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Critiche, consensi e revisioni a proposta su Gaza
- Subject: Critiche, consensi e revisioni a proposta su Gaza
- From: Ecoculture <ecoculture at inventati.org>
- Date: Sat, 17 Jan 2009 16:07:14 +0100
Appuntamento alla manifestazione di OGGI a ROMA, PER LA PALESTINA E CONTRO OGNI ESERCITO h.15.30 piazza Vittorio Grazie a Fabrizio, France, Andrea, Luca, Vito, Elena, Lia, Marco, Sergio, Enrico, Noemi, Barbara e a quanti altri hanno risposto al testo proposto sulla guerra in Vicino Oriente, che ritrovate in coda, per ora solo parzialmente riveduto. Su una questione tanto seria, apprezzamenti, consigli e critiche sono egualmente preziosi: solo da un processo collettivo puo' formarsi una forte solidarieta' fra i popoli, contro tutti i militarismi. Questo processo, per quanto riguarda la proposta in questione, e' solo all'inizio. Due ulteriori contributi giunti nell'ambito del Libero Ateneo della Decrescita di Roma (il progetto di cui l'agenzia Ecoculture fa parte), sono particolarmente validi e originali (il secondo e' un articolo del pacifista israeliano Uri Avnery), e li aggiungo qui di seguito, perche' mettono l'accento sul ruolo di Israele nel quadro del modello economico-militare occidentale: la politica coloniale di Israele e' oggi la prima causa del conflitto, cosa che nel testo iniziale della proposta non appare abbastanza chiaro. Inoltre vorremmo affrontare la questione del boicottaggio dei prodotti israeliani, come possibile forma di pressione globale e di massa, alternativa sia alle opzioni militariste che alle inconcludenze diplomatiche. A chi ci ha scritto per pubblicare il testo su alcuni blog, chiediamo per ora di pubblicarlo se possibile insieme agli altri testi qui aggiunti, come parte di un processo collettivo che si avvale di contributi diversi. Vi invitiamo infine a continuare a partecipare a questo processo, con metodi di rete che potrebbero, per chi e' interessato, produrre una proposta da firmare insieme. Matteo Podrecca (Ecoculture, Roma) ----------------------------------------------- Da Marco Casaioli (L.A.D.) Sono certamente d'accordo sul "contro tutte le guerre e chi le promuove"; sulla assoluta necessità di sottrarsi alle logiche militariste, sul fatto che "le intenzioni belliciste delle destre arabe ed ebree si sostengano a vicenda", e anche sul fatto che la logica che guida le dirigenze di Hamas non sia meno delirante e guerrafondaia di quella del governo Israeliano (e, by the way, di quasi tutto l'arco politico israeliano inclusi partiti sedicenti pacifisti e grandi intellettuali del calibro di Yeoshua e Grossman). Però. Però trovo intollerabile, oggi, ogni discorso "simmetrico". Il militarismo di Hamas produce quei razzetti di latta che fanno solo un gran favore a Israele. Il fanatismo religioso di Hamas preclude iniziative politiche in grado di convincere la popolazione Israeliana che i loro peggiori nemici sono i loro governanti, e che i Palestinesi sono i loro veri fratelli. Però. Però non posso accettare chi ipocritamente attacca Hamas per volere ancora la "distruzione di Israele" (che chiedeva anche Arafat quando noi tutti lo sostenevamo) quando la distruzione della Palestina avviene materialmente giorno dopo giorno, tregua o non tregua, col Muro o con le bombe al fosforo. Non posso sopportare alcun tentativo di bilanciare l'orrore di quanto stanno facendo gli Israeliani a Gaza con i razzetti di latta di cui sopra. Questo bilanciamento è il fulcro della propaganda non di Israele ma dell'Occidente che sottende, come le più limpide voci Israeliane e di Ebrei della diaspora ci hanno ricordato in questi giorni sul Manifesto, l'idea che la vita di un Israeliano (e non in quanto Ebreo ma in quanto Occidentale) valga la vita di 10-100-1000 Palestinesi (o Iracheni, o Congolesi, fa lo stesso). Sono state voci Ebree a dire recentemente che oggi Isralele ha definitivamente esaurito la riserva di legittimità che poteva avere alla sua nascita dall'essere nato in risposta alla Shoah come porto sicuro per gli Ebrei di tutto il mondo. Oggi Israele è solo uno stato coloniale. La nazione Israeliana è come la nazione Afrikaans, o quella dei Pied-noirs in Algeria. Senza una madrepatria che non sia la diaspora, somiglia certo più ai Boeri che ai Francesi d'Algeria, certo, e questo significa che gli Israeliani hanno il diritto di rimanere dove sono. Ma la legittimità morale di questo diritto, alimentata da un uso strumentale e ipocrita della memoria della Shoah, si sgretola giorno dopo giorno ad ogni olivo tagliato, ad ogni bambino massacrato, ad ogni casa demolita. Nella fotografia di Israele giorno dopo giorno l'immagine della Resistenza nel ghetto di Varsavia svanisce e quella del Sudafrica razzista di Botha (che mai arrivò a bombardare le township col fosforo bianco) diviene sempre più nitida. Questo non cambia la nostra posizione su Hamas, né l'auspicio di una soluzione che veda i popoli uniti contro gli aguzzini. Il popolo Israeliano è vittima e ostaggio. Vive una vita dominata dalla paura, dalla rimozione e dalla menzogna. Vive in un regime teocratico e razzista ammantato di falsa democrazia e accecato dal nazionalismo. Noi siamo per la liberazione degli Israeliani e siamo anche per la liberazione dei Palestinesi da Hamas. Ma oggi io non posso guardare ai miliziani di Hamas che difendono Gaza come a degli aguzzini del loro popolo senza sentirmi uguale a chi, da Bush a Fassino, giustifica l'aggressione Israeliana coi razzetti di cartapesta e col fatto che i Palestinesi non accettano di riconoscere chi 60 anni fa li ha strappati con la violenza alla loro terra senza avere nulla in cambio, che, se ciò che gli offre Israele è il nulla, è la riserva indiana, è la resa incondizionata, non vogliono rinunciare al desiderio di riavere un giorno la loro terra cacciando chi per loro è solo l'invasore e fa di tutto per accreditarsi come tale. Non fraintendete, non penso che la posizione favorevole alla "distruzione di Israele", magari intesa come dissoluzione della compagine statale lasciando agli Israeliani la scelta se far parte della minoranza ebraica di uno Stato Palestinese o emigrare, abbia la sua seppur minima legittimità. E'che trovo ipocrita e schifoso chi se ne scandalizza. Lo trovo simile a chi si scandalizzava perché i partigiani fucilavano i fascisti (vedi ad es. G. Pansa) o perché anche gli Indiani a volte facevano lo scalpo ai soldati blu. Penso invece che chi considera la distruzione di Israele come un esito nefasto, come un aggiungere tragedia a tragedia, abbia un solo dovere: denunciare il carattere COLONIALE intrinseco allo Stato di Israele. Se vuole sopravvivere, Israele deve cessare semplicemente di essere uno stato coloniale. Rinunciare preventivamente a Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est. Ammettere la verità storica della Nakba, come emerge dalle ricerche di Ilan Pappe. Che, se è vero che nel 1948 molte terre furono acquistate (spesso da feudatari locali, che creto non erano rappresentanti legittimi delle genti che vi vivevano) è anche vero che 700.000 Palestinesi sono stati cacciati colla violenza e col terrore). Compiere tutti i gesti riparatori compatibili con l'esistenza di Israele. Ad esempio abrogare l'apartheid in Israele. Ad esempio consentire il ritorno, con concessione della cittadinanza israeliana, a un numero di Palestinesi compatibile con le loro famose ossessioni demografiche e a tutti gli altri che lo desiderino come cittadini del limitrofo stato Palestinese residenti in Israele, senza restrizione alcuna all'acquisto di case e terreni, magari finanziando la ricostruzione dei villaggi distrutti nel 1948. Questi sarebbero sì gesti di pace, in grado di creare fratellanza tra Israeliani e Palestinesi, e anche di portare entrambe le parti a diminuire la loro natalità (il che porterebbe a stabilizzare la percentuale di c.d. arabi israeliani, ossia per dirla alla Jugoslava, cittadini Israeliani di nazionalità Palestinese. In cambio Israele potrebbe ricevere molto. Ad esempio un analogo diritto per un numero di ebrei Israeliani comparabile a quello dei coloni, di ricevere la cittadinanza Palestinese senza perdere quella Israeliana e quindi vivere in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est rispettati dai propri vicini Palestinesi. Ad esempio la pace con tutti i vicini arabi e un processo di disarmo generale. La rinuncia all'arma atomica e il ridimensionamento della macchina bellica potrebbe essere una contropartita offerta a un'evoluzione politica dei paesi limitrofi (Siria, Arabia Saudita e Iran in primis) verso forme più aperte e democratiche come repubbliche presidenziali, monarchie costituzionali o regimi solo formalmente teocratici rispettivamente. Potrebbero inoltre essere restituiti i beni degli Ebrei Sefarditi immigrati in Israele dopo il '48: essi potrebbero tornare a risiedere nei Paesi Arabi conservando la cittadinanza Israeliana e il diritto di voto alla Knesset. Israele perderebbe però definitivamente e per sempre qualcosa di cui si parla pochissimo e che poco o nulla ha a che vedere con l'Ebraismo, con la Shoah e anche con lo stesso Sionismo, perlomeno nelle sue interpretazioni meno becere. Il fatto di essere un pezzo di California trapiantato in mezzo alla miseria del mondo Arabo. Le piscine a poca distanza dalla sete, dall'acqua usata col contagocce. La sentinella dell'Occidente saccheggiatore nella provincia d'Arabia. Quando Bin Laden (un altro boia, certamente, innegabilmente) definisce crociati gli Israeliani si riferisce a questo. Lui ci mette di mezzo la religione, ma questa non c'entra. I politici Israeliani, da Netanhyau a Peretz, e oltre ci mettono di mezzo la Shoah, ma non c'entra. Il problema vero è questo. Ed è esattamente di questo che dobbiamo, secondo me, parlare sul volantino. Come tutti, vediamo la pagliuzza e non la trave. Parliamo di decrescita per l'Italia e partendo da noi. Non abbiamo il coraggio di dire che nessun paese al mondo ha più bisogno di convertirsi alla decrescita di Israele. Il fanatismo religioso da battere, molto più del messianismo ebraico dei coloni, del fondamentalismo protestante americano o dell'integralismo islamico, è il fanatismo del benessere. La verità indicibile è che Israele se vuole vivere, se non vuole uccidere, insieme al popolo Palestinese ed al proprio stesso popolo, la terra che sostiene di amare tanto e che invece stravolge, spreme, avvelena, bombarda, umilia, disprezza, allora Israele deve RIDURRE IL PROPRIO LIVELLO DI CONSUMI A QUELLO DEI PAESI ARABI CIRCOSTANTI, almeno a quello che erano il Libano e l'Iraq prima della guerra, che non è certo la miseria nera. E questo non è l'indicible né per gli Israeliani né per gli Ebrei della diaspora, è l'indicibile per noi, perché una simile soluzione farebbe cadere il velo della menzogna. Proclamerebbe con chiarezza inconfutabile: noi lo abbiamo fatto, adesso tocca a voi. Marco ------------------------------------------------------- ISRAELE STA PERDENDO QUESTA GUERRA Uri Avnery - Gulf News - 11 gennaio 2009 Quasi settant'anni fa, nel corso della seconda guerra mondiale, nella città di Leningradofu commesso un crimine efferato. Per più di 70 giorni, una banda di estremisti chiamata «Armatarossa» tenne in ostaggio milioni di abitanti di quella città e, così facendo, provocò la rappresaglia della Wehrmacht tedesca dall'interno. I tedeschi non ebbero altra alternativa, se non bombardare la popolazione e imporre un blocco totale causando la morte di centinaia di migliaia di persone. Un po' di tempo prima, un crimine simile era stato commesso in Inghilterra. La banda diChurchillsi era nascosta tra la popolazione londinese, sfruttando milioni di cittadini come scudi umani. I tedeschi furono costretti a inviare la Luftwaffe e, sebbene con riluttanza, a ridurre la città in rovine. Lo chiamarono il Blitz. Questa è la descrizione che apparirebbe oggi nei libri di storia - se i tedeschi avessero vinto la guerra. Assurdo? Non più delle quotidiane descrizioni nei nostri media, che si ripetono fino alla nausea: i terroristi di Hamas usano gli abitanti di Gaza come «ostaggi» e sfruttano le donne e i bambini come «scudi umani». Non ci lasciano altra alternativa se non i bombardamenti massicci nei quali, con nostro profondo dolore, migliaia di donne, bambini e uomini disarmati vengono uccisi o feriti. In questa guerra, come in qualunque guerra moderna, la propaganda gioca un ruolo fondamentale. La disparità tra le forze, tra l'esercito israeliano - con i suoi caccia, elicotteri da combattimento, aerei teleguidati, navi da guerra, artiglieria e tank - e le poche migliaia di combattenti di Hamas dotati di armi leggere, è di uno su mille, forse uno su un milione. Nell'arena politica il gap tra loro è ancora più ampio. Ma nella guerra di propaganda, il gap è quasi infinito. Quasi tutti i media occidentali inizialmente ripetevano la versione ufficiale della propaganda israeliana. Essi ignoravano quasi del tutto le ragioni dei palestinesi, per non parlare delle dimostrazioni quotidiane del campo della pace israeliano. La logica del governo israeliano («Lo stato deve difendere i suoi cittadini contro i razzi Qassam») è stata accettata come se quella fosse tutta la verità. L'altro punto di vista, per cui i Qassam sono una rappresaglia per l'assedio che affama il milione e mezzo di abitanti della Striscia di Gaza, non è stato riportato affatto. Solo quando le scene orribili provenienti da Gaza hanno cominciato ad apparire sui teleschermi occidentali, l'opinione pubblica mondiale ha gradualmente iniziato a cambiare. È vero, i canali televisivi occidentali e israeliani hanno mostrato solo una piccolissima frazione dei terribili eventi che appaiono 24 ore su 24 sul canale arabo al Jazeera, ma una sola immagine di un bimbo morto nelle braccia del padre terrorizzato è più potente di mille frasi elegantemente costruite dal portavoce dell'esercito israeliano. E alla fine, è decisiva. La guerra - ogni guerra - è il regno delle menzogne. Che si chiami propaganda o guerra psicologica, tutti accettano l'idea che sia giusto mentire per un paese. Chiunque dica la verità rischia di essere bollato come traditore. Il problema è che la propaganda è convincente per lo stesso propagandista. E dopo che ci si è convinti che una bugia è verità, e la falsificazione realtà, non si riesce più a prendere decisioni razionali. Un esempio di questo fenomeno riguarda quella che finora è stata la atrocità più scioccante di questa guerra: il bombardamento della scuola dell'Onu Fakhura, nel campo profughi di Jabaliya. Immediatamente dopo che esso era stato conosciuto in tutto il mondo, l'esercito ha «rivelato» che i combattenti di Hamas avevano sparato con i mortai da un punto vicino l'ingresso della scuola. Poco tempo dopo, il militare che aveva mentito ha dovuto ammettere che la foto aveva più di un anno. In breve: una falsificazione. In seguito l'ufficiale bugiardo ha affermato che avevano «sparato ai nostri soldati da dentro la scuola». Dopo appena un giorno, l'esercito ha dovuto ammettere dinanzi al personale Onu che anche quella era una menzogna. Nessuno aveva sparato da dentro la scuola; nella scuola non c'erano combattenti di Hamas: era piena di profughi terrorizzati. Ma l'ammissione ormai non faceva quasi più differenza. A quel punto, il pubblico israeliano era totalmente convinto che avessero «sparato da dentro la scuola», e gli annunciatori tv lo hanno affermato come un semplice fatto. Lo stesso è accaduto con le altre atrocità. Nell'atto della morte, ogni bambino si trasformava in un terrorista di Hamas. Ogni moschea bombardata diventava istantaneamente una base di Hamas, ogni palazzina un deposito di armi, ogni scuola una postazione terroristica, ogni edificio dell'amministrazione pubblica un «simbolo del potere di Hamas». Così l'esercito israeliano manteneva la sua purezza di «esercito più morale del mondo». La verità è che le atrocità sono un risultato diretto del piano di guerra. Questo riflette la personalità di Ehud Barak - un uomo il cui modo di pensare e le cui azioni sono una chiara esemplificazione di quella che viene chiamata «follia morale», un disturbo sociopatico. Il vero scopo (a parte quello di farsi eleggere alle prossime elezioni) è porre fine al governo di Hamas nella Striscia di Gaza. Nell'immaginazione di chi ha pianificato la guerra, Hamas è un invasore che ha ottenuto il controllo di un paese straniero. Naturalmente la realtà è completamente diversa. Il movimento di Hamas ha ottenuto la maggioranza dei voti nelle elezioni democratiche che si sono svolte in Cisgiordania, a Gerusalemme Est e nella Striscia di Gaza. Ha vinto perché i palestinesi erano giunti alla conclusione che l'atteggiamento pacifico di Fatah non avesse ottenuto nulla da Israele - né un congelamento degli insediamenti, né il rilascio dei prigionieri, né un qualunque passo significativo verso la fine dell'occupazione e la creazione dello stato palestinese. Hamas è profondamente radicato nella popolazione - non solo come movimento di resistenza che combatte l'occupante, come l'Irgun e il Gruppo Stern in passato - ma anche come organismo politico e religioso che fornisce servizi sociali, scuola e sanità. Dal punto di vista della popolazione, i combattenti di Hamas non sono un organismo straniero, ma figli di ogni famiglia della Striscia e delle altre regioni palestinesi. Essi non si «nascondono dietro la popolazione»: la popolazione li vede come i suoi unici difensori. Perciò, l'intera operazione si basa su presupposti errati. Trasformare la vita in un inferno sulla terra non fa insorgere la popolazione contro Hamas ma, al contrario, essa si stringe dietro Hamas e rafforza la propria determinazione a non arrendersi. La popolazione di Leningradonon si sollevò contro Stalin, più di quanto i londinesi non si sollevarono contro Churchill. Chi dà l'ordine di una simile guerra, con tali metodi, in un'area densamente popolata, sa che causerà il massacro di civili. A quanto pare, ciò non lo ha toccato. O forse credeva che loro avrebbero «cambiato modo» e la guerra avrebbe «marchiato a fuoco la loro coscienza», per cui in futuro non oseranno resistere a Israele. Una delle principali priorità per chi ha pianificato la guerra era l'esigenza di ridurre al minimo le vittime tra i soldati, sapendo che lo stato d'animo di una larga parte dell'opinione pubblica, favorevole ad essa, sarebbe cambiato se fossero giunte notizie di questo genere. È quanto è avvenuto nella prima e nella seconda guerra del Libano. Questa considerazione ha giocato un ruolo particolarmente importante perché l'intera guerra è parte della campagna elettorale. Ehud Barak, che nei primi giorni di guerra è salito nei sondaggi, sapeva che il suo gradimento sarebbe crollato se gli schermi televisivi si fossero riempiti di immagini di soldati morti. Perciò, si è fatto ricorso a una nuova dottrina: evitare perdite tra i nostri soldati mediante la distruzione totale di tutto ciò che incontrano sulla loro strada. Per salvare un soldato israeliano si era disposti a uccidere non solo 80 palestinesi, ma anche 800. Evitare perdite dalla nostra parte è il comandamento principale, che sta causando un numero record di vittime civili dall'altra. Questo significa la scelta consapevole di un tipo di guerra particolarmente crudele - e questo è il suo tallone di Achille. Una persona senza immaginazione, come Barak (il suo slogan elettorale: «Non un bravo ragazzo, ma un leader») non riesce a immaginare come le persone per bene, in tutto il mondo, possano reagire ad azioni come l'uccisione di intere famiglie, la distruzione di case sulla testa dei loro abitanti, le file di bambini e bambine in sudari bianchi pronti per la sepoltura, le notizie di persone lasciate a morire dissanguate per giorni perché non si consentiva alle ambulanze di raggiungerle, l'uccisione di dottori e medici impegnati a salvare vite umane, l'uccisione di autisti dell'Onu che trasportavano cibo. Le immagini degli ospedali, con i morti, le persone in fin di vita, i feriti stesi tutti insieme sul pavimento per mancanza di spazio hanno scioccato il mondo. I pianificatori pensavano di poter impedire al mondo di vedere queste immagini vietando con la forza la presenza dei media. I giornalisti israeliani - fatto riprovevole - si sono accontentati dei rapporti e delle foto forniti dal portavoce dell'esercito, come se fossero notizie autentiche, mentre loro stessi se ne restavano a miglia di distanza dai fatti. Anche ai giornalisti stranieri non è stato permesso di entrare, finché non hanno protestato e sono stati portati a fare rapidi tour in gruppi selezionati e controllati. Ma in una guerra moderna, uno sguardo così sterile e preconfezionato non può escludere completamente tutti gli altri - le videocamere sono dentro la Striscia, in mezzo all'inferno, e non possono essere controllate. Aljazeera trasmette le immagini a tutte le ore, e arriva in tutte le case. La battaglia per il teleschermo è una delle battaglie decisive della guerra. Centinaia di milioni di arabi dalla Mauritania all'Iraq, più di un miliardo di musulmani dalla Nigeria all'Indonesia vedono le immagini e sono orripilati. Questo ha un impatto forte sulla guerra. Molti spettatori vedono i governanti dell'Egitto, della Giordania, dell'Autorità palestinese come collaboratori di Israele nell'attuazione di queste atrocità ai danni dei loro fratelli palestinesi. I servizi di sicurezza dei regimi arabi stanno registrando un fermento pericoloso tra le popolazioni. Hosny Mubarak, il leader arabo più esposto per aver chiuso il valico di Rafah in faccia ai profughi terrorizzati, ha cominciato a premere sui decisori di Washington, che fino ad allora avevano bloccato tutti gli inviti a cessare il fuoco. Questi hanno cominciato a capire che i vitali interessi americani nel mondo arabo erano minacciati e improvvisamente hanno cambiato atteggiamento - nella costernazione dei compiacenti diplomatici israeliani. Le persone affette da follia morale non riescono a capire le motivazioni delle persone normali, e devono indovinare le loro reazioni. «Quante divisioni ha il papa?» se la rideva Stalin. «Quante divisioni hanno le persone con una coscienza?» potrebbe chiedersi oggi Ehud Barak. Ma, come stiamo vedendo, ne hanno qualcuna. Non tante. Non molto veloci a reagire. Non molto forti e organizzate. Ma a un certo momento, quando le atrocità dilagano e masse di persone si uniscono per protestare, questo può decidere di una guerra. L'incapacità di cogliere la natura di Hamas ha causato l'incapacità di capire i prevedibili risultati. Non solo Israele non è in grado di vincere la guerra: Hamas non può perderla. Anche se l'esercito israeliano dovesse riuscire a uccidere ogni combattente di Hamas fino all'ultimo uomo, anche allora Hamas vincerebbe. I combattenti di Hamas sarebbero visti come i modelli della nazione araba, gli eroi del popolo palestinese, i modelli da emulare per ogni giovane del mondo arabo. La Cisgiordania cadrebbe nelle mani di Hamas come un frutto maturo, Fatah affogherebbe in un mare di disprezzo, i regimi arabi rischierebbero di crollare. Se la guerra dovesse finire con Hamas ancora in piedi, sanguinante ma non sconfitto, a fronte della possente macchina militare israeliana, ciò apparirebbe come una vittoria fantastica, una vittoria della mente sulla materia. Nella coscienza del mondo, resterà impressa a fuoco l'immagine di Israele come un mostro lordo di sangue, pronto in qualunque momento a commettere crimini di guerra e non intenzionato a rispettare alcun freno morale. Questo avrà gravi conseguenze a lungo termine per il nostro futuro, per la nostra posizione nel mondo, per la nostra chance di raggiungere la pace e la tranquillità. In fondo, questa guerra è anche un crimine contro noi stessi, un crimine contro lo stato di Israele. --------------------------------- COME FAR DURARE UNA GUERRA ALL'INFINITO * a chi serve Era alimentata dallo scontro imperialistico fra Usa e Urss, in terre dove prima genti diverse sapevano convivere in pace. Finita la contrapposizione fra i blocchi, la guerra nel Vicino Oriente continua nel quadro dello “scontro di civilta'”, la nuova mitologia utile a chi ha bisogno di tenere in vita l'industria (materiale e morale) delle armi. In questi anni di barbarie e di miseria, le intenzioni belliciste delle destre arabe ed ebree si sostengono a vicenda. Ciascuna delle due parti attribuisce all'altra le responsabilita': “l'altro e' il nemico, ci ha aggrediti, vuole distruggerci, se lo colpiamo e' per difenderci”. Su questi discorsi prosperano le caste politiche e militari, mentre la gente comune – dai soldati israeliani ai civili arruolati da Hamas - e' mandata a morire. Per la politica di tutto il mondo, dagli Stati ai piu' piccoli partiti, una guerra e' troppo spesso un'occasione per schierarsi, per chiedere consenso e obbedienza, per guadagnare qualcosa fra le macerie della vita e delle ragioni. * disertare la logica della guerra Noi sappiamo distinguere fra uno Stato occupato e uno occupante: l'espansione coloniale israeliana va fermata, la terra, l'agricoltura, la cultura palestinesi vanno difese, come cerca di fare la lotta popolare dei villaggi (malgrado le pressioni e le emergenze della guerra), con l'aiuto dei libertari e pacifisti israeliani e della solidarieta' internazionale. Sappiamo distinguere fra i razzi e le bombe, fra chi uccide 10 esseri umani e chi ne uccide 1000; questa triste contabilita' delle vittime pero' non ci basta. Non ci basta dover reagire all'ennesima emergenza; non ci appassiona il gioco politico del rimpallo delle responsabilita'. SIAMO STANCHI DI UNA GUERRA CHE DURA DA MEZZO SECOLO. SE COMINCIASSIMO A SOTTRARCI ALLE LOGICHE DELLA GUERRA E DELL'ANNIENTAMENTO DEL “NEMICO”, SU CUI SPECULANO LE DESTRE SCIOVINISTE E MILITARISTE DI OGNI PARTE, FRA GLI ISRAELIANI E FRA I PALESTINESI, NEGLI USA E IN IRAN? SE COMINCIASSIMO A SOSTENERE LA VOCE E L'AZIONE DI QUELLI CHE DISERTANO IL LORO CAMPO, CHE SI CONTRAPPONGONO ALLE LOGICHE DI GUERRA, CON LA FORZA E IL CORAGGIO CHE MOSTRANO IN UNA SITUAZIONE COSI' DIFFICILE? Pacifisti, anarchici, donne, intellettuali, israeliani e palestinesi, sfidano la repressione dei rispettivi apparati statali. Sono loro che hanno bisogno del nostro appoggio. * cosa si puo' fare Di fronte alla follia della guerra, sostenere chi sta costruendo una via d'uscita dai modelli ottocenteschi-eurocentrici dello stato-nazione, dei muri, degli eserciti, e' forse l'unica speranza per una umanita' migliore. ALLE PERSONE E AI GRUPPI CHE RIFIUTANO TUTTE LE GUERRE, proponiamo di avviare insieme un'attivita' pratica di solidarieta' libertaria, e di ricerca e diffusione culturale (anche nell'ambito dei laboratori del Libero Ateneo della Decrescita e delle culture del nuovo secolo, progetto a cui partecipiamo) per un futuro di convivenza fra le differenze. Per cominciare, segnaliamo il sito web di Anarchici contro il muro, uno dei movimenti che invitiamo a conoscere e a sostenere: www.awalls.org (traduzioni+foto su http://www.fdca.it/wall/ e http://anarchiainazione.org). SABATO A ROMA (appuntamento h.15.30 piazza Vittorio) SAREMO IN PIAZZA CONTRO QUESTA GUERRA E CONTRO TUTTE LE GUERRE. (bozza da discutere con gli interessati)
- References:
- Gaza testo migliorato proposta
- From: Ecoculture <ecoculture at inventati.org>
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