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(Fwd) [IxT] Due righe veloci sul caso Indymedia



Vi inoltro un "punto vista" sulla faccenda di Indymedia: io rimango 
del parere che la volontà sia stata quella comunque di colpire un 
centro di informazione indipendente, in ogni caso l'autore della mail 
argomenta le sue tesi in maniera abbastanza dettagliata...

Davide

------- Forwarded message follows -------
Date forwarded:         Sun, 10 Oct 2004 15:55:34 +0200
Date sent:              Sun, 10 Oct 2004 14:55:21 +0100
From:                   Paolo Attivissimo <topone at pobox.com>
To:                     ixt <internetpertutti at peacelink.it>
Subject:                [IxT] Due righe veloci sul caso Indymedia
Forwarded by:           internetpertutti at peacelink.it
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[IxT] Due righe veloci sul caso Indymedia

Come probabilmente gia' sapete, i server inglesi di Indymedia, 
l'organizzazione indipendente di raccolta di informazioni, sono stati
sequestrati il 7 ottobre. I server contengono numerose edizioni
internazionali di Indymedia, compresa quella italiana.

Comprensibilmente, molti hanno gridato allo scandalo e al complotto
USA contro la liberta'. Sarebbe molto bello se il mondo fosse davvero
cosi' in bianco e nero, ma le cose sono un po' piu' complicate. Vi
vorrei dare qualche spunto d'informazione e di riflessione, visto che
qui, al di la' del caso specifico, e' in gioco un equilibrio molto
delicato: quello fra diritto all'informazione e diritto alla privacy.

Innanzi tutto, molti hanno avuto l'impressione che l'FBI sia piombata
in Inghilterra e abbia fatto quello che le pareva. Calma un attimo:
l'FBI non ha giurisdizione nel Regno Unito. Deve chiedere alle
autorita' di sicurezza locali, come è successo in casi analoghi per
l'arresto di vandali informatici. Puo' assistere alle operazioni, ma
non può agire autonomamente. Quindi e' scorretto titolare "l'FBI
sequestra i dischi di Indymedia".

Ci sono accordi internazionali fra le forze di polizia appositamente
predisposti, che regolano i termini di queste collaborazioni e
richiedono comunque che il reato sia considerato tale dalle autorità
locali. Non basta la parola dell'FBI: ci vuole un ordine legale 
emesso
secondo le leggi vigenti del paese. Ovviamente, essendo i due paesi
legati da una lunga tradizione di collaborazione, un ordine legale di
questo genere viene emesso abbastanza facilmente.

Rackspace USA afferma che l'accordo in base al quale e' stato 
eseguito
il sequestro (senza notificare Indymedia) e' il Mutual Legal
Assistance Treaty (MLAT). Ne parla The Register qui (in inglese):

http://www.theregister.co.uk/2004/10/08/fbi_indymedia_raids/

Questo trattato, pero', definisce procedure di reciproca assistenza
per i casi di terrorismo internazionale, rapimento e riciclaggio di
denaro. Ma Indymedia non e' accusata di nessuno di questi crimini.

A dire la verita', non si sa neppure di cosa sia accusata. Tuttavia 
il
silenzio di Rackspace UK, e la mancata notifica a Indymedia, non sono
atti di prevaricazione autoritaria: sono obblighi della legge
britannica, che vieta alle parti in causa di discutere un
provvedimento che le colpisce, per evitare di interferire con le
indagini e di coinvolgere persone che magari non c'entrano nulla.
Questo e' un fatto ben noto a chi si occupa d'informazione e
informatica in Inghilterra.

L'idea puo' piacere o non piacere, ma mi sembra indubbio che i 
responsabili di Indymedia, consci di avere a che fare spesso con
informazioni scottanti e fastidiose per i potenti di turno, avrebbero
dovuto riflettere piu' attentamente prima di depositare i propri
server in territorio inglese. Ci sono molti altri paesi che offrono
garanzie superiori. Inoltre, da un punto di vista strettamente
informatico, mi stupisce la mancanza apparente di un backup 
(Indymedia
afferma di aver "perso molto del materiale presente" sui propri
server"):

http://italy.indymedia.org/index.php

Il muro di silenzio, comunque, non e' impenetrabile. C'e' infatti una
teoria abbastanza solida sulle possibili ragioni del sequestro.
Secondo l'articolo di The Register e il comunicato di Indymedia,
disponibile in italiano presso

http://italy.indymedia.org/news/2004/10/660405.php

la ragione più probabile sarebbe la presenza, nella sezione Indymedia
Nantes dei server, di alcuni "articoli con nomi e facce di poliziotti
svizzeri in borghese infiltrati durante una manifestazione di 
piazza",
quindi in un luogo pubblico. L'FBI ne aveva richiesto la rimozione
alcuni giorni fa, ma "il procedimento era ancora in fase di
formalizzazione al momento della sottrazione dei computer". La
richiesta sarebbe stata motivata, dice Hep Sano, rappresentante di
Indymedia, dal fatto che gli articoli "rivelavano informazioni
personali" sui poliziotti in borghese. Nessuna delle fonti
direttamente interessate ha confermato l'ipotesi di coinvolgimento
delle autorita' italiane fatta da alcuni organi di stampa.

La pista elvetica sembra confermata da una dichiarazione di Rackspace
a Indymedia, citata da The Register: la richiesta proverrebbe appunto
dalla polizia svizzera. Indymedia ritiene che le foto fossero state
rimosse dai server prima del sequestro, ma ovviamente non puo'
verificarlo, perche' i dati dei server sono inaccessibili.

Se le cose stanno cosi', ci sono alcuni punti da ponderare. 
Indubbiamente il sequestro integrale dei server e' una misura
esagerata, perche' lede gravemente il diritto all'espressione e
all'informazione. Ma va considerato anche il diritto di chi lavora
nelle forze dell'ordine, e delle loro famiglie, a non essere indicato
per nome e cognome e indirizzo: e' lo stesso diritto che spetta a 
ogni
cittadino, e che nel caso di chi opera in settori delicati e'
addirittura rafforzato per ragioni fin troppo ovvie. Quel poliziotto
in borghese che oggi assiste a una manifestazione, domani potrebbe
aver bisogno di tutelare il proprio anonimato (e la vita dei propri
figli) durante un'indagine antimafia.

Molti si lamentano dell'invasivita' delle telecamere di sorveglianza 
e
non desiderano essere ripresi, neppure nei luoghi pubblici, e lo
considerano anzi un diritto assoluto. Mi sta bene. Ma e' difficile
conciliare questa lamentela con la pubblicazione online di foto di
persone con tanto di nome, cognome e indirizzo, ritratte in un luogo
pubblico. Un diritto e' un diritto, e non si annulla soltanto perche'
la persona coinvolta non la pensa come noi o perche' la parte lesa 
non
siamo noi ma e' qualcun altro.

Si fa in fretta ad accusare di prevaricazione e gridare al complotto
liberticida. Indubbiamente trovarsi la polizia in ufficio con un
ordine di sequestro non e' piacevole. Ma se le foto e i nomi e 
cognomi
pubblicati online fossero stati i vostri, non avreste reclamato a 
gran
voce l'intervento di quelle stesse forze dell'ordine per toglierli
dalla Rete al piu' presto?

Forse, ripeto forse, sequestrare i server era la procedura legale 
piu'
spiccia per tutelare i diritti dei cittadini di cui era stata violata
pericolosamente la  riservatezza. Forse, ripeto forse, Indymedia
poteva riflettere prima di commettere un atto di scorrettezza del
genere.

Forse, ripeto forse, il torto sta da entrambe le parti, e dare la
colpa a una sola e' una scelta troppo semplice. E a molti piacciono 
le
scelte semplici: evitano la fatica di pensare.

Ciao da Paolo.


-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
(C) 2004 by Paolo Attivissimo (www.attivissimo.net).
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