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Panorama e i Pacifisti



Quella gioiosa macchina da pace
di  Silvia Grilli
14/2/2003 Panorama

  URL: http://www.panorama.it/italia/sindacato/articolo/ix1-A020001017564

Cattolici e disobbedienti, no global e volontariato, studenti e 
pensionati... Le ragioni dell'Italia che rifiuta la guerra

Questi sono giorni difficili per chi è, suo malgrado, convinto che dovremmo 
fare la guerra all'Iraq. Chi prova ad appoggiare un conflitto veloce 
adesso, piuttosto che uno molto più lungo domani, viene isolato da molte 
persone che lo circondano.

Se poi aggiunge che Saddam Hussein è un feroce dittatore e perciò va 
eliminato, viene criticato da chi dice che: 1) siamo stati noi occidentali 
a vendergli le armi, 2) questa è solo una guerra per il petrolio, 3) non 
c'è alcuna prova che Saddam abbia legami con Al Qaeda, 4) gli Stati Uniti 
hanno tutta la colpa perché, imponendo l'embargo, hanno fatto morire mezzo 
milione di bambini iracheni e spinto la popolazione a stringersi attorno al 
dittatore invece che a sollevarsi contro di lui, 5) George W. Bush non 
rappresenta l'America, perché ha vinto le elezioni con i brogli.

Ma poiché chi è contro la guerra è, a quanto pare, buona parte degli 
italiani, bisogna andare a vedere chi sono e quale soluzione alternativa 
propongono. Perché la libertà di pensiero e la diversità di opinioni sono 
la prima conquista di ogni democrazia. Diritto sconosciuto, almeno per ora, 
ai nostri poveri fratelli iracheni, uccisi, torturati e ridotti al silenzio 
dal rais.

Andreina Albano è una gentile signora che lavora per Fermiamo la guerra, il 
comitato che ha organizzato la manifestazione pacifista di sabato 15 
febbraio a Roma. Ogni giorno allunga la lista di coloro che dicono no al 
conflitto, anche nel caso di un avallo dell'Onu.
L'elenco è impressionante: otto pagine fitte di 450 sigle laiche e 
religiose, dall'Associazione Italia-Tibet al Movimento d'identità 
transessuale, dagli Amici d'Italia-Cuba al Collettivo studenti banditi, 
dall'Associazione degli uomini casalinghi alla Fondazione cinema nel 
presente, alle Acli, a molte parrocchie. Eppoi organismi di cooperazione 
internazionale, di volontariato, partiti politici (dall'Italia dei valori a 
Rifondazione comunista, ai Verdi, agli Umanisti), singoli deputati e 
senatori, sindacati, enti locali, frati, giornalisti, assessori. Una folla 
di gente comune e anche meno comune, come i cantanti Edoardo Bennato e 
Piero Pelù, il comico Enzo Iacchetti, il regista Marco Bellocchio e altre 
celebrità.

Secondo Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, un collegamento di 
pace su internet, nato nel 1991 con la guerra del Golfo, «c'è una grande 
differenza tra questo pacifismo e quello degli anni Ottanta. Allora era 
completamente sulle spalle del Partito comunista, che organizzava i 
pullman, i volontari, e metteva a disposizione le strutture del partito. 
Oggi, invece, il pacifismo italiano è formato da una miriade di 
associazioni, molto critiche nei confronti della sinistra italiana 
concentrata a far altro».
Eppure, molti cascami dell'ideologia marxista ricadono anche su questo 
pacifismo: la critica del modello di sviluppo occidentale, l'idea che 
l'Occidente sia sempre colpevole, che dietro gli interessi economici ci sia 
solo il male, e che le democrazie occidentali siano incapaci di usare in 
modo virtuoso la loro ricchezza.
Una forte anima cattolica, terzomondista e antimilitarista a oltranza muove 
questo pacifismo, composto da gente apparentemente così diversa: i 
comunisti, gli ecologisti, gli scout, le parrocchie, i no global, i 
disobbedienti dei centri sociali. Questi ultimi sono i più arrabbiati: «La 
disobbedienza è la nostra chiave di sviluppo» dice Anubi Davossa, uno dei 
loro leader. «Noi disobbediamo alle leggi che ci impedirebbero di ripudiare 
la guerra».

Flavio Lotti è il coordinatore nazionale della Tavola per la pace, una rete 
di organizzazioni nata nel 1996 nel Sacro convento di San Francesco 
d'Assisi. Da allora prepara la marcia Perugia-Assisi e chiede una stretta 
regolamentazione del commercio di armi. «Questa» dice «non è una guerra per 
liberare l'Iraq. Come si possono rovesciare 8 mila bombe sulla povera 
popolazione civile e considerarlo un esercizio di liberazione?
L'Occidente è solo un campione d'indifferenza e cinismo, tanto è vero che è 
stato proprio l'Occidente ad armare Saddam Hussein. Invece di promuovere la 
pace nel mondo, le grandi potenze sono le principali responsabili dei 
regimi dittatoriali». Lotti crede che dopo l'11 settembre 
«l'amministrazione di Bush abbia pensato di sfruttare al massimo la sua 
posizione di superpotenza per rovesciare gli equilibri internazionali».

Dietro il vario movimento per la pace ci sono modelli diversi. C'è San 
Francesco d'Assisi e il suo dialogo con il nemico. C'è Erasmo da Rotterdam 
e il suo umanesimo che propugna la tolleranza. C'è Immanuel Kant e la sua 
idea di un'entità terza, che secondo i pacifisti è l'anticipazione 
dell'Onu, un arbitro internazionale che risolva i conflitti.
C'è il Mahatma Gandhi (che però era interventista nella guerra contro Adolf 
Hitler) e la sua idea di rivoluzione non violenta. C'è Martin Luther King e 
la sua disobbedienza civile, intesa come modo per ottenere la libertà.

L'Arci, l'associazione ricreativa di sinistra che ha case del popolo in 
tutta Italia, si rifà invece al modello di liberazione sudafricana di 
Nelson Mandela, il leader del movimento contro l'apartheid che passò alla 
lotta armata e fu poi incarcerato. Come manifesto, l'Arci ha una bandiera 
«che mostra» spiega il presidente Tom Benetollo, «i colori degli umani e 
della natura».
E cioè il giallo, il rosso, il bianco e il nero per gli uomini; il blu e il 
verde per la natura. Per il presidente dell'Arci, «il migliore dei mondi 
possibili ha portato alla guerra permanente e preventiva. Ora siamo alla 
vigilia di un nuovo ciclo di orrori ingiustificati, perché l'Iraq non ha a 
disposizione armi di distruzione di massa». Come si capisce, anche l'Arci è 
contro il modello di sviluppo occidentale. Alla guerra dell'Occidente 
propone l'alternativa di una soluzione diplomatica.

Ferocemente critici dell'economia neoliberista, i no global si oppongono 
ovviamente a questa guerra. «Perché» sostiene Vittorio Agnoletto «si cala 
perfettamente nel modello perverso di globalizzazione». Agnoletto, 
rappresentante italiano al Forum mondiale di Porto Alegre, spiega che cosa 
vogliono i nostri new global: «Appoggiare l'opposizione a Saddam, 
rafforzando i contatti con gli esuli. Ma è importante evitare di creare un 
governo fantoccio filoccidentale». Agnoletto e gli altri, poi, vogliono 
aiutare le popolazioni irachene, appoggiando, dicono, Un ponte per Baghdad, 
associazione di volontariato che intende costruire pozzi d'acqua potabile 
in Iraq.

A quanto pare, molti preferiscono, dolorosamente, Saddam alla guerra. A 
quanto pare, il loro no al conflitto è condiviso da buona parte degli 
italiani. A quanto pare, un'altra consistente parte degli italiani si 
rassegna invece mestamente all'idea della guerra come minor male possibile. 
Nessuno dei due schieramenti, probabilmente, cambierà idea. Godiamoci 
questa libertà di pensiero. È il bello delle nostre democrazie occidentali.