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a venti anni dalla morte:il lascito di bateson
- To: lonanoda@tin.it
- Subject: a venti anni dalla morte:il lascito di bateson
- From: Andrea Agostini <lonanoda@tin.it>
- Date: Tue, 13 Jun 2000 18:20:57 +0200
dal manifesto di giovedi 25 gennaio 2000
L'erranza di Bateson nella polifonia di scienze e arti
A vent'anni dalla sua morte, il vero lascito di Gregory Bateson sta nel
suo "vivere il pensiero come sperimentazione ininterrotta". E nel
riconoscere che anche da
scienziati, si dovrebbero guardare le relazioni che connettono gli oggetti
più degli
oggetti stessi
MARIO PORRO
Sono passati vent'anni dalla morte di Gregory Bateson; come accade a
quanti non si sono limitati a coltivare l'orto disciplinato di una scienza,
ma hanno cercato il nuovo nella fecondità degli incroci e delle
interferenze, la sua eredità si è diffusa (Verso un'ecologia della mente,
Adelphi, è giunto alla ventesima edizione) presso un pubblico incline a
problematizzare i saperi più che tra i loro portavoce ufficiali. In fondo, il
vero lascito di Bateson è il nomadismo culturale, inscritto già
nell'apparente discontinuità dei suoi interessi disciplinari: l'abbandono
delle scienze naturali, studiate per volontà del padre William, biologo e
genetista, e il passaggio all'antropologia rispondono all'esigenza di
sfuggire alla monotonia della clausura del laboratorio a favore
dell'avventura del lavoro sul campo, fra i baining della Nuova Guinea. La
fuga dalla "scienza comune e impersonale", racconta Mary Catherine
Bateson, in Con occhi di figlia (Feltrinelli), si univa alla speranza di
"risolvere la contrapposizione fra scienza e arte".
Già in questo primo tratto del percorso di Bateson è avvertibile il
bisogno di saldare ciò che per semplicità chiamiamo "le due culture"; e
la premessa a Naven (1936, trad. it. Einaudi), studio di un rituale di
travestimento diffuso fra gli Iatmul della Nuova Guinea, invita a
recuperare nelle scienze "quegli aspetti della cultura che l'artista sa
esprimere con tecniche impressionistiche". Questo libro "goffo ed
ingombrante" (come dice lo stesso Bateson nell'"Epilogo 1958",
compreso nei saggi di Una sacra unità, Adelphi) mette in evidenza le
difficoltà di ogni sguardo sull'"altro" che si pretenda oggettivo, difficoltà
non risolte dal ricorso alle immagini fotografiche e cinematografiche di
Balinese Character, esito della collaborazione con la prima moglie
Margaret Mead.
Che la soggettività dell'etnografo, nel suo sforzo di comunicare con
culture inscritte in altre cornici, debba rientrare nella narrazione
dell'attività scientifica, costituirà un tema anche del successivo lavoro
psichiatrico, intrapreso a partire dal '49: "In fisica e in una certa misura
in antropologia e in altre scienze, tra cui in particolare la storia, ci si
rende conto che l'osservatore e anche il teorico debbono essere
compresi entro i sistemi che vengono analizzati. Le teorie della fisica e
le affermazioni degli storici sono ugualmente costruzioni dell'uomo e
possono essere unicamente capite come prodotti di una interazione tra i
dati e lo scienziato, che vive in una data epoca e in una data cultura"
(in J. Ruesch, G. Bateson, La matrice sociale della psichiatria, Il
Mulino).
Come scrive la figlia nell'ultimo dei saggi raccolti in Gregory Bateson
(con scritti di Deriu, Gisolo, Canevacci, De Biasi, Zoletto, Iacono,
Conserva, Inglese, Kenny, Cini, M.C. Bateson, edito da Bruno
Mondadori, L. .28.000, volume prezioso, anche per la ricca bibliografia)
nel percorso paterno, dall'antropologia e dalla psichiatria verso gli studi
di biologia marina e sulla comunicazione animale, si conservava l'uso
dell'empatia in senso scientifico.
Una metodologia della "osservazione partecipante" chiama il soggetto
al coinvolgimento nell'esplorazione; nella struttura stessa della
spiegazione è implicita la consapevolezza che gli esseri umani
partecipano ad un più vasto sistema mentale, alla "struttura che
connette" l'umano al complesso del vivente, come dirà poi in Mente e
natura (Adelphi). Anche per questo la storia accidentata delle ricerche di
Bateson è ricca di dimensione esperienziale: ad essere in gioco non
sono mai problemi freddi, talvolta sono le difficoltà stesse della sua
esistenza a divenire oggetto di studio, dalle relazioni affettive alla
marginalità sociale, dall'alcolismo alla malattia. Il metodo di Bateson è
il percorso della sua stessa vita (non a caso l'utile introduzione di Deriu
al volume mondadoriano ha per titolo "il pensiero del vivente e la vita
del pensiero"). Sono le occasioni offerte dalle sovvenzioni per la ricerca
a costringerlo a variare campi di indagine, ad affrontare problemi antichi
con lo sguardo obliquo di chi proviene sempre da altrove.
Chi non occupa un luogo stabile e una posizione ufficiale muove il
pensiero secondo un'erranza per abduzione, inseguendo esempi da
universi di studio differenti: "non ho bisogno di pazienti schizofrenici o
di famiglie infelici per dotare il mio pensiero di radici empiriche. Posso
usare l'arte, la poesia o i delfini o la cultura della Nuova Guinea o di
Manhattan, o anche i miei sogni o l'anatomia comparata delle piante da
fiore" - scrive in Una sacra unità.
Già in Naven è chiara la consapevolezza dell'insufficienza di ogni
metodologia che pretenda di esaurire in una sintesi ordinata la totalità
del campo indagato, l'opportunità di esitare a chiudere in concetti; la
prospettiva di indagine di una cultura non può che essere pluralista e il
metodo, osserva Massimo Canevacci, è l'operazione stessa del collage,
del montaggio di testi, documenti, osservazioni, un'opera di cucitura di
tessuti-patchwork. Se è vero che ogni parte si spiega in riferimento al
tutto, che il rituale del naven impone di riferirsi all'intera cultura Iatmul
per essere inteso, che ogni figura emerge da uno sfondo, contesto e
cornice che predispone un campo di visibilità, questo però non significa
semplicemente accogliere una prospettiva olistica, da opporre al
riduzionismo. Il pensiero olistico è solo un aspetto dell'epistemologia di
Bateson, quello più evidente, cioè superficiale (basti pensare alle
semplificazioni di Capra e della New Age).
Il vero lascito di Bateson sta nel suo "pensiero sciolto", o, come ha
scritto l'antropologo Remo Guideri, nel "vivere il pensiero come
sperimentazione ininterrotta": i metodi di ricerca vanno decostruiti dopo
averli usati, occorre pluralizzarli per restituire la polifonia delle
culture,
anche per evitare la fatica di Sisifo dello strutturalismo - benché
Lévi-Strauss abbia ragione nel riconoscere in Bateson un precursore -
ovvero il trasporto di un'identica forma in ambiti differenziati. L'ottica
multiprospettica riconosce che ogni rappresentazione, ogni messa in
forma teorica, resta sempre una procedura di costruzione parziale
dell'oggettività: la cartografia dell'esperienza muove dalla
consapevolezza che "la mappa non è il territorio" e dunque ogni pratica
conoscitiva è obbligata a moltiplicare i livelli di indagine, a tessere il
gioco delle loro differenze, ad attraversare i confini che ogni mappa
traccia. Di qui l'opzione per un "pensare per storie", secondo un gioco di
incastri che sembra ogni volta spostare il tema e distrarre
l'interlocutore, come avveniva anche nello stile della conversazione di
Bateson, ricorda Vincent Kenny: l'apparente divagare rendeva
impossibile all'ascoltatore (e al lettore) definire il contorno preciso
dell'argomento in discussione e così, nell'assenza di vincoli che rendono
prevedibili gli esiti, aumentava il grado di partecipazione creativa al
dialogo. In questa luce si comprende come l'epistemologia delle
relazioni, il lavoro sui frames, sulle cornici, sia isomorfo al mondo che
Bateson rivela.
Riconoscere che, anche da scienziati, dovremmo guardare le relazioni
più che gli oggetti, le relazioni fra le dita più che le dita stesse ("Ultima
conferenza", in Una sacra Unità), è il primo passo verso una saggezza
"ecologica" per la quale la vita è una serie di circuiti interconnessi,
"danza di parti interagenti", di cui la razionalità cosciente coglie
soltanto gli aspetti su cui può intervenire con la sua ansia di
progettazione, potenzialmente patogena. Il "doppio vincolo" (si vedano
i saggi di Zoletto e Iacono) non è solo l'intrico di imposizioni
contrastanti che incatena lo schizofrenico, incapace di cogliere il valore
metaforico delle parole o, come Don Chisciotte, di distinguere fra il
teatro e la vita.
Più in generale, "il doppio vincolo" è una modalità di attraversamento
dei contesti che può essere terapeutico e funzionale all'apprendimento -
si pensi ai paradossi koan dei maestri zen; esso manifesta nuove
relazioni, come nei campi creativi dell'attività umana, nel gioco,
nell'umorismo, nell'arte. O ancora, nella religione: Religio è sapere dei
legami, delle interconnessioni, è consapevolezza "estetica", cioè
sensibile alle relazioni, dell'unità di fondo a cui apparteniamo, della
danza di Shiva, creativa e distruttiva, in cui siamo implicati, della mente
immanente ai processi in cui si producono interazioni fra le parti.
Le religioni, soprattutto quelle animistiche e totemiche, sono "vaste
metafore" nelle quali ci è offerto "un modello dell'integrazione e della
complessità del mondo naturale"; le religioni hanno dato voce e
raccontato le verità della storia naturale, hanno permesso di modellare
il sistema sociale in analogia al sistema ecologico (si veda il saggio di
Rosalba Conserva). Ma l'esito della logica relazionale di Bateson è il
riconoscimento dell'esistenza di uno spazio di silenzio, di non
comunicazione: il sacro (ricorda Marcello Cini) oppone una fragile
barriera al pensiero intenzionale e agli esiti letali dei suoi interventi, è
l'altro nome, senza ricorsi alla fede o alla trascendenza, della saggezza
sistemica che, nell'evoluzione biologica, erige una barriera per
proteggere il genotipo dalle mutazioni acquisite dal fenotipo (Dove gli
angeli esitano, Adelphi). Se il sacro invita, ecologicamente, a percepire
il tessuto di relazioni integrate del processo mentale che avvolge la
biosfera, il contrario di religione è negligenza - come ha scritto Michel
Serres - cioè disconoscimento delle relazioni che l'uomo stringe con gli
altri ed il mondo.
"Se mettete Dio all'esterno e lo ponete di fronte alla sua creazione, e
avete l'idea di essere stati creati a sua immagine, voi vi vedrete
logicamente e naturalmente come fuori e contro le cose che vi
circondano - scrive Bateson in Verso un'cologia della mente. E nel
momento in cui vi arrogherete tutta la mente, tutto il mondo circostante
vi apparirà senza mente e quindi senza diritto a considerazione morale
o etica. L'ambiente vi sembrerà da sfruttare a vostro vantaggio. La
vostra unità di sopravvivenza sarete voi e la vostra gente o gli individui
della vostra specie, in antitesi con l'ambiente formato da altre unità
sociali, da altre razze e dagli animali e dalle piante".