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A Sud-est di Vienna
- A Sud-est di Vienna -
Gino Sergi - Liberazione, 6 febbraio 2000
La destra filonazista in Austria preoccupa tutti i paesi dei
Balcani, dove dopo la svolta in Croazia ha preso corpo la
speranza di un nuovo periodo di pacificazione e
collaborazione. - nostro servizio Zagabria
La salita al potere della destra filonazista in Austria ha destato
serie preoccupazioni a Lubiana, dove si teme per la posizione
della minoranza slovena in Carinzia. Contemporaneamente c’è
soddisfazione - come del resto in tutta l’Europa - per la svolta
democratica avvenuta in Croazia dopo la morte di Tudjman e la
vittoria delle forze coalizzate del centro sinistra alle elezioni
parlamentari del 3 gennaio. E’ stato bello sentire a Lubiana la
promessa fatta dai nuovi governanti di Zagabria che, in
occasione della riforma della Costituzione, non soltanto
saranno eliminati da essa tutti gli articoli che davano lo
strapotere al capo dello stato, ma sarà ripristinato nel novero
delle minoranze nazionali protette, anche la slovena e quella
musulmana.
Per la Croazia, la Slovenia non è un semplice paese confinante
attraverso il cui territorio i suoi cittadini raggiungono
l’Occidente, Italia ed Austria per cominciare. Per la Slovenia, la
Croazia non è soltanto il paese attraverso il quale passano gli
scambi commerciali e la collaborazione economica in genere
con gli altri Stati dell’ex Jugoslavia; Croazia e Slovenia sono
paesi che per diverse centinaia di anni hanno fatto parte di
un’unica entità statale, l’impero austro-ungarico, e poi della
Jugoslavia, ed i legami storici, religiosi, culturali, economici, e
d’ogni genere non si possono cancellare. Insieme Croazia e
Slovenia realizzarono per prime l’indipendenza (e non stiamo
qui a discutere quell’evento), ma la salita al potere di Tudjman
a Zagabria, oltre a gettare i cittadini croati in un decennio buio
sotto ogni aspetto, avvelenò anche i rapporti con la Slovenia, e
tuttora sono parecchi i problemi rimasti in sospeso fra i due
paesi, a cominciare dal futuro della centrale atomica di Krsko
costruita in territorio sloveno, sul confine, di proprietà di
ambedue i paesi, ma in effetti gestita dalla sola Slovenia, per
finire con il confine incerto nel Golfo di Pirano e nella valle
istriana del fiume Dragogna. I ministri degli esteri, lo sloveno
Dimitrije Rupel e il croato Tonino Pjcula, ambedue di nuova
nomina, telefonandosi qualche giorno addietro per
congratularsi a vicenda (lo sloveno ha parlato in croato, il
croato in sloveno, ma per seconda lingua Pjcula ha l’italiano)
hanno subito concordato di incontrarsi entro la fine di questo
mese per imprimere una svolta nella collaborazione. «Credo
fermamente che i nostri due governi, con la reciproca
collaborazione, offriranno ai popoli croato e sloveno un
autentico futuro europeo», ha detto Pjcula.
Una ventata di libertà
La vittoria delle forze democratiche in Croazia non solo ha
portato una ventata di libertà nel paese, ma sta già sbloccando
le relazioni con tutti i vicini, in primo luogo con gli stati che un
tempo formavano la federazione socialista jugoslava. Non a
caso sono sparite dalla stampa croata le polemiche sui
problemi territoriali con il Montenegro (penisoletta di Prevlaka
affacciata alle Bocche di Cattaro) mentre si parla di
un’intensificazione del movimento delle persone fra i due
paesi, di una liberalizzazione degli scambi commerciali, della
collaborazione nella costruzione della futura superstrada
adriatica-jonica che collegherà Trieste al Pireo passando per
circa 700 chilometri lungo il litorale croato e montenegrino, e di
migliori rapporti anche in altri settori. Con l’abbandono del
potere da parte dell’Hdz, sono scomparsi anche gli attacchi
contro i serbi e la Serbia e pare che si vada verso intese di
collaborazione con quel paese - Nato permettendo -
nell’industria petrolchimica ed elettrica, nel turismo e in alcuni
altri campi.
I nuovi governanti croati hanno preannunciato la liberalizzazione
della politica del rientro dei profughi serbi in Croazia.
Denunciando apertamente la politica di destabilizzazione e,
diciamolo pure, di spartizione della Bosnia-Erzegovina che
Tudjman e il suo movimento nazionalista Hdz progettavano sin
da quando crearono la cosiddetta “Repubblica croata di Erzeg-
Bosnia”, le forze democratiche salite al potere in Croazia dopo
la morte di Tudjman hanno detto chiaro e tondo che
opereranno, come forze di governo, per favorire il rientro dei
profughi dalla ed in Bosnia, dalla ed in Croazia, qualunque sia
la nazionalità delle vittime della pulizia etnica compiuta nella
scorsa guerra. Esse si stanno già adoperando, inoltre, per il
rafforzamento dell’unità politica e territoriale della Bosnia-
Erzegovina, tagliando viveri e finanziamenti ai vertici
supernazionalisti dell’Hdz erzegovesi, alle loro mafie
economico-criminali, e alle loro forze paramilitari.
Nazionalismo indeboliti
Tale posizione non potrà non rafforzare le forze democratiche
bosniaco-erzegovesi e indebolire i nazionalismi sia croato che
musulmano e serbo ancora forti in quel paese. Lo stesso
leader dei musulmani bosniaci, Alija Izetbegovic, in un articolo
scritto per il quotidiano filogovernativo “Dnevni Avaz” di
Sarajevo, si è espresso in termini incoraggianti, dicendo che
bisogna aprire “una nuova pagina nei rapporti” fra i due paesi:
«Migliorare i rapporti con la Croazia non è certamente l’unica,
ma rimane la più importante priorità della Bosnia-Erzegovina»,
eliminando tutti gli ostacoli accumulatisi in questi anni.
Izetbegovic è convinto che la svolta democratica in Croazia
«avvicinerà all’Europa anche la Bosnia-Erzegovina» dove
quasi certamente... funzioneranno meglio gli organi comuni
(croato-musulmani) del potere e si avrà un miglioramento della
situazione nel campo dei diritti umani.
La rivoluzione democratica avviata in Croazia (dove, intanto, un
generale col prurito di congiura è stato cacciato dall’esercito,
un ministro accadizetino è finito in galera lo stesso giorno in cui
ha lasciato il Ministero le cui casse erano state alleggerite di
qualche centinaio di milioni di lire finite in tasche private,
mentre il tycoon croato più ricco del paese, ex amico di
Tudjman, è finito pure dietro le sbarre per aver succhiato fiumi
di denaro da aziende pubbliche) avrà certamente dei riflessi
nelle altre regioni della Jugoslavia, cominciando dalla Bosnia.
C’è speranza anche per la Serbia, se però l’opposizione
democratica di quel paese riuscisse a compiere il piccolo
miracolo realizzato dai sei partiti croati del centrosinistra
coalizzandosi su un programma contro le destre e mettendo a
tacere interessi parziali e ambizioni leaderistiche.
Certo, uno che conosce la ex Jugoslavia da oltre mezzo secolo
come il sottoscritto, sa bene che la Serbia “è un’altra cosa”, è
sempre stata diversa, anche nell’ex Jugoslavia. I miti
nazionalistici e le ambizioni egemoniche insite nei programmi
di alcuni partiti non certo minori, come il radicale cetnico di
Seselj e il nazional-monarchico di Vuk Draskovic
continueranno ad avvelenare a lungo l’atmosfera politica in
Serbia con riflessi sulla Macedonia e sul Montenegro; non si
può perciò sperare in una soluzione rapida e indolore dei
contrasti con Podgorica sul modello di federazione nel rispetto
delle autonomie, né dei rapporti con le minoranze nazionali
nella regione ex autonoma di Vojvodina, né delle frustrazioni
derivanti dall’occupazione Nato del Kosovo.
La Nato, pietra al collo dei Balcani
La Nato sarà la principale pietra al collo dei Balcani fino a
quando le sue truppe saranno uno strumento della politica
unilaterale dell’imperialismo americano. Se la sua presenza nel
Kosovo dovesse servire ad approfondire le ingiustizie che si
pretendeva di eliminare con l’intervento, realizzando la pulizia
etnica a danno dei serbi, montenegrini, turchi, rom e delle altre
popolazioni minoritarie non albanesi nella regione; se faciliterà
l’occupazione dei poteri economico, politico e criminale da
parte della mafia di Tirana (si calcola che almeno 100mila dei
circa due milioni di albanesi presenti oggi nel Kosovo siano
arrivati dall’Albania negli ultimi sette-otto mesi); se dovesse
ulteriormente incoraggiare la prepotenza e la violenza dei
nazionalisti e delle mafie, allora si sentirebbero incoraggiati
anche i secessionisti schipetari della Macedonia occidentale,
e l’esistenza stessa della Repubblica che ha per capitale
Skopje sarebbe messa in pericolo.
Così come sarà in pericolo la democrazia in Serbia fino a
quando resteranno in vigore quelle sanzioni economiche che -
imposte a Belgrado col pretesto di provocare la caduta e
l’allontanamento del potere di Milosevic - finora non hanno fatto
che rafforzare il “vozd” e gettato nella sofferenza e nella miseria
il nobile popolo serbo, umiliandolo nel suo legittimo orgoglio
nazionale.