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rassegna stampa: GRANO BIOTECH, IL MERCATO DICE NO
- Subject: rassegna stampa: GRANO BIOTECH, IL MERCATO DICE NO
- From: "Altragricoltura" <altragrico@italytrading.com>
- Date: Tue, 30 Mar 2004 11:53:49 +0200
a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da Famiglia Cristiana n.13 del 28 marzo 2004
FAMIGLIA CRISTIANA: GRANO BIOTECH, IL MERCATO DICE NO
Per la prima volta le scelte dei consumatori condizionano i coltivatori,
che rifiutano il frumento Ogm.
Iniziative in Italia per scongiurare il rischio della pasta Frankenstein.
Sembra una dichiarazione di guerra: «Non siamo pronti per il grano
transgenico». A scriverlo a caratteri cubitali, su un volantino dove
spiccano anche le fotografie delle loro facce, non sono i "soliti"
ambientalisti contrari agli Ogm (Organismi geneticamente modificati), ma
compassati dirigenti delle più importanti associazioni di agricoltori
canadesi. E la preoccupazione che li anima non ha niente a che vedere con
quelle espresse dai movimenti di consumatori (il Canada già coltiva da
tempo mais, colza e soia transgenici), ma più concretamente è una
preoccupazione di natura economica: è il mercato che non vuole gli Ogm e
qui si rischia di perdere clienti. Contro il grano transgenico, insomma,
scende in campo il libero mercato. Tutto è cominciato quando, nel dicembre
del 2002, la multinazionale americana Monsanto ha presentato alle autorità
canadesi e statunitensi la richiesta di autorizzazione per la
commercializzazione di un frumento modificato per resistere all'erbicida
glifosato, sempre prodotto dalla Monsanto. Ma mentre fino ad ora la gran
parte delle coltivazioni transgeniche finiva nei mangimi animali o in
prodotti, come gli oli vegetali, profondamente trasformati, nel caso del
grano, sia tenero sia duro, il consumo è quasi tutto destinato
all'alimentazione umana. I più noti importatori del grano nordamericano
sono gli europei e gli asiatici e proprio qui i consumatori sono molto
diffidenti nei confronti di quello che chiamano "il cibo di Frankenstein".
Prevedibile, dunque, che sempre più aziende europee e asiatiche chiedano
grano certificato Ogm free, cioè libero da Ogm e che siano talmente
preoccupate da possibili contaminazioni da rivolgersi, per evitare
problemi, ad altri esportatori. E a questo punto, a essere preoccupati sono
anche gli agricoltori e l'intera filiera del frumento nordamericano, dai
proprietari dei magazzini di stoccaggio ai trasportatori. Quei semi che
nessuno vuole Una preoccupazione suffragata dai numeri: negli ultimi anni,
infatti, sono crollate le esportazioni nordamericane in Europa di colza e
mais, anche delle varietà non transgeniche, perché il rischio di
contaminazione accidentale è alto, e tenere rigidamente separate le due
filiere, adottando tutte le misure di controllo, è piuttosto costoso. Per
questo, molti importatori si sono rivolti altrove.Un dato per tutti: mentre
nel 1995 la colza importata in Europa e proveniente dal Canada era più
dell'80 per cento del totale (il rimanente 20 per cento era polacco), nel
2000 il rapporto si è invertito, con il 90 per cento di colza polacca e il
dieci per cento di colza canadese. Così il Canadian Wheat Board, l'agenzia
canadese di commercializzazione dei cereali, ha presentato al ministro per
l'agricoltura Vanclif una petizione sottoscritta da ben quindici
organizzazioni di agricoltori. Vi si chiede che, oltre alle valutazioni di
impatto sulla salute e sull'ambiente che precedono o negano
l'autorizzazione alla coltivazione commerciale di una varietà transgenica,
si introduca un'analoga valutazione obbligatoria sul rapporto
costi-benefici, cioè un'analisi sui rischi economici. E c'è un altro
problema: per il momento la richiesta della Monsanto riguarda una varietà
di grano tenero ma, secondo gli addetti ai lavori, sotto il profilo
commerciale si rischia di compromettere anche l'export di grano duro. In
Nordamerica, infatti, le due varietà vengono spesso coltivate nelle stesse
aziende agricole e la loro commercializzazione ricorre ai medesimi canali e
sistemi di lavorazione e circolazione sul mercato. La contaminazione
accidentale, quindi, non si può escludere. Non vogliamo "grane" E in
Italia? Il problema è stato sollevato in questi giorni nel corso di un
convegno significativamente intitolato "Grano o grane", organizzato al
ministero delle Politiche agricole, dal Consiglio dei diritti genetici
(un'associazione indipendente di scienziati, medici e uomini di cultura),
con il patrocinio dell'Istituto nazionale di economia agraria e
dell'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione e con
il contributo della Coldiretti, della Cgil, della Coop, dell'Assocap e
della Confederazione nazionale artigiani. Il progetto "Grano o grane" si
propone di aprire un confronto tra tutti i soggetti interessati, dagli
agricoltori alle aziende, al di là e al di qua dell'Atlantico, con
l'obiettivo di trovare una strategia comune per garantire l'integrità del
frumento trasformato e consumato in Italia. «Siamo il Paese dove il grano,
sotto forma di pane, pasta e pizza, non è solo alla base dei nostri cibi
più tradizionali, ma è anche il simbolo di un'identità culturale e la base
di un'attività economica fondamentale», dice Ivan Verga, uno dei soci
fondatori del Consiglio dei diritti genetici. «Il progetto darà l'avvio a
un'approfondita analisi sulle implicazioni economiche, nutrizionali e
socioculturali dell'eventuale introduzione del frumento transgenico e al
monitoraggio delle valutazioni che le autorità economiche e politiche
adotteranno in Nordamerica. Vogliamo prevenire l'eventuale problema e non
subirlo, come invece è accaduto con altre colture geneticamente modificate.
Faremo una vera e propria ricerca scientifica ed economica sulla questione
grano, transgenico e non, finanziata dall'intera filiera produttiva che è
ormai cosciente di rischiare non solo l'immagine, ma anche il portafoglio:
gestire delle partite di frumento a rischio di contaminazione, infatti,
significa elevare i costi, adottare procedure complesse, effettuare
controlli costosi per obbedire alle norme sulla etichettatura».
-------------------------- UN POOL DI ESPERTI E QUEI "GENI" STRANI Tra i
soci fondatori del "Consiglio dei diritti genetici" ci sono nomi illustri:
dal filosofo Emanuele Severino all'oncologo Mariano Bizzarri; dalla
neurofisiologa Marirosa Di Stefano al gesuita padre Bartolomeo Sorge,
direttore della rivista Aggiornamenti sociali; da padre Carlo Rocchetta,
teologo ed ex consigliere ecclesiastico della Coldiretti, a Mario Capanna,
ex segretario di Democrazia proletaria; da Claudia Sorlini, professore
ordinario di Microbiologia agraria e direttrice del dipartimento di Scienze
e tecnologie alimentari dell'Università di Milano, a Nelson Marmiroli,
ordinario di Tecnologie ricombinanti e direttore del dipartimento di
Scienze ambientali dell'Università di Parma.
Tra le finalità del "Consiglio dei diritti genetici", nato due anni fa, c'è
quella di promuovere, su scala nazionale e internazionale, la ricerca
scientifica interdisciplinare nel campo delle biotecnologie. Il Consiglio
promuove anche gruppi di ricerca specifici sui vari settori interessati:
dall'agricoltura alla farmacologia, dai test genetici alle sperimentazioni
sulle cellule staminali, e ha attivato un Osservatorio sulle
agrobiotecnologie che, in ottemperanza alla nuova normativa europea sui
meccanismi di commercializzazione degli Ogm, può fornire osservazioni e
obiezioni, nel processo di valutazione prima di ogni nuova autorizzazione.
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N.B. se volete essere cancellati da questa lista scrivete a
altragricoltura@italytrading.com