Re: La decrescita felice - secondo Maurizio Pallante



In effetti, se lo scopo di tutto questo fosse solo preparare un manuale del
"fai da te", non si farebbe alcun passo verso uno STILE DI VITA alternativo
alla cultura dominante, che sta spingendo all'isolamento degli individui,
sia dal punto di vista economico che sociale. Certo sapere come fare lo
yogurt in casa propria o come fare l'aceto, il lievito, il sapone o il
detersivo, ha indubbiamente una sua utilità pratica, ma nello stesso tempo
può rafforzare, pericolosamente, la convinzione che si può benissimo fare a
meno degli altri, ed è quello che pretende e opera il nostro sistema di
mercato. Imparare a fare lo yogurt o il sapone non è alternativo a questo
tipo di economia, anche perché le materie prime devono essere comunque
acquistate. Diventerebbe solamente una nuova nicchia economica del mercato e
mi immagino già la vendita nei supermarket dei "KIT" per farsi in casa una
miriade di prodotti cosmetici o alimentari. Essere alternativi alla logica
di mercato significa poter produrre un qualsiasi prodotto senza l'ausilio
del mercato stesso. Ad esempio chi ha un orto può prodursi i pomodori e
farsi le conserve, oppure chi ha una capra può avere il latte e farsi il
formaggio, ma da soli non potremmo mai essere autosufficienti in tutto. Non
basterebbe una vita per produrci da soli quello di cui abbiamo bisogno,
anche accettando uno stile di vita sobrio e il meno dispendioso di energia
possibile. Volenti o nolenti siamo partecipi (o vittime) di un sistema
economico che non abbiamo scelto, ma che anche, individualmente, non
possiamo fare a meno. Nella nostra preistoria, tra i
raccoglitori-cacciatori, tutte le informazioni necessarie all'
autosufficienza del gruppo erano patrimonio di ogni individuo. Ognuno,
secondo l'età e il sesso, era addestrato a riconoscere e a cacciare gli
animali che servivano da cibo, alla raccolta di vegetazione spontanea
commestibile, a conciare una pelle, a confezionarsi una calzatura o un
abito, a costruirsi le proprie armi o i propri strumenti di lavoro o la
propria abitazione, oltre che, naturalmente, a collaborare con gli altri. Il
nostro cervello di uomini moderni non sta incamerando più informazioni di
quello dei nostri antichi progenitori, perché la capacità cerebrale é una
caratteristica di specie che rimane immutata da alcune decine di migliaia di
anni. La differenza consiste nel fatto che tutte le informazioni apprese nel
gruppo dei raccoglitori erano utili per l'adattamento all'ambiente naturale
del territorio, mentre ora molte delle informazioni che stiamo assimilando
sono assolutamente inutili per adattarci al nostro ambiente artificiale.
Stiamo immagazzinando sempre più spazzatura culturale nel nostro cervello.
Le nostre potenzialità individuali di trasmissione di informazioni utili, ai
fini di una conversione culturale, sono quindi piuttosto limitate,
nonostante possiamo avvalerci di forme di comunicazione quasi in tempi
reali. Già il fatto, però, che si tenti di organizzare metodicamente la
raccolta di informazioni "pratiche", di pubblica e privata utilità, denota
la volontà del "fai con gli altri", almeno da parte dei
gestori del sito. La costituzione di una banca dati dovrebbe essere il primo
passo per iniziare un cammino di indipendenza economica dal mercato
imperante, ma non potremmo attuare questo ambizioso obiettivo se non
prendessimo in considerazione l'eventualità di collaborare materialmente con
gli altri. La vera rivoluzione, a mio parere, sarebbe la nostra reale
capacità di costituirci in gruppi di aiuto reciproco. E' comprensibile che
questo non potrà coinvolgere la maggioranza della popolazione che, come
giustamente dici, preferisce comprare l'insalata già lavata, ma bisogna pur
cominciare per crescere.

Piero





----- Original Message ----- 
From: "daniele" <danscapo at email.it>
To: <consumocritico at peacelink.it>
Sent: Friday, January 13, 2006 11:52 PM
Subject: Re: La decrescita felice - secondo Maurizio Pallante


> ciao a tutti.
>
> scusate se mi inserisco solo ora con ritardo: siete già alla fase 2 e io
> invece sono ancora alla fase 0.
> Mi spiego. Sono molto interessato alle opzioni pratiche di consumocritico,
e
> quindi molto interessato a quello che sta nascendo qui. Ma mi chiedo cosa
> significhi opzioni "pratiche" e pratiche "per chi".
> Stiamo parlando di ozpioni praticabili tra di noi che siamo sensibili al
> consumo critico o stiamo parlando di ozpioni "praticabili" come tali dalla
> maggioranza della popolazione? Io tengo sempre bene in mente, quando parlo
> di questi temi, l'indicazione di Alex Langer sulla necessità che il
> cambiamento sia "desiderabile e desiderato".
> Detto in altri termini stiamo parlando di "pratiche" che hanno un valore
di
> testimonianza o stiamo parlando di pratiche che potrebbero essere diffuse
a
> gran parte della popolazione senza "traumi eccessivi da cambio di modello
di
> consumo"?
> La differenza tra le due strade è a mio parere netta, non solo da un punto
> di vista teorico ma soprattutto da un punto di vista pratico. Alcuni
esempi:
> vogliamo veramente praticare un radicale cambiamento del nostro modo di
> produrre e consumare? Passiamo in modo massiccio all'autoproduzione
> (soluzione Pallante). Bene, troveremo qualche decina di persone tra di noi
> che ci dirà come fare, come ci riesce e che appunto rappresenteranno la
> "testimonianza". Dopodichè avremo un 99% della popolazione che riterra
tali
> pratiche così diametralmente distanti dal loro abituale "usa e getta" che
> continueranno per la loro strada. Affari loro potremo dirci, noi siamo
> comunque contenti di praticare la testimonianza.
> Se invece vogliamo cominciare a "pubblicizzare" soluzioni praticabili da
un
> numero un po' più ampio di persone allora (fatto salvo il valore della
> testimonianza, che rimane l'obiettivo di lunghissimo periodo) forse
dovremo
> individuare soluzioni diciamo di "second best": criteri su come
selezionare
> la roba che compriamo, le ditte che la producono (guide arcobaleno), dove
> comprarla, etc....
> Da un punto di vista di indicazioni pratiche mi sembra che sia più
difficile
> mettersi d'accordo su questa seconda soluzione (identificazione dei
criteri)
> piuttosto che sulla prima che alla fine si limita a dare ricette di
> testimonianza (sapone fatto in casa, dov'è la bottega del mondo più
vicina,
> come installo un pannello solare etc.). Alcuni esempi: i prodotti del
> commercio equo e solidale possono essere acquistati in un supermercato o
> perdendosi il valore di testimonianza legato all'acquisto in bottega, la
> pratica non è da proporre? Stessa domanda per i prodotti biologici. Altra
> questione: con quali criteri seleziono le aziende che trovo al
supermercato
> (ricordo un bel sondaggio fatto da nicoletta a proposito dei
biscotti....)?
>
>  Insomma da una parte sono felice di trovare indicazioni che mi aiutino a
> praticare un percorso di consumo critico, dall'altra quando leggo sapone
> fatto in casa, autoproduzione, acquisto di formaggi dal pastore, acquisto
di
> prodotti del commercio equo nella bottega raggiungibile solo con 45 minuti
> di autobus, mi viene in mente che nel 2005 l'unico prodotto che è andato
in
> controtendenza nelle vendite dei supermercati (aumentando) sono state le
> insalate e verdure prelavate! E mi dico: come posso "affascinare" il mio
> prossimo (che non trova il tempo e la voglia per lavare la verdura) ad
> autoprodursi una bella saponetta? Non sarebbe il caso di iniziare
> convincendolo a lavarsi l'insalata ?
>
> So di essere una voce fuori dal coro.......ma ho bisogno di chiarimenti
sul
> cosa stiamo facendo e per chi.
>
> cari saluti
>
> daniele
>