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a venti anni dalla morte:il lascito di bateson



dal manifesto di giovedi 25 gennaio 2000
 L'erranza di Bateson nella polifonia di scienze e  arti 
 A vent'anni dalla sua morte, il vero lascito di Gregory Bateson sta nel
suo "vivere il  pensiero come sperimentazione ininterrotta". E nel
riconoscere che anche da
 scienziati, si dovrebbero guardare le relazioni che connettono gli oggetti
più degli
 oggetti stessi 
 MARIO PORRO 

 Sono passati vent'anni dalla morte di Gregory Bateson; come accade a
 quanti non si sono limitati a coltivare l'orto disciplinato di una scienza,
 ma hanno cercato il nuovo nella fecondità degli incroci e delle
 interferenze, la sua eredità si è diffusa (Verso un'ecologia della mente,
 Adelphi, è giunto alla ventesima edizione) presso un pubblico incline a
 problematizzare i saperi più che tra i loro portavoce ufficiali. In fondo, il
 vero lascito di Bateson è il nomadismo culturale, inscritto già
 nell'apparente discontinuità dei suoi interessi disciplinari: l'abbandono
 delle scienze naturali, studiate per volontà del padre William, biologo e
 genetista, e il passaggio all'antropologia rispondono all'esigenza di
 sfuggire alla monotonia della clausura del laboratorio a favore
 dell'avventura del lavoro sul campo, fra i baining della Nuova Guinea. La
 fuga dalla "scienza comune e impersonale", racconta Mary Catherine
 Bateson, in Con occhi di figlia (Feltrinelli), si univa alla speranza di
 "risolvere la contrapposizione fra scienza e arte".

 Già in questo primo tratto del percorso di Bateson è avvertibile il
 bisogno di saldare ciò che per semplicità chiamiamo "le due culture"; e
 la premessa a Naven (1936, trad. it. Einaudi), studio di un rituale di
 travestimento diffuso fra gli Iatmul della Nuova Guinea, invita a
 recuperare nelle scienze "quegli aspetti della cultura che l'artista sa
 esprimere con tecniche impressionistiche". Questo libro "goffo ed
 ingombrante" (come dice lo stesso Bateson nell'"Epilogo 1958",
 compreso nei saggi di Una sacra unità, Adelphi) mette in evidenza le
 difficoltà di ogni sguardo sull'"altro" che si pretenda oggettivo, difficoltà
 non risolte dal ricorso alle immagini fotografiche e cinematografiche di
 Balinese Character, esito della collaborazione con la prima moglie
 Margaret Mead.
 Che la soggettività dell'etnografo, nel suo sforzo di comunicare con
 culture inscritte in altre cornici, debba rientrare nella narrazione
 dell'attività scientifica, costituirà un tema anche del successivo lavoro
 psichiatrico, intrapreso a partire dal '49: "In fisica e in una certa misura
 in antropologia e in altre scienze, tra cui in particolare la storia, ci si
 rende conto che l'osservatore e anche il teorico debbono essere
 compresi entro i sistemi che vengono analizzati. Le teorie della fisica e
 le affermazioni degli storici sono ugualmente costruzioni dell'uomo e
 possono essere unicamente capite come prodotti di una interazione tra i
 dati e lo scienziato, che vive in una data epoca e in una data cultura"
 (in J. Ruesch, G. Bateson, La matrice sociale della psichiatria, Il
 Mulino).
 Come scrive la figlia nell'ultimo dei saggi raccolti in Gregory Bateson
 (con scritti di Deriu, Gisolo, Canevacci, De Biasi, Zoletto, Iacono,
 Conserva, Inglese, Kenny, Cini, M.C. Bateson, edito da Bruno
 Mondadori, L. .28.000, volume prezioso, anche per la ricca bibliografia)
 nel percorso paterno, dall'antropologia e dalla psichiatria verso gli studi
 di biologia marina e sulla comunicazione animale, si conservava l'uso
 dell'empatia in senso scientifico.

 Una metodologia della "osservazione partecipante" chiama il soggetto
 al coinvolgimento nell'esplorazione; nella struttura stessa della
 spiegazione è implicita la consapevolezza che gli esseri umani
 partecipano ad un più vasto sistema mentale, alla "struttura che
 connette" l'umano al complesso del vivente, come dirà poi in Mente e
 natura (Adelphi). Anche per questo la storia accidentata delle ricerche di
 Bateson è ricca di dimensione esperienziale: ad essere in gioco non
 sono mai problemi freddi, talvolta sono le difficoltà stesse della sua
 esistenza a divenire oggetto di studio, dalle relazioni affettive alla
 marginalità sociale, dall'alcolismo alla malattia. Il metodo di Bateson è
 il percorso della sua stessa vita (non a caso l'utile introduzione di Deriu
 al volume mondadoriano ha per titolo "il pensiero del vivente e la vita
 del pensiero"). Sono le occasioni offerte dalle sovvenzioni per la ricerca
 a costringerlo a variare campi di indagine, ad affrontare problemi antichi
 con lo sguardo obliquo di chi proviene sempre da altrove.

 Chi non occupa un luogo stabile e una posizione ufficiale muove il
 pensiero secondo un'erranza per abduzione, inseguendo esempi da
 universi di studio differenti: "non ho bisogno di pazienti schizofrenici o
 di famiglie infelici per dotare il mio pensiero di radici empiriche. Posso
 usare l'arte, la poesia o i delfini o la cultura della Nuova Guinea o di
 Manhattan, o anche i miei sogni o l'anatomia comparata delle piante da
 fiore" - scrive in Una sacra unità.
 Già in Naven è chiara la consapevolezza dell'insufficienza di ogni
 metodologia che pretenda di esaurire in una sintesi ordinata la totalità
 del campo indagato, l'opportunità di esitare a chiudere in concetti; la
 prospettiva di indagine di una cultura non può che essere pluralista e il
 metodo, osserva Massimo Canevacci, è l'operazione stessa del collage,
 del montaggio di testi, documenti, osservazioni, un'opera di cucitura di
 tessuti-patchwork. Se è vero che ogni parte si spiega in riferimento al
 tutto, che il rituale del naven impone di riferirsi all'intera cultura Iatmul
 per essere inteso, che ogni figura emerge da uno sfondo, contesto e
 cornice che predispone un campo di visibilità, questo però non significa
 semplicemente accogliere una prospettiva olistica, da opporre al
 riduzionismo. Il pensiero olistico è solo un aspetto dell'epistemologia di
 Bateson, quello più evidente, cioè superficiale (basti pensare alle
 semplificazioni di Capra e della New Age).

 Il vero lascito di Bateson sta nel suo "pensiero sciolto", o, come ha
 scritto l'antropologo Remo Guideri, nel "vivere il pensiero come
 sperimentazione ininterrotta": i metodi di ricerca vanno decostruiti dopo
 averli usati, occorre pluralizzarli per restituire la polifonia delle
culture,
 anche per evitare la fatica di Sisifo dello strutturalismo - benché
 Lévi-Strauss abbia ragione nel riconoscere in Bateson un precursore -
 ovvero il trasporto di un'identica forma in ambiti differenziati. L'ottica
 multiprospettica riconosce che ogni rappresentazione, ogni messa in
 forma teorica, resta sempre una procedura di costruzione parziale
 dell'oggettività: la cartografia dell'esperienza muove dalla
 consapevolezza che "la mappa non è il territorio" e dunque ogni pratica
 conoscitiva è obbligata a moltiplicare i livelli di indagine, a tessere il
 gioco delle loro differenze, ad attraversare i confini che ogni mappa
 traccia. Di qui l'opzione per un "pensare per storie", secondo un gioco di
 incastri che sembra ogni volta spostare il tema e distrarre
 l'interlocutore, come avveniva anche nello stile della conversazione di
 Bateson, ricorda Vincent Kenny: l'apparente divagare rendeva
 impossibile all'ascoltatore (e al lettore) definire il contorno preciso
 dell'argomento in discussione e così, nell'assenza di vincoli che rendono
 prevedibili gli esiti, aumentava il grado di partecipazione creativa al
 dialogo. In questa luce si comprende come l'epistemologia delle
 relazioni, il lavoro sui frames, sulle cornici, sia isomorfo al mondo che
 Bateson rivela.
 Riconoscere che, anche da scienziati, dovremmo guardare le relazioni
 più che gli oggetti, le relazioni fra le dita più che le dita stesse ("Ultima
 conferenza", in Una sacra Unità), è il primo passo verso una saggezza
 "ecologica" per la quale la vita è una serie di circuiti interconnessi,
 "danza di parti interagenti", di cui la razionalità cosciente coglie
 soltanto gli aspetti su cui può intervenire con la sua ansia di
 progettazione, potenzialmente patogena. Il "doppio vincolo" (si vedano
 i saggi di Zoletto e Iacono) non è solo l'intrico di imposizioni
 contrastanti che incatena lo schizofrenico, incapace di cogliere il valore
 metaforico delle parole o, come Don Chisciotte, di distinguere fra il
 teatro e la vita.

 Più in generale, "il doppio vincolo" è una modalità di attraversamento
 dei contesti che può essere terapeutico e funzionale all'apprendimento -
 si pensi ai paradossi koan dei maestri zen; esso manifesta nuove
 relazioni, come nei campi creativi dell'attività umana, nel gioco,
 nell'umorismo, nell'arte. O ancora, nella religione: Religio è sapere dei
 legami, delle interconnessioni, è consapevolezza "estetica", cioè
 sensibile alle relazioni, dell'unità di fondo a cui apparteniamo, della
 danza di Shiva, creativa e distruttiva, in cui siamo implicati, della mente
 immanente ai processi in cui si producono interazioni fra le parti.
 Le religioni, soprattutto quelle animistiche e totemiche, sono "vaste
 metafore" nelle quali ci è offerto "un modello dell'integrazione e della
 complessità del mondo naturale"; le religioni hanno dato voce e
 raccontato le verità della storia naturale, hanno permesso di modellare
 il sistema sociale in analogia al sistema ecologico (si veda il saggio di
 Rosalba Conserva). Ma l'esito della logica relazionale di Bateson è il
 riconoscimento dell'esistenza di uno spazio di silenzio, di non
 comunicazione: il sacro (ricorda Marcello Cini) oppone una fragile
 barriera al pensiero intenzionale e agli esiti letali dei suoi interventi, è
 l'altro nome, senza ricorsi alla fede o alla trascendenza, della saggezza
 sistemica che, nell'evoluzione biologica, erige una barriera per
 proteggere il genotipo dalle mutazioni acquisite dal fenotipo (Dove gli
 angeli esitano, Adelphi). Se il sacro invita, ecologicamente, a percepire
 il tessuto di relazioni integrate del processo mentale che avvolge la
 biosfera, il contrario di religione è negligenza - come ha scritto Michel
 Serres - cioè disconoscimento delle relazioni che l'uomo stringe con gli
 altri ed il mondo.

 "Se mettete Dio all'esterno e lo ponete di fronte alla sua creazione, e
 avete l'idea di essere stati creati a sua immagine, voi vi vedrete
 logicamente e naturalmente come fuori e contro le cose che vi
 circondano - scrive Bateson in Verso un'cologia della mente. E nel
 momento in cui vi arrogherete tutta la mente, tutto il mondo circostante
 vi apparirà senza mente e quindi senza diritto a considerazione morale
 o etica. L'ambiente vi sembrerà da sfruttare a vostro vantaggio. La
 vostra unità di sopravvivenza sarete voi e la vostra gente o gli individui
 della vostra specie, in antitesi con l'ambiente formato da altre unità
 sociali, da altre razze e dagli animali e dalle piante".