Discorso sacrosanto, specie nel suo nucleo: quello di un esercito di
difesa popolare/territoriale, e quindi di leva. Ma guai a dirlo in
giro: o passi per scemo o per militarista. Invece il modello
dev'essere quello qui indicato, con partecipazione popolare diffusa
nei territori, come era ad esempio nell'ex Jugoslavia e ancora oggi
in Slovenia (parlo per esperienza personale, abito a un palmo dal
confine e il territorio lo conosco), oppure in Svizzera. Meriterebbe
da solo una campagna di propaganda, e un bel terreno di confronto
con il 'populismo di destra' e con il 'pacifismo di sinistra'.
Il 28/11/18 09:06, rossana (via disarmo
Mailing List) ha scritto:
ttps://www.pressenza.com/it/2018/11/bombardamento-climatico-necessario-ripensare-i-concetti-di-difesa-e-sicurezza/
Reti idriche, elettriche e stradali saltate contemporaneamente,
oltre centomila persone colpite direttamente dagli eventi
calamitosi e/o isolati completamente per giorni, decine di morti e
poi i dispersi ed i feriti.
Sembrano gli effetti di un massiccio bombardamento.
Questo il bilancio, per il momento, dei nubifragi che hanno
colpito il Paese dalla Sicilia al Friuli passando per quasi tutte
le aree interne (già in crisi strutturale). Emergenze multiple che
si sono scaricate sui territori lasciando dietro di sé danni
enormi.
Fronti franosi si sono già abbattuti su strade e abitazioni mentre
altri incombono e sono in movimento.
Le immagini dei boschi del Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli,
abbattuti dalla trebbia di un vento spaventoso stanno facendo il
giro del mondo. Si parla di migliaia di ettari schiantati, milioni
di metri cubi di legname a terra.
Già solo questa si prefigura come una catastrofe economica e
ambientale. Mentre si pensa alla piantumazione (che richiederà
ingenti risorse e nuovi piani forestali), bisognerà rimuovere
tutto il materiale a terra.
Se questi milioni di metri cubi di legname verranno gestiti
secondo le regole del mercato deprimeranno inevitabilmente il
prezzo della materia prima mandando a gambe all’aria il già
sofferente comparto delle attività boschive. C’è poi il rischio
concreto che buona parte di questo materiale si trasformi, a causa
del suo rapido deperimento, in un “rifiuto speciale” e quindi in
un ulteriore pesantissimo costo. Ed è quello che succederà se
inopinatamente si deciderà di scaricare sui singoli enti locali la
responsabilità della gestione di questa partita.
Questa situazione inedita, sia per la scala del disastro che per
le diverse realtà territoriali coinvolte, richiederebbe un
immediato commissariamento di tutta la filiera del legno da parte
delle Regioni. Solo una soluzione drastica come questa potrebbe
agire concretamente contro la caduta verticale del prezzo della
materia prima, coinvolgere ordinatamente nei lavori tutte le
imprese boschive disponibili sul territorio, organizzare le
vendite degli stock, gestire in maniera organica l’opera di
ripristino boschivo.
E’ da incoscienti, irresponsabili ed infine idioti non rendersi
conto che i molteplici e devastanti segnali che ci arrivano da
ogni parte del mondo e non solo dal nostro Paese ci parlano
chiaramente di cambiamenti climatici epocali. Su questo tema c’è
peraltro un consenso della comunità scientifica globale che è
preciso, allarmato, inequivocabile: manutenzione, prevenzione,
conversione energetica e industriale, rivoluzione della mobilità,
stop al consumo di suolo sono le linee di intervento che
dovrebbero essere messe in campo a partire da domani, secondo gli
scienziati (e il buon senso).
Un Paese fragile come il nostro dovrebbe essere tra i primi a fare
i conti con queste evidenze ma né il governo del cambiamento
(climatico?) né quelli che lo hanno preceduto sembrano
concretamente interessarsi alla questione.
E lo dimostra, tra le altre cose, la strutturale e gravissima
insufficienza nella gestione delle crisi ambientali acute, le così
dette “emergenze” che ogni anno colpiscono sempre più pesantemente
e contemporaneamente i territori come alluvioni, terremoti,
nubifragi e grandi incendi.
Questa insufficienza, è doveroso precisarlo, esiste al netto della
ammirevole reattività degli abitanti delle zone colpite e della
generosità dei volontari della Protezione Civile (espressione dei
territori), dei Vigili del Fuoco e dei Forestali (presenti solo
nelle Regioni a statuto speciale ossia dove sono sopravvissuti
all’infausta legge Madia targata Renzi-PD).
Molto semplicemente mancano i mezzi adeguati e mancano gli uomini.
Forse è per questo che i sindaci del centro Italia, travolti quasi
due anni fa insieme ai loro cittadini dal terremoto e dalle bufere
di neve, invocarono l’intervento dell’esercito (che fece giusto
qualche comparsata ad uso per lo più d’immagine).
Probabilmente quei sindaci avevano in mente il “modello Friuli”
dove, in occasione dell’esteso e devastante terremoto del 1976,
l’esercito fu per lungo tempo insostituibile nei soccorsi e nella
rimozione delle macerie (che infatti fu rapidissima) restituendo
un proprio senso d’esistenza ad una Regione che ne sopportò
oltremodo l’elefantiaco sovradimensionamento da guerra fredda.
Fu da quella esperienza che nacque poi la Protezione Civile.
Ma ancora oggi la Protezione Civile vive una cronica carenza di
mezzi ed una capacità operativa/logistica nemmeno paragonabile a
quella delle forze armate di allora.
Nel frattempo, invece di ridimensionare l’elefantiasi e di
concentrarsi sull’unico senso che può avere un esercito in tempo
di “pace”, si è trasversalmente deciso di trasformarlo in un
costosissimo corpo di spedizione hi-tech impegnato a supportare le
guerre statunitensi post ’89 oltre confine. Per far fronte a
questa nuova funzione neocoloniale è stata organizzata la
professionalizzazione della truppa e necessariamente sospesa la
leva costituzionale, l’obiezione di coscienza e il servizio
alternativo nei Vigili del Fuoco.
Il risultato è che l’esercito oggi (al modico costo d’esercizio di
70 milioni di euro al giorno) è un’organizzazione pressoché
inutile per affrontare emergenze acute come quella che abbiamo
sotto gli occhi né tantomeno è in grado di offrire un supporto
logistico massiccio ed efficiente in cui inserire sinergicamente
anche le altre risorse.
Oggi le forze armate sono impegnate in Iraq, Afghanistan, si
apprestano a partire per il Niger, oppure le troviamo in Norvegia,
proprio in questi giorni, per partecipare alla più grande
esercitazione NATO dalla fine delle guerra fredda, la miliardaria
Trident Juncture 2018.
Aggiungiamo a questo quadro desolante l’aziendalizzazione del
comparto elettrico ed idrico che da servizio pubblico strategico
si è convertito alla massimizzazione del profitto cessando di
destinare risorse alla manutenzione nelle zone periferiche con
poche utenze e perdendo conseguentemente capacità di intervento.
Ecco spiegato il disastro nel disastro ed il comprensibile e
terribile senso di abbandono vissuto dai sindaci e dalla
popolazione colpiti da emergenze multiple.
E se agli eventi calamitosi di questi giorni si sommasse un’altra
emergenza, magari causata da un terremoto in una qualunque delle
tante zone sismiche del nostro Paese? Considerato che il massimo
dell’operatività è quella dimostrata in centro Italia le
conseguenze sarebbero definitivamente catastrofiche.
Si impone come urgente una riforma organica che riporti l’esercito
alla sua funzione costituzionale difensiva/territoriale, puntando
sulle specializzazioni genieristiche e mediche e su concrete
sinergie con Protezione Civile, Vigili del Fuoco e Corpi Forestali
regionali.
In questa prospettiva (e solo in questa) acquisterebbe senso
l’abbandono della “professionalizzazione” della truppa delle forze
armate e il ripristino della leva militare e civile affinché
queste possano diventare strumenti attivi ed integrati di un
efficace sistema di gestione delle crisi e delle grandi
manutenzioni ambientali, che sia popolare e diffuso, preparato ad
affrontare e/o alleviare le conseguenze del caos climatico
montante.
In questo senso sembra urgente ripensare alla radice i temi della
“sicurezza” e della “difesa”: oggi più che mai non abbiamo bisogno
di un costosissimo corpo di spedizione “professionalmente”
belligerante, impegnato all’estero in una non meglio precisata
“difesa” della patria” e dell’interesse nazionale. Non abbiamo
bisogno di seguire la Nato nella sua guerra fredda 2.0.
Abbiamo bisogno che tutte le risorse potenzialmente disponibili
vengano organicamente impegnate nella difesa dalle vere minacce
alla sicurezza dei cittadini (terremoti, grandi incendi,
alluvioni, dissesto idrogeologico).
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