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Notizie Est #301 - Serbia/Montenegro



"I Balcani" - http://www.ecn.org/est/balcani

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NOTIZIE EST #301 - SERBIA/MONTENEGRO
9 febbraio 2000
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IL MONTENEGRO VERSO IL CAOS?
a cura di Andrea Ferrario - (fonti varie)

["Notizie Est" riprende le pubblicazioni, dopo una pausa forzata di 
tre settimane, con questo lungo panorama sugli ultimi sviluppi in 
Montenegro, riportati in un ordine pił o meno cronologico - a.f.]
 
L'agenzia AIM ha pubblicato il 17 gennaio scorso un lungo articolo 
sul Montenegro ("Ko je zaboravio Milosevica?" di Esad Kocan), che 
riassumiamo qui di seguito. Il presidente jugoslavo Milosevic ha 
concesso a fine anno una lunga intervista a "Politika", nella quale, 
tra 
le molte altre cose, ha dichiarato: "Per il Montenegro la migliore 
soluzione e' quella che conviene al popolo montenegrino. Se il 
popolo 
montenegrino ritiene che la vita al di fuori 
della Jugoslavia sara' migliore, ha il diritto 
di scegliere tale vita. E viceversa", 
aggiungendo inoltre: "La vita in comune e' bella 
e facile per coloro che desiderano vivere 
insieme, ma e' difficile e brutta per coloro che 
sono costretti a vivere insieme. Quando si sta 
insieme per costrizione, la vita non solo non e' 
ne' facile ne' bella, ma non ha nemmeno alcuna 
prospettiva". Non e' la prima volta che 
Milosevic rilascia dichiarazioni di questo tono, 
ma in questa occasione lo ha fatto in maniera 
piu' diretta e piu' provocativa del solito. Le 
sue dichiarazioni sono state seguite tuttavia da 
quelle di Vojislav Seselj, leader dell'estrema 
destra radicale e vicepremier serbo, il quale ha 
affermato che il presidente jugoslavo "ha 
espresso solo la sua opinione personale e la 
separazione del Montenegro non puo' essere presa 
in considerazione", aggiungendo che "con il 
Montenegro bisognera' parlare la lingua delle 
armi" se cerchera' di diventare indipendente. A 
Podgorica, paradossalmente, le dichiarazioni di 
Milosevic sono state riportate dal quotidiano 
"Pobjeda", controllato da Djukanovic, e 
censurate invece dal quotidiano "Dan", 
controllato dal primo ministro federale e 
alleato di Milosevic, Momir Bulatovic, che ha 
pubblicato l'intervista omettendone i passi sul 
Montenegro. Tuttavia, lo stesso Momir Bulatovic, 
ha reso pubblicamente dichiarazioni analoghe a 
quelle di Milosevic a fine gennaio, affermando 
che "il Montenegro ha il diritto costituzionale 
di confermare la volonta' del popolo con un 
referendum e di avviarsi verso l'indipendenza 
statale" ("Danas", 26 gennaio 2000). Tra le 
reazioni registrate a Podgorica riguardo alle 
dichiarazioni di Milosevic, il giornalista Kocan 
registra quella di Miodrag Vukovic, consigliere 
del presidente Djukanovic: "E' possibile che ci 
troviamo di fronte al proseguimento di una 
manipolazione che dura ormai da dieci anni e che 
vede Milosevic dire qualcosa e pensare invece 
qualcos'altro e quello che pensa lo realizzano 
poi i suoi Seselj". Il presidente dell'Unione 
Liberale (all'opposizione rispetto a Djukanovic 
e al governo Vujanovic), Miroslav Vickovic, ha 
da parte sua affermato: "Sembra che la 
dichiarazione di Milosevic metta Djukanovic e i 
suoi in una posizione di scacco matto. La 
responsabilita' per non avere organizzato il 
referendum sullo status del Montenegro viene 
cosi' scaricata interamente sulle loro spalle e 
su quelle del principale mentore occidentale di 
Djukanovic, il cui attuale interesse politico e' 
quello della conservazione della federazione 
jugoslava e della sua rivitalizzazione per mezzo 
di Djukanovic e della 'variegata' opposizione 
serba". Secondo il giornalista Kocan quella di 
Milosevic sarebbe una manovra diversiva, volta a 
togliere terreno a Djukanovic, che "da due anni 
riesce a tenere insieme dietro di se' il 
Montenegro grazie alla paura della 'coppia 
presidenziale' " [Milosevic e sua moglie 
Mirijana Markovic]. Le dichiarazioni di 
Milosevic sono state commentate con ansia anche 
da esponenti dell'opposizione serba, come 
Mladjan Dinkic, dei G-17, e Ivan Kovacevic, 
della SPO, preoccupati soprattutto che il regime 
montenegrino sappia attendere ed essere 
prudente, nell'attesa che la situazione politica 
a Belgrado cambi e, aggiunge ironicamente Kocan, 
la questione montenegrina possa cosi' essere 
definitivamente liquidata.

Il 12 gennaio e' stato pubblicato, sempre 
dall'agenzia AIM, un articolo sui piu' recenti 
sviluppi riguardanti l'introduzione del marco 
come valuta parallela in Montenegro ("Dinar na 
izdisaju" di Goran Vujovic), di cui riportiamo 
qui di seguito le parti essenziali. Nei primi 
giorni del nuovo anno Dimitrije Vesovic, alto 
esponente della finanza pubblica di Podgorica, 
aveva affermato che entro la fine di gennaio il 
dinaro sarebbe stato messo completamente fuori 
dalla circolazione in Montenegro: "non ci sono 
scelte", queste le sue parole, "bisogna trovare 
una nuova valuta, oppure stampare buoni al posto 
dei dinari". Siamo gia' nella seconda settimana 
di febbraio e cio' non e' avvenuto. In realta', 
osserva il giornalista Vujovic, l'introduzione 
del marco come valuta parallela ha causato 
grossi problemi e ha spinto in una direzione in 
cui e' necessario prendere delle decisioni piu' 
che difficili per il governo di Podgorica. 
Scrive Vujovic: "L'autorita' monetaria della 
Banca Nazionale Jugoslava (NBJ) [...] dovra' 
essere sostituita da un'altra forma di 
autorita'. La Banca centrale del Montenegro e' 
stata chiusa nel 1992, in un clima di euforia e 
di valutazioni errate dei motivi della 
catastrofe economica nella quale era caduto il 
Montenegro, ed e' stata trasformata da 
istituzione 'indipendente' in filiale della 
NBJ". Il governo di Podgorica starebbe 
preparando un programma per la creazione di una 
Banca centrale, una soluzione non condivisa da 
tutti e che ha come propria principale 
alternativa la creazione di un Consiglio 
valutario, come quello gia' esistente in 
Bulgaria, per esempio (sotto il controllo del 
FMI). Ma dalla fine dell'anno scorso la 
soluzione del Consiglio valutario sembra avere 
perso terreno, anche se recentemente un 
funzionario del FMI ha insistito per la sua 
applicazione. Tra gli altri motivi che spingono 
alla creazione di una banca centrale, secondo 
quanto scrive Vujovic, vi e' il fatto che "con 
l''uscita di scena' del dinaro e l'interruzione 
da parte della Serbia del pagamento dei conti 
con il Montenegro, la capacita' delle banche 
commerciali di sopravvivere e di proseguire in 
qualche modo le proprie attivita' senza il 
sostegno di un'istituzione flessibile, come una 
banca centrale, sono ridotte a zero". Secondo le 
opinioni raccolte dal giornalista montenegrino, 
l'eliminazione del dinaro costringerebbe il 
governo a provvedere a un meccanismo monetario 
centrale e a leggi sul sistema bancario. Se 
verra' fatto, "verranno a galla i problemi del 
sistema bancario, che nei fatti e' inesistente, 
nonche' il triangolo di conti non saldati tra 
stato, banche e imprese". Oltre a questo 
"rischio", va tenuto presente anche il fatto che 
l'economia montenegrina non e' piu' in grado di 
produrre e di funzionare [per maggiori dettagli, 
si veda piu' sotto]. L'assenza di un'economia 
reale e di cosiddette fonti reali di spesa, 
scrive Vujovic, ha tradizionalmente portato a un 
connubio tra banche e potere politico mirato a 
coprire le enormi spese per il mantenimento del 
sistema esistente e per il salvataggio dei 
maggiori centri di sperpero - le cosiddette 
industrie strategiche - semplicemente stampando 
denaro". Inoltre, continua Vujovic, "togliendo 
il dinaro dalla circolazione, il governo 
montenegrino perde progressivamente anche una 
comoda giustificazione per il bilancio 
catastrofico di questi anni di transizione. Ora 
che tutti sanno cosa 'cova sotto la cenere', le 
pressioni di Belgrado e del dinaro jugoslavo 
svalutato sembrano essere materiali di 
propaganda politica di cui non si puo' fare a 
meno. [...] Alla fine dell'anno scorso, Steve 
Henke, il consigliere economico del presidente 
Djukanovic [...] ha dichiarato che i preparativi 
per il passaggio a un nuovo sistema monetario 
sono terminati e che ora si tratta semplicemente 
di decisione politiche. [...] Sembra tuttavia 
che nelll'imminenza di elezioni locali e 
federali in Montenegro attualmente non ci sia 
nessuno in grado di prendere decisioni chiare e 
inequivocabili anche solo in merito al sistema 
monetario".


Il 14 gennaio, il quotidiano on-line "Albanian 
Daily News" ha diffuso la notizia secondo cui il 
ministro dell'ordine pubblico albanese, Spartak 
Poci, aveva visitato il giorno precedente due 
campi profughi, quello di Rrushkull, a 37 
chilometri da Tirana e in grado di ospitare 
5.000 persone, e quello di Katund i Ri, a 34 
chilometri da Tirana. "Dobbiamo prenderci cura 
di questi campi, perche' potrebbero servire come 
centri per accogliere profughi dal Montenegro, 
nell'eventuale scenario peggiore dello scoppio 
di un conflitto tra tale repubblica e la 
Serbia", ha dichiarato Poci durante la visita. 
Uno dei maggiori quotidiani albanesi, "Koha 
Jone", ha subito ripreso la notizia con grande 
evidenza in prima pagina, mentre un altro 
importante quotidiano, "Gazeta Shqiptare", 
citava le parole di un funzionario della 
compagnia di trasporto Alaska Cargo Company, che 
aveva appena trasportato a Durazzo 6.500 
tonnellate di farina donate dagli Stati Uniti 
all'Albania "per i profughi", secondo cui tale 
primo contingente e' solo una piccola parte 
degli aiuti che verranno congelati in attesa 
della crisi dei profughi. La societa' di 
trasporto ha un contratto con il Dipartimento di 
Stato per il trasporto in Albania di 40.000 
tonnellate di grano e 10.000 tonnellate di 
farina, riso e olio, ha affermato il 
funzionario. Della distribuzione degli aiuti 
dovrebbe essere incaricata la ONG Mercy 
International. "Gazeta Shqiptare", citando fonti 
anonime, ha affermato inoltre che le due 
repubbliche jugoslave potrebbero "entrare in 
conflitto tra la fine di febbraio e l'inizio di 
marzo". Sempre il 14 gennaio, a Podgorica si 
sono svolte pacificamente le celebrazioni per il 
capodanno serbo, per le quali molti avevano 
previsto lo scoppio di gravi incidenti. Al 
termine delle celebrazioni, il premier jugoslavo 
Bulatovic, oppositore di Djukanovic, ha 
dichiarato in una conferenza stampa: "Grazie 
alla mia alta posizione, sono venuto a sapere 
che si sta preparando un complotto 
internazionale per la preparazione di campi 
destinati alla deportazione di montenegrini in 
Albania" ("Monitor" [Podgorica], 21 gennaio 
2000). Il 21 gennaio, infine, "Albanian Daily 
News" riportava la smentita del premier Ilir 
Meta che l'Albania si stia preparando a ricevere 
un'ondata di profughi dal Montenegro. La notizia 
e' stata il primo della lunga serie di "allarmi" 
relativi all'imminente scoppio di un conflitto 
tra Serbia e Montenegro. Trasmessa prima da un 
tam-tam di operatori umanitari, e' stata infine 
raccolta con svariati giorni di ritardo da "Der 
Spiegel" e, piano piano, da vari altri media 
europei. Negli USA, gli organi di stampa e i 
politici hanno cominciato a parlare di un 
ipotetico imminente conflitto solo nei primi 
giorni di febbraio.

Appena dopo il capodanno ortodosso e' scoppiata 
una crisi all'interno del governo montenegrino, 
la cui scintilla e' stata il divieto alla chiesa 
ortodossa autocefala montenegrina, da parte 
delle autorita' governative, di celebrare 
pubblicamente la festivita' nel centro di 
Podgorica, mentre alla chiesa ortodossa serba 
(il cui metropolita Amfilohije e' in ottimi 
rapporti con il criminale Arkan [si veda piu' 
sotto] e gode dei favori del partito di 
Djukanovic) e' stato invece consentito. Uno dei 
partner di coalizione del DPS di Djukanovic, lo 
SDP (Partito Socialdemocratico), una delle forze 
piu' favorevoli all'indipendenza, ha minacciato 
di uscire dall'esecutivo per protesta. Inoltre, 
nello stesso periodo il ministro degli esteri 
Branko Perovic ha dovuto dare le dimissioni a 
causa delle inchieste sulle sue collusioni con 
la mafia aperte dalla magistratura italiana. La 
crisi e' stata parzialmente risolta a fine 
gennaio con un rimpasto di governo, i cui esiti 
danno un'idea delle lotte, ancora lungi dal 
risolversi, ai vertici del regime montenegrino, 
come rileva il settimanale di Podgorica 
"Monitor" nell'articolo di Zoran Radulovic 
pubblicato il 4 febbraio 2000. Sono in 
particolare due gli avvicendamenti ai vertici 
dei ministeri che danno la misura di tale 
situazione irrisolta: il ministro degli esteri 
Perovic e' stato sostituito da Branko Lukovac, 
che dopo la disgregazione della Jugoslavia 
socialista si era dimesso in segno di protesta 
contro le tendenze revansciste di Belgrado, 
mentre a ministro per la religione (una carica 
delicata, vista la spaccatura tra chiesa serba e 
montenegrina che si riflette anche ai vertici di 
Podgorica) e' stato nominato un 
ultranazionalista della prima ora, Budimir 
Dubak, noto per la sua partecipazione, in 
passato, a importanti manifestazioni a sostegno 
delle politiche di Milosevic. Ecco cosa scrive 
"Monitor" in merito al rimpasto: "La nomina di 
Dubak a ministro per la religione porta a 
chiedersi chi decide la composizione del 
governo, il premier Vujanovic, o il metropolita 
della chiesa ortodossa serba Amfilohije [di cui 
Dubak e' un sostenitore]? Il fatto che si sia 
atteso svariati giorni al fine di ottenere la 
benedizione del metropolita, senza il quale 
Dubak non voleva accettare la carica di 
ministro, nonche' l'incapacita' del premier di 
trovare, nell'attuale situazione di conflitto 
all'interno della coalizione (e all'interno del 
suo partito, il DPS), un'altra soluzione - hanno 
dimostrato la significativa limitazione dello 
spazio di manovra di cui dispone l'esecutivo 
montenegrino. E' risultato chiaro, quindi, che 
programmare i cambiamenti e' molto piu' facile 
che realizzarli. E questo e' dovuto soprattutto 
alla lotta silenziosa che e' in corso 
all'interno del DPS per il controllo del partito 
e delle istituzioni statali. I centri di potere 
del partito che fanno riferimento a Djukanovic e 
Marovic non sono riusciti nel corso della 
riunione del loro direttivo, tenutasi il giorno 
prima del rimpasto e durata ben sei ore, a 
concordare i punti di vista sui "cambiamenti 
radicali" promessi. Dei cambiamenti 
significativi comporterebbero anche 
sconvolgimenti all'interno del partito e la 
perdita di un monopolio costruito pazientemente 
per anni. Per questo all'improvviso si e' spento 
ogni desiderio di svolte effettive. La lotta che 
ora e' cominciata continuera' anche dopo il 
rimpasto e ne risentiranno, a giudicare da 
tutto, soprattutto i popolari [il Partito 
Popolare forma con il DPS e lo SPD la coalizione 
di governo], che hanno sopravvalutato le loro 
forze [...] o si sono eccessivamente avvicinati 
a una delle ali del DPS".

Negli stessi giorni in cui a Podgorica si apriva 
la crisi di governo, dopo le temute celebrazioni 
del capodanno ortodosso, e in cui in Albania si 
diffondevano le voci sull'imminente scoppio di 
un conflitto aperto tra Serbia e Montenegro, a 
Belgrado, il 15 gennaio, veniva ucciso Arkan. 
Molte fonti hanno sottolineato i buoni rapporti 
che Arkan intratteneva in passato con il regime 
di Djukanovic/Bulatovic e come ultimamente egli 
sembrasse avere optato per il primo, anche se i 
legami del noto criminale con il regime serbo 
sono stati senz'altro molto piu' intensi e 
costanti. Il fatto e' che spesso si dimentica 
come Djukanovic sia stato fino al 1997, insieme 
a Momir Bulatovic, uno dei piu' ligi sostenitori 
delle politiche scioviniste e militariste di 
Milosevic. Il giornalista Milka Tadic, in un 
articolo pubblicato da "IWPR Report" il 18 
gennaio 2000, ricorda come all'inizio degli anni 
'90 Arkan fosse intervenuto in Montenegro per 
proteggere da manifestazioni antimilitariste il 
metropolita della chiesa ortodossa serba 
Amfilohije, sostenuto ancor oggi dal partito di 
Djukanovic. Il giornalista dell'agenzia AIM, 
Branko Vojicic, ripercorre altri momenti dei 
favori di cui Arkan ha goduto, in passato e 
recentemente, in Montenegro. Innanzitutto, 
quando nel 1997 vi sono state le cruciali 
elezioni presidenziali che hanno visto 
Djukanovic opporsi al candidato Bulatovic, il 
partito di Arkan aveva dato pubblicamente il suo 
sostegno al primo. Negli ultimi due anni, il 
comandante delle "Tigri" ha continuato a 
sostenere Djukanovic, arrivando addirittura a 
paragonarlo all'eroe e poeta nazionale Njegos. 
Vojicic riporta alcuni esempi di come il 
giornale montenegrino "Pobjeda", sempre 
strettamente controllato dal governo, scrivesse 
in passato di Arkan. Nel settembre del 1991, 
"Pobjeda" scriveva che la sua Guardia era 
formata da serbi non schierati politicamente 
provenienti dal Montenegro e dalla Serbia e che 
il loro scopo era quello di "difendere la 
serbita', il culto di San Sava, la famiglia e 
l'unione tra i serbi". Il 9 dicembre 1992 
"Pobjeda" pubblicava un'intervista ad Arkan, nel 
quale quest'ultimo affermava: "Salutatemi i 
valorosi fratelli montenegrini e dite loro che 
Dubrovnik [assediata allora da unita' 
montenegrine - N.d.T.] deve essere nostra o di 
dio. Questa estate verro' a Dubrovnik ad 
ascoltare il suono della 'gusla'. E poi con i 
miei soldati ci riprenderemo Scutari". Infine, 
il giornalista della AIM formula qualche 
commento: "Il Montenegro si e' impegnato a 
collaborare con il Tribunale dell'Aja, e quindi 
a consegnargli coloro che sono accusati. 
Tuttavia, nel corso degli ultimi due anni Arkan 
ha soggiornato svariate volte in questa 
repubblica. L'ultima volta che si e' recato a 
Podgorica e' stato all'inizio di dicembre 
dell'anno scorso [per una partita della sua 
squadra "Obilic"]. Ha passeggiato 
tranquillamente per le vie di Podgorica ed e' 
stato ospite del noto hotel "Crna Gora", il 
luogo di ritrovo preferito dell'e'lite di 
governo montenegrina [...]. E' possibile che il 
motivo fondamentale dell'uccisione di Arkan 
siano stati i suoi contatti segreti con la 
giustizia belga e indirettamente con il 
Tribunale dell'Aja. Ma e' altrettanto possibile 
che anche la sua vicinanza al vertice statale 
montenegrino nel corso degli ultimi due anni e 
mezzo (dalla divisione al vertice del DPS) sia 
stata una delle gocce che hanno fatto traboccare 
il vaso. [...] Secondo fonti informate, inoltre, Arkan era l'uomo 
attraverso il quale la polizia montenegrina riusciva ad avere una 
"radiografia" delle possibili azioni di Belgrado. [...] L'uccisione di 
Arkan potrebbe essere a suo modo un avvertimento: il regolamento 
finale dei conti e' cominciato con tutti. E con ogni mezzo" (AIM 
Podgorica, 18 gennaio 2000).

A fine gennaio la corte costituzionale federale jugoslava ha 
dichiarato illegale l'amnistia concessa in Montenegro a tutti i 
coscritti che si erano rifiutati di combattere in Kosovo nell'esercito 
jugoslavo. L'amnistia era stata votata l'anno scorso dal parlamento 
montenegrino e riguardava tutti coloro che si erano rifiutati di 
rispondere alla chiamata alle armi, o avevano disertato dall'esercito, 
nel periodo dal 1 giugno 1998 al 31 giugno 1999. In realta', da un 
punto di vista costituzionale, la legge e' difficilmente applicabile e 
stando alla lettera della costituzione l'esercito federale avrebbe 
sempre potuto arrestare i renitenti e i disertori, cosa che non ha 
fatto fino alla fine di gennaio quando, in coincidenza con la 
sentenza della corte costituzionale, la polizia militare federale ha 
cominciato perquisizioni e battute in varie zone del Montenegro per 
cercare le persone da arrestare. In molti casi sono stati denunciati 
maltrattamenti. Si tratta di 
uno sviluppo che preoccupa direttamente un gran numero di 
famiglie montenegrine, perche' secondo 
le statistiche sono circa 15.000 i montenegrini 
renitenti o disertori coperti dall'amnistia (AIM 
Podgorica, 29 gennaio 2000).

Il 21 gennaio la Reuters ha pubblicato un 
servizio da Londra del suo "diplomatic editor", 
Paul Taylor, che di norma scrive i pezzi 
politicamente piu' rilevanti. Nel servizio 
Taylor riferisce che un "alto diplomatico NATO" 
ha dichiarato che "il Montenegro non deve 
attendersi che gli Stati Uniti o la NATO 
interverranno per salvarlo se dichiarera' 
l'indipendenza dalla Jugoslavia, scatenando un 
confronto con la Serbia". Il diplomatico, 
prosegue Taylor, ha affermato che "l'Occidente 
reagirebbe piu' probabilmente limitandosi a 
rafforzare le sanzioni economiche contro la 
Serbia, nel caso in cui Milosevic dovesse 
lanciare un attacco contro la repubblica". 
Secondo il giornalista della Reuters, 
"Djukanovic si trova ad affrontare pressioni 
interne sempre piu' forti per indire un 
referendum sull'indipendenza". Il diplomatico 
NATO anonimo citato dalla Reuters ha proseguito 
dicendo che "il dilemma che stiamo affrontando 
e' quello di come agire per prevenire una prova 
di forza [...] [Djukanovic] dovra' stare molto 
attento a non provocare una prova di forza, 
perche' non potra' contare su un salvataggio da 
parte degli USA o dei suoi alleati". Taylor nota 
che si e' trattato del secondo avvertimento di 
tale tono nel corso della settimana, il primo 
essendo stato quello dell'alto inviato 
occidentale in Bosnia, Wolfgang Petritsch, 
secondo il quale ogni mossa 
verso l'indipendenza scatenerebbe una guerra. Il 
diplomatico NATO 
citato da Taylor, tuttavia, conclude affermando 
di non vedere nuvole di tempesta a breve termine 
in Montenegro, perche' entrambe le parti sono 
consce dei rischi (Reuters, 21 gennaio 2000). 
Successivamente, le dichiarazioni riguardo ai 
possibili scenari di 
un precipitare della situazione in Montenegro 
non si sono piu' 
contate. Da quella di un altro funzionario 
anonimo della NATO, citato dall'agenzia SENSE, 
secondo cui l'Alleanza "segue la situazione e 
non si fara' cogliere 
impreparata", alle raccomandazioni fatte da Gran 
Bretagna e USA, 
rispettivamente al presidente Djukanovic e al 
premier Vujanovic, affinche' non facciano in 
questo momento mosse verso l'indipendenza, alla 
dichiarazione del capo 
della CIA Tenet, secondo cui un confronto tra 
Milosevic e Djukanovic e' 
quasi inevitabile - "sia Milosevic che 
Djukanovic cercheranno di evitare un confronto 
serio, per ora, ma sara' difficile evitare una 
prova di forza finale, che 
ritengo avverra' in primavera" (AFP, 3 febbraio 
2000).

Il quotidiano di Belgrado "Danas" e il 
settimanale montenegrino "Monitor" hanno 
affrontato in due loro articoli pubblicati tra 
fine gennaio e i primi di febbraio la gravissima 
situazione economica e sociale in cui versa il 
Montenegro. Lo stesso "Danas" aveva pubblicato 
un breve, ma efficace articolo nello scorso 
dicembre, che rimane completamente attuale: "La 
recente introduzione del marco tedesco come 
valuta parallela ha provocato dei veri e propri 
sconvolgimenti tettonici nel livello di vita dei 
cittadini. I prezzi sono drasticamente saliti, 
il marco ha messo a nudo la miseria sociale che 
il governo ha cercato di nascondere con promesse 
demagogiche, e' cominciata una serie di scioperi 
dei lavoratori dei quali ormai si era persa 
memoria, centinaia di autocarri con merce 
provenienti dalla Serbia vengono trattenuti per 
giorni dalla polizia serba al confine serbo-montenegrino [la 
settimana scorsa e' scattato un ulteriore inasprimento del blocco 
delle merci verso il Montenegro da parte della Serbia, trasformatosi 
quasi in un embargo], mentre l'opposizione approfitta della 
situazione per prendere nuovo slancio contro il governo e chiedere 
elezioni e un referendum sullo status statale-giuridico del 
Montenegro... Perfino l'Unione dei Sindacati Indipendenti del 
Montenegro, del quale si afferma che e' una cinghia di trasmissione 
del governo, ha dichiarato che sara' costretta a indire uno sciopero 
generale se non verra' arrestato il rapido immiserimento dei 
lavoratori. Il sindacato ha esplicitamente accusato il governo di 
avere contribuito alla miseria che ha colpito la popolazione. Dopo 
l'introduzione del sistema a doppia valuta, tutti i commercianti 
hanno aumentato i prezzi, e in questo sono stati aiutati dal 
governo, che ha aumentato il prezzo della benzina, dell'energia 
elettrica e dei servizi postali, afferma il sindacato. Ironia ancora piu' 
grande, al sindacato ora ritengono che lo stipendio minimo in 
Montenegro dovrebbe essere di 82 marchi, una cifra mensile che 
per la famiglia media di quattro persone e' appena sufficiente a 
comprare giornalmente due pagnotte e due litri di latte! Il sindacato 
non spiega chi mai si adatterebbe a vivere in una tale miseria. [Ma] 
a dare una risposta a questa spiacevole domanda dovrebbe 
essere in realta' il governo, per il quale ormai il marco tedesco e' 
diventato l'opposizione piu' forte. E forse 
anche un pericolo ancora piu' grande delle 
milizie e della parapolizia delle quali ha 
parlato il generale Perisic" ("Danas", 1 
dicembre 1999). La situazione nel frattempo 
non e' certo migliorata. Lo stesso "Danas" 
scrive il 
22-23 gennaio 2000 che "il cosiddetto 'paniere' 
comprendente i 43 generi di prima 
necessita' indispensabili per la sopravvivenza 
di una 
famiglia media di quattro persone, in ottobre 
aveva un costo pari a 3,25 stipendi medi, mentre 
a meta' dicembre per lo stesso paniere ci 
volevano 3,66 stipendi medi, vale a 
dire 550 marchi. Se a questo paniere di spesa si 
aggiungono le voci recentemente rincarate, come 
quelle relative all'affitto, ai servizi comunali-
igienici, all'energia elettrica e al 
riscaldamento, nonche' per il telefono, per i 
fabbisogni culturali e scolastici fondamentali, 
per il trasporto, l'abbigliamento e simili, il 
prezzo del 'paniere di spesa' arriva a piu' di 
800 marchi tedeschi! [...] Riuscira' in una tale 
situazione il Montenegro a introdurre una nuova, 
propria valuta che, secondo le visioni di alcuni 
esperti finanziari, costituirebbe l'unica vera 
soluzione? Non lo si sa, ma e' sicuro che 
affinche' sia possibile e' necessario un 
"piccolo" presupposto - 
un'economia robusta. Il Montenegro in questo 
momento si trova nella 
disperazione generale. Per questo, sia con il 
dinaro che senza di esso, sia con la banca 
centrale che con il consiglio valutario, ogni 
ottimismo [come quello espresso 
da Djukanovic] e' del tutto irrealistico". Il 
settimanale 
"Monitor" del 4 febbraio 2000 scrive che "la 
produzione industriale [del Montenegro] arriva 
appena al 40% del livello del 1989. In molti 
settori dell'industria i livelli sono di gran 
lunga inferiori, addirittura meno del 10%. 
[Inoltre], secondo dati dell'Unione dei 
Sindacati, il numero dei posti di lavoro negli 
ultimi dieci anni e' diminuito del 30% e la 
disoccupazione, rispetto al numero complessivo 
degli occupati, e' arrivata a quasi il 60%. Il 
livello di occupazione effettivo, in realta', e' 
decisamente inferiore, come conferma tra le 
altre cose il dato secondo cui circa 20.000 
lavoratori (formalmente occupati) sono in ferie 
forzate. [...] Se si tiene conto del fatto che 
il governo nella sua politica economica non 
prende nemmeno in considerazione la creazione di 
nuovi posti di lavoro e che non ci sono mezzi 
per la riqualificazione ad altri settori di 
lavoro, si puo' essere sicuri che il problema 
della disoccupazione effettiva continuera' a 
essere una delle caratteristiche chiave del 
panorama sociale montenegrino". 

Chiudiamo questo panorama sul Montenegro con 
alcuni brani del commento di Esad Kocan, 
pubblicato dal settimanale "Monitor" nel suo ultimo numero: "[...] In 
una cosa i vertici montenegrini sono assolutamente coerenti: dal 
loro arrivo al potere hanno sempre trattato il Montenegro come 
parte di un contesto estraneo. Durante i lunghi anni di guerra, lo 
hanno trattato come ala portante dell'epopea milosevicana e, dopo 
la sconfitta, come strumento ausiliario per scalzarne il potere. Cosi' 
come Milosevic a suo tempo ha allegramente sfruttato i servizi dei 
'condottieri' montenegrini, oggi questa funzione servizievole viene 
favorita dai potenti circoli dell'Occidente. Quasi nessuno di coloro 
che giungono nel nostro paese, quando si comincia a parlare dei 
destini del Montenegro, si astiene dal porre la domanda fatale: e 
cosa succedera' con Milosevic, cosa succedera' con l'opposizione 
serba? Di fronte ai divani cosi' comodi sui quali si svolgono queste 
conversazioni, di fronte agli obiettivi cosi' altisonanti che vengono 
formulati, uno si sente un po' imbarazzato a porre la domanda del 
tutto terrena: e, mi si perdoni, cosa succedera' a me? Ma non tutte 
le speranze sono perdute. Il governo montenegrino, a 
testimonianza della sua completa disponibilita' a essere parte della 
schiera di vassalli ribelli dell'ex impero di Milosevic, ha proposto 
una Piattaforma per la ridefinizione dei rapporti all'interno della 
federazione jugoslava. E qui [...] regna la confusione piu' completa. 
L'opposizione a Belgrado continua incessantemente a ripetere che 
il Montenegro deve essere paziente - bisogna solo aspettare che, 
unendo le forze, si arrivi 
alla caduta di Milosevic, e si vedra' brillare 
il sole per tutti. Riguardo alla Piattaforma, 
invece, tace. Questo piccolo particolare e' 
stata fatto rilevare questa settimana dal 
vicepresidente del governo e presidente del 
Partito Popolare, Novak Kilibarda. 'Evitare di 
affrontare la Piattaforma, o nominarla solo 
distrattamente, ha la conseguenza di generare 
dubbi sul fatto che le forze democratiche serbe, 
dopo la rimozione del regime di Slobodan 
Milosevic, faranno piazza pulita del pericolo 
unitarista che minaccia il Montenegro da parte 
serba'.  [...] [Non ha mancato di fare sentire 
la propria voce] nemmeno il Partito Popolare 
Socialista (SNP, il partito di Momir Bulatovic), 
meta' dell'anima del quale si e' fatta sentire a 
Belgrado, nella Camera delle Nazioni, 
promettendo che la federazione jugoslava verra' 
difesa e protetta e che il Montenegro non sara' 
mai... schipetaro. L'altra meta' dell'anima del 
SNP sta in agguato per afferrare il momento piu' 
adatto per saltare giu' dall'ala di Milosevic e 
accodarsi al piu' vasto movimento di riforma: 
per la federazione jugoslava, per la pace 
nazionale e, se necessario, per una Piattaforma 
leggermente addomesticata. La cosa piu' 
importante e' che il DPS attraverso tutte le 
bufere e le tempeste e' riuscito a conservare lo 
status di partito della moderazione e del 
compromesso. Lo stesso era avvenuto durante gli 
anni della produzione organizzata di caos. Da 
una parte c'erano gli 'estremisti', che 
combattevano contro i crimini di guerra, 
dall'altra i piu' aperti esecutori di tali 
crimini di guerra. In mezzo a loro, come esempio 
supremo di moderazione, svettava il DPS, sordo 
alle sofferenze altrui, ai destini della gente, 
a tutto quello che non era la conservazione del 
proprio potere. Ora sono arrivati i tempi 
dell'oblio organizzato. [...] La Piattaforma del 
governo montenegrino non e' nient'altro che un 
riparo dalle tempeste, mirata a una sicura e 
durevole conservazione del potere. [...] 
("Monitor", 4 febbraio 2000).


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