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15 settebre 1993 - 15 settenbre 2006 - in memoriam di Padre Pino Puglisi
- Subject: 15 settebre 1993 - 15 settenbre 2006 - in memoriam di Padre Pino Puglisi
- From: "Francesco Castracane" <f.castracane at alice.it>
- Date: Sun, 17 Sep 2006 15:17:50 +0200
Giuseppe Puglisi nasce a Palermo il 15 settembre 1937, da una famiglia di umili origini. Il padre Carmelo fa il calzolaio e la madre Giuseppina la sarta. Giuseppe ha due fratelli, Franco e Nicola, morto a quindici anni per problemi cardiaci. Cresce a Brancaccio, un quartiere ad alta densità mafiosa, e alterna gli studi al lavoro, aiutando il padre a inchiodare le scarpe ed effettuando consegne per sua madre, donna molto religiosa. Nel 1953 entra nel Seminario Maggiore di Palermo. E' un allievo modello, serio e studioso, con una passione particolare per la matematica, materia che per qualche tempo insegnerà al Seminario Minore. Va già allora sviluppando quella che sarebbe divenuta una sua caratteristica fondamentale, l'ascolto, che dimostra particolarmente nell'attenzione per le esigenze dei compagni. Viene ordinato sacerdote il 2 luglio 1960 e dice la prima messa nella chiesa di Don Bosco. Il 1 ottobre 1970, padre Pino riceve l'incarico di parroco a Godrano, un paesino a quaranta chilometri da Palermo, teatro di una sanguinosa faida. Qui cerca di combattere la cultura mafiosa con la cultura della fratellanza, cominciando dai più giovani. Istituisce il doposcuola, che tiene fino a notte tarda, poiché molti ragazzi di giorno lavorano nei campi. Nel 1991 diventa Parroco di Brancaccio. Nel 1992 l'Italia è scossa dalle stragi di Capaci e di via D'Amelio, in cui perdono la vita i giudici Falcone e Borsellino. Il 23 luglio i volontari di padre Pino scrivono una lettera al Presidente della Repubblica, Scalfaro, esponendo la situazione del loro quartiere. Dopo una sollecitazione giunta da Roma, a Brancaccio i poliziotti fanno sgomberare molti sotterranei occupati abusivamente, e utilizzati come deposito per il traffico d'armi e di droga, per le scommesse clandestine, e come luogo d'incontro per la prostituzione anche minorile. All'indomani di una manifestazione nell'anniversario della strage di Capaci, guidata da padre Pino per le strade di Brancaccio, uomini di Cosa Nostra lanciano delle molotov contro la chiesa. Seguono intimidazioni e pestaggi ai danni di suoi parrocchiani. Lui stesso riceve minacciose telefonate e lettere anonime, e viene aggredito. La sua opposizione alla mafia, così come ai politici e agli amministratori pubblici con essa collusi, prosegue ferma, ma mai aggressiva. Non prende di petto i suoi persecutori, bensì li affronta con il sorriso, considerandoli comunque persone da redimere. «Venite in chiesa alla luce del sole - dice ai mafiosi durante la messa - discutiamone. Riflettiamo insieme sulla violenza che sa generare solo altra violenza. Vorrei conoscervi e conoscere i motivi che vi spingono a ostacolare chi tenta di educare i vostri figli alla legalità, al rispetto reciproco, ai valori dell'amore e della cultura». Solo in un'occasione perde la sua mitezza, quando, il 25 luglio 1993, tuona dal pulpito: «Chi usa la violenza non è un uomo, ma un animale. Abbiate il coraggio di uscire allo scoperto e di riflettere con noi su quello che sta succedendo». Considera il suo comportamento naturale e non si sente un eroe, né ama vedersi definire "prete antimafia". Il 26 luglio 1993 viene pubblicata sul Giornale di Sicilia una sua intervista rilasciata a Delia Parrinello. «Brancaccio è la borgata più dimenticata della città. Non ha una scuola media, niente asilo e nemmeno un consultorio o un centro sociale comunale, ha solo una scuola elementare e una sezione di materna. E noi, la parrocchia, cosa abbiamo fatto finora? Lavoriamo da tre anni senza risultati. Nelle anticamere di tutti i sindaci, di tutti gli assessori, del prefetto, anche in questura, anche alla Usl, nella sala d'aspetto dell'amministratore straordinario della legge 62 e in quella del provveditore: a chiedere almeno una scuola media, un distretto sociosanitario di base e un po' di verde dove giocare e correre. Tutte richieste sostenute anche dal consiglio di quartiere. Risultato? Finora nessuno. C'è speranza per il distretto... i locali ci sono». Si riferisce agli scantinati di via Hazon, porto franco di Cosa Nostra. Nell'intervista Puglisi tende una mano ai suoi persecutori: «Spero che i protagonisti delle intimidazioni cambino modo di pensare e tornino alla ragionevolezza. Si affianchino a noi per chiedere alle istituzioni ciò che è indispensabile per la vita civile del quartiere. E' la questura a dire che a Brancaccio vivono parecchie famiglie a rischio, bambini che sono a un passo dal diventare come il fratello maggiore, la sorella, i genitori. Stiamo tentando di strapparli a questo destino, di comunicare loro i valori nuovi rispetto a quelli trasmessi dalla strada: perché fermarci? Chi usa la violenza non è un uomo, chiediamo a chi ci ostacola di riappropriarsi dell'umanità». Il 15 settembre 1993, giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, sta rientrando a casa, quando viene assassinato da un commando di Cosa Nostra.
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