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scoop ritardato sulla vittoria delel vittime all'uranio impoverito
- Subject: scoop ritardato sulla vittoria delel vittime all'uranio impoverito
- From: "Giuseppe Scano" <useppescano at virgilio.it>
- Date: Fri, 29 Apr 2005 14:01:11 +0200
----- Original Message ----- From: Marcao at tiscali.it Sent: Thursday, April 28, 2005 9:08 PM Subject: scoop ritardato Il 27 e il 28 c.m la stampa sarda e italiana hanno ripreso una nota del ministero della Difesa e hanno dato "notizia" della vittoria del maresciallo Diana nella sua lotta per il riconoscimento delle responsabilità da parte del governo italiano sui tumori che lo stanno uccidendo. La notizia del riconoscimento del danno biologico, ottenuto lo scorso dicembre, è stata data da Marco Diana il 16 aprile in un convegno tenutosi ad Alghero alla presenza di vari giornalisti, è stata pubblicata solo da Liberazione del 23/4 accompagnata da un'ampia intervista. Come mai si diramano comunicati solo adesso, a notizia pubblicata?? Come mai la stampa interviene a scoppio ritardato?? Il riconoscimento della responsabilità da parte dell'amministrazione statale è un precedente che apre un varco per ottenere verità e giustizia anche sulle leucemie e alterazioni genetiche che devastano le popolazioni costrette a convivere con il poligono della morte "Salto di Quirra" e non solo. Comitato sardo Gettiamo le Basi ******************** Liberazione 23 aprile 2005 Cancro "di servizio" per il maresciallo Diana Reduce dalla Somalia è il primo in Italia a ricevere un risarcimento transattivo per la malattia contratta da militare Walter Falgio Cagliari - nostro servizio Adesso Marco Diana ha stravinto. La sua battaglia contro l'amministrazione dello Stato, combattuta con chili di carta bollata e pool di avvocati, è giunta al termine. Al maresciallo dei Granatieri di Sardegna reduce da decine di missioni, colpito da tumore all'intestino, «sottoposto a disagi fisici, climatico ambientali, stress psichici, disordini alimentari», come elenca il suo legale, è stato assegnato un risarcimento complessivo. E la vicenda è chiusa. Ad attestarlo, poche righe nel miglior burocratese che rappresentano prima di tutto il riconoscimento di un diritto fondamentale, sancito pure da una sentenza della Corte dei Conti, e naturalmente un precedente importantissimo. Il primo caso in Italia di risarcimento transattivo per un soldato che si è ammalato di cancro a causa del servizio. In poche parole, un'ammissione di responsabilità da parte dello Stato. La prima raccomandata della Direzione generale per il personale militare del ministero della Difesa datata 17 dicembre 2004 e indirizzata all'avvocato cagliaritano Giancarlo Peddis, recita: «In accoglimento della richiesta risarcitoria del suo assistito, si comunica che verrà formulata quanto prima un'offerta transattiva». "Quanto prima" significa 25 febbraio scorso: stesso mittente, stesso destinatario e in calce la proposta economica riparatrice. Impossibile quantificare in euro la complessità dei danni che Marco Diana ha subito a causa della sua attività militare. Quella cifra, il maresciallo di Villamassargia non ha nessuna intenzione di renderla nota perché, spiega, «in primo luogo non è importante sapere quanto mi hanno dato, in secondo luogo la mia non è una battaglia personale, ma vuol essere l'indicazione di una strada da seguire per tutti gli altri militari che, come me, hanno dato tutto per la Patria e oggi si ritrovano a un passo dalla morte». Il sottufficiale premette che accetterà la proposta formulata dal ministero senza ulteriori ricorsi e nel salotto di casa, con una forza e una serenità straordinari, comincia a raccontare la sua storia. «Inutile negare che sto aspettando la fine. Arriverà improvvisamente, appena il carcinoide subirà la metamorfosi. Aspetterò un anno o forse dieci, con la mia fede in Cristo e senza rancori. A chi gioverebbero?». Nessun atto d'accusa, nessuna condanna ma una storia che, almeno dal punto di vista burocratico, si è conclusa bene. «Perché, arrivati a questo punto posso dire che il governo ha fatto ciò che era giusto fare», aggiunge. Diana non punta il dito ma ringrazia: «La mia riconoscenza va al sottosegretario Cicu, all'associazione Granatieri di Sardegna, a Consiglio regionale, Giunta e presidente Soru, ai senatori Forcieri e Malabarba, a Falco Accame», senza dimenticare il suo paese, Villamassargia, con sindaco in testa. Ma le parole animate da una dilagante volontà di conciliazione, contrastano con il dramma personale e incancellabile che il maresciallo si porta dentro, dignitosamente, senza clamore. Accademia sottufficiali di Viterbo, specializzazione in missilistica, istruttore militare di educazione fisica, Diana è assegnato nel 1991, a 22 anni, alla 32esima Compagnia controcarro dei Granatieri di Sardegna. «Si trattava di un'unità operativa che doveva essere pronta a partire in qualunque momento per qualunque missione. Allora ero responsabile della linea carri, mi occupavo della manutenzione dei mezzi cingolati. Maneggiavo oli idraulici, solventi, detergenti, sostanze mutagene e cancerogene, batterie, acidi, senza guanti e senza mascherine. Le protezioni non esistevano perché non si acquistavano e farne richiesta comportava procedure troppo lente e complesse. Quando potevo compravo di tasca mia guanti in lattice, pennelli e camici. Ma solo quando potevo». Nel '92, sciolta la 32esima Compagnia, Diana è nominato responsabile dell'armeria convenzionale e non convenzionale del II Reggimento Granatieri. «Lavoravo tra mitragliatori, mortai pesanti, materiali Nbc, impianti criogenici che producono ossido di carbonio. Tutto questo era custodito in edifici senza apparecchi di aspirazione, con tetti in tegole, pareti in cartongesso, senza nemmeno l'ombra di porte stagne, sistemi di sicurezza o cemento armato». Poi è arrivata la Somalia, 1993 e 1994, Servizio scorte e sicurezza del reparto logistica: «Solo due esempi. Quando si bonificavano i mezzi corazzati utilizzavamo degli idranti ad alta pressione caricati con acqua e sostanze chimiche. Noi, italiani, ci immergevamo nella nebulizzazione in pantaloncini e maglietta, gli americani avevano mascherine in gomma, guanti e tute speciali. A volte ci capitava di viaggiare per giorni dentro i carri con i serbatoi bucati e a temperature che sfioravano i 60 gradi. Il gasolio filtrava nella paratia stagna dell'autoblindo e si depositava sotto i nostri piedi. Nessuna guarnizione proteggeva l'abitacolo e si trascorrevano ore ed ore a contatto con le esalazioni del carburante. Sotto i nostri genitali c'erano apparati radio da 15mila volt in trasmissione e ricezione continua». Come se non bastasse, i militari italiani nell'inferno somalo hanno fatto da cavie per la sperimentazione di un nuovo rancio alimentare, la Razione k. Diana è incontenibile, racconta, ricorda, sciorina dati precisissimi, documentati, per due ore di fila. «Vogliamo parlare della polvere biancastra che si accumulava sulle braccia nude dopo i bombardamenti americani? E dell'accampamento dell'Esercito sotto le ciminiere di Gela durante i Vespri siciliani? E dei 30 giorni di lavoro al mese, dalla mattina alla notte, quando eravamo impegnati nel terremoto di Umbria e Marche? Posso provare ogni cosa, ho tutto nero su bianco». Durante le operazioni in occasione del sisma, Diana si è guadagnato diversi encomi, la popolazione gli ha donato una medaglia fusa con l'oro dei gioielli. E poi è arrivata la febbre, altissima. Era il 1998. «Alla fine del 2004 la professoressa Antonietta Gatti dell'Università di Modena mi ha mandato la valutazione dei reperti biologici. Nel mio corpo ci sono nano e microparticelle di ferro, titanio, alluminio, silicio, stagno, e altre di bario, fosforo e zinco. Una parte delle corazze dei carri armati la porterò sempre dentro di me».
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