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La Telekom serba, Dini e la CIA - da Il Manifesto
Rassegna stampa da Il Manifesto
Date sent: Sun, 11 Mar 2001 00:13:23 +0200
From: CN La Jugoslavia Vivra' <jugocoord@libero.it>
Subject: La Telekom serba, Dini e la CIA [JUGOINFO]
"Il Manifesto" 01 Marzo 2001
Dini accusa "i manovali della Cia"
"Manovali della Cia". E' un atto di accusa senza precedenti
quello del ministro degli esteri Lamberto Dini. Un atto di accusa
che non solo colpisce i giornalisti di Repubblica Carlo Bonini e
Giuseppe D'Avanzo, che hanno realizzato l'inchiesta sull'affare
Telecom-Serbia. Al di là delle pesanti insinuazioni sul lavoro
giornalistico, le parole di Dini sono infatti una denuncia
dell'ingerenza della Cia nella politica italiana e della
prepotenza degli Stati uniti nell'ambito dell'Alleanza atlantica.
"L'inchiesta non è il lavoro di immaginazione di due giornalisti
che hanno ricevuto i pezzi di carta da qualche parte", dice Dini
alla commissione esteri del senato.
Pronta la replica del quotidiano, che ha dato mandato ai suoi
legali di intraprendere un'azione nei confronti del ministro.
Tuttavia l'intervento di Dini ha come obiettivo gli Stati uniti,
prima ancora di Repubblica. Secondo il titolare della Farnesina
c'è infatti un legame tra i veleni sull'affare Telecom-Serbia e
la politica italiana nei Balcani che, dice, "non è mai stata
apprezzata dai manovali della Cia, che operavano a Roma facendo
propaganda contro il mio ministero. Ebbi a lamentarmene con
Madaleine Albright che negò, ma sappiamo che era così".
Precedentemente, rispondendo alle interrogazioni alla camera,
Dini aveva smentito l'intenzione di aiutare economicamente il
regime di Milosevic e il coinvolgimento della Farnesina della
transazione. Dalle insinuazioni di Dini sulla Cia affiora però un
retroscena di scontro tra interessi economici e geo-politici
nella ricostruzione dell'area dei Balcani.
"Il Manifesto" 01 Marzo 2001
L'ira di Lambertow
Il ministro degli esteri accusa: l'inchiesta su Telecom-Serbia è
manovrata dalla Cia
- COSIMO ROSSI
"Manovali della Cia" che operano contro l'azione diplomatica del
governo itliano. Giornalisti di Repubblica che in sostanza si
prestano a far loro da megafoni. Più che una risposta è una
requisitoria quella pronunciata dal ministro degli esteri
Lamberto Dini nel corso dell'audizione in commissione esteri del
senato sull'affare Telecom-Serbia e sui rapporti con gli Stati
uniti. Una requisitoria che chiama in causa tre ordini di
questioni: le insinuazioni sull'inchiesta pilotata, i rapporti
con gli Usa, l'affare Telecom nel quadro degli interessi nei
Balcani. Il ministro accusa esplicitamente l'inchiesta di Carlo
Bonini e Giuseppe D'Avanzo: "Le ragioni non le conosciamo - dice -
Certo non è il lavoro di immaginazione di due giornalisti che
hanno ricevuto i pezzi di carta da qualche parte, perché nessun
giornalista può pensare di ricostruire una vicenda così
complessa".
Pronta la replica del quotidiano diretto da Ezio Mauro e dei due
cronisti, che hanno "dato incarico ai legali di avviare nei
confronti del ministro le opportune azioni legali".
Ma il quadro in cui Dini colloca le presunte rivelazioni a
Repubblica è
più complicato. "Probabilmente - riflette il ministro - questa
inchiesta è nata in opposizione alla nostra politica nei Balcani,
che non era apprezzata dai manovali della Cia che operano a Roma
e di cui abbiamo i nomi". Un avvertimento, dunque: per dire che
la Farnesina ha ancora frecce al suo arco. E suffragato da un
precedente, dato che Dini ricorda: "Ebbi a lamentarmene con il
segretario di stato americano (Madaleine Albright, ndr.) che
negò, ma noi sappiamo che era così". Questo per rivendicare che
"non si può difendere l'interesse nazionale accogliendo sempre le
posizioni di un altro paese, anche se è il più grande: siamo
amici e con gli amici discutiamo".
Parole che piacciono al presidente della commissione esteri
Giangiacomo Migone (Ds), secondo cui "il rapporto di lealtà in
un'alleanza non comporta che si debba essere sempre d'accordo,
comporta invece delle rivendicazioni, ad esempio sul metodo della
collegialità delle decisioni politiche o della scelta degli
obiettivi".
Venendo così all'affare Telecom-Serbia e alle rivelazioni
connesse, le sfaccettature della vicenda si moltiplicano. E con
esse gli interrogativi. Che riguardano in sostanza due aspetti:
quello economico e quello politico. Le parole pronunciate da Dini
al senato sono infatti un salto di qualità rispetto a quanto
affermato dallo stesso ministro in mattinata alla camera.
Rispondendo alle interrogazioni, Dini aveva in primo luogo
smentito che dietro l'affare ci fosse l'intenzione di fornire
"una boccata di ossigeno al regime di Milosevic". Il ministro
aveva però fatto capire che la Farnesina non era all'oscuro,
benché non seguisse "direttamente" la transazione. Nei corridoi
parlamentari c'è intanto chi osserva come alla Farnesina non ci
fosse solo il ministro in persona che può aver avuto una parte in
commedia nella transazione. Comunque, concludeva Dini alla
camera, "ben venga l'inchiesta della magistratura". E così sarà,
dato che sia la procura di Torino che quella di Belgrado hanno
aperto un fascicolo. Ma se le eventuali illegalità riguardano
comunque la magistratura, le allusioni di Dini sulla Cia aiutano
invece a rivelare il possibile scenario politico in cui si
collocano l'affare Telecom-Serbia e i veleni che esala.
La premessa accertata è che gli Stati uniti vedevano come il
fumo negli occhi la politica italiana nei Balcani. E con questo,
nota un esperto di casa ds, "si sfata anche un'idea caricaturale
del ruolo dell'Italia nel conflitto. C'erano due poli, quello
della partecipazione e quello del rientro al più presto nella
legalità attraverso il G8 e il coinvolgimento della Russia".
Tradotto: c'erano l'ansia di accreditamento presso la Nato di
D'Alema e la diplomazia ostinata di Dini.
Tutti, comunque, si sentono di escludere l'ipotesi che gli
eventuali veleni sparsi sul caso Telecom-Serbia siano una
vendetta postuma degli Stati uniti nei confronti di Dini o
dell'Italia. Chi ha praticato le sedi diplomatiche indica
piuttosto gli "interessi commerciali".
L'affare Telecom, riflette chi ha ascoltato Dini ieri,
"rientrava anche in una politica di condizionamento democratico
di Milosevic". Del resto, ricordava lo stesso Dini alla camera,
anche la francese Alcatel e la tedesca Siemens erano in lizza.
L'Italia però è entrata nei Balcani con tutti e due i piedi:
Telecom, come Fiat e tanti altri.
Ma adesso la grande torta da affettare nei Balcani è quella
della ricostruzione: un affare da migliaia di miliardi. Una
partita dove da un lato c'è l'Europa che lavora per
l'allargamento dell'Unione e la penetrazione commerciale,
dall'altro ci sono le mire statunitensi sul classico business
della ricostruzione. Un partita in cui gli aerei Nato hanno già
fatto la loro parte, dato che - come ricorda Ramon Mantovani del
Prc - "avevano come obiettivo prioritario il sistema di
telecomunicazioni" (e chissà che anche per questo l'Italia non
gradisse il metodo tutto statunitense di selezione degli
obiettivi). Che dunque in questo quadro ci sia un'ostilità nei
confronti dell'Italia al limite del tentativo di delegittimazione
non è da escludere. Tanto più che, come osserva un fonte
informata sulle prassi di oltreoceano, "non è che un agente della
Cia avverte Collin Powell prima di passare informazioni, gli
agenti rispondono a tanti poteri".
"Il Manifesto" 01 Marzo 2001
Telekom serba, terra di conquista
C'è una drammatica vicenda industriale dietro l'investimento
italiano e greco nella telefonia di Belgrado
- GUGLIELMO RAGOZZINO
La controversia sulla Telekom di Serbia e sull'acquisto di una
importante partecipazione da parte della Telecom Italia è
precipitata in una contesa politica, come spesso avviene in
Italia, dai tempi gloriosi di Antelope Cobbler. I protagonisti
sono i soliti: ministri, servizi segreti, tangentisti, malavita.
La discussione alla camera dei deputati non è servita a offrire
altri elementi di qualche valore. Le ricostruzioni di Repubblica
negli articoli di Carlo Bonini e Giuseppe D'Avanzo, a metà
febbraio, hanno fatto testo e sono stati ripresi e citati nel
corso della discussione alla Camera dai deputati
dell'opposizione, che però hanno rimandato ogni tentativo di
conoscenza dei fatti a una futura Commissione d'inchiesta.
Commissione che dovrebbere vertere su di un punto unico: chi ha
preso tangenti e tangentine che hanno accompagnato il pagamento
principale alla Telekom serba?
Invece di prendere atto di una tale scarsa capacità di analisi,
e provare a correggerla, il ministro degli esteri Lamberto Dini
se l'è presa molto, al punto di attribuire alla Cia l'insieme
delle rivelazioni dell'inchiesta, ottenendo l'insolito risultato
di regalare all'inchiesta giornalistica la patente di
verosimiglianza e all'opposizione l'opportunità di qualche
fastidioso autocompiacimento. In questo ingorgo politico
spionistico diplomatico finirà probabilmente travolta la
questione vera: l'investimento di Telecom Italia e di Ote greca
in Serbia. E si tratta di una questione quasi irrilevante per i
livelli di attenzione italiani, di una questione mediocre per
quelli dell'economia greca, ma di una questione centrale per
Belgrado.
Nel corso degli ultimi cinque anni Telecom Italia ha cambiato di
nome, da Stet che era, si è fusa con se stessa, si è divisa dai
telefonini, ha venduto le pagine gialle per poi ricomprarle, ha
cambiato quattro volte gruppo dirigente, (Tommasi-Rossignolo-
Bernabè-Colaninno) ha quadruplicato di valore, è stata
privatizzata, ha dato forma a un nucleo duro di cariatidi
bancarie e finanziarie e infine è stata giustamente scalata da
uno ben deciso. Mentre cadeva il monopolio di fatto e anche
quello naturale, Telecom Italia cercava entrate laterali in
settori contigui e scorrerie all'estero; esattamente come gli
altri operatori in tutta Europa. Accordi, fusioni, impegni in
ogni paese dove è possibile arrivare e corsa coloniale verso i
paesi meno dotati di attrezzature telefoniche, come l'America
latina o l'Africa o l'Europa dell'est. E così in Argentina
Telecom Italia e Telefonica spagnola si sono spartite il paese in
due (e la città di Buenos Aires) assicurandosi metà rete.
In piccolo il caso della Ote compagnia pubblica greca dei
telefoni è assai simile e tenta di sfuggire all'assedio da parte
delle Telecom maggiori allargando l'attività in Romania o appunto
in Serbia. La Serbia nella prima metà degli anni novanta ha
deciso a sua volta di privatizzare; ma se vi erano in Italia e
probabilmente in Grecia molti strati sociali e politici che
contrastavano e contrastano, per quanto è possibile, questa
deriva, in Serbia le difficoltà per i privatizzatori, capeggiati
da Slobo Milosevich, devono essere state assai più forti, anche
per la tradizione autogestionaria del paese. Un intero partito,
lo Jul, a volte indicato sommariamente come il partito personale
di Mira Markovich, moglie di Milosevich, capo del Partito
socialista serbo, ha in sostanza avuto il compito di
rappresentare gli interessi dei dirigenti delle imprese e delle
attività pubbliche in via di privatizzazione. Al momento di
stabilire chi ha comprato e chi ha venduto, chi avesse la
possibilità di mettere il veto e chi sia stato pagato per non
farlo, occorrerà riflettere su tutto questo.
E tenere conto di una stranezza nel mondo variegato delle
tangenti. Quelle che nella ricostruzione fornita da Repubblica
appaiono come tangenti e subtangenti, sono percentualmente
identiche sul lato greco e su quello italiano dei pagamenti; e
questo farebbe pensare a compensi richiesti da chi vende e non a
quattrini per un intermediario dei compratori pagato due volte.
Ma si può anche pensare che approfittando di un intervallo tra
due periodi di sanzioni e embarghi, presumibilmente breve - e
questo Milosevich lo sapeva più di chiunque altro - i serbi
cercassero di tenere quattrini all'estero per avere fondi per gli
usi pubblici o privati, militari o finanziari; chiunque avesse
l'autorità di farlo. Certo c'è quel mattacchione di Milosevich
che indica "quei mafiosi degli italiani" come i destinatari
finali delle tangenti, ma non è necessario dargli retta. Poi ci
sono i serbi. Gli operai guadagnavano, quando la Telekom era
loro, sui 200 marchi al mese. Pochissimo certo, ma molto di più -
più del doppio - di quanto prendano ora, dopo che la Telekom è
stata modernizzata, venduta agli italiani (29%) e ai greci (20%)
e poi bombardata dagli stessi che l'avevano comprata due anni
prima.
Sì, perché anche questa è una bella storia che potrebbe essere
presa a esempio da chi volesse spiegare la periodica
autodistruzione che il capitale realizza per aumentare il proprio
tasso di profitto. E inoltre da quattro mesi gli stipendi non
sono pagati e così i lavoratori scioperano, con manifestazioni.
Italiani e Greci non sono popolari alla Telekom serba.
"Il Manifesto" 03 Marzo 2001
Telekom Serbia, ancora sciopero?
I lavoratori chiedono aumenti salariali. E temono un "terzo
concorrente"
- TOMMASO DI FRANCESCO
Ultimissime dalla vicenda Telekom-Serbia. I lavoratori
dell'azienda multinazionale che il 24 febbraio scorso avevano
deciso di "congelare" il loro sciopero per dieci giorni,
potrebbero tornare la prossima settimana in lotta, già a partire
da mercoledì prossimo. Se, come promesso dal nuovo governo serbo,
i problemi in questo periodo non saranno risolti. I belgradesi
dunque, forse, li vedranno ancora una volta sfilare e distribuire
volantini. Nella loro piattaforma ufficiale chiedono con forza un
aumento salariale del 100% e la costituzione del nuovo consiglio
d'amministrazione. Il loro salario medio è di circa 5.000 dinari
(più 2.000 dinari per il pranzo) - dunque circa 7.000 dinari al
mese, 230 marchi tedeschi (il tasso di cambio è da novembre
fisso: 1 Dm=30 Dinari). Gli impiegati laureati nell'azienda hanno
il salario di circa 10.000 dinari (più 2.000 per il pranzo) - in
totale circa 400 Dm. I pagamenti - ci dicono i lavoratori che
abbiamo ascoltato - sono abbastanza regolari: metà dello
stipendio il 1 del mese, la seconda metà il 15, ed il pranzo
il 7 di ogni mese.
Naturalmente non ci sono solo questioni salariali (questi salari
sono bassissimi, ma quelli degli altri lavoratori sono da fame).
Dietro la voce salariale non nascondono infatti le
preoccupazioni per la stabilità del posto di lavoro, sia per la
gestione italiana e greca di questa privatizzazione, ma
soprattutto dopo le rivelazioni sull'"affare" politico
internazionale che starebbe dietro la privatizzazione della
telefonia serba (del resto lo stesso sistema "segreto" utilizzato
per tutte le privatizzazioni a Est). Così, a mezza bocca, quelli
che siamo riusciti a sentire direttamente parlano anche del
timore che il governo, attraverso una proposta di legge del
ministro delle telecomunicazioni Boris Tadic, possa chiedere la
costituzione di un nuovo polo di telefonia, il famoso "terzo
concorrente". In buona sostanza il governo, per prendere le
distanze dalla gestione della telefonia nel tempo di Milosevic,
vuole agevolare la presenza di un nuovo interlocutore.
Si parla di interessi tedeschi (che non sia servita anche a
questo la vicenda delle "rivelazioni"?). Del resto le loro
preoccupazioni sulla stabilità del posto di lavoro sono
confermate da troppe voci. A Roma, quando abbiamo incontrato il
nuovo presidente del Parlamento, Dragoliub Micunovic, si è detto
preoccupato che tanto rumore alla fine non spingesse la Telekom a
non mantenere i propri impegni. Il presidente Colaninno non a
caso decide di correre a Belgrado. E che un terzo concorrente
potrebbe insidiare le posizioni della Telekom-Serbia è dato anche
dai voraci appetiti che la telefonia sollecita nei Balcani -
dove, fatto surreale, proprio il livello violento di non-
comunicazione tra individui e popoli ha contribuito alla
devastazione della guerra. Ma gli affari stanno tutti lì: così è
andato per gli interessi tedeschi, della Siemens e della Telekom
internazionale nella telefonia dell'alleata Croazia, così è stato
per i favoreggiamenti espliciti dell'ex Amministratore Onu del
Kosovo, il francese Bernard Kouchner, che ha facilitato, a dir
poco, l'ingresso nella regione martoriata dell'Alcatel, leader
francese della telefonia mobile. Surreale come la considerazione
(del nostro Guglielmo Ragozzino su il manifesto di venerdì 1
marzo) che - come da manuale, nell'intento del capitale di
avviare la propria periodica autodistruzione - è accaduto che i
paesi che avevano investito nella telefonia di Belgrado siano
stati gli stessi che hanno approvato, solo due anni dopo, i
bombardamenti "umanitari" sugli stabilimenti privatizzati (e
sulle case dei
lavoratori).
---
Questa lista e' provvisoriamente curata da componenti
dell'ex Coordinamento Nazionale "La Jugoslavia Vivra'",
oggi "Comitato Promotore dell'Assemblea Antimperialista".
I documenti distribuiti non rispecchiano necessariamente le
opinioni delle realta' che compongono questa struttura, ma
vengono fatti circolare per il loro contenuto informativo al
solo scopo di segnalazione e commento ("for fair use only").
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