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rassegna stampa: Benvenuti a Velenitaly
- Subject: rassegna stampa: Benvenuti a Velenitaly
- From: "Altragricoltura" <altragrico at italytrading.com>
- Date: Tue, 8 Apr 2008 10:00:48 +0200
A cura di AltrAgricoltura Nord Est ----------------------------------------- tratto da "espresso.repubblica.it" - 04 aprile 2008 L'espresso conferma la pericolosità del vino. L'espresso conferma tutto quanto pubblicato nell'inchiesta Velenitaly. Dopo gli esami svolti sul vino sequestrato negli stabilimenti di Veronella e di Massafra le procure di Verona e Taranto hanno contestato il reato di adulterazione di sostanze alimentari (art 440) che punisce "chiunque corrompe o adultera sostanze destinate all'alimentazione rendendole pericolose alla salute pubblica". Non si tratta quindi di una truffa innocua con acqua e zucchero ma di una situazione che mette a rischio la salute dei consumatori come hanno verificato gli stessi inquirenti contestando il reato più grave. Non solo. La presenza di acido cloridrico, acido solforico e di altre sostanze gravemente pericolose per la salute nel vino oggetto dei primi sequestri era citata sia nel comunicato stampa del Corpo forestale dello Stato sia nel primo provvedimento della procura di Verona. Finora però i vini prodotti dagli impianti incriminati sono rimasti in commercio. Ed è sorprendente notare come nonostante gli esami abbiano accertato da settimane la pericolosità di questi prodotti, soltanto ieri la procura di Taranto abbia disposto il sequestro dei campioni di vino in quindici aziende di tutta Italia che si erano rifornite presso gli impianti sequestrati. Quanto vino fuorilegge è stato venduto finora grazie al silenzio delle autorità di controllo? BENVENUTI A VINITALY (di Paolo Tessadri) L'espresso conferma la sua inchiesta sulla pericolosità di 70 milioni di litri di vino a basso costo venduti in tutta Italia. Nelle botti sequestrate finora sono state individuate tracce di concimi, sostanze cancerogene, acqua, zucchero, acido muriatico e solo un quinto di mosto. Per questo i magistrati hanno contestato il reato di sofisticazione alimentare, che punisce chi produce sostanze pericolose per la salute AGGIORNAMENTO DEL 3 APRILE, ORE 19,50 Molti lettori chiedono che L'espresso faccia i nomi delle aziende coinvolte nello scandalo. Noi abbiamo pubblicato nell'articolo tutti i nomi e tutti gli elementi che siamo riusciti a raccogliere con certezza. Saremmo stati felici di pubblicare la lista completa delle ditte sotto inchiesta, ma non siamo riusciti a ottenerla. La richiesta di piena trasparenza su questa e su altre sofisticazioni alimentari che mettono a rischio la salute dei consumatori - come abbiamo scritto - non va rivolta a noi ma ai ministeri competenti: in questo caso, quello delle Politiche agricole e quello della Sanità Di vino ne contengono poco: un terzo al massimo, spesso di meno. Il resto è un miscuglio micidiale: una pozione di acqua, sostanze chimiche, concimi, fertilizzanti e persino una spruzzata di acido muriatico. Veleni a effetto lento: all'inizio non fanno male e ingannano i controlli, poi nell'organismo con il tempo si trasformano in killer cancerogeni. Secondo i magistrati di due procure e la task force che da sei mesi indagano sulla vicenda, questo cocktail infernale è il protagonista della più grande sofisticazione alimentare mai scoperta in Italia. Perché con la miscela tossica sono state confezionate quantità mostruose di vino. Gli inquirenti ritengono che si tratti di almeno 700 mila ettolitri: sì, 70 milioni di litri messi in vendita nei negozi e nei supermercati come vino a basso costo anche dai marchi più pubblicizzati del settore. Un distillato criminale che ha riempito circa 40 milioni di bottiglie, fiaschi e confezioni di tetrapack d'ogni volume, offerte a un prezzo modestissimo: da 70 centesimi a 2 euro al litro. L'inchiesta è tutt'ora in corso: solo una parte dei prodotti pirata è stata sequestrata perché è impossibile rintracciare tutte le bottiglie. Ma gli elementi raccolti dagli investigatori mostrano un sistema industriale di contraffazione che nasce dalla criminalità organizzata e alimenta le grandi cantine: le aziende coinvolte nello scandalo sono già 20. Otto si trovano al Nord: in provincia di Brescia, Cuneo, Alessandria, Bologna, Modena, Verona, Perugia. Il resto invece è sparso tra Puglia e Sicilia: le sorgenti del vino contraffatto e dei documenti che gli hanno permesso di invadere le botti. Perché con questo sistema criminale i produttori riuscivano a risparmiare anche il 90 per cento: una cisterna da 300 ettolitri costava 1.300 euro, un decimo del prezzo normalmente chiesto dai grossisti del vino di bassa qualità. Retrogusto al metanolo L'istruttoria è nata partendo da uno dei soliti sospetti: una cantina di Veronella che 22 anni fa venne coinvolta dal dramma delle bottiglie al metanolo. Ricordate? Diciannove persone uccise mentre altre 15 persero la vista per colpa del mix a base di mosto e di un alcol sintetico, normalmente utilizzato nelle fabbriche di vernici: un liquido inodore e micidiale. Una tragedia che cancellò la credibilità della nostra enologia e stroncò l'export. Ma nello stabilimento di Bruno Castagna anche quella lezione sembra dimenticata. Quando nello scorso settembre scatta l'irruzione, gli agenti del Corpo forestale di Asiago e dell'Ispettorato centrale per il controllo dei prodotti agroalimentari trovano subito una situazione anomala: accanto alle cisterne c'erano taniche piene di acido cloridrico, altre con acido solforico e 60 chili di zucchero. Gli ispettori mettono tutto sotto sequestro e fanno esaminare campioni di vino bianco e rosso per capire cosa contengano. I test condotti nell'Istituto agrario di San Michele all'Adige e nel laboratorio di Conegliano Veneto dell'Ispettorato centrale forniscono lo stesso verdetto choc: in quel liquido di uva ce n'è circa un quinto, il minimo indispensabile per dare un po' di sapore. I test sono concordi: tra il 20 e il 40 per cento, non di più. E il resto? Acqua, concimi, fertilizzanti, zucchero, acidi. Sì, acidi: usati per mimetizzare lo zucchero vietato per legge. L'acido cloridrico e l'acido solforico vengono utilizzati per 'rompere' la molecola dello zucchero proibito (il saccarosio) e trasformarlo in glucosio e fruttosio, legali e normalmente presenti nell'uva. Un metodo che consente così di sfuggire ai controlli. Risultato: da una normale analisi non emergerà la contraffazione. I due acidi, assieme alle altre sostanze cancerogene, non uccidono subito, ma lo fanno progressivamente, in modo subdolo. L'acido cloridrico, comunemente chiamato acido muriatico, può provocare profonde ustioni se finisce sulla pelle, se ingerito è devastante. A Veronella uno degli investigatori è svenuto per i vapori e sono stati chiamati i pompieri per rimuovere le scorte. Il titolare della cantina è stato arrestato per il reato di sofisticazione alimentare con pericolo della salute pubblica: di quel liquido ad alto rischio ne avevano ancora migliaia di litri. Ma il fascicolo aperto dal pubblico ministero di Verona Francesco Rombaldoni poco alla volta si è gonfiato di reati pesantissimi: l'associazione a delinquere per gli imprenditori vinicoli del Nord. Che diventa addirittura associazione mafiosa per i loro referenti meridionali. Sacra cantina unita Partendo dai silos veneti gli agenti della Forestale sono arrivati ai fornitori della pozione micidiale. La pista conduce fino a Massafra in provincia di Taranto. Secondo l'accusa, l'intruglio proviene da due stabilimenti: la Enoagri export srl e la Vmc srl, vini, mosti e concentrati. Per gli inquirenti il gigantesco impianto della Vmc è stato costruito non per produrre vino, ma per fabbricare quantità industriali di quel mix velenoso: c'è un vero laboratorio chimico. Da lì l'inchiesta si allarga ancora e si estende in tutta Italia, con squadre di investigatori all'opera anche in Sicilia, mentre il coordinamento per il fronte Sud viene preso dal pm Luca Buccheri della Procura di Taranto. Pochi giorni fa il magistrato ha sequestrato i due stabilimenti, ma gli investigatori sono convinti che i titolari siano solo dei prestanome. Dietro di loro, in realtà, ci sarebbero gli investimenti della Sacra corona unità, il nucleo storico della mafia pugliese. E poiché ogni documento falso richiede altre coperture, altre aziende nelle mani della malavita avrebbero fornito certificati e ricevute per giustificare l'attività delle distillerie di veleno. Tutto finto: vino, forniture, bolle di trasporto, fatture. A Massafra è stata sequestrata la Tirrena Vini, definita dagli inquirenti una 'cartiera'. E sono spuntati documenti taroccati realizzati pure da ditte di Trapani, che hanno fatto ipotizzare un collegamento operativo con Cosa nostra siciliana. E per questo anche la Direzione investigativa antimafia è scesa in campo per intercettare i movimenti di capitali impegnati nell'operazione criminale. Cocktail al veleno Una volta scoperte le sorgenti, gli specialisti della Forestale e dell'Ispettorato centrale per il controllo dei prodotti agroalimentari si sono messi a studiare tutti gli acquirenti della pozione. E hanno ricostruito la mappa di quella che definiscono la più grande frode mai scoperta in Italia: 70 milioni di litri di vino corretto o fabbricato con liquidi pericolosi per la salute. Viene creata una task force di investigatori e informato il ministero delle Politiche agricole. La miscela è finita nelle cantine di sei regioni: Lombardia, Piemonte, Veneto, Umbria, Puglia e Sicilia. I primi test avrebbero riscontrato lo stesso cocktail di Veronella: solo il 20-30 per cento è vino, il resto è composto dal solito intruglio di fertilizzante, concime, zucchero e acido made in Massafra. Ma a preoccupare ministero e inquirenti è soprattutto l'uso che ne avrebbero fatto due impianti, uno nel Bresciano e l'altro nel Veronese, che sono leader in Italia nell'imbottigliamento e nella vendita di vini a basso prezzo. Solo da questi due stabilimenti sono uscite milioni di bottiglie, di fiaschi e di cartoni destinati in massima parte al mercato nazionale. È chiaro che a questo punto l'inchiesta assume una dimensione di alto impatto per l'economia italiana. Con il rischio di un danno d'immagine ben più grave di quello provocato dall'allarme sulla bufala. Per questo il vertice del ministero ha scelto una linea di massima cautela: sia per non compromettere gli sviluppi investigativi sul versante mafioso, sia per non infliggere un nuovo colpo alla credibilità dei nostri prodotti. Il settore basso del mercato è anche quello dove la concorrenza internazionale è più forte, con nuove nazioni che si lanciano con prodotti a prezzi infimi. Ma nonostante i sequestri, moltissime delle bottiglie sotto inchiesta restano in vendita: 'L'espresso' ne ha visto un intero stock in un centro commerciale del Nord-est. D'altronde le quantità contraffatte accertate finora dagli investigatori non hanno precedenti: 700 mila ettolitri. Un record, che può inondare un'altra delle risorse nazionali con un fiume di vino dal retrogusto di acido muriatico. (03 aprile 2008) Nel Brunello c'è il tranello di Emiliano Fittipaldi Il celebre vino fatto con altre uve. Il Chianti allungato con rosso d'Abruzzo. Il Passito sotto processo. L'olio tunisino spacciato per italiano. E l'aceto di Modena che nasce a Napoli. Così viene distrutta la credibilità dei prodotti più prestigiosi Un bicchiere di BrunelloBrunello che non è Brunello, Chianti Classico allungato con Montepulciano d'Abruzzo, olio d'oliva extravergine italiano fatto con olive tunisine, Passito di Pantelleria taroccato, aceto balsamico di Modena prodotto ad Afragola, paesone a metà strada tra Napoli e Caserta. La grande truffa dei marchi made in Italy non riguarda solo le devastanti sofisticazioni che danneggiano la salute, ma anche la presunta qualità dei brand più prestigiosi del nostro mercato agroalimentare. Che dietro le etichette blasonate nasconde spesso e volentieri calici amari. Negli ultimi mesi alcuni dei migliori prodotti nostrani sono finiti nel mirino di procure, dei carabinieri, degli esperti della Forestale e della Guardia di finanza, che hanno aperto inchieste a catena che fanno traballare l'immagine (e le vendite) del food&wine tricolore, proprio durante un appuntamento fondamentale come il Vinitaly di Verona. Gli ultimi dati del ministero delle Politiche agricole sono sconfortanti: l'8,5 per cento dei campioni analizzati in vari settori sono 'irregolari', frutto cioè di alterazioni e sofisticazioni di ogni genere. Il picco negativo è nell'ortofrutta: un prodotto su tre viola la legge. Blitz a Montalcino Partiamo dal Brunello di Montalcino, tra i vini Docg più celebri del mondo. Prime indiscrezioni sulle indagini della Procura di Siena sono già trapelate su qualche giornale, ma secondo quanto appreso da 'L'espresso' il lavoro degli investigatori sta disegnando una frode in commercio colossale, per cui il 30-40 per cento del carissimo vino prodotto nel 2003 (ma sotto la lente ci sono anche le annate dal 2004 al 2007) rischia di non poter fregiarsi né del marchio di Denominazione d'origine controllata e garantita né del nome 'Brunello'. I pm hanno guardato dentro al bicchiere, e nel fondo hanno scovato il marcio. Allo stato le aziende coinvolte sono cinque, gli indagati più di 20. L'accusa dei magistrati è, per i cultori, una vera bestemmia: aver mischiato all'uva di qualità Sangiovese, l'unica ammessa dalle rigide regole del disciplinare, altre qualità di origine francese: dal Merlot al Cabernet Sauvignon, dal Petit Verdot al Syrah. Vitigni usati per produrre dal 10 al 20 per cento del prodotto finale. I motivi del taroccamento sono due: le quantità del Sangiovese disponibile, in primis, sono insufficienti a coprire la domanda crescente di mercato. Inoltre il miscelamento sarebbe legato a una mera questione di palato: il consumatore, soprattutto quello americano, preferisce al gusto forte del Brunello Doc una variante morbida, più dolce e 'transalpina'. Molti negano, qualcuno rettifica, Montalcino è sgomenta, ma le prove sembrano schiaccianti: le Fiamme gialle hanno trovato nelle cantine le ricette con cui gli enologi preparavano lo shake di vini, conservati in vasche differenziate prima del cocktail da imbottigliare. Appunti riservati grazie a cui gli esperti confezionavano, dosando con cura le proporzioni, il falso Brunello. Le posizioni degli indagati sono diverse, ma quattro imprese che esportano in mezzo mondo, come Antinori, Banfi, Frescobaldi e Argiano, hanno migliaia di bottiglie bloccate ed ettari di vitigni sotto sequestro. A gennaio (l'inchiesta è iniziata a novembre) ci sono state perquisizioni anche nelle botti di Biondi Santi, Val di Cava e Casanova dei Neri. Nelle prime due gli inquirenti e gli esperti dell'Ispettorato per il controllo della qualità non hanno riscontrato irregolarità, mentre Casanova resta sotto osservazione. Altre tenute potrebbero finire sotto la lente dei magistrati, che stanno studiando le foto aeree scattate dalla Gdf per individuare i vitigni clandestini. Chianti d'Abruzzo Se l'alterazione rischia di demolire l'immagine del Brunello, sul piano penale sono molti i capi d'accusa che potrebbero sporcare la fedina degli indagati. Oltre al declassamento del vino e la frode in commercio aggravata dalla norma che tutela i prodotti doc, i pm ipotizzano reati come la falsificazione dei registri di cantina, falso ideologico, la ratifica di documenti truccati. Anche chi doveva vigilare e ha chiuso un occhio rischia grosso: pare che ci siano indagati anche tra i responsabili del Consorzio del Brunello (quasi 250 aziende affiliate) che per legge deve tutelare il disciplinare di produzione. "Chi ha sbagliato la pagherà cara, verrà cacciato dall'associazione, il vino verrà declassato a Igt da tavola", sbotta laconico il presidente Francesco Marone Cinzano. Di certo le aziende tremano, perché sanno che i giudici in Toscana non fanno sconti. La frode sul Brunello è, infatti, simile a quella messa in piedi sul Chianti classico. L'inchiesta, segretissima, investe alcune grandi aziende che producono - come si legge in vecchi comunicati stampa - 'i rossi italiani più amati dagli americani'. Peccato che il Chianti finito in milioni di bottiglie, in realtà, fosse mescolato con il Montepulciano d'Abruzzo. La truffa è stata smascherata dagli uomini della Guardia di finanza, coordinati dai pm senesi: in controlli di routine hanno scoperto che alcune ditte toscane compravano quantità industriali di Montepulciano dalla Cantina sociale di Tolla, in Abruzzo. False fatture, falsi documenti di trasporto, truffa: i responsabili della leggendaria Ruffino, di proprietà della famiglia Folonari, hanno già patteggiato due anni. Una tranche dell'inchiesta è ancora aperta, e investe un'altra cantina prestigiosa del Chiantishire. Il ministro Paolo De Castro spiega che non bisogna fare di tutta l'erba un fascio, e che anche nel settore vitinicolo il rispetto delle regole verrà affidato presto a controlli terzi. "Abbiamo aumentato le verifiche", ragiona, "bisogna puntare sulla qualità e sulla difesa della salute. C'è da dire, a difesa dei produttori, che le norme europee si moltiplicano a velocità impressionante, non è facile stargli dietro. Ma sulla legalità non si transige". La vendemmia del BrunelloOlio tunisino I crimini, però, non si contano. I magistrati stanno indagando anche un altro must del nostro agroalimentare, l'olio d'oliva. In Puglia, che produce il 40 per cento del totale nazionale, voci e rumors su taroccamenti di massa si rincorrono da lustri. Dal 2000 nelle bottiglie i Nas e le Fiamme gialle hanno trovato di tutto: olio di semi, clorofilla, coloranti, miscele spurie. Ma in piccole aziende e frantoi di provincia. Ora il pm di Trani Michele Ruggiero ha aperto il vaso di Pandora, alzando il velo sulla più grande truffa all'olio mai fatta in Italia. Tra il 2006 e il 2007 tre milioni 278 mila bottiglie da un litro sono state spacciate come olio 'italiano', 'biologico' ed 'extravergine', anche se in realtà erano riempite con liquido di bassa qualità che arrivava da Spagna, Grecia e Tunisia. Prodotti etichettati con marchi di nicchia come quello dei Frantoi Oleari Umbri, dall'azienda Buonamici (di proprietà di Cesara, la giornalista del Tg5, e dei suoi fratelli), ma anche venduti negli scaffali dei supermercati con il logo della Coop e della Conad. Secondo gli uomini della Gdf gli acquirenti erano però ignari del raggiro architettato da Giacomo Basile, titolare dell'omonima ditta di Andria, in provincia di Bari, uno dei più grossi distributori nazionali. L'olio tunisino e greco è stato comprato in tutto da 20 aziende della Penisola, che lo hanno imbottigliato, marchiato e spedito nei negozi e nelle grandi catene di distribuzione. Scoperta la truffa, gli uomini del comandante provinciale della Finanza di Bari Fabrizio Carrarini hanno inseguito le bottiglie pirata nei supermercati di tutta Italia: a oggi sono state recuperate circa due milioni di tonnellate delle tre immesse sul mercato. Gran parte del prodotto è finito anche all'estero, difficilmente si riuscirà a rintracciarlo. Inutile piangere sull'olio versato. Onorevole Passito "È alla vetta di quanto mi sia dato di assaggiare nel settore", commentava estasiato Bruno Vespa degustando il Passito dell'Abraxas, l'azienda dell'ex ministro dell'Agricoltura Calogero Mannino. Non poteva sapere, il giornalista, che il contenuto di molte bottiglie poco aveva a che spartire con il vero Passito di Pantelleria: secondo la Procura di Marsala il vino era stato infatti adulterato, tanto che l'ex senatore Udc, che nel 1988 firmò il decreto che istituiva il marchio Doc, ora è imputato per associazione per delinquere finalizzata alla frode in commercio, sofisticazione e appropriazione indebita. In effetti Mannino, insieme a sodali e cantinieri, avrebbe anche rubato 115 ettolitri di Passito doc di una azienda (la Bonsulton srl), sostituendolo con vino adulterato. Se le intercettazioni telefoniche raccontano che l'ex ministro si accordava con il suo enologo per imbottigliare il prodotto 2004 fuori da Pantelleria (in sprezzo del disciplinare), ci sarebbero le prove di una sofisticazione di ben 300 mila bottiglie nel periodo 2002-2006. Tra i presunti truffatori, oltre a Mannino c'è anche Salvatore Murana, già condannato con sentenza definitiva per i medesimi reati: i due producono circa il 20 per cento del Passito (falso) che invade le enoteche del pianeta. Nessuno sembra però preoccuparsi più di tanto del destino dei consumatori: la commercializzazione delle bottiglie non è stata infatti bloccata. Dulcis in fundo, recentemente in Parlamento è persino passata (grazie a Maurizio Ronconi dell'Udc) una norma che depenalizza la sofisticazione dei vini: Mannino non rischia più un anno di reclusione, ma al massimo una multa da 15 mila euro. Modena in provincia di Napoli I supertarocchi del Chianti, il finto Passito e l'olio fasullo trasformano in una storia di colore una vicenda che è nota, agli addetti ai lavori, come la "guerra dell'aceto balsamico di Modena". Dura da vent'anni, e vede confrontarsidue eserciti agguerriti a colpi di carte bollate. Nord contro Sud: da un lato i produttori modenesi, dall'altro la ditta De Nigris. Che di emiliano non ha nulla: l'aceto è 'di Modena' solo nell'etichetta, perché produzione e imbottigliamento vengono effettuate ad Afragola, Napoli. Il fatto è che De Nigris non è un pesce piccolo: il suo aceto pesa sul 27 per cento delle esportazioni totali, e dal 1989 ha vinto ricorsi e sentenze al Consiglio di Stato, al Tar del Lazio e alla Cassazione. "L'aceto 'di Modena' si può fare a Modena e Afragola. E in nessun altro luogo", chiosa l'amministratore. "Come mai? Noi abbiamo i requisiti. Il marchio è legato alla qualità del prodotto e all'ingegno umano, non certo ai vitigni che si coltivano nella provincia modenese: anche i miei concorrenti usano a man bassa mosti provenienti da tutta Italia". Peccato che al ristorante, nei supermarket e dal salumiere, quando aprono il borsellino per regalarsi un piccolo lusso di gola, la stragrande maggioranza degli italiani (e degli ingenui stranieri) crede davvero che l'aceto sia fatto a Modena, il Passito a Pantelleria, l'olio italiano in Italia, il Chianti nel Chianti. (hanno collaborato Giuliano Foschini e Giuseppe Lo Bianco) (03 aprile 2008) ---------------------------------------------------------------------------- --------- N. B.: se volete essere cancellati da questa lista scrivete a altragricoltura at altragricolturanordest.it No virus found in this outgoing message. Checked by AVG. Version: 7.5.519 / Virus Database: 269.22.8/1362 - Release Date: 06/04/2008 11.12
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