Malattia planetaria



da: Associazione Partenia
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"Importiamo lo squilibrio che abbiamo generato nel mondo e che non è per
nulla nelle priorità dei governi occidentali. Se non ci occupiamo della
povertà questa si occuperà di noi, mandandoci i suoi figli e i figli dei
suoi figli. E, nel tempo, tante piccole Bosnie".(Beppe Grillo)

Malattia planetaria


11 Novembre 2005


di Mikhail Gorbaciov



I gravissimi disordini che stanno sconvolgendo la Francia, la loro
ampiezza, il loro carattere epidemico, impongono una riflessione che vada
al di là delle facili ricette politiche legate all'immediatezza delle
cronache. Io vi vedo i sintomi di una malattia planetaria. Il fatto che si
manifestino con tanta virulenza nella civilissima Francia, e che abbiano
anzi preso le mosse da quei «cento ettari» su cui più si è pensato nella
storia dell'individuo occidentale, non deve farci perdere di vista il
quadro complessivo in cui essi si iscrivono.

Se infatti si alza lo sguardo all'orizzonte, si scoprirà che ondate di
instabilità si stanno muovendo simultaneamente in molte altre zone del
mondo. Le radici del problema, io credo, non sono da ricercare tanto - o
soltanto - negli errori commessi dai Paesi sviluppati nella gestione delle
politiche migratorie, per meglio dire delle ondate di immigrati che li
stanno investendo, quanto piuttosto nella vertiginosa crescita della
disuguaglianza globale che si è verificata, e incessantemente è cresciuta,
negli ultimi venticinque anni. L'ultima generazione è cresciuta in questa
disuguaglianza crescente e i leader dei Paesi ricchi si sono illusi che
milioni e miliardi si sarebbero adattati a questa situazione. Ora
cominciamo a vedere che la crescita smodata della ricchezza di pochi non è
più accettata da masse crescenti di poveri, ovvero di coloro che finiscono
di sentirsi poveri (anche se con i metri del passato non lo sarebbero) di
fronte all'ostentazione della ricchezza dei ricchi, che viene percepita
come un'offesa.
Non è un caso che vengano dati alle fiamme i simboli della civiltà dei
consumi e che, nello stesso tempo, la lotta politica e sindacale, che in
altri tempi erano la norma, siano state scavalcate dall'esercizio di una
violenza che non ha apparentemente obiettivi se non quello della
distruzione.

Diamo un'occhiata a come è finito il recente summit pan-latino americano:
un clamoroso fallimento dopo la constatazione di contraddizioni insanabili
che hanno costretto il presidente degli Stati Uniti, George Bush, ad
abbandonare la riunione senza avere ottenuto nulla, accompagnato dal
conclamato dissenso dei dirigenti di Brasile, Argentina e Venezuela, cioè
dei tre maggiori Paesi del continente latino americano. In questo caso il
contrasto tra ricchi e poveri si è manifestato non nella forma di
guerriglia urbana, ma in una rottura politica che non ha precedenti nella
storia dei rapporti inter-americani.
E stiamo parlando, comunque, sempre del mondo occidentale, dove in
apparenza sembrano essere in vigore gli stessi principi. Ma se spingiamo lo
sguardo ancora un po' oltre, non facciamo fatica a vedere un'area dove
vivono oltre un miliardo d'individui che si sentono - così per lo meno a
loro sembra - relegati ai margini del processo storico, respinti, umiliati,
offesi. Sto parlando dei Paesi islamici, ovviamente. Che, per giunta, sono
gli eredi di coloro che per 1500 anni esercitarono un'enorme influenza sul
corso degli eventi mondiali e sulla cultura di tutte le civiltà vicine,
inclusa quella europea.

Ho l'impressione che ciò che sta accadendo in Francia potrebbe ripetersi e
moltiplicarsi in tutta Europa. A ben vedere, sebbene io mi auguri che ciò
non accada, ve ne sono tutte le condizioni. In primo luogo, evidentemente,
questi sono i frutti amari di una grave deficienza delle politiche di
accoglimento migratorio che seguirono la fine del sistema coloniale. La
Francia, che pure aveva accumulato una vasta esperienza dopo la tragedia
della guerra algerina, sembrava aver realizzato un modello d'integrazione
adeguato e funzionante. Adesso vediamo che le cose non stavano esattamente
così e che la condizione sociale delle masse di immigrati era rimasta molto
indietro sia rispetto alle condizioni dei cittadini di prima classe, sia
rispetto alle aspettative maturate tra i cittadini di seconda classe. Il
problema della giustizia e dell'uguaglianza è infine esploso come una bomba
a scoppio ritardato.

Ma, come ho detto all'inizio, questo aspetto del problema è solo una parte
e non la maggiore. Il fatto è che il «libero flusso dei capitali», che ha
aperto e inaugurato l'era globale, non poteva non produrre alla lunga anche
un immenso flusso di uomini e donne. Assai meno «libero», assai più
obbligato, tragico, senza freni. E i nuovi arrivati sono diversi dai
vecchi: conoscono - perché lo vedono in televisione - tutto ciò che viene
reclamizzato come ottenibile, a portata di mano, ma sperimentano di non
poterlo ottenere né adesso né mai. In questo assai simili a coloro che, nei
Paesi ricchi, erano un tempo cittadini di prima classe e che stanno
perdendo la loro cittadinanza tra i ricchi (o la speranza di ottenerla,
prima o dopo). Lo prova il fatto che, nei disordini, si trovano implicati
migliaia di giovani francesi, quelli di pelle bianca intendo dire.

E vorrei dire qualcosa anche sulla Russia. Io credo che la Russia non sia
minacciata da una guerra con il mondo islamico. La Russia è da secoli un
mondo di mondi, di popoli e di culture. Eppure i dirigenti politici russi
non possono sfuggire, neppure loro, alla lezione dei tempi. Anche da noi si
sta verificando una tensione crescente, che si manifesta in forme di
disprezzo verso altre nazionalità. Sarebbe un errore sottovalutarle. Anche
perché, in Russia come altrove, si troveranno assai rapidamente, quando non
si siano già trovati, speculatori irresponsabili che vorranno usare queste
tensioni a proprio vantaggio.

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Ci scusiamo se qualcuno di voi è finito per sbaglio nella  rubrica
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volete più riceverne, potete inviare una mail con su
scritto"cancellami".Provvederemo immediatamente.Cordiali saluti.
ASSOCIAZIONE PARTENIA
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