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[comunicati_lilliput] Coca-Cola rifiuta 5.000 firme di protestaper la repressione in Colombia
- Subject: [comunicati_lilliput] Coca-Cola rifiuta 5.000 firme di protestaper la repressione in Colombia
- From: Rete Lilliput Comunica <ufficiostampa@retelilliput.org>
- Date: Thu, 12 Feb 2004 17:42:12 +0100
Comunicato stampa REBOC Rete Boicottaggio Coca-Cola
REBOC, Rete Boicottaggio Coca-Cola: Giulio Sardi 320/0885215
Colombia, 5.000 firme per Coca-Cola. Che non si assume nessuna responsabilità.
La Campagna REBOC lancia la seconda fase di boicottaggio
Milano, 12 febbraio 2004 - La campagna di boicottaggio della Coca-Cola
raggiunge in Italia le 5.000 adesioni proprio in occasione dell'arrivo in
Italia di Alvaro Uribe Velez, presidente della Colombia, teatro della
repressione della multinazionale di Atlanta nei confronti dei sindacalisti
del SINALTRAINAL. Nella mattinata di oggi un rappresentante della REBOC si
è recato presso gli Uffici della Coca-Cola Italia a Sesto San Giovanni e ha
consegnato le prime 5000 firme raccolte nelle mani del Responsabile
Relazioni Esterne Nicola Raffa.
La risposta della Coca-Cola alle 5000 firme è contenuta in un comunicato
stampa datato 12 Febbraio 2004 che Nicola Raffa ha consegnato al
rappresentante della REBOC ed in cui non si dice sostanzialmente nulla di
nuovo rispetto alle pesanti accuse di coinvolgimento con i gruppi
paramilitari che imperversano negli impianti di imbottigliamento colombiani
e che stanno massacrando il sindacato SINALTRAINAL, con una repressione che
ha portato all'assassinio di otto sindacalisti e ad innumerevoli sequestri,
sfollamenti, torture ed intimidazioni nei confronti dei lavoratori, dei
sindacalisti e dei loro familiari. Otto mesi di boicottaggio internazionale
non hanno spostato di un millimetro la posizione della multinazionale di
Atlanta che continua a sostenere la falsità delle accuse.
"Ce l'aspettavamo - dichiara il rappresentante della REBOC - la Coca-Cola
ha una lunga tradizione di scarsissima considerazione per le giuste
rivendicazioni di lavoratori e consumatori, oltre che di violazione dei
diritti umani, sociali e ambientali. A questo punto prendiamo atto del
fatto che la Coca-Cola, al di là degli attestati di solidarietà formali
offerti al SINALTRAINAL durante l'incontro pubblico di Dicembre a Roma e
ribaditi in questo comunicato, continua a non assumersi le proprie
responsabilità e protesta la propria innocenza con argomentazioni dirette e
indirette che non reggono."
Per quanto riguarda le prime, Coca-Cola afferma che né la company né i suoi
imbottigliatori colombiani intrattengono rapporti con i gruppi paramilitari
e sostiene che questo è stato riconosciuto dal giudice di Miami. Non è così.
Il giudice di Miami ha sostenuto l'esatto contrario, affermando che
esistono prove sufficienti del coinvolgimento tra paramilitari e aziende di
imbottigliamento, a partire dai rapporti comprovati tra dirigenti aziendali
e capi paramilitari fino alla presenza dei paramilitari stessi negli
impianti e addirittura sul libro paga dell'azienda, per finire con la
"strana" coincidenza temporale tra le violenze dei paramilitari e le
vertenze contrattuali tra Coca-Cola e il sindacato.
Proprio per questi motivi nei confronti delle società di imbottigliamento
il procedimento prosegue, mentre il giudice statunitense ha stralciato la
posizione della Coca-Cola di Atlanta in quanto, secondo le sue valutazioni,
il contratto di franchising (cosiddetto "accordo dell'imbottigliatore") non
dà sufficienti poteri alla Coca-Cola per intervenire negli impianti
colombiani e modificare questa situazione.A prescindere dal fatto che
l'accusa ha presentato ricorso contro questa parte della decisione, è la
stessa Coca-Cola che rigetta l'argomentazione del giudice di Miami.
Primo: la stessa Coca-Cola, anche in questo comunicato, non declina le
proprie responsabilità rispetto ai comportamenti degli imbottigliatori
colombiani ma associa pienamente la sua posizione alla loro, protestando
infatti la loro innocenza, anche perché si è impegnata con un Codice di
condotta firmato a Ginevra nel 1977 ad assicurare il rispetto dei diritti
umani, sociali, sindacali ed ambientali per tutta la sua filiera
produttiva, quindi anche presso fornitori, subfornitori e licenziatari.
Secondo: la Coca-Cola possiede direttamente il 40% del capitale della
Coca-Cola FEMSA, proprietaria a sua volta delle società di imbottigliamento
coinvolte nell'accusa.
Terzo: nessuno può pensare che la Coca-Cola Company con il suo strapotere
commerciale e finanziario, al di là dei contratti esistenti, non sia in
grado di influenzare il comportamento della Coca-Cola FEMSA e degli altri
imbottigliatori, veri e propri licenziatari mono-marca che lavorano in
esclusiva per la multinazionale di Atlanta, che ha quindi su di loro potere
di vita o di morte".
Per quanto riguarda le argomentazioni indirette, Coca-Cola si appoggia a
tre pronunce contrarie alle accuse e al boicottaggio:
- quella del sindacato SINALTRAIMBEC, che è però un sindacato di
comodo creato dalla stessa azienda per scompaginare il SINALTRAINAL e
recentemente soppresso dalla stessa multinazionale con la chiusura
dell'impianto di riferimento ed il licenziamento di tutti i lavoratori;
- quella della magistratura colombiana che ha stabilito l'estraneità
del sistema Coca-Cola rispetto agli episodi di violenza ed intimidazione,
ma il Procuratore generale dello Stato colombiano all'epoca era Jaime
Bernal Cuellar, cioè colui che oggi è l'avvocato che difende Coca-Cola nel
procedimento di Miami. Questo dovrebbe chiarire il suo grado di
indipendenza.
Inoltre l'ONU, l'OIL e innumerevoli ONG, tra cui Amnesty International,
sono tutte concordi nell'affermare la totale inaffidabilità del sistema
giudiziario colombiano, che assicura l'impunità nel 95% dei casi di
violenza attuata dai paramilitari, percentuale che sale al 98% nel caso di
gravi violazioni dei diritti umani.
- quella della CGIL che, secondo la Coca-Cola avrebbe dichiarato
infondati i motivi del boicottaggio. Anche questa è una palese falsità. Il
sig. Nicola Raffa era presente all'incontro di Dicembre a Roma, quando
Marco Gentile della CGIL da una parte confermò che il suo sindacato non
concorda in linea generale con il boicottaggio come strumento di
rivendicazione dei diritti dei lavoratori e dall'altra affermò che la
stessa CGIL ha assunto l'impegno di sostenere le rivendicazioni dei
sindacalisti colombiani, arrivando al punto di affiliare Edgar Paez,
segretario internazionale del SINALTRAINAL, al fine di poter tutelare la
sua vita in maniera diretta.
"A questo punto - conclude il rappresentante della REBOC - visto che le
5000 firme raccolte in Italia e gli otto mesi di boicottaggio mondiale non
sono stati sufficienti perché la Coca-Cola assumesse le proprie
responsabilità e agisse di conseguenza, rilanciamo la seconda fase del
boicottaggio, chiedendo alle 5000 persone e alle 60 associazioni che hanno
aderito in Italia di produrre il massimo sforzo per ampliare ancor di più
la campagna, con la raccolta di altre 5000 firme e la moltiplicazione sul
territorio delle iniziative di boicottaggio". (GS)