R: La decrescita felice - secondo Maurizio Pallante
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- From: "Giuseppe Palermo" <peppe_palermo at aliceposta.it>
- Date: Sun, 8 Jan 2006 15:47:10 +0100
- Importance: Normal
Non
ho letto il libro di Pallante, ma qualche tempo fa ho sentito una sua conferenza, che mi convinse abbastanza.
Mi parve solo - ricordo - che non tenesse conto a
sufficienza di due grosse variabili: la crescita demografica e l'innovazione
tecnologica, le quali (se ne erano accorti invece quelli del Club di Roma una
trentina d'anni fa) possono cambiare tutti gli scenari. Ad ogni modo leggerò il
libro, può darsi che lì sia diverso. Vorrei segnalare intanto, perché toccano proprio la questione della
“decrescita” - chiamiamola così - gli interventi di Serge Latouche, a partire dalle
famose “otto r”: (rivalutare, ridefinire, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare,
riciclare), p. es.: http://eddyburg.it/article/articleview/5481/0/129/ http://eddyburg.it/index.php/article/articleview/2450/0/129/ e altri ancora, reperibili
nello stesso sito www.eddyburg.it e altrove. Su eddyburg si trova anche molto materiale su temi specifici
legati al consumo, come quello degli ipermercati e delle loro ricadute
(sociali, urbanistiche, ecc.). Sempre su eddyburg, da
qualche mese, è in corso una discussione, da parte specialmente di Carla Ravaioli, sugli sbocchi politici da dare a questi temi. Vorrei segnalare infine, anche perché scritto a
commento di un libro della Ravaioli, un articolo di
Paolo Sylos Labini del
2003: http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=TUTTEIDEEnovtre&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=28678 che mi
pare interessante, fra l’altro, perché si vede come già da alcuni anni il
tema sia maturo. Sylos Labini
(scomparso da pochissimo, come sapete) era un economista della vecchia
generazione, non certo un new global: a riprova del
fatto che il ritardo su queste questioni, enorme, è dei politici, non degli
studiosi . Anche per lui
“la via d'uscita sta in una riduzione delle ore lavorate, un processo che
va avanti da almeno un secolo e mezzo, ma che occorre gestire con intelligenza
e gradualità per evitare effetti opposti a quelli desiderati. Alla crescita
zero del Pil può accompagnarsi l'aumento degli
investimenti volti a ridurre progressivamente l'inquinamento e la crescita di attività culturali, che non incidono sulla produttività;
né, preservato l'ambiente, sorgono problemi se il di più di reddito serve ad
aiutare i paesi arretrati”. Sono questioni complicate, lo so, e c’è
il rischio di impantanarsi in discussioni soltanto ideologiche.
L’importante è, comunque, tirarne fuori alcune
linee guida operative, chiare e condivise, e cercare di dar loro evidenza, al
di là del nostro privato. Spero che Nicoletta riesca a
far pubblicare in rete, in tutto o in parte, il libro di Pallante,
e magari ne riparliamo. Scusate
se forse ho citato troppa roba tutta insieme, Peppe Nicoletta
Landi ha scritto: Ciao
a tutti. Ho
appena finito di leggere il libro "La decrescita felice" di Maurizio Pallante. Qualcuno di voi l'ha letto? Mi
piacerebbe riassumerne alcuni punti essenziali riportandoli nell'area consumocritico e ragionarci un po' insieme. Maurizio ci dai
il permesso editoriale? E'
un libro piccolo ma agile, rapido, in 125 pagine copre molto sulla decrescita,
molte domande, qualche risposta veramente simpatica e nuova che mi ha lasciato
un buon sapore in bocca. Dopo
il consumo critico, i piedi non possono che muoversi sulle pietre successive,
della sobrieta' e dell'autoproduzione.
Pertanto questi libri sono pietre miliari di una scuola di pensiero a mio
parere, che non si limita piu' a Francesco Gesualdi ma che si allarga, come cerchi nel lago. Eppure ho
dei pero'. Ho
i miei pero', le mie domande, i miei: "non mi torna". Cosi', in attesa che molti di voi leggiate il libro, e che Maurizio
ci dia il permesso di pubblicarne qualche riga, parto in quarta con qualche
domandina su degli assiomi che mi sono noti ma che per me sono tutti da
dimostrare. 1)
Se comprassimo meno, e avessimo meno desideri consumistici, non avremo bisogno
di lavorare cosi' tanto, ma invece potremo stare a casa con figli e genitori, riscoprire le arti manuali,
dedicarci ai sentimenti invece che alla produzione/consumo di merci. Si
potrebbe fare un lavoro parttime e compensare con altre forme di lavoro, il
tempo speso in ufficio, schiavi di un capo che potrebbe rivelarsi tiranno. 2)
Stando piu' in casa avremo tempo per prenderci cura
dei nostri cari, senza affidargli a mani estranee pagate per questo, bambini e
anziani,. Le donne non avrebbero piu' bisogno di
lavorare anch'esse come produttrici di merci, ma potrebbero suddividersi con il
marito un lavoro a mezzo tempo. 3)
Comprando direttamente dal produttore, saltiamo i passaggi intermedi, e
mangiamo meglio, con prezzi molto inferiori. *********** Che ne
pensate? Li ho riassunti un po' sbrigativamente ma credo di essere stata
oggettiva. Be',
questi i miei commenti, un po' perplessi. 1)
Siamo
al limite della competizione, praticamente schiacciati
su tutti i fronti
dal costo del lavoro oltre frontiera. Ma
oltre a cio', perche' per
avere un lavoro che dia soddisfazione bisogna
dimostrare il proprio talento e bisogna portare a termine i progetti in
tempo e con onore. Perche' mentre tu sei in parttime c'e' chi
lavora il triplo di te e, se anche ti e' possibile ottenere un parttime,
finisci nella cerchia di quelli che in ufficio non valgono un tubo.
Perche' se lavori non solo
per portare a casa uno stipendio ma perche'
vuoi lavorare con cura, il parttime non e' una soluzione ma una frustrazione. 2)
Le donne hanno cominciato a lavorare per essere produttrici e
consumatrici di merci? Mah, secondo me le donne hanno cominciato a
lavorare per essere indipendenti. Per avere il diritto
di dire: "grazie, mi sono rotta le scatole di te,
grazie caro, ciao". Per sentirsi utili, come produttrici di denaro e
quindi di potere. Non ho taboo a parlare di questo.
Nei momenti della mia vita in cui ho avuto meno denaro a disposizione
ho sentito la fitta della dipendenza, della debolezza e della fragilita'. E infine, le donne hanno
cominciato a lavorare per avere voce, una voce che uscisse dal voto elettorale
e dalla casa. Una voce nelle aree dove le decisioni vengono
prese. 3)
Saltare le intermediazioni costa meno? Questo l'ho
sentito dire tante volte.
Ma purtroppo io non ci sono ancora riuscita. Ne'
quando compravo al
GAS, ne' ora che uso un mercato dei produttori locali. Anche
se persevero, ogni volta che mi avvicino al mercato
dei produttori locali, so gia' che spendero' .. e tanto. Ogni volta
che mio babbo va direttamente dal formaggiaio o dalla contadina, torna a
casa incavolato chiedendosi perche' le cose costino cosi' tanto. Questo non significa che demordiamo. Ma purtroppo c'e' piu' di un motivo per
cui i beni al supermercato costano cosi' poco, e la
via dell'acquisto
dal produttore ha un significato preciso e non e' quello del
risparmio. ************* So
bene che e' facile criticare e difficile proporre. Percio'
onore a chi come Maurizio ha l'ardire di proporre. La
lettura del suo libro mi ha ridato energia e idee. Continuiamo
a farci domande, e via via le risposte migliori
verranno a galla, come ravioli nella pentola :) un
saluto affettuoso nicoletta ps
per quanto riguarda il progetto "stili di vita" grazie a tutti. con francesco stiamo preparando un
progetto, basato sulle vostre risposte, che arrivera'
presto in lista. -- Mailing
list Consumo Critico dell'associazione PeaceLink. Per CANCELLAZIONI: http://www.peacelink.it/mailing_admin.html Se
non riesci, scrivi a nicoletta at peacelink.org inserendo
"cancella" nel Soggetto. Si sottintende l'accettazione della Policy Generale: http://www.peacelink.it/associazione/html/policy_generale.html |
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