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la catena fordista della comunicazione
- Subject: la catena fordista della comunicazione
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 30 Jul 2002 06:43:37 +0200
il manifesto - 18 Luglio 2002 DENTRO IL CALL CENTER La catena fordista della comunicazione Il controllo software del lavoro obbliga a procedure standard e sequenze lineari, non modifcabili dal singolo operatore. Un modulo organizzativo rigido quanto la catena «meccanica» La «qualità» del prodotto deriva dallo sfruttamento dell'inventiva personale, oltre che della generica forza lavoro. Il ruolo inconsapevole del «cliente» che telefona «Attenzione uscita operai» è ciò che si legge ancora oggi su un cartello lungo la Tiburtina, conosciuta fin dagli anni `60 per i suoi insediamenti industriali. Questi, nei decenni a seguire, furono rimodellati dalla ristrutturazione del ciclo produttivo, che puntava all'erosione delle conquiste del soggetto collettivo protagonista del «biennio rosso» `68-'69 e al recupero di margini di profitto più consistenti. I mefitici anni `80 videro poi l'obsolescenza di vecchie fabbriche dismesse accanto al proliferare dei palazzi tutto vetro dell'era informatica e, di tanto in tanto, qualche roulotte imbandierata di rosso, con gruppi di operai che, ignari di tutto, si ostinavano a testimoniare l'esistenza propria e della condizione dei salariati. Cedevano il passo al «nuovo» che avanzava, tra cui c'eravamo anche noi... Noi, operatori dei call center (operanti 24 ore su 24 per tutto l'anno), che nel solo gruppo Telecom siamo 17.000. Rispondiamo al 12, 181, 182, 183, 187, 191, 119 dalle sedi Telecom s.p.a., lungo la Tiburtina o da Napoli (isola direzionale 2), dalle cui svettanti costruzioni si osserva l'ormai silenziosa piana di Bagnoli; o anche dall'Atesia a Roma e a Caltanissetta, dalla Saritel a Pomezia, dalla Telecontact a Napoli, dalla Datel di Crotone... Oltre a noi - impegnati in «front-end» - ci sono quelli dei «back-office», che supportano l'intero corpo organizzativo dei sistemi informativi e di rete (e quindi anche noi), la cui continua frammentazione farebbe impallidire un caleidoscopio. Siamo diversificati e divisi da vari canali d'ingresso delle chiamate, confluenti in stabilimenti aziendali (fabbriche?!) che concentrano fino a 5.000 «risorse». Così come siamo frammentati dai diversi trattamenti salariali. Siamo però sempre più omogenei - praticamente indistinguibili l'uno dall'altro - per quanto riguarda la sostanza del nostro lavoro. In realtà, al di là delle divagazioni di moda sulle fantomatiche «autovalorizzazioni post-fordiste» (ben poco supportate da una qualsiasi inchiesta sul campo, neppure troppo difficile da fare), ci sembra oggi imprescindibile esprimerci in prima persona sulla nostra effettiva «composizione tecnica»: di fronte della radicalizzazione del conflitto sociale che, dopo le «giornate di Genova», ha fatto soffiare il vento di Seattle anche in Italia, pensiamo sia essenziale che i lavoratori riprendano la parola a partire dalla propria condizione materiale (in tal senso riteniamo utile richiamare l'esperienza positiva della prima sfida lanciata con la lista sindacale unitaria «Cambia con Cobas Tlc, FLMUniti, Snater» che, alle ultime elezioni Rsu in Telecom e Tim, ha raggiunto l'importante risultato del 14%). Siamo operai con mani e teste vincolati a una catena «fordista», anche se non immediatamente percepibile nella sua materialità: le nostre mansioni sono estremamente parcellizzate, i ritmi intensificati e la giornata lavorativa allungata. Il sistema informativo nei call center della Telecom e della Tim - su cui lavoriamo tutti («garantiti» e non) - è costituito su piattaforme software che preordinano e comandano ogni nostra operazione nei minimi dettagli. Tutto viene minuziosamente tracciato, con buona pace di quei sindacati che fingono di non vedere il capillare sistema di controllo allestito tramite i nuovi sistemi informativi e avallano in varia misura le bugie aziendali riguardo al solo obiettivo dichiarato, il cosiddetto «miglioramento del servizio». Quella su cui lavoriamo è una catena di sequenze lineari scandite da un sistema i cui processi scorrono su binari paralleli, rigidamente predeterminati e non modificabili dal singolo operatore. Ma c'è un altro aspetto, altrettanto importante, che riguarda il lavoro in tutti i call center: nel processo di produzione, l'astratta «merce forza-lavoro» che abbiamo venduto, il nostro tempo di vita che l'azienda mette a valore, torna a concretizzarsi nella nostra attività, nel nostro dispendio di energie bio-psichiche. E in tale momento i sistemi high-tech che ci usano manifestano la loro specifica capacità d'intensificare il nostro sfruttamento, riuscendo a coinvolgere anche la nostra intenzionalità: la macchina ci interfaccia con il cliente, un altro individuo col quale siamo stimolati, quasi in modo «subliminale», a mettere in gioco non solo l'inerzialità esecutiva degli script (casistiche standard predisposte dall'azienda e perennemente aggiornate, tramite la solita vampirizzazione del «sapere» del lavoro vivo), ma anche e soprattutto la nostra duttilità, la nostra inventiva. E' quasi un riflesso automatico: in qualche modo l'utente si sostituisce all'azienda (del cui ruolo oppressivo, invece, non potremmo rimuovere la percezione) nel conferire «senso» al nostro lavoro. Solo per questo «doniamo» all'azienda, volendolo o no, la famosa «qualità». La «catena telematica» non sfugge a logiche tayloristiche, anzi. Rispetto a quella «meccanica», ha il vantaggio per il padronato di intensificare lo sfruttamento, saturando le porosità del tempo di lavoro operaio, tramite la messa a valore di quella che taluni hanno definito «forza-intenzione». Questo nuovo «valore aggiunto» che c viene carpito si riverbera sull'intero processo di valorizzazione, risolvendo le note aporie tra «quantità» e «qualità», e fa sì che le nostre funzioni siano sempre più indirizzate anche alla vendita: il rapporto col mercato viene a dipendere dalle qualità relazionali che sappiamo mettere in atto con l'utenza. Qui sta la pesantezza del nostro lavoro ma anche la vulnerabilità dell'azienda rispetto a un'eventuale nostra ritrovata capacità di lotta collettiva. E tale obiettivo impone di ripartire dalla nostra condizione lavorativa materiale: l'applicazione del contratto collettivo di settore a tutti, la diminuzione dei carichi di lavoro e la riduzione dell'orario sono la piattaforma rivendicativa che può riunificare la frammentata galassia in cui siamo attualmente scompaginati, superando quelle divisioni che non possono che incrementare la già insopportabile precarizzazione di noi tutti. Lavoratori e lavoratrici dei call center aderenti al Cobas telecomunicazioni
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