Critiche, consensi e revisioni a proposta su Gaza



Appuntamento alla manifestazione di 

OGGI a ROMA,

PER LA PALESTINA E CONTRO OGNI ESERCITO

h.15.30 piazza Vittorio




Grazie a Fabrizio, France, Andrea, Luca, Vito, Elena, Lia, Marco,
Sergio, Enrico, Noemi, Barbara e a quanti altri hanno risposto al testo
proposto sulla guerra in Vicino Oriente, che ritrovate in coda, per ora
solo parzialmente riveduto. Su una questione tanto seria, apprezzamenti,
consigli e critiche sono egualmente preziosi: solo da un processo
collettivo puo' formarsi una forte solidarieta' fra i popoli, contro
tutti i militarismi.

Questo processo, per quanto riguarda la proposta in questione, e' solo
all'inizio.


Due ulteriori contributi giunti nell'ambito del Libero Ateneo della
Decrescita di Roma (il progetto di cui l'agenzia Ecoculture fa parte),
sono particolarmente validi e originali (il secondo e' un articolo del
pacifista israeliano Uri Avnery), e li aggiungo qui di seguito, perche'
mettono l'accento sul ruolo di Israele nel quadro del modello
economico-militare occidentale: la politica coloniale di Israele e' oggi
la prima causa del conflitto, cosa che nel testo iniziale della proposta
non appare abbastanza chiaro.

Inoltre vorremmo affrontare la questione del boicottaggio dei prodotti
israeliani, come possibile forma di pressione globale e di massa,
alternativa sia alle opzioni militariste che alle inconcludenze
diplomatiche.


A chi ci ha scritto per pubblicare il testo su alcuni blog, chiediamo
per ora di pubblicarlo se possibile insieme agli altri testi qui
aggiunti, come parte di un processo collettivo che si avvale di
contributi diversi. 

Vi invitiamo infine a continuare a partecipare a questo processo, con
metodi di rete che potrebbero, per chi e' interessato, produrre una
proposta da firmare insieme.


Matteo Podrecca

(Ecoculture, Roma)


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Da Marco Casaioli (L.A.D.)

Sono certamente d'accordo sul "contro tutte le guerre e chi le
promuove"; sulla assoluta necessità di sottrarsi alle logiche
militariste, sul fatto che "le intenzioni belliciste delle destre arabe
ed ebree si sostengano a vicenda", e anche sul fatto che la logica che
guida le dirigenze di Hamas non sia meno
delirante e guerrafondaia di quella del governo Israeliano (e, by the
way, di quasi tutto l'arco politico israeliano inclusi partiti sedicenti
pacifisti e grandi intellettuali del calibro di Yeoshua e Grossman).
Però.
Però trovo intollerabile, oggi, ogni discorso "simmetrico". Il
militarismo di Hamas produce quei razzetti di latta che fanno solo un
gran favore a Israele. Il fanatismo religioso di Hamas preclude
iniziative politiche in grado di convincere la popolazione Israeliana
che i loro peggiori nemici sono i loro governanti, e che i Palestinesi
sono i loro veri fratelli. Però.

Però non posso accettare chi ipocritamente attacca Hamas per volere
ancora la "distruzione di Israele" (che chiedeva anche Arafat quando noi
tutti lo sostenevamo) quando la distruzione della Palestina avviene
materialmente giorno dopo giorno, tregua o non tregua, col Muro o con le
bombe al fosforo. Non posso sopportare alcun tentativo di bilanciare
l'orrore di quanto stanno facendo gli Israeliani a Gaza con i razzetti
di latta di cui sopra. Questo bilanciamento è il fulcro della propaganda
non di Israele ma dell'Occidente che sottende, come le più limpide voci
Israeliane e di Ebrei della diaspora ci hanno ricordato in questi giorni
sul Manifesto, l'idea che la vita di un Israeliano (e non in quanto
Ebreo ma in quanto Occidentale) valga la vita di 10-100-1000 Palestinesi
(o Iracheni, o Congolesi, fa lo stesso). Sono state voci Ebree a dire
recentemente che oggi Isralele ha definitivamente esaurito la riserva di
legittimità che poteva avere alla sua nascita dall'essere nato in
risposta alla Shoah come porto sicuro per gli Ebrei di tutto il mondo.
Oggi Israele è solo uno stato coloniale. La nazione Israeliana è come la
nazione Afrikaans, o quella dei Pied-noirs in Algeria. Senza una
madrepatria che non sia la diaspora, somiglia certo più ai Boeri che ai
Francesi d'Algeria, certo, e questo significa che gli Israeliani hanno
il diritto di rimanere dove sono. Ma la legittimità morale di questo
diritto, alimentata da un uso strumentale e ipocrita della memoria della
Shoah,
si sgretola giorno dopo giorno ad ogni olivo tagliato, ad ogni bambino
massacrato, ad ogni casa demolita. Nella fotografia di Israele giorno
dopo giorno l'immagine della Resistenza nel ghetto di Varsavia svanisce
e quella del Sudafrica razzista di Botha (che mai arrivò a  bombardare
le township col fosforo bianco) diviene sempre più nitida.

Questo non cambia la nostra posizione su Hamas, né l'auspicio di una
soluzione che veda i popoli uniti contro gli aguzzini. Il popolo
Israeliano è vittima e ostaggio. Vive una vita dominata dalla paura,
dalla rimozione e dalla menzogna. Vive in un regime teocratico e
razzista ammantato di falsa democrazia e accecato dal nazionalismo. Noi
siamo per la liberazione degli Israeliani e siamo anche per la
liberazione dei Palestinesi da Hamas. Ma oggi io non posso guardare ai
miliziani di Hamas che difendono Gaza come a degli aguzzini del loro
popolo senza sentirmi uguale a chi, da Bush a Fassino, giustifica
l'aggressione Israeliana coi razzetti di cartapesta e col fatto che i
Palestinesi non accettano di riconoscere chi 60 anni fa li ha strappati
con la violenza alla loro terra senza avere nulla in cambio, che, se ciò
che gli offre Israele è il nulla, è la riserva indiana, è la resa
incondizionata, non vogliono rinunciare al desiderio di riavere un
giorno la loro terra cacciando chi per loro è solo l'invasore e fa di
tutto per accreditarsi come tale.

Non fraintendete, non penso che la posizione favorevole alla
"distruzione di Israele", magari intesa come dissoluzione della
compagine statale lasciando agli Israeliani la scelta se far parte della
minoranza ebraica di uno Stato Palestinese o emigrare, abbia la sua
seppur minima legittimità. E'che trovo ipocrita e schifoso chi se ne
scandalizza. Lo trovo simile a chi si scandalizzava perché i partigiani
fucilavano i fascisti (vedi ad es. G. Pansa) o perché anche gli Indiani
a volte facevano lo scalpo ai soldati blu.

Penso invece che chi considera la distruzione di Israele come un esito
nefasto, come un aggiungere tragedia a tragedia, abbia un solo dovere:
denunciare il carattere COLONIALE intrinseco allo Stato di Israele. Se
vuole sopravvivere, Israele deve cessare semplicemente di essere uno
stato coloniale. Rinunciare preventivamente a Gaza, Cisgiordania e
Gerusalemme Est. Ammettere la verità storica della Nakba, come emerge
dalle ricerche di Ilan Pappe. Che, se è vero che nel 1948 molte terre
furono acquistate (spesso da feudatari locali, che creto non erano
rappresentanti legittimi delle genti che vi vivevano) è anche vero che
700.000 Palestinesi sono stati cacciati colla violenza e col terrore).
Compiere tutti i gesti riparatori compatibili con l'esistenza di
Israele. Ad esempio abrogare l'apartheid in Israele. Ad esempio
consentire il ritorno, con concessione della cittadinanza israeliana, a
un numero di Palestinesi compatibile con le loro famose ossessioni
demografiche e a tutti gli altri che lo desiderino come cittadini del
limitrofo stato Palestinese residenti in Israele, senza restrizione
alcuna all'acquisto di case e terreni, magari finanziando la
ricostruzione dei villaggi distrutti nel 1948. Questi sarebbero sì gesti
di pace, in grado di creare fratellanza tra Israeliani e Palestinesi, e
anche di portare entrambe le parti a diminuire la loro natalità (il che
porterebbe a stabilizzare la percentuale di c.d. arabi israeliani, ossia
per dirla alla Jugoslava, cittadini Israeliani di nazionalità
Palestinese. 


In cambio Israele potrebbe ricevere molto. Ad esempio un analogo diritto
per un numero di ebrei Israeliani comparabile a quello dei coloni, di
ricevere la cittadinanza Palestinese senza perdere quella Israeliana e
quindi vivere in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est rispettati dai
propri vicini Palestinesi.
Ad esempio la pace con tutti i vicini arabi e un processo di disarmo
generale.
La rinuncia all'arma atomica e il ridimensionamento della macchina
bellica potrebbe essere una contropartita offerta a un'evoluzione
politica dei paesi limitrofi (Siria, Arabia Saudita e Iran in primis)
verso forme più aperte e democratiche come repubbliche presidenziali,
monarchie costituzionali o regimi solo formalmente teocratici
rispettivamente. Potrebbero inoltre essere
restituiti i beni degli Ebrei Sefarditi immigrati in Israele dopo il
'48: essi potrebbero tornare a risiedere nei Paesi Arabi conservando la
cittadinanza Israeliana e il diritto di voto alla Knesset.

Israele perderebbe però definitivamente e per sempre qualcosa di cui si
parla pochissimo e che poco o nulla ha a che vedere con l'Ebraismo, con
la Shoah e anche con lo stesso Sionismo, perlomeno nelle sue
interpretazioni meno becere. Il fatto di essere un pezzo di California
trapiantato in mezzo alla miseria del mondo Arabo. Le piscine a poca
distanza dalla sete, dall'acqua usata col contagocce. La sentinella
dell'Occidente saccheggiatore nella provincia d'Arabia. Quando Bin Laden
(un altro boia, certamente, innegabilmente) definisce crociati gli
Israeliani si riferisce a questo. Lui ci mette di mezzo la religione, ma
questa non c'entra. I politici Israeliani, da Netanhyau a Peretz, e
oltre ci mettono di mezzo la Shoah, ma non c'entra. Il problema vero è
questo. 


Ed è esattamente di questo che dobbiamo, secondo me, parlare sul
volantino.
Come tutti, vediamo la pagliuzza e non la trave. Parliamo di decrescita
per l'Italia e partendo da noi. Non abbiamo il coraggio di dire che
nessun paese al mondo ha più bisogno di convertirsi alla decrescita di
Israele. Il fanatismo religioso da battere, molto più del messianismo
ebraico dei coloni, del fondamentalismo protestante americano o
dell'integralismo islamico, è il fanatismo del benessere. La verità
indicibile è che Israele se vuole vivere, se non vuole uccidere, insieme
al popolo Palestinese ed al proprio stesso popolo, la terra che sostiene
di amare tanto e che invece stravolge, spreme, avvelena, bombarda,
umilia, disprezza, allora Israele deve RIDURRE IL PROPRIO LIVELLO DI
CONSUMI A QUELLO DEI PAESI ARABI CIRCOSTANTI, almeno a quello che erano
il Libano e l'Iraq prima della guerra, che non è certo la miseria nera.
E questo
non è l'indicible né per gli Israeliani né per gli  Ebrei della
diaspora, è l'indicibile per noi, perché una simile soluzione farebbe
cadere il velo della menzogna. Proclamerebbe con chiarezza
inconfutabile: noi lo abbiamo fatto, adesso tocca a voi.
Marco


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ISRAELE STA PERDENDO QUESTA GUERRA

Uri Avnery - Gulf News - 11 gennaio 2009

Quasi settant'anni fa, nel corso della seconda guerra mondiale, nella
città di Leningradofu commesso un crimine efferato. Per più di 70
giorni, una banda di estremisti chiamata «Armatarossa» tenne in ostaggio
milioni di abitanti di quella città e, così facendo, provocò la
rappresaglia della Wehrmacht tedesca dall'interno. I tedeschi non ebbero
altra alternativa, se non bombardare la popolazione e imporre un blocco
totale causando la morte di centinaia di migliaia di persone. Un po' di
tempo prima, un crimine simile era stato commesso in Inghilterra. La
banda diChurchillsi era nascosta tra la popolazione londinese,
sfruttando milioni di cittadini come scudi umani. I tedeschi furono
costretti a inviare la Luftwaffe e, sebbene con riluttanza, a ridurre la
città in rovine. Lo chiamarono il Blitz.

Questa è la descrizione che apparirebbe oggi nei libri di storia - se i
tedeschi avessero vinto la guerra. Assurdo? Non più delle quotidiane
descrizioni nei nostri media, che si ripetono fino alla nausea: i
terroristi di Hamas usano gli abitanti di Gaza come «ostaggi» e
sfruttano le donne e i bambini come «scudi umani». Non ci lasciano altra
alternativa se non i bombardamenti massicci nei quali, con nostro
profondo dolore, migliaia di donne, bambini e uomini disarmati vengono
uccisi o feriti.

In questa guerra, come in qualunque guerra moderna, la propaganda gioca
un ruolo fondamentale. La disparità tra le forze, tra l'esercito
israeliano - con i suoi caccia, elicotteri da combattimento, aerei
teleguidati, navi da guerra, artiglieria e tank - e le poche migliaia di
combattenti di Hamas dotati di armi leggere, è di uno su mille, forse
uno su un milione. Nell'arena politica il gap tra loro è ancora più
ampio. Ma nella guerra di propaganda, il gap è quasi infinito. Quasi
tutti i media occidentali inizialmente ripetevano la versione ufficiale
della propaganda israeliana. Essi ignoravano quasi del tutto le ragioni
dei palestinesi, per non parlare delle dimostrazioni quotidiane del
campo della pace israeliano. La logica del governo israeliano («Lo stato
deve difendere i suoi cittadini contro i razzi Qassam») è stata
accettata come se quella fosse tutta la verità.

L'altro punto di vista, per cui i Qassam sono una rappresaglia per
l'assedio che affama il milione e mezzo di abitanti della Striscia di
Gaza, non è stato riportato affatto. Solo quando le scene orribili
provenienti da Gaza hanno cominciato ad apparire sui teleschermi
occidentali, l'opinione pubblica mondiale ha gradualmente iniziato a
cambiare.
È vero, i canali televisivi occidentali e israeliani hanno mostrato solo
una piccolissima frazione dei terribili eventi che appaiono 24 ore su 24
sul canale arabo al Jazeera, ma una sola immagine di un bimbo morto
nelle braccia del padre terrorizzato è più potente di mille frasi
elegantemente costruite dal portavoce dell'esercito israeliano. E alla
fine, è decisiva.

La guerra - ogni guerra - è il regno delle menzogne. Che si chiami
propaganda o guerra psicologica, tutti accettano l'idea che sia giusto
mentire per un paese. Chiunque dica la verità rischia di essere bollato
come traditore. Il problema è che la propaganda è convincente per lo
stesso propagandista. E dopo che ci si è convinti che una bugia è
verità, e la falsificazione realtà, non si riesce più a prendere
decisioni razionali.

Un esempio di questo fenomeno riguarda quella che finora è stata la
atrocità più scioccante di questa guerra: il bombardamento della scuola
dell'Onu Fakhura, nel campo profughi di Jabaliya. Immediatamente dopo
che esso era stato conosciuto in tutto il mondo, l'esercito ha
«rivelato» che i combattenti di Hamas avevano sparato con i mortai da un
punto vicino l'ingresso della scuola. Poco tempo dopo, il militare che
aveva mentito ha dovuto ammettere che la foto aveva più di un anno. In
breve: una falsificazione. In seguito l'ufficiale bugiardo ha affermato
che avevano «sparato ai nostri soldati da dentro la scuola». Dopo appena
un giorno, l'esercito ha dovuto ammettere dinanzi al personale Onu che
anche quella era una menzogna. Nessuno aveva sparato da dentro la
scuola; nella scuola non c'erano combattenti di Hamas: era piena di
profughi terrorizzati. Ma l'ammissione ormai non faceva quasi più
differenza. A quel punto, il pubblico israeliano era totalmente convinto
che avessero «sparato da dentro la scuola», e gli annunciatori tv lo
hanno affermato come un semplice fatto.

Lo stesso è accaduto con le altre atrocità. Nell'atto della morte, ogni
bambino si trasformava in un terrorista di Hamas. Ogni moschea
bombardata diventava istantaneamente una base di Hamas, ogni palazzina
un deposito di armi, ogni scuola una postazione terroristica, ogni
edificio dell'amministrazione pubblica un «simbolo del potere di Hamas».
Così l'esercito israeliano manteneva la sua purezza di «esercito più
morale del mondo».

La verità è che le atrocità sono un risultato diretto del piano di
guerra. Questo riflette la personalità di Ehud Barak - un uomo il cui
modo di pensare e le cui azioni sono una chiara esemplificazione di
quella che viene chiamata «follia morale», un disturbo sociopatico. Il
vero scopo (a parte quello di farsi eleggere alle prossime elezioni) è
porre fine al governo di Hamas nella Striscia di Gaza.
Nell'immaginazione di chi ha pianificato la guerra, Hamas è un invasore
che ha ottenuto il controllo di un paese straniero.

Naturalmente la realtà è completamente diversa. Il movimento di Hamas ha
ottenuto la maggioranza dei voti nelle elezioni democratiche che si sono
svolte in Cisgiordania, a Gerusalemme Est e nella Striscia di Gaza. Ha
vinto perché i palestinesi erano giunti alla conclusione che
l'atteggiamento pacifico di Fatah non avesse ottenuto nulla da Israele -
né un congelamento degli insediamenti, né il rilascio dei prigionieri,
né un qualunque passo significativo verso la fine dell'occupazione e la
creazione dello stato palestinese.

Hamas è profondamente radicato nella popolazione - non solo come
movimento di resistenza che combatte l'occupante, come l'Irgun e il
Gruppo Stern in passato - ma anche come organismo politico e religioso
che fornisce servizi sociali, scuola e sanità. Dal punto di vista della
popolazione, i combattenti di Hamas non sono un organismo straniero, ma
figli di ogni famiglia della Striscia e delle altre regioni palestinesi.
Essi non si «nascondono dietro la popolazione»: la popolazione li vede
come i suoi unici difensori. Perciò, l'intera operazione si basa su
presupposti errati. Trasformare la vita in un inferno sulla terra non fa
insorgere la popolazione contro Hamas ma, al contrario, essa si stringe
dietro Hamas e rafforza la propria determinazione a non arrendersi. La
popolazione di Leningradonon si sollevò contro Stalin, più di quanto i
londinesi non si sollevarono contro Churchill.

Chi dà l'ordine di una simile guerra, con tali metodi, in un'area
densamente popolata, sa che causerà il massacro di civili. A quanto
pare, ciò non lo ha toccato. O forse credeva che loro avrebbero
«cambiato modo» e la guerra avrebbe «marchiato a fuoco la loro
coscienza», per cui in futuro non oseranno resistere a Israele. Una
delle principali priorità per chi ha pianificato la guerra era
l'esigenza di ridurre al minimo le vittime tra i soldati, sapendo che lo
stato d'animo di una larga parte dell'opinione pubblica, favorevole ad
essa, sarebbe cambiato se fossero giunte notizie di questo genere. È
quanto è avvenuto nella prima e nella seconda guerra del Libano.

Questa considerazione ha giocato un ruolo particolarmente importante
perché l'intera guerra è parte della campagna elettorale. Ehud Barak,
che nei primi giorni di guerra è salito nei sondaggi, sapeva che il suo
gradimento sarebbe crollato se gli schermi televisivi si fossero
riempiti di immagini di soldati morti. Perciò, si è fatto ricorso a una
nuova dottrina: evitare perdite tra i nostri soldati mediante la
distruzione totale di tutto ciò che incontrano sulla loro strada. Per
salvare un soldato israeliano si era disposti a uccidere non solo 80
palestinesi, ma anche 800. Evitare perdite dalla nostra parte è il
comandamento principale, che sta causando un numero record di vittime
civili dall'altra. Questo significa la scelta consapevole di un tipo di
guerra particolarmente crudele - e questo è il suo tallone di Achille.

Una persona senza immaginazione, come Barak (il suo slogan elettorale:
«Non un bravo ragazzo, ma un leader») non riesce a immaginare come le
persone per bene, in tutto il mondo, possano reagire ad azioni come
l'uccisione di intere famiglie, la distruzione di case sulla testa dei
loro abitanti, le file di bambini e bambine in sudari bianchi pronti per
la sepoltura, le notizie di persone lasciate a morire dissanguate per
giorni perché non si consentiva alle ambulanze di raggiungerle,
l'uccisione di dottori e medici impegnati a salvare vite umane,
l'uccisione di autisti dell'Onu che trasportavano cibo. Le immagini
degli ospedali, con i morti, le persone in fin di vita, i feriti stesi
tutti insieme sul pavimento per mancanza di spazio hanno scioccato il
mondo.

I pianificatori pensavano di poter impedire al mondo di vedere queste
immagini vietando con la forza la presenza dei media. I giornalisti
israeliani - fatto riprovevole - si sono accontentati dei rapporti e
delle foto forniti dal portavoce dell'esercito, come se fossero notizie
autentiche, mentre loro stessi se ne restavano a miglia di distanza dai
fatti. Anche ai giornalisti stranieri non è stato permesso di entrare,
finché non hanno protestato e sono stati portati a fare rapidi tour in
gruppi selezionati e controllati. Ma in una guerra moderna, uno sguardo
così sterile e preconfezionato non può escludere completamente tutti gli
altri - le videocamere sono dentro la Striscia, in mezzo all'inferno, e
non possono essere controllate. Aljazeera trasmette le immagini a tutte
le ore, e arriva in tutte le case.

La battaglia per il teleschermo è una delle battaglie decisive della
guerra. Centinaia di milioni di arabi dalla Mauritania all'Iraq, più di
un miliardo di musulmani dalla Nigeria all'Indonesia vedono le immagini
e sono orripilati. Questo ha un impatto forte sulla guerra. Molti
spettatori vedono i governanti dell'Egitto, della Giordania,
dell'Autorità palestinese come collaboratori di Israele nell'attuazione
di queste atrocità ai danni dei loro fratelli palestinesi. I servizi di
sicurezza dei regimi arabi stanno registrando un fermento pericoloso tra
le popolazioni. Hosny Mubarak, il leader arabo più esposto per aver
chiuso il valico di Rafah in faccia ai profughi terrorizzati, ha
cominciato a premere sui decisori di Washington, che fino ad allora
avevano bloccato tutti gli inviti a cessare il fuoco. Questi hanno
cominciato a capire che i vitali interessi americani nel mondo arabo
erano minacciati e improvvisamente hanno cambiato atteggiamento - nella
costernazione dei compiacenti diplomatici israeliani.

Le persone affette da follia morale non riescono a capire le motivazioni
delle persone normali, e devono indovinare le loro reazioni. «Quante
divisioni ha il papa?» se la rideva Stalin. «Quante divisioni hanno le
persone con una coscienza?» potrebbe chiedersi oggi Ehud Barak. Ma, come
stiamo vedendo, ne hanno qualcuna. Non tante. Non molto veloci a
reagire. Non molto forti e organizzate. Ma a un certo momento, quando le
atrocità dilagano e masse di persone si uniscono per protestare, questo
può decidere di una guerra.

L'incapacità di cogliere la natura di Hamas ha causato l'incapacità di
capire i prevedibili risultati. Non solo Israele non è in grado di
vincere la guerra: Hamas non può perderla. Anche se l'esercito
israeliano dovesse riuscire a uccidere ogni combattente di Hamas fino
all'ultimo uomo, anche allora Hamas vincerebbe. I combattenti di Hamas
sarebbero visti come i modelli della nazione araba, gli eroi del popolo
palestinese, i modelli da emulare per ogni giovane del mondo arabo. La
Cisgiordania cadrebbe nelle mani di Hamas come un frutto maturo, Fatah
affogherebbe in un mare di disprezzo, i regimi arabi rischierebbero di
crollare.

Se la guerra dovesse finire con Hamas ancora in piedi, sanguinante ma
non sconfitto, a fronte della possente macchina militare israeliana, ciò
apparirebbe come una vittoria fantastica, una vittoria della mente sulla
materia. Nella coscienza del mondo, resterà impressa a fuoco l'immagine
di Israele come un mostro lordo di sangue, pronto in qualunque momento a
commettere crimini di guerra e non intenzionato a rispettare alcun freno
morale. Questo avrà gravi conseguenze a lungo termine per il nostro
futuro, per la nostra posizione nel mondo, per la nostra chance di
raggiungere la pace e la tranquillità.
In fondo, questa guerra è anche un crimine contro noi stessi, un crimine
contro lo stato di Israele.


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                COME FAR DURARE UNA GUERRA ALL'INFINITO

      * a chi serve
        

Era alimentata dallo scontro imperialistico fra Usa e Urss, in terre
dove prima genti diverse sapevano convivere in pace. Finita la
contrapposizione fra i blocchi, la guerra nel Vicino Oriente continua
nel quadro dello “scontro di civilta'”, la nuova mitologia utile a chi
ha bisogno di tenere in vita l'industria (materiale e morale) delle
armi.

In questi anni di barbarie e di miseria, le intenzioni belliciste delle
destre arabe ed ebree si sostengono a vicenda. Ciascuna delle due parti
attribuisce all'altra le responsabilita': “l'altro e' il nemico, ci ha
aggrediti, vuole distruggerci, se lo colpiamo e' per difenderci”. Su
questi discorsi prosperano le caste politiche e militari, mentre la
gente comune – dai soldati israeliani ai civili arruolati da Hamas - e'
mandata a morire. Per la politica di tutto il mondo, dagli Stati ai piu'
piccoli partiti, una guerra e' troppo spesso un'occasione per
schierarsi, per chiedere consenso e obbedienza, per guadagnare qualcosa
fra le macerie della vita e delle ragioni. 

      * disertare la logica della guerra
        

Noi sappiamo distinguere fra uno Stato occupato e uno occupante:
l'espansione coloniale israeliana va fermata, la terra, l'agricoltura,
la cultura palestinesi vanno difese, come cerca di fare la lotta
popolare dei villaggi (malgrado le pressioni e le emergenze della
guerra), con l'aiuto dei libertari e pacifisti israeliani e della
solidarieta' internazionale. 

Sappiamo distinguere fra i razzi e le bombe, fra chi uccide 10 esseri
umani e chi ne uccide 1000; questa triste contabilita' delle vittime
pero' non ci basta. Non ci basta dover reagire all'ennesima emergenza;
non ci appassiona il gioco politico del rimpallo delle responsabilita'.

SIAMO STANCHI DI UNA GUERRA CHE DURA DA MEZZO SECOLO.

SE COMINCIASSIMO A SOTTRARCI ALLE LOGICHE DELLA GUERRA E
DELL'ANNIENTAMENTO DEL “NEMICO”, SU CUI SPECULANO LE DESTRE SCIOVINISTE
E MILITARISTE DI OGNI PARTE, FRA GLI ISRAELIANI E FRA I PALESTINESI,
NEGLI USA E IN IRAN?

SE COMINCIASSIMO A SOSTENERE LA VOCE E L'AZIONE DI QUELLI CHE DISERTANO
IL LORO CAMPO, CHE SI CONTRAPPONGONO ALLE LOGICHE DI GUERRA, CON LA
FORZA E IL CORAGGIO CHE MOSTRANO IN UNA SITUAZIONE COSI' DIFFICILE?

Pacifisti, anarchici, donne, intellettuali, israeliani e palestinesi,
sfidano la repressione dei rispettivi apparati statali. Sono loro che
hanno bisogno del nostro appoggio. 

      * cosa si puo' fare
        

Di fronte alla follia della guerra, sostenere chi sta costruendo una via
d'uscita dai modelli ottocenteschi-eurocentrici dello stato-nazione, dei
muri, degli eserciti, e' forse l'unica speranza per una umanita'
migliore.

ALLE PERSONE E AI GRUPPI CHE RIFIUTANO TUTTE LE GUERRE, proponiamo di
avviare insieme un'attivita' pratica di solidarieta' libertaria, e di
ricerca e diffusione culturale (anche nell'ambito dei laboratori del
Libero Ateneo della Decrescita e delle culture del nuovo secolo,
progetto a cui partecipiamo) per un futuro di convivenza fra le
differenze. Per cominciare, segnaliamo il sito web di Anarchici contro
il muro, uno dei movimenti che invitiamo a conoscere e a sostenere:
www.awalls.org (traduzioni+foto su http://www.fdca.it/wall/ e
http://anarchiainazione.org).

SABATO A ROMA (appuntamento h.15.30 piazza Vittorio) SAREMO IN PIAZZA 

CONTRO QUESTA GUERRA E CONTRO TUTTE LE GUERRE.

                            (bozza da discutere con gli interessati)