l'altro aspetto della Parmalat



PARMALAT
«Non ci sono solo i creditori»
Per i sindacati al centro vanno messi i lavoratori
GIOVANNA FERRARA
Dopo l'autorizzazione ministeriale al Piano Bondi, la vicenda Parmalat non
si avvia a una facile conclusione. Oltre al non ancora intervenuto «placet»
dei creditori, restano, infatti, nel pettine sindacale nodi rilevanti.
Durante il coordinamento delle Rsu del gruppo di Collecchio, svoltosi lunedì
a Roma, il problema occupazionale ha reso i commenti tutt'altro che
euforici. Dall'assemblea, difatti, è venuto fuori un aut aut al governo: o
le risposte ai quesiti delle parti sociali sono repentine o si «avvierà un
piano di mobilitazione in accordo con le segreterie nazionali». Sul tavolo
le prospettive sono queste: gli occupati diminuiranno quasi della metà - 17
mila invece di 32 mila. I siti produttivi si ridurranno da 132 a 81, i
marchi da 130 a 30. La Parmalat sarà presente all'estero solo in 12 paesi
rispetto ai 32 precedenti. Le produzioni da forno non rientreranno nel core
business: incerta, pertanto, la sorte di due stabilimenti del nord e di due
stabilimenti del sud. Poche certezze anche per la Emmegi di Termini Imerese
(tra fissi e stagionali gravitano attorno al polo siciliano 150 lavoratori),
rispetto alla quale i sindacati hanno denunciato anche l'indifferenza della
Regione Sicilia.

Con il commissario straordinario Enrico Bondi le parti sociali chiaramente
condividono le finalità del piano di ristrutturazione, cioè salvataggio e
rilancio dell'azienda. Ma sul modo in cui riempire queste griglie
larghissime d'intenti il consenso ha ceduto invece il passo a più di una
perplessità. Ai ministri competenti, infatti, è stata chiesta «una svolta
nella gestione del confronto sindacale», anche perché i rappresentanti dei
lavoratori ritengono che l'ottica privilegiata, nella lettura di questa
vicenda, sia stata soprattutto quella dei creditori e non quella dei
lavoratori. La parola d'ordine emersa dall'assemblea è stata, infatti,
«protezione sociale».

Per i siti dislocati all'estero si chiede che il gruppo organizzi una serie
di incontri mirati, nei quali coinvolgere i sindacati dei diversi paesi (ad
esempio, la Parmalat Brasile occupa 6.500 persone in 8 stabilimenti). In
Italia le parti sociali chiedono che al centro sia messa la questione del
mantenimento degli occupati.

«Rispetto a questi problemi - sostiene Antonio Mattioli, segretario della
Flai Cgil di Parma - il governo è stato fin dall'inizio latitante. Per tutti
gli stabilimenti che non rientrano nel core business, vogliamo che si
attuino delle cessioni guidate. La proposta di conferire ai creditori delle
quote di capitale sociale potrebbe, infatti, portare alla creazione di un
azionariato diffuso, interessato a vendere per incassare subito degli utili
senza interessarsi del destino dei lavoratori».

Improrogabile è, secondo Mattioli, sia la convocazione di un tavolo
ministeriale permanente di confronto sia la costituzione di un comitato di
controllo che «prevenga traumi da cessioni senza garanzie».

dal manifesto 28 07 04
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