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Re: La decrescita felice - secondo Maurizio Pallante
- Subject: Re: La decrescita felice - secondo Maurizio Pallante
- From: "Piero Nigra" <pnigra at libero.it>
- Date: Sat, 7 Jan 2006 08:45:00 +0100
Tutto sommato concordo con quanto afferma Nicoletta. Lavorare part-time è un'opzione accessibile solo a una ristretta fascia di popolazione. In una situazione "normale", una sola persona che lavora 40 ore in una famiglia media (due genitori e due figli) è spesso insufficiente per il mantenimento della stessa. Quasi sempre a lavorare a tempo pieno è il marito ma, per un'infinità di motivi ( non legati all'avidità di guadagnare di più per spendere di più), molte volte anche la moglie è "costretta" alle 40 ore, o, nel migliore dei casi, a un lavoro part-time. Credo che nella maggioranza dei casi ciò che guida il comportamento dei genitori non è l'avidità ma la necessità. Pochi affiderebbero la custodia dei loro figli a persone estranee, addirittura pagando, se potessero realmente non farlo. La coda ai caselli non la fanno solo i vacanzieri per dilapidare i risparmi di un anno o per andare a fare spesa ai grossi centri commerciali, ma la fa quotidianamente anche una miriade di lavoratori pendolari, che lavorerebbero volentieri, se potessero, vicino a casa loro. E' vero che fare la spesa dai produttori locali non si risparmia rispetto al supermercato (anzi, i supermercati si sono affermati proprio perché forniscono merci a prezzi concorrenziali rispetto ai produttori locali), però c'è il vantaggio (e coi tempi che corrono non è poco) di conoscere la provenienza dei prodotti acquistati. Non dimentichiamo, però, che sono gli stessi produttori locali, secondo la domanda e l'offerta, ad adeguarsi ai prezzi correnti. Per quanto riguarda il mercato equo-solidale penso che Germano abbia centrato perfettamente il punto. Alla fine dei conti il mercato equo-solidale è solo un'illusoria scappatoia che le multinazionali concedono ai poveri del mondo, facendo leva sulla sensibilità e sul cuore delle persone del mondo ricco, ma riusciranno a trasformare questa solidarietà umana in un loro guadagno. Purtroppo non sarà così facile cambiare il corso degli eventi ed eludere gli interessi delle multinazionali. Eppure non avrebbe senso parlare di sviluppo sostenibile fino a quando il mercato sarà gestito (e pilotato) dai potenti della Terra. Chi potrà però convincere gli Stati Uniti che sono loro la causa maggiore dell'inquinamento e dello spreco delle risorse del pianeta? O meglio, chi convincerà i cittadini americani a rinunciare alle loro comodità e ai loro privilegi, in cambio di una terra pulita e di una sovrana giustizia sociale? Chi potrà convincere le multinazionali che le foreste equatoriali sono patrimonio di tutta l'umanità, i "polmoni" del mondo e i serbatoi della biodiversità? Non hanno rinunciato neanche ai diritti sui brevetti dei medicinali salvavita per l'AIDS in Africa! E la promessa "rivoluzione verde", che doveva portare in dieci anni acqua, cibo e benessere a circa 700 milioni di disperati nel Terzo Mondo? Ebbene, la promessa é stata mantenuta e per 700 milioni di persone sono stati resi disponibili acqua, cibo, alloggio e un minimo di servizi pubblici. Nel frattempo, però, in quei dieci anni, la popolazione mondiale si é accresciuta di 800 milioni, vanificando gli sforzi di dieci anni, anzi, aggravando il problema. La stessa Cina, che a costo di immani (e inumani) sacrifici, sta rallentando il tasso di crescita della sua popolazione, si stabilirà probabilmente a un miliardo e mezzo di abitanti. Questo immenso "ibrido" politico sta accrescendo il suo PIL in proporzioni di boom economico continuo. Cosa ne sarà dell'ambiente e delle risorse del pianeta, quando un miliardo e mezzo di cinesi potranno a loro volta rivendicare tutte le comodità tecnologiche, che noi ben conosciamo? Chi li convincerà che solo gli americani e gli europei hanno questi "diritti"? Il sistema di mercato sembra un grosso "buco nero" che accentra su di sé ogni tipo di comportamento economico. Per esempio, in Brasile, i contadini disoccupati si coalizzano e occupano le terre incolte o poco sfruttate dei grandi proprietari terrieri. La tecnica consiste nel presidiare in massa dei terreni e resistere alle minacce della polizia. Una volta che il peggio é passato, il terreno espropriato é dato in gestione a delle famiglie di contadini senza terra, che di solito si associano in cooperative. Fin qui sembra che la lotta paghi ma volete sentire il proseguo della storia? Le cooperative s'indebitano fino al collo per modernizzare il loro lavoro, nell'agricoltura, nella trasformazione e nella piccola industria, per cercare di essere "più competitivi" nel mercato locale. Sapete chi sono di solito i referenti commerciali di queste cooperative? Le multinazionali europee ed americane! Ragionando in modo positivo si potrebbe dire che, intanto, questa gente ha trovato un lavoro (che nelle regole del mercato e della competizione significa però che altri hanno perso il loro posto di lavoro), realisticamente, però, si può costatare che il grande capitale ha trovato mano d'opera a basso costo, approfittando di quei poveretti che sono costretti ad un auto sfruttamento intensivo, per pagare dei debiti che probabilmente non riusciranno mai ad estinguere. E la storia continua.... La decrescita "felice" di alcuni sarà solo lo spunto per una crescita "infelice" di molti altri, per cui non la credo una soluzione di cambiamento. Non credo nemmeno possibile un mercato diverso da quello attuale, penso invece che la soluzione consista proprio nel fare a meno del mercato. Solo quando il produttore e il consumatore saranno lo stesso soggetto cesseranno le contraddizioni economiche e le ingiustizie sociali. Per fare questo non è necessario sconvolgere il mondo e le sue istituzioni: è sufficiente che a livello locale si crei la cooperazione di un determinato numero di persone per un'auspicata autosufficienza economica ed ecologica. Affidare alla buona volontà e all'educazione dei singoli individui la soluzione delle contraddizioni del mercato ha una valenza limitata, perché da soli ci è consentito solo di soffrire o gioire secondo le nostre individuali capacità. La regola aurea cristiana che ha citato Germano, "quello che desideri che gli altri ti facciano, similmente tu fallo a loro", potrà essere messa in pratica solo con la cooperazione attiva col nostro prossimo, che come dice la parola stessa, non sono gli individui all'altro capo del mondo, ma sono i nostri vicini di casa, i nostri parenti, i nostri colleghi di lavoro. E' giusto, nel frattempo, non disdegnare l'aiuto a chi soffre lontano da noi, ma non deve essere l'alibi per pacificare la nostra coscienza. Forse ci è più facile contribuire a un'adozione a distanza piuttosto che guardare il bambino di una nostra vicina per un pomeriggio. Oppure esporre la bandiera di pace sui nostri balconi e poi litigare col vicino di casa perché il suo cane ha fatto la pipì sulla ruota della nostra macchina.... Se il mercato ci ha educati a una coscienza individuale, per evadere il mercato è necessaria una coscienza collettiva. Quello che realisticamente potremmo fare ora è solo costituire formalemente dei gruppi di aiuto reciproco, in tutte le nostre quotidiane attività. L'autosufficienza a livello locale sarà una futura (ma logica) conseguenza della nostra capacità di solidarizzare col nostro prossimo. Tante piccole realtà locali autosufficienti che collaborano tra loro non è forse la soluzione che anche la natura ci offre? Il nostro corpo non è forse un'unica entità formata dalla cooperazione di migliaia di miliardi cellule autonome nel loro metabolismo e di dimensioni finite? Dovremmo osservare la natura anche nel suo aspetto comportamentale, non soltanto estetico: avrebbe molto da insegnarci. Scusate la lunghezza dello scritto. Un saluto. Piero
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