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telecomunicazioni sovracapacita' crisi da manuale
- Subject: telecomunicazioni sovracapacita' crisi da manuale
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 29 Jul 2002 19:59:15 +0200
il manifesto - 20 Luglio 2002 TELECOMUNICAZIONI Sovracapacità, ovvero crisi da manuale Le reti in fibra ottica sembravano il business del futuro. Ma ce ne sono troppe per l'uso che se ne fa e nessuno riesce a recuperare gli investimenti L'overdose di comunicazione doveva servire ad aumentare la velocità di circolazione delle merci in eccesso. Una sovraproduzione che si è andata ad aggiungere all'altra DOMENICO MORO A proposito della crisi che affligge l'economia mondiale a partire dalle sue cittadelle centrali, come gli Usa, risulta particolarmente interessante quanto rilevato da Susan Kalla, analista della Friedmann Billings di Washington che - in controtendenza rispetto alla stragrande maggioranza dei consulenti - sconsigliava già da diverso tempo gli investimenti nelle telecomunicazioni. Secondo Kalla il problema di fondo di questo settore si chiama sovraccapacità. Da quando, nel `96, il Telecom Act liberalizzò il settore, furono in molti a gettarsi nella costruzione di grandi dorsali nazionali e transoceaniche in fibra ottica, investendo tra `97 e `99 l'incredibile cifra di 500 miliardi di dollari. Un aiuto venne dall'interesse degli investitori, sollecitato dall'espansione del fenomeno Internet. Si scatenò, quindi, una accesa competizione tra le varie aziende tlc per finire prima degli altri il proprio network e alla fine del 2000 tutte le reti erano pronte. I prezzi delle chiamate internazionali erano però scesi del 60% nel 2000 e del 90% nel 2001. Ora, nel 2002, si prevede la caduta del fatturato del 10-12%. Nel tentativo di mantenere artificialmente alti i profitti, come era stato promesso agli investitori, le aziende hanno cominciato a manipolare i bilanci, creando quegli scandali che sono scoppiati negli ultimi tempi, come nel caso di Worldcom. Caduta generale del saggio di profitto malgrado (o meglio, a causa del)un forte aumento della produttività, eccesso di investimenti, calo dei prezzi, presenza di bolle speculative, sono tutti elementi che testimoniano di una crisi strutturale e non congiunturale, le cui cause rimandano ai limiti storici interni al modo di produzione capitalistico. La caratteristica specifica del modo di produzione capitalistico è quella di aumentare la forza produttiva del lavoro, introducendo macchine più moderne e migliorando i processi lavorativi. Si aumenta così la produttività per addetto, riducendo il tempo necessario alla produzione della singola unità di prodotto. Questo è quanto è accaduto nel corso degli anni `90, quando investimenti massicci in nuove tecnologie, anche a seguito della cosiddetta rivoluzione informatica, hanno elevato enormemente la produttività. Il problema nasce dal fatto che la riduzione del tempo necessario medio di produzione si accompagna all'aumento della massa delle unità prodotte, visto che la tendenza è comunque quella all'ottimizzazione degli impianti produttivi, per poter ammortizzare i pesanti investimenti effettuati. Risulta così una massa crescente di prodotti da immettere sul mercato e soprattutto da vendere, realizzando così quel profitto per il quale gli investimenti sono stati effettuati. Ma a questo punto lo sviluppo della produzione si scontra con le dimensioni del mercato, più precisamente con le dimensioni capitalistiche del mercato, visto che il prodotto deve essere venduto a condizioni tali da permettere un certo livello di profitto. Quando ciò non avviene - per una massa sufficientemente grande di merci - il sistema va in crisi, apparentemente per una sovrapproduzione di merci, in realtà perché si è accumulato troppo capitale, cioè troppa forza produttiva, rispetto alle condizioni di realizzazione del profitto in un dato momento storico. Infatti, la produzione capitalistica non è orientata alla soddisfazione dei bisogni, ma alla realizzazione di profitto, soggetta ad alcune limitazioni importanti. Le aziende si trovano quindi nella necessità di spostare la loro attenzione dalla sfera della produzione a quella della circolazione. Questo significa che il mercato deve essere modificato sia nelle sue dimensioni, non più adatte al livello di sviluppo produttivo raggiunto, sia nella sua struttura interna. L'affermazione della distribuzione moderna, il just in time, lo sviluppo delle reti telematiche e di Internet, il potenziamento delle infrastrutture e dei mezzi di comunicazione e di trasporto sono tese a rendere più fluido, meno costoso e più rapido possibile il processo di circolazione e di scambio che costituisce il mercato. La stessa rivoluzione informatica affonda le sue radici in questi processi, dove la razionalizzazione ed il dominio del capitale si estendono dalla produzione alla fase successiva della circolazione. Lo sviluppo dell'economia capitalistica si muove costantemente tra questi due estremi: crisi economica e allargamento del mercato fino alla tendenziale costruzione del mercato unico mondiale. Oggi, però, il mercato unico è stato costituito e l'allargamento appare problematico.
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