da cartamondo vi parliamo del mango del senegal delle piante officinali coltivate dalle donne dell'india e dei disatri della banca mondiale



Senegal. Il mango e l'altra globalizzazione

Se compri quel mango, fai un dispetto ai bana bana. E perché mai dovremmo
dare un dispiacere a gente con un nomignolo dal suono tanto grazioso?
Semplice, perché, al di là della comprensibile poca consuetudine delle
nostre orecchie, quel "bana bana" indica gli intermediari che stabiliscono
il prezzo e taglieggiano i frutticoltori della Casamance, la regione più
bella e martoriata del Senegal. Proprio per sfuggire allo sfruttamento dei
"bana bana", i 124 piccoli produttori dell'Associazione dell'Arrondissement
di Diuloulou [Apad] affrontano oggi un lungo e pericoloso viaggio di due
giorni. Varcano due volte i confini del Gambia per raggiungere infine l'
aeroporto di Dakar, da dove i manghi vengono spediti in Italia, dove,
proprio in questi giorni di fine luglio, cominciano a essere distribuiti da
Unicoop di Firenze. Questo avventuroso percorso, favorito da un progetto di
cooperazione agricola del Cospe [la Ong che collabora con Apad dal lontano
1988], ha un'importanza davvero rilevante per i consumi dei prodotti che
rispettano il lavoro del Sud del mondo. In primo luogo perché in questo modo
arrivano in Italia i primi manghi certificati da Fairtrade Transfair, e poi
perché Apad è la prima associazione senegalese del commercio equo che
diventa anche esportatore. Se a tutto questo si aggiunge che la splendida e
verde Casamance è da oltre vent'anni un vero e proprio campo di battaglia
[ricoperto di mine antiuomo] tra i governi repressivi di Dakar e la
guerriglia indipendentista, ecco che quel dispetto ai bana bana e,
soprattutto, quel sostegno alle famiglie che vivono solo di quel che
producono i loro piccoli frutteti, assume un valore straordinario e
concreto. Naturalmente, il presupposto di questo discorso è che il mango,
quando arriva alla giusta maturazione, è un frutto profumato e davvero
delizioso.
Fonte: Transfair Italia


Banca mondiale. Sessant'anni di fallimenti

Dal Regno Unito agli Stati uniti, dall'Indonesia alla Bolivia, in tutto il
mondo il 22 luglio si sono tenute manifestazioni di protesta contro la Banca
mondiale [Bm] nel giorno del suo sessantesimo compleanno. Dopo sei decenni
di politiche fallimentari, prestiti inopportuni ed investimenti in dubbi
progetti di sviluppo, i movimenti del pianeta chiedono che l'istituzione
finanziaria inverta subito questa tendenza nefasta ed accolga le
raccomandazioni contenute nel rapporto della Revisione sul settore
estrattivo [Eir]. Il rapporto, accolto con grande favore dalla società
civile internazionale, chiede che la Bm tagli i finanziamenti per
l'estrazione e lo sfruttamento dei combustibili fossili. Quest'anno l'
anniversario della nascita della Banca mondiale è caduto a pochi giorni
dalla decisione definitiva sull'attuazione, da parte dell'istituzione
guidata dal presidente Wolfensohn, delle raccomandazioni contenute nella
Revisione sul settore estrattivo. Ma non c'è ottimismo al riguardo. Il
Consiglio dei direttori della Bm potrebbe non accettare l'invito ad
abbandonare petrolio e carbone e le innovative proposte sui diritti umani e
sull'ambiente contenute nel rapporto, confermando il parere [negativo]
espresso già nelle scorse settimane. Dall'Italia, padre Alex Zanotelli ha
chiesto, in una lettera indirizzata al presidente della Bm ed al direttore
italiano, di accettare le richieste di milioni di poveri in tutto il mondo.
I paesi ricchi e donatori della
Bm, come l'Italia, devono invertire la rotta di 360 gradi, scrive ancora
Zanotelli, e iniziare a premiare quei paesi che rispettano i diritti umani e
l'ambiente - condizioni essenziali per una vera lotta alla povertà - e non
coloro che chiedono garanzie finanziarie per coprire i rischi con soldi
pubblici.
Fonte: Luca Manes, Campagna per la riforma della Banca mondiale





India. La farmacia delle donne

Sunderban, un arcipelago di 158 isolette situate nel delta del Gange, nella
regione del Bengala occidentale, è un parco nazionale e un paradiso di
biodiversità. Ma per gli oltre 4 milioni di persone che la abitano, vivere è
tutt'altro che facile. La sola via di comunicazione, fra le isole e con la
terraferma, sono i fatiscenti barconi che effettuano il servizio solo con l'
altra marea e a volte si ribaltano per eccesso di carico. L'elettricità
raggiunge solo pochi villaggi e il servizio sanitario di base è scarso,
quando non del tutto assente. A farne le spese sono soprattutto le donne,
che difficilmente riescono a ricevere assistenza durante la gravidanza e il
parto. Per questo Endev, una Ong con sede a Kolkata, ha deciso di rivolgersi
proprio alle donne delle isole Sunderban per avviare un progetto che mira a
colmare le lacune sanitarie nell'arcipelago. In un'indagine realizzata un
anno fa in cinque villaggi, Endev aveva rilevato che, nonostante la presenza
di un ambulatorio pubblico, i medicinali e gli strumenti, come pure l'unico
medico, erano largamente insufficienti a coprire i bisogni delle pazienti,
che preferivano dunque affidarsi a improbabili cure tradizionali. Gran parte
delle malattie più comuni sulle isole non richiedevano interventi chirurgici
o stretta osservazione medica. Endev ha perciò riunito una quindicina di
donne di 5 isole diverse per attivare la coltivazione di erbe terapeutiche.
Le donne hanno imparato così a coltivare 50 piante medicinali e, nel terreno
messo a disposizione dal concilio dei villaggi, sono nati un centro
didattico sulle piante officinali e una piccola biblioteca. L'iniziativa ha
avuto successo ed è in crescita: le visite al vivaio sono sempre più
frequenti, le donne che lavorano al progetto sono diventate 70, e altri
villaggi hanno chiesto di attivare dei vivai. I semi delle piantine vengono
venduti a una rupia a sacchetto alle famiglie che ne fanno richiesta,
cosicché la "farmacia" è sempre aperta davanti casa. [A.M.]

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