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prezzo della benzina e cartelli



Ciao, ecco un intervento ospitato dal nostro sito www.nonluoghi.it dove
si trovano diversi articoi sul tema dei trasporti e in generale dei
costi sociali..

di TVIL

Una iniziativa forse più dirompente degli accordi proposti fra
consumatori per
influenzare i prezzi al ribasso sarebbe una forma di resistenza civile
coordinata a livello nazionale: non usare più l'automobile per gli
spostamenti rilevanti nel contesto socioeconomico, come il trasporto
casa-lavoro. Se attuato come forma di disubbidienza civile, con i rischi
che
ne conseguono, questa lotta potrebbe mettere a nudo - non certo
scardinare -
i meccanismi di sottrazione del tempo (per non dire del pensiero e
dell'identità individuali e di gruppo) che ci costringono a fare la coda

alle pompe di benzina. Pensare che il problema sia il malfunzionamento
dei
flussi di produzione di greggio o del regime di concorrenza nella
distribuzione mi sembra ingenuo e forse anche fuorviante. Tanto più che
è statisticamente dimostrabile che all'aumento della concorrenza - posta
la permanenza
dell'obiettivo purtroppo al momento ovvio della massimizzazione dei
profitti
d'impresa - la corsa alla diminuzione dei prezzi si sostanzia in una
gara
selvaggia al trasferimento massimo dei costi di produzione all'esterno
dell'impresa, cioè sulla collettività (e anche nel caso della benzina e
delle auto è
facile immaginare gli innumerevoli modi in cui costi di produzione
possono
diventare costi sociali - cioè pagati da tutti anche monetariamente - in

termini di inquinamento malattia e morte nonché di sicurezza
collettiva).
La resistenza civile del rifiuto dell'auto, se ben coordinata e con una
buona adesione sociale, porterebbe alla luce e renderebbe percepibili
questa
e altre contraddizioni di un sistema economico (ben supportato dal
politico)
che va avanti alla sua velocità e secondo le sue regole fredde
ricattando le
singole persone senza volto che sono costrette ad animarlo perché chi si

ferma è perduto e poco importa che molti comincino a chiedersi che senso

abbia questo correre, perché correre devono comunque se voglio mantenere
lo
standard di vita fra telefonini e grattaevinci.
Questa mia, come forse è evidente, è soprattutto una piccola
provocazione teorica, perché credo fra realismo e pessimismo che come a
nulla servirebbero gli acccordi anticartello fra i consumatori, poche
siano le possibilità di coordinare veramente una resistenza civile
all'automobile ma immagino che quest'ultima proposta, più radicale,
avrebbe più carica attrattiva su noi tutti smarriti del 2000 e, se
attuata veramente da un numero significativo di persone e gruppi,
potrebbe mettere a nudo ai vari livelli le contraddizioni e i meccanismi
del sistema della competizione selvaggia e dunque favorire processi di
ridefinizione delle regole dell'economia stessa (e non solo). Tutto
teorico, ovviamente. Ciò non toglie che lasciare a casa la macchina,
usare i mezzi pubblici, i piedi o la bici per gli spostamenti
individuali economicamente più rilevanti (e magari arrivare TUTTI in
ritardo al lavoro per vedere l'effetto che fa) possa servire ad
accelerare il processo di formazione di una coscienza civile non tanto
sul prezzo della benzina, quanto sui meccanismi economici generali che
regolano questo e altri fenomeni (tra l'altro, in qualche caso - penso
alle città inquinate -  se la benzina costasse il triplo forse un po' di
più pigroni macdonaldizzati userebbero mezzi più sani per loro e per gli
altri, ma questa è solo una divagazione sugli stili di vita, di là dai
ben più seri problemi sistemici). Allora, ridurre al minimo l'uso delle
auto private; lavorare alla diffusione delle informazioni sui loro costi
sociali (malattia, morte, inquinamento di varia natura: in Italia 4
milioni di lire procapite, nel 1997, secondo l'ultimo rapporto degli
Amici della terra, cioè una dozzina di milioni per nucleo famigliare:
allora il prezzo della benzina diventa relativo); insistere con le
pressioni anche negli ambiti decisionali in favore dei trasporti meno
dannosi (ferrovia, piste ciclabili, tram, autobus); creare informazione
di denuncia sul sistema impazzito del trasporto spesso inutile e dannoso
delle merci nel mondo (alla radio Rai, per dire, c'è invece un programma
quotidiano dedicato ai camionisti che fa esattamente il contrario);
reinvestire i risparmi di costi sociali via via ottenuti
nell'allargamento progressivo della rete dei trasporti alternativi;
mettere a nudo il bluff dei discorsi sulla concorrenza ed elaborare
insiemi di regole che agiscano direttamente sulla produzione di costi
sociali reali: per ora questo e poco altro mi sembra il sentiero
percorribile per muoversi almeno un po' sulla linea di demarcazione del
paradigma auto-mercato-concorrenza-competizione sociale-bisogni
indotti-domanda e offerta-strade liberiste obbligate, mentre le
mobilitazioni dei consumatori contro i "cartelli" restano tutte
all'interno del paradigma per ottenere un obiettivo in fondo poco
significante ma che certo a molti può anche  bastare (tuttavia, qui come
altrove bisogna sforzarsi, appunto, di far capire il prezzo vero che
paghiamo).
Se davvero si potesse riuscire a mobilitare milioni di persone, varrebbe
la pena di farlo per un discorso un po' più ampio. Il problema è che il
sistema stesso - cioè noi tutti - genera i meccanismi che rendono
improbabile una tale mobilitazione.
  La maggior parte della gente, al momento, non ha neanche l'energia
mentale né l'informazione per pensare di boicottare quella piuttosto che
quell'altra pompa di benzina...