I: La decrescita felice - secondo Maurizio Pallante



Non ho letto il libro di Pallante, ma qualche tempo fa ho sentito una
sua conferenza, che mi convinse abbastanza. Mi parve solo - ricordo -
che non tenesse conto a sufficienza di due grosse variabili: la crescita
demografica e l'innovazione tecnologica, le quali (se ne erano accorti
invece quelli del Club di Roma una trentina d'anni fa) possono cambiare
tutti gli scenari. Ad ogni modo leggerò il libro, può darsi che lì sia
diverso.
Vorrei segnalare intanto, perché toccano proprio la questione della
“decrescita” - chiamiamola così - gli interventi di Serge Latouche, a
partire dalle famose “otto r”: (rivalutare, ridefinire, ristrutturare,
rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare), p. es.:


http://eddyburg.it/article/articleview/5481/0/129/

http://eddyburg.it/index.php/article/articleview/2450/0/129/

e altri ancora, reperibili nello stesso sito www.eddyburg.it e altrove.
Su eddyburg si trova anche molto materiale su temi specifici legati al
consumo, come quello degli ipermercati e delle loro ricadute (sociali,
urbanistiche, ecc.). Sempre su eddyburg, da qualche mese, è in corso una
discussione, da parte specialmente di Carla Ravaioli, sugli sbocchi
politici da dare a questi temi. 
Vorrei segnalare infine, anche perché scritto a commento di un libro
della Ravaioli, un articolo di Paolo Sylos Labini del 2003:
 
http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=TUTTEIDEEnovtre&TOPIC_TIPO=&TO
PIC_ID=28678

che mi pare interessante, fra l’altro, perché si vede come già da alcuni
anni il tema sia maturo. Sylos Labini (scomparso da pochissimo, come
sapete) era un economista della vecchia generazione, non certo un new
global: a riprova del fatto che il ritardo su queste questioni, enorme,
è dei politici, non degli studiosi . Anche per lui “la via d'uscita sta
in una riduzione delle ore lavorate, un processo che va avanti da almeno
un secolo e mezzo, ma che occorre gestire con intelligenza e gradualità
per evitare effetti opposti a quelli desiderati. Alla crescita zero del
Pil può accompagnarsi l'aumento degli investimenti volti a ridurre
progressivamente l'inquinamento e la crescita di attività culturali, che
non incidono sulla produttività; né, preservato l'ambiente, sorgono
problemi se il di più di reddito serve ad aiutare i paesi arretrati”.
Sono questioni complicate, lo so, e c’è il rischio di impantanarsi in
discussioni soltanto ideologiche. L’importante è, comunque, tirarne
fuori alcune linee guida operative, chiare e condivise, e cercare di dar
loro evidenza, al di là del nostro privato.
Spero che Nicoletta riesca a far pubblicare in rete, in tutto o in
parte, il libro di Pallante, e magari ne riparliamo. 
Scusate se forse ho citato troppa roba tutta insieme,
Peppe

Nicoletta Landi ha scritto:

Ciao a tutti.
Ho appena finito di leggere il libro "La decrescita felice" di Maurizio
Pallante. Qualcuno di voi l'ha letto?

Mi piacerebbe riassumerne alcuni punti essenziali riportandoli nell'area
consumocritico e ragionarci un po' insieme. Maurizio ci dai il permesso
editoriale?

E' un libro piccolo ma agile, rapido, in 125 pagine copre molto sulla
decrescita, molte domande, qualche risposta veramente simpatica e nuova
che mi ha lasciato un buon sapore in bocca.

Dopo il consumo critico, i piedi non possono che muoversi sulle pietre
successive, della sobrieta' e dell'autoproduzione.
Pertanto questi libri sono pietre miliari di una scuola di pensiero a
mio parere, che non si limita piu' a Francesco Gesualdi ma che si
allarga, come cerchi nel lago.

Eppure ho dei pero'.

Ho i miei pero', le mie domande, i miei: "non mi torna".

Cosi', in attesa che molti di voi leggiate il libro, e che Maurizio ci
dia il permesso di pubblicarne qualche riga, parto in quarta con qualche
domandina su degli assiomi che mi sono noti ma che per me sono tutti da
dimostrare.

1) Se comprassimo meno, e avessimo meno desideri consumistici, non
avremo bisogno di lavorare cosi' tanto, ma invece potremo stare a casa
con figli e genitori, riscoprire le arti manuali, dedicarci ai
sentimenti invece che alla produzione/consumo di merci.
Si potrebbe fare un lavoro parttime e compensare con altre forme di
lavoro, il tempo speso in ufficio, schiavi di un capo che potrebbe
rivelarsi tiranno.

2) Stando piu' in casa avremo tempo per prenderci cura dei nostri cari,
senza affidargli a mani estranee pagate per questo, bambini e anziani,.
Le donne non avrebbero piu' bisogno di lavorare anch'esse come
produttrici di merci, ma potrebbero suddividersi con il marito un lavoro
a mezzo tempo.

3) Comprando direttamente dal produttore, saltiamo i passaggi intermedi,
e mangiamo meglio, con prezzi molto inferiori.
***********

Che ne pensate? Li ho riassunti un po' sbrigativamente ma credo di
essere stata oggettiva.

Be', questi i miei commenti, un po' perplessi.

1) Lavorare parttime (all'interno di una societa' fulltime) e' un
miraggio. Non solo non e' praticabile nella maggior parte dei lavori, ma
sempre piu' amici e conoscenti sono costretti a lavorare ben oltre le 40
ore.
Veramente si lavora tanto  per soldi, per avere piu' soldi per comprare
merci e per mettersi in coda in autostrada?
Nella mia esperienza no. Per nulla.

Siamo al limite della competizione, praticamente schiacciati su tutti i 
fronti dal costo del lavoro oltre frontiera.

Ma oltre a cio', perche' per avere un lavoro che dia soddisfazione 
bisogna dimostrare il proprio talento e bisogna portare a termine i 
progetti in tempo e con onore. Perche' mentre tu sei in parttime c'e' 
chi lavora il triplo di te e, se anche ti e' possibile ottenere un 
parttime, finisci nella cerchia di quelli che in ufficio non valgono un 
tubo. Perche' se lavori non solo per portare a casa uno stipendio ma 
perche' vuoi lavorare con cura, il parttime non e' una soluzione ma una 
frustrazione.

2) Le donne hanno cominciato a lavorare per essere produttrici e
consumatrici di merci?
Mah, secondo me le donne hanno cominciato a lavorare per essere
indipendenti. Per avere il diritto di dire: "grazie, mi sono rotta le
scatole di te, grazie caro, ciao". Per sentirsi utili, come produttrici
di denaro e quindi di potere. Non ho taboo a parlare di questo. Nei
momenti della mia vita in cui ho avuto meno denaro a disposizione ho
sentito la fitta della dipendenza, della debolezza e della fragilita'.
E infine, le donne hanno cominciato a lavorare per avere voce, una voce
che uscisse dal voto elettorale e dalla casa. Una voce nelle aree dove
le decisioni vengono prese.

3) Saltare le intermediazioni costa meno? Questo l'ho sentito dire tante

volte. Ma purtroppo io non ci sono ancora riuscita. Ne' quando compravo 
al GAS, ne' ora che uso un mercato dei produttori locali.

Anche se persevero, ogni volta che mi avvicino al
mercato dei produttori locali, so gia' che spendero' .. e tanto. Ogni 
volta che mio babbo va direttamente dal formaggiaio o dalla contadina, 
torna a casa incavolato chiedendosi perche' le cose costino cosi' tanto.
Questo non significa che demordiamo. Ma purtroppo c'e' piu' di un motivo

per cui i beni al supermercato costano cosi' poco, e la via 
dell'acquisto dal produttore ha un significato preciso e non e' quello 
del risparmio.

*************
So bene che e' facile criticare e difficile proporre.

Percio' onore a chi come Maurizio ha l'ardire di proporre.
La lettura del suo libro mi ha ridato energia e idee.

Continuiamo a farci domande, e via via le risposte migliori verranno a
galla, come ravioli nella pentola :)

un saluto affettuoso

nicoletta

ps per quanto riguarda il progetto "stili di vita" grazie a tutti. con
francesco stiamo preparando un progetto, basato sulle vostre risposte,
che arrivera' presto in lista.


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