 2001. Ora, nel 2002, si prevede
la caduta del fatturato del 10-12%. Nel tentativo di mantenere
artificialmente alti i profitti, come era stato promesso agli investitori,
le aziende hanno cominciato a manipolare i bilanci, creando quegli scandali
che sono scoppiati negli ultimi tempi, come nel caso di Worldcom. Caduta
generale del saggio di profitto malgrado (o meglio, a causa del)un forte
aumento della produttività, eccesso di investimenti, calo dei prezzi,
presenza di bolle speculative, sono tutti elementi che testimoniano di una
crisi strutturale e non congiunturale, le cui cause rimandano ai limiti
storici interni al modo di produzione capitalistico.

La caratteristica specifica del modo di produzione capitalistico è quella
di aumentare la forza produttiva del lavoro, introducendo macchine più
moderne e migliorando i processi lavorativi. Si aumenta così la
produttività per addetto, riducendo il tempo necessario alla produzione
della singola unità di prodotto. Questo è quanto è accaduto nel corso degli
anni `90, quando investimenti massicci in nuove tecnologie, anche a seguito
della cosiddetta rivoluzione informatica, hanno elevato enormemente la
produttività.

Il problema nasce dal fatto che la riduzione del tempo necessario medio di
produzione si accompagna all'aumento della massa delle unità prodotte,
visto che la tendenza è comunque quella all'ottimizzazione degli impianti
produttivi, per poter ammortizzare i pesanti investimenti effettuati.
Risulta così una massa crescente di prodotti da immettere sul mercato e
soprattutto da vendere, realizzando così quel profitto per il quale gli
investimenti sono stati effettuati.

Ma a questo punto lo sviluppo della produzione si scontra con le dimensioni
del mercato, più precisamente con le dimensioni capitalistiche del mercato,
visto che il prodotto deve essere venduto a condizioni tali da permettere
un certo livello di profitto. Quando ciò non avviene - per una massa
sufficientemente grande di merci - il sistema va in crisi, apparentemente
per una sovrapproduzione di merci, in realtà perché si è accumulato troppo
capitale, cioè troppa forza produttiva, rispetto alle condizioni di
realizzazione del profitto in un dato momento storico. Infatti, la
produzione capitalistica non è orientata alla soddisfazione dei bisogni, ma
alla realizzazione di profitto, soggetta ad alcune limitazioni importanti.

Le aziende si trovano quindi nella necessità di spostare la loro attenzione
dalla sfera della produzione a quella della circolazione. Questo significa
che il mercato deve essere modificato sia nelle sue dimensioni, non più
adatte al livello di sviluppo produttivo raggiunto, sia nella sua struttura
interna. L'affermazione della distribuzione moderna, il just in time, lo
sviluppo delle reti telematiche e di Internet, il potenziamento delle
infrastrutture e dei mezzi di comunicazione e di trasporto sono tese a
rendere più fluido, meno costoso e più rapido possibile il processo di
circolazione e di scambio che costituisce il mercato. La stessa rivoluzione
informatica affonda le sue radici in questi processi, dove la
razionalizzazione ed il dominio del capitale si estendono dalla produzione
alla fase successiva della circolazione.

Lo sviluppo dell'economia capitalistica si muove costantemente tra questi
due estremi: crisi economica e allargamento del mercato fino alla
tendenziale costruzione del mercato unico mondiale. Oggi, però, il mercato
unico è stato costituito e l'allargamento appare problematico.