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A proposito della vicenda Indymedia: risposta ad Attivissimo



Ciao Paolo,
ho letto il tuo punto di vista sulla vicenda di Indymedia
(http://attivissimo.blogspot.com/2004_10_01_attivissimo_archive.html).
Provo ad argomentare il perché non condivido la tua analisi e dove, credo,
tu abbia fatto dei veri e propri errori.
Il quadro non è ancora abbastanza chiaro. Mancano molti elementi
determinanti, ma è proprio sulle tessere del mosaico che si stanno
riempiendo che ci sono le falle più vistose.

Prima di tutto:

 >Innanzi tutto, molti hanno avuto l'impressione che l'FBI sia piombata
 >in Inghilterra e abbia fatto quello che le pareva. Calma un attimo:
 >l'FBI non ha giurisdizione nel Regno Unito. Deve chiedere alle
 >autorita' di sicurezza locali, come è successo in casi analoghi per
 >l'arresto di vandali informatici. Puo' assistere alle operazioni, ma
 >non può agire autonomamente. Quindi e' scorretto titolare "l'FBI
 >sequestra i dischi di Indymedia".

Vero. Ma in un primo momento era del tutto legittimo pensarlo rispetto alle
poche informazioni che sono filtrate e conoscendo bene la storia dell'FBI.
E perché erano e sono tutt'ora poche?

tu continui:

 >Rackspace USA afferma che l'accordo in base al quale e' stato
 >eseguito
 >il sequestro (senza notificare Indymedia) e' il Mutual Legal
 >Assistance Treaty (MLAT). Ne parla The Register qui (in inglese):
 >
 >http://www.theregister.co.uk/2004/10/08/fbi_indymedia_raids/
 >
 >Questo trattato, pero', definisce procedure di reciproca assistenza
 >per i casi di terrorismo internazionale, rapimento e riciclaggio di
 >denaro. Ma Indymedia non e' accusata di nessuno di questi crimini.
 >
 >A dire la verita', non si sa neppure di cosa sia accusata. Tuttavia
 >il
 >silenzio di Rackspace UK, e la mancata notifica a Indymedia, non sono
 >atti di prevaricazione autoritaria: sono obblighi della legge
 >britannica, che vieta alle parti in causa di discutere un
 >provvedimento che le colpisce, per evitare di interferire con le
 >indagini e di coinvolgere persone che magari non c'entrano nulla.
 >Questo e' un fatto ben noto a chi si occupa d'informazione e
 >informatica in Inghilterra.

Provo ad integrare soprattutto con quello che è venuto dopo (anche se
maggiore prudenza non avrebbe gustato). Le informazioni erano e sono poche
perché non si sa ancora adesso di cosa si accusa Indymedia. Non l'ha detto
l'FBI che ha scaricato la questione come "una richiesta della Corte
Federale USA proveniente da paesi terzi". Non l'hanno detto i paesi terzi
ipotizzati: Italia e Svizzera. Ipotizzati perché i misteri competenti
italiani hanno smentito di aver qualcosa a che fare con la vicenda e la
Svizzera si è trincerata dietro il "no comment". Non l'ha detto neanche la
Rackspace. Tu dici perché obbligata dai termini di legge inglese (la
Regulation of Investigatory Powers Act), ma sai benissimo che nell'articolo
che citi:

 http://www.theregister.co.uk/2004/10/08/fbi_indymedia_raids/

viene anche scritto esplicitamente che l'avvocato Dai Davis è scettico sul
fatto che la Rackspace in territorio UK abbia obblighi di questo tipo nel
caso di una rogatoria internazionale. Ma questo non lo riporti nella
newsletter. In più, come hanno appurato a Indymedia nella riunione di
Genova di ieri, e come ha scritto sabato Bonini su Repubblica
(http://www.difesa.it/files/rassegnastampa/041009/5ZLUI.pdf) la Rackspace
ha agito in maniera volontaria ad una richiesta della Corte USA usando,
come dire, una modalità molto zelante di collaborazione se è andata
addirittura oltre gli obblighi di legge territoriali.
Ricapitolando i dati certi: Indymedia ha subìto il danno di veder bloccate
due sue macchine, che ospitavano una trentina di siti, perdendo dei dati
(non essendo stata avvisata per tempo), su una procedura di rogatoria
internazionale in base ad un trattato MLAT che riguarda reati palesemente
lontani da quelli per i quali, forse, Italia (vilipendio delle forze
armate) e Svizzera (pubblicazione di foto di agenti in borghese) sono parte
in causa della vicenda. In più, qualsiasi giurista te lo potrà confermare,
non ci sono precedenti simili nella storia di casi di questo tipo
(triangolazione ed utilizzo di questo trattato per questi reati).

Ancora:

 >L'idea puo' piacere o non piacere, ma mi sembra indubbio che i
 >responsabili di Indymedia, consci di avere a che fare spesso con
 >informazioni scottanti e fastidiose per i potenti di turno, avrebbero
 >dovuto riflettere piu' attentamente prima di depositare i propri
 >server in territorio inglese. Ci sono molti altri paesi che offrono
 >garanzie superiori. Inoltre, da un punto di vista strettamente
 >informatico, mi stupisce la mancanza apparente di un backup
 >(Indymedia
 >afferma di aver "perso molto del materiale presente" sui propri
 >server")

Non capisco quali paesi dovrebbero offrire garanzie superiori. La Cina?
E ancora. Sai benissimo che un sito, come Indymedia, che arriva fino un
milione di contatti al mese nel caso di eventi speciali e che usa servizi
ad alto dispendio di risorse di rete (come lo streaming o il deposito di
audio e video) ha bisogno di un servizio efficiente e a banda larga.
Tradotto significa il meglio sul mercato rispetto ai costi da coprire con
il budget di un media indipendente. Rackspace dà hosting a Microsof ed EMI,
per capire di cosa stiamo parlando. Sai anche bene che una macchina con una
trentina di siti e il relativo traffico generato non può avere un sistema
di backup automatico così efficiente da copiare i dati ogni giorno. Sarebbe
forse possibile avendo un budget che Indymedia non può permettersi.
Soprattutto se, invece, può legittimamente ipotizzare che in caso di
problemi di questo tipo sia il provider stesso ad avvertire il cliente per
approntare un backup d'emergenza. Ma questo non è avvenuto, per i motivi su
scritti, perché è di tutta evidenza che si è scelta una modalità -
sequestrare gli hard disk - che non era necessaria per le indagini se,
qualunque fosse stato il reato, tutto il problema era trovare tracce e
prove e sarebbe bastata una copia del contenuto della macchina. Ma
sicuramente è stato sufficiente a fermare un intero network. Certamente non
c'erano norme internazionali a prescriverlo, ma norme nazionali sì e
perfino una direttiva del Consiglio d'Europa (95/13) che distingue
nettamente i dati dal supporto.

In realtà credo che la svista più grossa la prendi qui e nella replica, pur
facendo marcia indietro, non te ne accorgi

 >Forse, ripeto forse, sequestrare i server era la procedura legale
 >piu' spiccia per tutelare i diritti dei cittadini di cui era stata violata
 >pericolosamente la  riservatezza. Forse, ripeto forse, Indymedia
 >poteva riflettere prima di commettere un atto di scorrettezza del
 >genere.
 >
 >Forse, ripeto forse, il torto sta da entrambe le parti, e dare la
 >colpa a una sola e' una scelta troppo semplice. E a molti piacciono
 >le scelte semplici: evitano la fatica di pensare.

Se Indymedia subirà un processo per tutto questo - e ripeto: stiamo ancora
aspettando di capire per quale reato - il minimo che ci si possa augurare è
che avvenga nell'ambito di solide garanzie democratiche con una seria
applicazione del:
a) principio d'innocenza finché non si dimostri il contrario
b) principio di responsabilità individuale

Distinguere tra colpe della polizia e di Indymedia, e assegnarne un po' per
ciascuno quasi mettendole in relazione di causa ed effetto può sembrare
buon senso, ma a tutti gli effetti è una bella distorsione dei principi di
garanzia democratica e costituzionale. Quando gli organi inquirenti
indagano devono farlo nell'ambito di precisi paletti che stabiliscono per
quanto tempo e quali libertà possono infrangere nell'unico obiettivo di
raccogliere prove che altri valuteranno. Quando si confondono le cose,
infatti, nascono gli stati di polizia e di confonde legalità con
legalitarismo. Ne consegue che quand'anche Indymedia fosse accusabile del
reato ipotizzato non è la gravità presunta di quest'ultimo che può
autorizzare a travalicare questi paletti.

Soprattutto se si valuta un fatto ben più centrale che in nessuno dei tuoi
scritti citi. La magistratura che eventualmente ha chiesto la rogatoria non
sta indagando *su* indymedia, ma sui soggetti che hanno usato Indymedia per
veicolare testi oggetti di presunti reati. Infatti sai che il forum di
Indymedia è aperto e pubblico, chiunque può scriverci. C'è una bella
differenza. La stessa per la quale se nella tua seconda newsletter avessi
deliberatamente fatto girare quelle foto oggetto di presunto reato, sarebbe
stato grave se la magistratura se la fosse presa con Peacelink che ospita
la tua newsletter ma, paradossalmente, giustificato dal tuo ragionamento.
Ovviamente succede anche questo, e la storia recente di Peacelink lo
dimostra, ma diventa grave avallare anche solo implicitamente questa
logica, sostenuta da un dibattito politico di infimo livello, quando è del
tutto evidente che un pezzo importante delle garanzie di libertà
d'espressione e pensiero in rete passano e passeranno attraverso il ruolo
di siti e provider che gestiscono e garantiscono la comunicazione. Su tutto
questo consiglio la lettura del contributo di Rattus Norvegicus che
condivido completamente:
https://www.ecn.org/wws/arc/cyber-rights/2004-10/msg00123.html

Marco Trotta