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Notizie Est #309 - Serbia/Montenegro



"I Balcani" - http://www.ecn.org/est/balcani

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NOTIZIE EST #309 - SERBIA/MONTENEGRO
4 marzo 2000
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SERBIA: TRA BLOCCHI COMMERCIALI, MILITARI AL 
GOVERNO E MULTINAZIONALI IMPAZIENTI


IL BLOCCO COMMERCIALE CONTRO MONTENEGRO, 
MACEDONIA E REPUBBLICA SERBA DI BOSNIA

Questo decennio, o poco piu', ha visto nei 
Balcani un vero e proprio fiorire di embarghi e 
sanzioni economiche. Il primo embargo della 
serie e' stato quello, nel 1989, applicato dalla 
Serbia contro la Slovenia. Dal 1992 fino al 1995 
e' stato in vigore quello occidentale contro la 
federazione jugoslava, pesantissimo per le 
popolazioni locali e con effetti deleteri in 
tutti i Balcani. Nel 1993 la Grecia ha imposto 
un duro embargo economico nei confronti della 
Macedonia. Nel 1994 la Serbia ha applicato un 
blocco commerciale contro la Repubblica Serba di 
Bosnia. Nel 1999 sono state imposte le sanzioni 
attualmente ancora in vigore contro la 
Jugoslavia (divieto di investimento, sospensione 
delle forniture petrolifere UE e USA, mentre e' 
stato recentemente cancellato l'embargo ai 
voli). Ora, dal 2 febbraio, a questa saga degli 
embarghi si e' aggiunto un altro capitolo, 
apparentemente minore, trattandosi di un blocco 
riguardante (ufficialmente) solo i prodotti 
agricoli e alimentari, ma rilevante perche' 
imposto in un momento di estrema tensione in 
tutti i Balcani, in particolare all'interno 
della federazione jugoslava e del Kosovo, e 
perche' e' un blocco rivolto contro ben tre 
paesi e/o entita': Montenegro, Macedonia, 
Repubblica Serbia di Bosnia. Il blocco e' 
cominciato con il divieto, deciso dal governo 
serbo, di esportare generi alimentari e agricoli 
dalla Serbia al Montenegro. Le frontiere tra le 
due repubbliche federate vengono controllate 
strettamente e viene impedita anche ogni 
esportazione di generi alimentari e agricoli dal 
Montenegro. I corrispondenti di varie testate 
jugoslave o bosniache hanno rilevato che 
comunque sono numerosissimi i camion provenienti 
dal Montenegro con merce non alimentare o 
agricola, come carbone o carta, per esempio, che 
vengono ugualmente respinti all'entrata in 
Serbia. Secondo "Danas", addirittura verrebbero 
lasciati passare solo i camion che trasportano 
alluminio e ferro. La misura e' stata messa in 
atto di sorpresa, senza alcun comunicato 
ufficiale o preavviso alle autorita' 
montenegrine, serbo-bosniache e macedoni. Queste 
ultime in particolare hanno protestato 
energicamente, poiche' tra Skopje e Belgrado 
esiste un trattato di libero scambio che e' 
stato cosi' violato. Il settimanale serbo-
bosniaco "Reporter" ha raccolto i commenti 
dell'economista serbo Mladan Dinkic (del G-17), 
secondo cui il blocco e' anticostituzionale, 
perche' gli scambi commerciali tra le due 
repubbliche sono di competenza della 
federazione, e non del governo serbo che ha 
deciso la misura. Dinkic inoltre osserva che la 
Repubblica Serba e la Macedonia sono i due 
maggiori mercati per le esportazioni serbe e che 
la mossa, dettata da motivi politici 
contingenti, arrechera' danni a lungo termine 
all'economia della stessa Serbia. Le 
esportazioni della Serbia verso la Repubblica 
Serba di Bosnia l'anno scorso sono state di 303 
milioni di dollari, parti al 20% delle 
esportazioni complessive, mentre quelle verso la 
Macedonia sono ammontate a 175 milioni di 
dollari, pari al 12%. Le importazioni sono state 
rispettivamente di 122 milioni di dollari e di 
187 milioni di dollari. Per Dinkic il motivo 
fondamentale del blocco e' quello di esercitare 
ulteriori pressioni su Podgorica, i cui scambi 
commerciali sono al 70% con la Serbia e che, 
secondo Dinkic, perdera' 40 milioni di dollari 
al mese per il blocco. Il governo della Serbia 
ha gia' stanziato 20 milioni di dollari per 
compensare i danni arrecati all'economia della 
propria repubblica. Uno degli altri motivi di 
questo blocco, sempre secondo Dinkic, sarebbe 
quello di isolare "lo spazio commerciale serbo" 
al fine di cercare di congelare il pericolo 
dell'iperinflazione, che incombe sempre piu' 
sulla Serbia e che era stato rimandato nel tempo 
mediante le centinaia di miliardi "donate" da 
Pechino. Nel caso della Macedonia il blocco 
imposto dalla Serbia riguarda anche tutti i 
prodotti soggetti a tassa sui consumi (prodotti 
petroliferi, alcolici, tabacco ecc., quasi tutte 
importanti voci delle esportazioni macedoni) ed 
e' un blocco che riguarda anche il solo transito 
della merce verso paesi terzi. Il governo di 
Skopje e' riuscito, un mese dopo l'introduzione 
delle misure, ad avere un incontro con Belgrado, 
terminato ieri con la cancellazione del blocco 
contro i prodotti soggetti a tassa sui consumi, 
ma non di quello relativo ai prodotti alimentari 
e agricoli. Il blocco rappresenta invece un 
problema molto minore per la Repubblica Serba di 
Bosnia. Secondo il vice-primo ministro di 
quest'ultima, Kremenovic, la misura adottata nei 
confronti dell'entita' in questo caso e' stata 
decisa evidentemente per evitare che il blocco 
contro il Montenegro venga aggirato tramite il 
transito attraverso la Repubblica Serba di 
Bosnia. Il quotidiano "Danas" osserva che 
all'interno dell'entita' la misura avra' 
ripercussioni solo sulla sua parte orientale, 
dove le merci serbe sono ancora fortemente 
presenti, al contrario di quella occidentale.

(fonti: "Reporter", 23 febbraio 2000; "Danas", 
26-27 febbraio 2000; MILS, 9 febbraio 2000)


L'ESERCITO ENTRA NEL GOVERNO JUGOSLAVO

Il recente omicidio del ministro della difesa 
jugoslavo, Pavle Bulatovic, ha consentito di 
effettuare un cambio della guardia di grande 
peso politico all'interno del governo federale. 
Tale cambio era nell'aria gia' dallo scorso 
autunno, quando il capo di stato maggiore 
Ojdanic e la JUL, il partito cui egli e' piu' 
vicino, avevano rivolto un attacco concentrato 
sul governo di Momir Bulatovic e sul ministro 
della difesa (ucciso poi il 7 febbraio scorso) 
per la loro inefficienza nel gestire l'esercito 
e per la scarsa attenzione verso la JUL. Il 18 
febbraio Ojdanic e' stato nominato ministro 
federale della difesa, in sostituzione 
dell'ucciso Pavle Bulatovic. La Jugoslavia torna 
cosi' ad avere un ministro militare e una 
partecipazione diretta dell'esercito al governo. 
Bulatovic era infatti stato l'unico civile a 
ricoprire l'incarico di ministro della difesa in 
tutta la storia della Jugoslavia (con la 
brevissima eccezione della doppia carica di 
primo ministro e ministro della difesa di Milan 
Panic). A capo di stato maggiore dell'esercito 
e' stato contemporaneamente nominato il generale 
Pavkovic, dal lungo passato militare in Kosovo 
e, dal dicembre del 1998, comandante della Terza 
Armata, che ora e' passata sotto il comando del 
gen. Lazarevic. Questi sviluppi sono stati 
commentati efficacemente dal quotidiano di 
Belgrado "Glas Javnosti" che ha titolato in 
prima pagina: "L'esercito viene politicizzato, 
il governo viene militarizzato". Sia Ojdanic che 
Pavkovic, sui quali tra l'altro pesa 
politicamente l'incriminazione del Tribunale 
dell'Aja per crimini contro l'umanita', dopo la 
guerra hanno regolarmente preso parte a ogni 
campagna politica del regime, con infuocate 
dichiarazioni contro i media e l'opposizione in 
generale. La nomina di Ojdanic, inoltre, viola 
la costituzione, perche' dovrebbe essere 
approvata dal Consiglio Superiore della Difesa, 
del quale di diritto fa parte anche il 
presidente del Montenegro, ma che non viene piu' 
convocato dal presidente federale Milosevic 
dall'ottobre 1998 - si tratta quindi di una 
decisione che pesa ulteriormente sui rapporti 
tra Belgrado e Podgorica. Va segnalato infine 
che secondo quanto scrive l'agenzia AIM il 
precedente capo di stato maggiore, Perisic, 
rimosso nel '98, aveva avuto grossi problemi 
proprio con Ojdanic, per la partecipazione 
frequente di quest'ultimo a riunioni politiche 
della JUL, mentre da parte sua nel 1998 
Pavkovic, allora il piu' alto responsabile 
militare in Kosovo, avrebbe regolarmente 
"sabotato" gli ordini di Perisic, minandone la 
strategia.

LA CARRIERA DI OJDANIC: nato nel 1941, ha 
terminato l'Accademia Militare nel 1964. Dopo 
essere stato comandante di drappello e avere 
insegnato presso la stessa Accademia, e' stato 
inviato in Kosovo, dove ha svolto servizio a 
Djakovica e Prizren. Ha comandato un'unita' del 
Corpo d'armata di Pristina decorata nel 1985. E' 
stato anche segretario della Lega dei Comunisti 
dello stesso Corpo d'armata. Successivamente e' 
stato nominato caposezione presso lo stato 
maggiore dell'esercito e durante la guerra in 
Bosnia nel 92/93 e' stato comandante del Corpo 
d'armata di Uzice (promosso da colonnello a 
generale di brigata nel 1992) e comandante del 
gruppo tattico "Drina", che ha operato in 
territorio bosniaco. Nel 1992 le sue unita' 
hanno occupato Visegrad. Nel 1994 e' diventato 
capo della Prima armata dell'esercito jugoslavo 
(VJ) e vicecapo di stato maggiore. E' stato 
promosso a capo di stato maggiore il 24 novembre 
1998. Nel 1999 e' stato insignito dell'Ordine 
della Liberta' per la resistenza opposta 
all'aggressione della NATO. Parla francese.

LA CARRIERA DI PAVKOVIC: nato nel 1946. Dopo 
avere terminato l'Accademia Militare nel 1970, 
ha svolto servizio in Bosnia, a Bilec, Mostar e 
Banjaluka. Successivamente, nel 1994 e' stato 
trasferito in Kosovo, dove dal 1996 al 1998 ha 
comandato il Corpo d'armata di Pristina. Con 
decreto straordinario del presidente Milosevic, 
e' stato promosso nel 1998 a generale 
vicecolonnello e alla fine del dicembre dello 
stesso anno e' stato nominato comandate della 
Terza armata del VJ. Dopo l'aggressione della 
NATO e' stato promosso a generale colonnello.

(da "Vreme", 19 febbraio 2000; AIM Beograd, 22 
febbraio 2000)


LE MULTINAZIONALI AD ALBRIGHT: "VIA LE SANZIONI 
CONTRO LA SERBIA"

Il numero del 17 febbraio del settimanale serbo 
"NIN" ha pubblicato un interessante articolo di 
Tanja Jakobi sull'appello di varie 
multinazionali statunitensi ed europee per la 
cessazione delle sanzioni contro la Serbia. La 
giornalista comincia osservando che la 
"comunita' internazionale" ha mantenuto un 
approccio contraddittorio nei confronti del 
regime di Belgrado, imponendo sanzioni 
economiche estremamente controproduttive e, 
contemporaneamente, mantenendolo come partner 
chiave in ogni tipo di trattativa, in campo sia 
politico che economico, come conferma il caso, 
piu' lampante, tra tutti, della vendita della 
Telekom serba nel 1997, un'operazione "offerta 
in dono ai socialisti prima delle elezioni". 
Secondo Jakobi, l'opposizione ha ricevuto si' 
sostengo politico e finanziario, ma in realta' 
non e' mai riuscita, mancando della possibilita' 
di contrarre affari di tale entita' con soggetti 
esteri ed essendo, a differenza del regime, 
priva del controllo di interi settori 
dell'economia interna, a presentarsi come quella 
"che possiede il denaro". La cancellazione 
dell'embargo ai voli aerei, scrive la 
giornalista di "NIN", e' la prima occasione in 
cui l'opposizione dimostra di potere far leva 
anche in campo economico. Riguardo allo stesso 
argomento, il settimanale segnala che 
"all'inizio di febbraio, i rappresentanti di 
societa' multinazionali interessate a investire 
nei Balcani hanno inviato una lettera al 
Segretario di stato Madeleine Albright", nella 
quale affermano che le sanzioni favoriscono lo 
sviluppo di attivita' criminali e la corruzione 
e chiedono esplicitamente "la cancellazione 
delle misure punitive contro la Jugoslavia", 
chiedendo invece un rafforzamento delle sanzioni 
personali contro gli esponenti dell'attuale 
regime, che monopolizzano il potere economico e 
politico. I firmatari sono in gran parte membri 
della SECI, l'Iniziativa per la collaborazione 
nell'Europa sudorientale, creata nel 1996 dagli 
USA e caduta nel dimenticatoio per il suo 
insuccesso. Il Patto di Stabilita', che come la 
SECI e' stato paragonato a un Piano Marshall per 
i Balcani e che ha molti punti in comune con 
quest'ultima, sembra per ora seguire la stessa 
traiettoria seguita dalla creatura di 
Washington. I soldi, scrive NIN, infatti non 
arrivano perche' tutti aspettano cambiamenti in 
Serbia e nel frattempo gli investitori, per cui 
la Bosnia si e' rivelata essere un "teatro" 
complicato e che in Kosovo non riescono a 
ottenere grandi affari, perche' le casse 
dell'amministrazione sono per ora vuote, "stanno 
diventando nervosi". Tra i firmatari, come 
scrive Tanja Jakobi, compaiono nomi di 
multinazionali USA di primissimo piano (degli 
"stati nello stato", come le chiama NIN), quali 
la Behtel, una delle maggiori societa' di 
costruzioni del mondo, che ha regolarmente 
realizzato enormi affari con appalti statali 
dopo ogni guerra (dopo quella del Golfo, per 
esempio) e che ha gia' grossi lavori in Croazia, 
o come la Raytheon, la ING Barings, il ramo 
investimenti di uno dei piu' grandi gruppi 
finanziari europei, che ha gia' gestito in 
passato parti del debito jugoslavo. Tra i 
firmatari, secondo il settimanale, vi sono anche 
aziende greche, turche e italiane che secondo 
alcuni "sono tra i principali promotori della 
cancellazione delle sanzioni contro la Serbia". 
Di fronte a questo grande interesse e al primo, 
timidissimo successo dell'opposizione con la 
cancellazione dell'embargo ai voli aerei, il 
regime ha cercato nuovamente di presentare la 
propria immagine di "quello che muove tutti i 
soldi", facendo pubblicare sulle prime pagine di 
tutti i media da esso controllati la notizia 
secondo cui la grande "azienda greca OTE non e' 
interessata solo agli investimenti in Serbia, ma 
anche a prendere parte al rinnovo della Serbia" -
 e l'ultima parte della frase e' anche uno degli 
slogan del recente congresso del Partito 
Socialista di Milosevic...

[CORREZIONE RELATIVA A "NOTIZIE EST" #307, 1 
marzo 2000: nel numero ho erroneamente scritto 
che "la Cina nei mesi scorsi ha concesso un 
credito di 300 miliardi al governo federale 
[jugoslavo]". In realta' il credito concesso 
dalla Cina a Belgrado e' di 300 milioni di 
dollari, pari a circa 600 miliardi di lire, 
cioe' il doppio della cifra erroneamente citata. 
Mi scuso con tutti per l'errore - Andrea 
Ferrario]


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