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Intervista a Bianco sul problema clandestini nel Friuli-Venezia Giulia
L'articolo del Piccolo parla dell'accordo raggiunto con il collega
sloveno sui controlli che si sposteranno al confine sloveno-croato,
segno che si vuole spostare la nuova "cortina di ferro" il più
possibile lontano dall'Italia e questo "peso" ora dovrà sopportarlo la
Slovenia. Inoltre il ministro conferma la creazione di un nuovo
centro di "detenzione" temporanea nel Friuli-Venezia Giulia entro
l'anno.
Ciao,
Davide
http://www.ilpiccolo.kataweb.it/ilpiccolo/arch_04/trieste/at01/biam.ht
ml
INTERVISTA Ecco il patto raggiunto dal nostro ministro dell’Interno
a Lubiana sulle pattuglie miste di agenti italiani, sloveni e tedeschi
al confine
Bianco: «Fermeremo la via croata dei clandestini»
«Lungo la frontiera fra Gorizia e Trieste si gioca una partita decisiva
contro l’immigrazione illegale»
INTERVISTA Ecco il patto raggiunto dal nostro ministro dell’Interno
a Lubiana sulle pattuglie miste di agenti italiani, sloveni e tedeschi
al confine
Bianco: «Fermeremo la via croata dei clandestini»
«Lungo la frontiera fra Gorizia e Trieste si gioca una partita decisiva
contro l’immigrazione illegale»
Dall’inviato
LUBIANA «La credibilità dell’Italia sul piano internazionale oggi si
sta giocando tra Gorizia e Trieste. Perché la partita decisiva contro
l’immigrazione clandestina in Europa viene affrontata proprio lungo
quei 153 chilometri di confine italo-sloveno». Enzo Bianco ora è più
sereno. Lo intervistiamo nell’aereo del 31.mo stormo che da
Lubiana lo sta portando a Catania. Ha da poco siglato l’accordo
trilaterale con i ministri dell’Interno sloveno e tedesco, Bohinc e
Schily. Un patto tanto strategico, quanto sofferto. Solo a Brdo,
infatti, è emersa in tutto il suo spessore la tensione diplomatica
che ha segnato quei sette giorni che hanno separato la
conclusione della fase sperimentale delle pattuglie miste dalla
firma della loro proroga. Sette, lunghissimi giorni nei quali la
Slovenia ha posto sul tavolo gli accresciuti sacrifici conseguenti
alle pattuglie miste. Un modo elegante per sintetizzare il rischio di
collasso del già precario sistema d’accoglienza sloveno dinanzi al
boom di rintracci e riammissioni. Tentennamenti che venerdì si
sono infranti contro l’inflessibilità dell'ultimatum posto da Bianco e
Schily: linea dura contro i clandestini o addio all’agognato ingresso
nell’Unione europea.
Ad accordi siglati si conceda una confidenza: la trattativa è stata
così ardua?
Onestamente è stata dura. Gli sloveni hanno esposto chiaramente
tutte le loro difficoltà. È ovvio che la maggiore collaborazione
investigativa stia facendo gonfiare la presenza di clandestini nei
territori di Lubiana. L’emergenza si sta spostando sul confine con
la Croazia dove, domani, inevitabilmente esploderà lo stesso
problema. Intanto, però, si allontana sempre di più dall’Italia la linea
dell’emergenza e questo, obiettivamente, per noi è un successo.
Altri contrasti avrebbero riguardato anche la possibilità di tutti i
componenti delle pattuglie miste di essere armati.
Non è facile trovare un sistema grazie al quale un poliziotto italiano
possa andare armato in territorio sloveno e viceversa. Nessuno ha
la bacchetta magica. Nessun governo, né di centro-destra né di
centro-sinistra. E i problemi non si risolvono con gli slogan, ma con
le azioni serie.
La soluzione, dunque, è in vista?
Probabilmente riusciamo a trovarla senza effettuare modifiche
legislative, così come abbiamo fatto con l’Austria e la Germania
per le pattuglie al Brennero. Abbiamo infatti trovato un sistema che
si baserà su un’autorizzazione tecnica siglata direttamente dal
ministro dell’Interno e dal capo della Polizia. Tutto grazie a un
codicillo...
L’uso delle armi è stato uno dei motivi di contrasto anche con
alcuni sindacati di polizia.
Comprendo le loro preoccupazioni, anche se talvolta prevale la
voglia di dire comunque «Non si può fare» e di lamentarsi a priori.
Con il tempo, però, abbiamo visto alcuni sindacati giudicare utili e
positive le pattuglie miste. Del resto non è possibile denunciare
che le cose vanno male e poi affermare che qualunque idea nuova
non può andare avanti. L’esperimento è stato positivo e,
ovviamente, lo sarà ancor più con i nuovi accorgimenti.
Novità in vista per il Friuli-Venezia Giulia?
Oggi (venerdì, ndr) il Dipartimento della pubblica sicurezza ha
varato il piano operativo predisposto dal prefetto di Trieste al quale
compete anche il coordinamento regionale. In occasione della
visita a Gorizia, avevo affidato a Vincenzo Grimaldi il compito di
studiare una migliore dislocazione sul territorio e un coordinamento
più efficace tra le forze di polizia. Oggi quel piano diventa realtà.
Qualche anticipazione?
La linea fondamentale è questa: utilizzare le risorse con maggiore
razionalità anche nella lotta all’immigrazione clandestina. I
pattugliamenti a mare, per esempio, saranno svolti solo dalla
Guardia di finanza. In tal modo utilizzeremo tutti gli uomini della
polizia e dei carabinieri nel controllo del territorio e delle fasce
confinarie, assegnando prevalentemente ai primi i pattugliamenti
nelle grandi città e all’Arma quelli dei centri minori. Un’altra azione
fondamentale riguarda poi i centri d’accoglienza.
Già, i centri... Uno doveva sorgere già in gennaio a Gradisca. I
tempi, però, si stanno allungando.
Dopo aver immediatamente localizzato il centro, stanno per
svolgersi i lavori di riadattamento. Entro il 2001 il centro sarà
operativo. E poi c’è la disponibilità del sindaco di Trieste a verificare
la possibilità di un secondo centro per il Friuli-Venezia Giulia.
Centri di accoglienza o di temporanea permanenza?
Personalmente ritengo che, in prospettiva, bisogna realizzare
soprattutto centri di temporanea permanenza. Se l’azione di
contrasto ai flussi clandestini vuole essere veramente efficace
dobbiamo poter contare su dei centri dove trattenere quanti non
hanno titolo per essere in Italia in attesa dell’identificazione e
dell’espulsione.
Tornando a Gradisca....
Non è mancanza di volontà. Stiamo istituendo questi centri in tutta
Italia e in contemporanea: uno nuovo a Bologna, uno individuato a
Modena, stiamo raddoppiando quello di Roma. Ci sono anche
tempi tecnici da rispettare. Comunque il mio obiettivo è realizzarne
almeno cinque o sei entro l’anno.
Solo problemi tecnici?
Obiettivamente sui centri dovevamo fare i conti anche con la spada
di Damocle rappresentata dalla Corte Costituzionale (chiamata a
pronunciarsi sulla loro legittimità, ndr). Oggi sembra che abbia
deciso in senso favorevole e quindi, quando verrà ufficializzato,
potremo riprendere con determinazione questa strada.
L’emergenza clandestini in Friuli-Venezia Giulia non ha assunto i
connotati del caso nazionale in tempi tempestivi. Disattenzione o
malinteso?
Serenamente devo dire che non c’è stata un’immediatezza di
reazione anche perché, probabilmente, sembrava solo un flusso
temporaneo. Con il tempo abbiamo invece capito trattarsi di una
vera e propria modifica strutturale. A quel punto abbiamo agito. C’è
voluto comunque del tempo per ragionare, discutere e convincere
gli sloveni dell’opportunità delle pattuglie miste. Tante le resistenze
da vincere. Non dimentichiamoci che nel settore della polizia ogni
Stato è tendenzialmente geloso della propria sovranità nazionale.
Si tratta di modificare un approccio operativo, ma anche culturale.
Anche in Italia?
La partita contro i flussi clandestini non è una partita a
inseguimento. Appena si fronteggia in modo adeguato un fronte, se
ne apre un secondo. Siamo passati dalle rotte Tunisia-Sicilia e
Albania-Puglia alle cosiddette navi carretta dalla Turchia. Ora le
rotte riguardano la Croazia e la Slovenia. Insomma una cosa sono
gli slogan, i manifesti dei presidenti-operai con le scritte «Basta
clandestini». Ben diverso, invece, è attuare azioni vere ed efficaci.
Uno slogan richiede pochi secondi, un’azione credibile mesi di
lavoro. Non mi aspetto un voto positivo dagli avversari. Mi piace che
a darlo sia stato invece un Paese attento com’è quella Germania
che, due anni fa, ostacolava il nostro ingresso a Schengen.
Roberta Missio