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[WWW][MAN] La società civile oltre la guerra della Nato



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21 Settembre 1999     


KOSOVO/ITALIA
La società civile oltre la guerra della Nato
GIULIO MARCON (Presidente dell'Ics) 

L'incontro della società civile per la pace nei Balcani che si apre oggi ad
Ancona (21-22 settembre) è un'occasione per fare un bilancio della stagione
di guerra che si è appena conclusa e per aprire una riflessione - a partire
dalla società civile - sulle prospettive del dopoguerra: l'integrazione, la
ricostruzione, la cooperazione euro-balcanica.

In molti hanno fretta di archiviare. Ma, anche se si volesse non sarebbe
possibile. Le contraddizioni sul tappeto dopo la fine della guerra in Kosovo
stanno a testimoniare che rimangono ancora molti nodi aperti: tra quelli più
concreti il non completato disarmo reale dell'Uck. Più in generale questi
riguardano la stabilità regionale dell'area: tra tutti le conseguenze della
posssibile disgregazione della Repubblica Federale Jugoslavia per via della
eventuale secessione definitiva delle sue parti (tra poco il Montenegro e
più in là, a tutti gli effetti, il Kosovo) e di una non improbabile guerra
civile interna, le tensioni interetniche sempre più emergenti in Macedonia,
la situazione di stallo nazionalista in Bosnia Erzegovina.

Di fronte a questa instabilità - impropriamente definita da molti come
situazione di pace - la strategia della comunità internazionale si è
concentrata finora su tre livelli: l'istituzione di protettorati o
semiprotettorati - è questa la realtà di Kosovo, Bosnia, di fatto anche
della Macedonia - la presenza militare massiccia della Nato (i cui soldati
sono oggi presenti in Kosovo, Bosnia, Macedonia, Albania) e l'uso della leva
economica che, più che far crescere democraticamente le società dei Balcani,
ha tenuto buone le leadership nazionaliste e fatto fare un po' di buoni
affari alle imprese occidentali. Per ora è una strategia più di contenimento
e di rinvio, piuttosto che di integrazione, sviluppo democratico e lotta
antinazionalista.

Quando, riguardo al patto di stabilità (di cui c'è stata la prima riunione
il 31 luglio a Sarajevo), si evoca il Piano Marshall si prende un abbaglio:
quest'ultimo almeno aveva due buoni scopi, la codecisione degli investimenti
e dei piani con i governi nazionali e l'avvio di un processo di integrazione
europea. Niente di tutto questo pare si prefiguri nei Balcani, se non alle
calende greche. Lo stesso si può dire di quelle proposte e idee che
emergeranno alla conferenza di Ancona - la cooperazione orizzontale tra
comunità locali, l'investimento nelle risorse umane, il sostegno alle
politiche sociali - che disegnano un piano civile e sociale della
ricostruzione, condizione di democrazia e di riconciliazione, piano che
manca per ora del tutto nei programmi delle istituzioni finanziarie
internazionali e dei governi europei. Si vuole investire veramente - come si
dice a parole - nella formazione democratica ed europea delle nuove
generazioni? Si inauguri un programma Erasmus sui Balcani: 50.000 borse di
studio per tre anni (costo 600 miliardi da dividere tra tutti i paesi
europei) ai giovani di tutti i paesi dei Balcani. Cosa lo impedirebbe: i
soldi o le barriere di Schengen? In questo caso, allora, il discorso
sull'integrazione sarebbe una presa in giro: di facciata e retorico.

L'appuntamento di Ancona si svolge nell'ambito della III Assemblea dei
popoli delle Nazioni Unite. Il 26 settembre marceremo da Perugia ad Assisi
per chiedere di cambiare l'Onu e per rivendicare un ruolo della società
civile globale. L'Onu nei Balcani, ormai assente dalla conduzione
dell'iniziativa politica, si è ridotta a mero gestore delle amministrazioni
civili in Kosovo e in Bosnia: il multilateralismo da questa incarnato è
stato soppiantatato da una visione delle relazioni internazionali imperniata
sull'unipolarismo e l'egemonia della Nato.

Bisognerebbe invece rilanciare l'approccio globale e multilaterale, che
avrebbe nell'Onu la sua concreta incarnazione, rispetto alla costruzione di
quella sicurezza comune ed europea evocata tempo fa da Brandt e Palme e
purtroppo archiviata, la assenza del quale -nei Balcani- ha generato guerre
e conflitti. Per essere credibile la politica europea dovrebbe evitare le
caricature dei suoi princìpi scambiando l'integrazione con delle relazioni
subordinate e condizionate ai vari criteri, la cooperazione con
l'inondazione di aiuti che beneficiano elitè corrotte e imprese occidentali,
la sicurezza con il controllo militare. In tutto questo l'Europa non ha
ancora fatto i conti con sè stessa e trattando i Balcani come altro da sè,
non potrà far altro che rischiare di farsi balcanizzare nelle sue politiche,
nei suoi principi, nei suoi rapporti interni, illudendosi della potenza
unificante del mercato e dell'economia. Non si butti alle ortiche
l'occasione della ricostruzione e la cooperazione dei Balcani; questa può
essere un banco di prova per cambiare pagina. Un nuovo fallimento farebbe di
nuovo riemergere i conflitti in tutta l'area, con conseguenze addirittura
peggiori di quelle viste fino ad oggi: una prospettiva da evitare.


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