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Uranio impoverito e basi\ poligoni sardi dal quotidiano di sardegna del 28\4\2005
- Subject: Uranio impoverito e basi\ poligoni sardi dal quotidiano di sardegna del 28\4\2005
- From: "Giuseppe Scano" <useppescano at virgilio.it>
- Date: Thu, 28 Apr 2005 15:20:11 +0200
Il caso. Una commissione di inchiesta con troppi dubbi e misteri: intanto la sindrome dei Balcani continua a uccidere Trentatré morti da uranio impoverito l'Italia attende risposte e giustizia CI SONO M I L I TA R I CHE MUOIONO nel silenzio. Emilio Di Zazzo era un brigadiere dei carabinieri. Aveva quarantasei anni. Secondo l'Osservatorio militare è la vittima numero trentatré dell'uranio impoverito. Trentatré morti in Italia, di cui due in Sardegna, per la sindrome figlia dei Balcani che ha iniziato a farci fare i conti con neoplasie maligne come il linfoma di Hodgkin e gravi forme di leucemia. L'allarme sul Du, l'uranio impoverito, nacque quando ad alcuni soldati che avevano partecipato alle operazioni militari nei Balcani vennero diagnosticate alcune forme tumorali: fu allora che si cominciò a parlare di una relazione tra l'uso dell'uranio impoverito nelle armi e l'insorgenza delle patologie. Da quel momento, si sono create e radicate convinzioni differenti, talvolta di segno opposto: da una parte chi afferma che l'uranio impoverito vada assolto; dall'altra quelli che sostengono che il problema è sottovalutato e a volte anche nascosto. C'è poi chi punta il dito sulle microparticelle sprigionate dalle esplosioni e, più in generale, sulle alte temperature generate dall'impatto tra il proiettile e la corazza del carrarmato. La commissione La prima risposta dello Stato alla "sindrome dei Balcani" viene, il 22 dicembre del 2000, dalla decisione dell'allora ministro della Difesa, Sergio Mattarella, di istituire una commissione d'inchiesta sul fenomeno. A marzo la commissione, presieduta dall'ematologo Franco Mandelli, nel suoprimo rapporto presenta una relazione nella quale non emergono connessioni tra i linfomi diagnosticati ai militari italiani in missione all'estero e l'esposizione all'uranio impoverito. Ma i dati - venne fuori successivamente - erano viziati da un errore nella raccolta. Antonio Martino, nuovo ministro della Difesa, autorizza così la proroga dei lavori della commissione. Ma, proprio quando sono attese le conclusioni arriva l'11 settembre: da quel momento sulla questione cala un velo di silenzio. Mentre i nostri soldati continuano ad essere impiegati in missioni in Afghanistan e in Iraq, proseguono le denunce delle patologie, ma le domande di giustizia dei soldati malati e delle famiglie di quelli morti non trovano risposta da parte delle autorità militari e politiche. La Sardegna di Vacca e Diana L'indennizzo di novecento mila euro acccordato dall'avvocatura di Stato al maresciallo Marco Diana ha riaperto molte speranze anche se il ministero della Difesa nega che ci sia un relazione tra la malattia del sottufficiale e l'esposizione all'uranio impover ito. Ma la Sardegna ha già due croci nel suo terreno. Salvatore Vacca fu il primo morto sardo e uno dei primi dell'esercito italiano a causa delle armi americane che uccidono anche ad anni di distanza dal loro impiego. La malattia lo colse durante una licenza dalla missione in Bosnia, bombardata cinque anni prima con quasi diecimila proiettili all'uranio impoverito. Era il 1999 e il sottufficiale di Nuxis aveva 24 anni. Il rientro per la breve vacanza diventò subito un calvario. Ricoveri in ospedale militare, a Cagliari, dove - si legge nelle perizie della Procura penale del capoluogo - non gli viene subito diagnosticata la leucemia che lo ha colpito: la diagnosi corretta arriva quando ormai è troppo tardi. Il giovane militare, racconterà poi la madre, dormiva in una ex caserma dell'esercito serbo bombardata dagli Usa e rimessa in sesto dalle truppeitaliane: il posto peggiore dove accamparsi, ma in quegli anni le nostre forze armate non adottavano alcuna protezione contro le polveri mortali generate dai proiettili. Denise Faticante La guerra e il veleno infinito Valery Melis è morto il 4 febbraio dello scorso anno. A stroncare la sua giovane vita è stata una rarissima forma di leucemia, il linfoma di Hodgkin. L'aveva contratta proprio al ritorno da alcune missioni di pace nei Balcani. Ora la famiglia continua a lottare perché sia fatta giustizia: "Non è certo una questione di soldi" dicono i genitori, «Valery non c'è più, è questo che conta, ma lottiamo per la sua dignità». A un anno esatto dalla scomparsa del giovane c'è stata la prima udienza del processo per la causa di risarcimento, intentata dai genitori contro lo Stato. Il 4 maggio, poi, a tre mesi di distanza, ci sarà la seconda. Aveva deciso di servire la Patria Valery, caporalmaggiore di Quartu: dopo una prima missione di pace in Albania, nel 1998, era ripartito. Nel '99 tre mesi a Katlanuvu, tra Kosovo e Macedonia, a prestare assistenza alle migliaia di profughi insieme a tanti altri soldati. Poi il ritorno a casa, stanco e indebolito, e, tra settembre e ottobre, i primi sintomi della malattia. Alla fine del '99 la diagnosi: linfoma di Hodgkin al quarto stadio. Aveva 26 anni e per lui iniziava un calvario che in 4 anni l'avrebbe portato alla morte. Un ciclo di chemioterapia durato 8 mesi, poi altri due di radioterapia. Nel 2002 la prima ricaduta, altra chemio e un autotrapianto di cellule staminali. Nel 2003 la seconda recidiva, un altro trapianto e finalmente il ritorno a casa, nel gennaio 2004. L'operazione era andata bene, nessuna complicazione, ma le condizioni del giovane hanno continuato a aggravarsi sino a portarlo, il 4 febbraio, alla morte. (g.a.) L'uranio impoverito viene usato in guerra e nelle esercitazioni per bucare le corazze dei carri armati. Quando un penetratore all'uranio impatta su un obiettivo, o quando un tank con corazzatura all'uranio o munizioni di questo genere prende fuoco, parte dell'uranio impoverito brucia e si ossida in piccole particelle. I penetratori all'uranio impoverito che non colpiscono l'obiettivo possono rimanere nel suolo, essere sepolti o rimanere sommersi nell'acqua. I penetratori "spenti" si ossideranno nel corso del tempo, disgregandosi in polvere di uranio. I test dell'Us Army hanno dimostrato che quando un penetratore all'uranio impoverito colpisce un obiettivo, dal 20 al 70 % del penetratore brucia e si ossida in piccole particelle. La polvere prodotta da un impatto iniziale potrebbe essere rimessa in sospensione da impatti successivi. La polvere di uranio creata dagli impatti finisce per depositarsi entro un raggio di 50 metri . Test di esplosioni e studi sul campo hanno mostrato che la maggior parte della polvere di uranio creata dagli impatti finisce per depositarsi entro un raggio di 50 metri . Quell'indagine che portò al nulla Le morti dei militari colpiti da queste sindromi tumorali si assomigliano tutte, ma non sono state finora riconosciute ufficialmente. Questi mali portano alla morte, ma la morte non porta al riconoscimento della causa di servizio, a un risarcimento per l'impegno nelle missioni di pace che in questo decennio - dalla Somalia in poi - hanno coinvolto decine di migliaia di militari italiani. Nel suo primo rapporto la commissione Mandelli esclude il rapporto tra malattia e uranio. Le conclusione finali sono invece un clamoroso dietrofront: nel numero delle patologie si riscontra un eccesso di linfomi di Hodgkin. OraMandelli non presiede più la Commissione, ma i lavori sono tutt'ora aperti. Ma la verità e aldilà da venire. genitori di Valery. «L'indennizzo a Marco Diana ci dà la forza di aiutare le famiglie che combattono per i loro diritti» - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -. «Saremo noi i capofila della lotta» « C o o rd i n e re m o le iniziative dei sardi vittime delle missioni di pace all'estero È un dovere verso nostro figlio morto per lo Stato» GIULIA ANTINORI COORDINEREMO LE FA M I G L I E delle vittime nella lotta gli indennizzi »: Marie Claude e Dante Melis, genitori del giovane Valery, morto un anno fa al ritorno da una missione di pace nei Balcani, sono più che mai decisi a portare avanti la loro causa contro il Ministero della Difesa. «Aiuteremo tutte le famiglie sarde a lottare per i propri diritti», ha detto Marie Claude Melis, «metteremo la nostra triste esperienza al servizio di tutti». Da martedì la famiglia Melis lotta con una marcia in più. La notizia del riconoscimento dell'indennità a MarcoDiana, maresciallo dell'Esercito, in congedo per cause di servizio, ha ridato loro un po' di speranza. «Nessuno potrà ridarci nostro figlio» ha detto Dante Melis, «ma ora sappiamo che qualcosa si sta muovendo». Proprio così. L'avvocatura dello Stato ha ritenuto fondata la richiesta di pagamento del danno biologico, avanzata dal maresciallo Marco Diana. Lo Stato dovrà ora pagare al militare di Villamassargia, un indennizzo di oltre un miliardo e settecento milioni delle vecchie lire. «La sentenza a favore di Marco Diana ha aperto uno spiraglio per la nostra lotta e per quella di tante famiglie» ha detto Marie Claude Melis, «Ora più che mai dobbiamo continuare a combattere». E proprio la famigliaMelis sarà il capofila di questa lotta, della battaglia di tante famiglie per ottenere giustizia. Tanti, infatti, i militari sardi che devono fare i conti con gravi malattie causate dall'esposizione a sostanze cancerogene durante le missioni di Pace all'estero e tante, soprattutto, le famiglie che hanno perso un proprio caro e vogliono che sia fatta giustizia. Ma come? «C'è chi non sa come muoversi, chi contattare, cosa fare» ha spiegato Marie Claude Melis, «noi l'abbiamo imparato a nostre spese e vogliamo che la nostra esperienza sia d'aiuto agli altri». Proprio per questo la famiglia Melis coordinerà le famiglie sarde «vittime delle missioni di Pace » nella lotta per le indennità. Già neimesi scorsi sono state organizzate alcune riunioni in giro per la Sardegna per incontrare genitori, mogli e figli di militari deceduti al ritorno dalle missioni di Pace o gravemente malati. Le ultime tappe sono state Alghero e Oristano, ma ora la maratona continua. Con la famiglia Melis anche Marco Diana, la famiglia di Giovanni Pilloni e quella di Fabio Porru: «Ci si da una mano, un sostegno» ha raccontato DanteMelis, «ognuno racconta le proprie esperienze e ciò serve anche a sentirsi meno soli ». Sono però anche tante le famiglie che, nonostante la situazione, non denunciano il fatto: «Molti hanno paura, magari sono stati minacciati o hanno ricevuto vane promesse » ha precisato Marie Claude Melis, «vogliamo fare un appello perché escano allo scoperto e chiedano aiuto: siamo qui per darci una mano, il loro dramma coinvolge anche noi». Lungo calvario tra rabbia e dolore Aveva 26 anni, per quattro ha lottato contro una forma di leucemia: il linfoma di Hodgkin Valery Melis è morto il 4 febbraio dello scorso anno. A stroncare la sua giovane vita è stata una rarissima forma di leucemia, il linfoma di Hodgkin. L'aveva contratta proprio al ritorno da alcune missioni di pace nei Balcani. Ora la famiglia continua a lottare perché sia fatta giustizia: "Non è certo una questione di soldi" dicono i genitori, «Valery non c'è più, è questo che conta, ma lottiamo per la sua dignità». A un anno esatto dalla scomparsa del giovane c'è stata la prima udienza del processo per la causa di risarcimento, intentata dai genitori contro lo Stato. Il 4 maggio, poi, a tre mesi di distanza, ci sarà la seconda. Aveva deciso di servire la Patria Valery, caporalmaggiore di Quartu: dopo una prima missione di pace in Albania, nel 1998, era ripartito. Nel '99 tre mesi a Katlanuvu, tra Kosovo e Macedonia, a prestare assistenza alle migliaia di profughi insieme a tanti altri soldati. Poi il ritorno a casa, stanco e indebolito, e, tra settembre e ottobre, i primi sintomi della malattia. Alla fine del '99 la diagnosi: linfoma di Hodgkin al quarto stadio. Aveva 26 anni e per lui iniziava un calvario che in 4 anni l'avrebbe portato alla morte. Un ciclo di chemioterapia durato 8 mesi, poi altri due di radioterapia. Nel 2002 la prima ricaduta, altra chemio e un autotrapianto di cellule staminali. Nel 2003 la seconda recidiva, un altro trapianto e finalmente il ritorno a casa, nel gennaio 2004. L'operazione era andata bene, nessuna complicazione, ma le condizioni del giovane hanno continuato a aggravarsi sino a portarlo, il 4 febbraio, alla morte. (g.a.) Poligoni. Ventiquattromila ettari contro i sedicimila di tutto il resto dell'Italia: sono i numeri dell'occupazione militare-. Sardegna isola di guerre simulate Pierangelo Masia, commissione Sanità, è soddisfatto per l'indennizzo al maresciallo Diana: «La nostra indagine porterà altri risultati» Esercitazioni militari Nato a Teulada ANTONIO MORO L' I N D E N N I Z ZO R I CO N O S C I U TO dallo Stato italiano al maresciallo Marco Diana è un motivo di grande soddisfazione anche per la commissione regionale della Sanità che indaga sugli effetti dell'utilizzo dell'uranio impoverito in Sardegna». Ne è convinto Pierangelo Masia, presidente della settima commissione che dal settembre scorso vuol vederci chiaro su quanto accade nei poligoni militari dell'isola. «Abbiamo svolto numerose audizioni e puntuali verifiche sul campo, ascoltando i diretti interessati, gli amministratori, i medici e anche i pastori dei paesi in cui si svolgono le esercitazioni -aggiunge il consigliere sassarese dello Sdi. La nostra iniziativa contribuisce a sensibilizzare i sardi (e non solo) su un problema grave e sentito». Non è un caso che immediatamente dopo quella del Consiglio regionale anche il Parlamento abbia attivato un'indagine conoscitiva sulle basi militari in Sardegna e in particolare sul rischio inquinamento nell'Arcipelago della Maddalena. Il lavoro della commissione guidata da Masia, dovrebbe concludersi prima dell'estate, ma dichiara il presidente «ci troviamo di fronte ad una mole di lavoro che ci porterà a prorogare l'indagine per qualche mese». Verificare la corrispondenza tra le numerose denunce e la realtà dei fatti in ordine ai rischi per la salute dove insistono i poligoni militari, è da sempre questione controversa. Già dal '90 il professoreCortellesa, responsabile della gestione dei dati socio sanitari e ambientali dell'Istituto superiore della Sanità, affermò che i dati di radioattività a Santo Stefano non erano affatto corrispondenti alla realtà. L'assenza di controlli scientifici sulla qualità dell'ambiente e sull'inquinamento, continua a rappresentare una preoccupazione per la salute di quelle comunità. Sono tante le zone considerate a rischio in Sardegna: da Quirra a Villaputzu, da Escalaplano fino a La Maddalena. Tante le denunce in questi ultimi anni da parte delle associazioni, dei comitati e di quelle forze politiche che hanno sempre mostrato contrarietà alla presenza dei militari nell'isola. Diversi i casi che hanno destato allarme, in particolare: Quirra, dove risulta che sei militari sono deceduti per patologie tumorali, quattro ne sono affetti e dei centocinquanta civili, due sono deceduti per la medesima causa e undici sono affetti da tumore. Escalaplano: con una popolazione di 2600 abitanti avrebbe registrato undici bambini nati con gravi malformazioni genetiche e quattordici casi di tumori tiroidei accertati. E l'estensione delle zone destinate alle esercitazioni militari nell'isola fa paura, quasi quanto i rischi per le popolazioni. Il demanio militare permanentemente impegnato ammonta a 24mila ettari contro i 16mila del resto dell'Italia. Dodicimila sono Gli amministratori chiedono chiarezza sui rischi per la salute nelle comunità gravate dalle servitù che interessano l'aria la terra e il mare gli ettari gravati da servitù e le "zone di sgombero a mare" superano l'intera superficie dell'isola. In Sardegna c'è di tutto e di più. Capo Teulada, con i suoi 7200 ettari è, per estensione, il secondo poligono d'Italia, destinato alle esercitazioni terra-aria-mare, messo a disposizione dellaNato. ADecimomannu c'è l'aeroporto dell'Alleanza atlantica (gestito dall'Awti) per l'addestramentoal volo e per le esercitazioni nei vicini poligoni di Teulada, Quirra e Capo Frasca. Quest'ultimo (1416 con un'area di sicurezza interdetta alla navigazione) utilizzato dalle aeronautiche e dalle marine italiane, tedesche e Nato con esercitazioni di tiro a fuoco aria-terra e mare-terra. La Maddalena, dove i sommergibili a testata nucleare si trovano all'interno di un Parco nazionale, quello dell'Arcipelago e uno internazionale, quello delle Bocche di Bonifacio.Ma neppure il contestato Parco del Gennargentu, ferma i giochi di guerra. È gravato dalla lettera "D". Significa uno spazio aereo militarizzato di 600mila ettari che grava sul cuore della Sardegna senza il supporto di servitù o demanio militare a terra. È li che osano gli elicotteri.
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