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OLIMPIADI PER LA PACE
Quando lo sport si tinge di arcobaleno
Olimpiadi per la pace
Di Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>
Societa' per azioni, sponsor miliardari, crack finanziari, guerre di
potere, controllo delle masse, gestione del consenso, sputi in campo e
coltellate negli stadi: c'e' stato un tempo, nella storia dell'umanita', in
cui lo sport non aveva niente a che vedere con tutto questo. A
ricordarcelo, ancora una volta, sono le olimpiadi, che dal 776 avanti
Cristo ad oggi rappresentano un simbolo di convivenza pacifica tra i
popoli, un "termometro" sullo stato di salute dei valori della pace e dei
diritti umani nel mondo.
Oggi la dimensione spettacolare e la cultura esasperata della competizione
nella quale siamo immersi rischiano di intaccare l'idea di "giochi"
olimpici dove la partecipazione conta piu' della vittoria, ma cio'
nonostante le Olimpiadi rappresentano ugualmente una grande opportunita'
per affermare una idea di Pace e di democrazia mondiale che sono diverse
dalla "pacificazione" armata e dalla "democratizzazione" forzta spacciate
come l'unica soluzione possibile ai problemi del mondo.
Per capire che lo sport non e' solo una questione di record e di
classifiche basta rileggere la storia contemporanea attraverso la storia
delle Olimpiadi, ricordando la rabbia di Hitler durante le olimpiadi di
Berlino del 1936, quando l'atleta afrostatunitense Jesse Owens vinse
quattro medaglie d'oro nello stesso giorno davanti agli occhi di tutto lo
stato maggiore tedesco, o la grinta di Tommy Smith, che conquista il record
del mondo sui 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico del '68
salutando dal podio con il pugno chiuso, in segno di protesta contro la
discriminazione razziale.
Le imprese di Abebe Bikila, Wilma Rudolph, Cassius Clay, Edwin Moses e
Fiona May ci obbligano a chiederci quali grandi campioni potrebbero ancora
nascere da un'Africa liberata da ogni residuo di colonialismo e
sfruttamento, e permettono di leggere le Olimpiadi come una "rivincita" dei
poveri sul nostro mondo obeso e opulento.
E' possibile immaginare per le Olimpiadi moderne una sorta di "tregua"
simile a quella che sospendeva nell'eta' antica qualunque ostilita' in nome
dello spirito olimpico? Per i giochi di Atene 2004 l'assemblea generale
dell'Onu ha dichiarato la tregua olimpica in una risoluzione del 3 novembre
scorso, un atto ufficiale che si ripete ad ogni edizione delle olimpiadi,
cosi' come si ripetono le violazioni della tregua nelle zone di guerra del
mondo.
Cio' nonostante la fiaccola delle Olimpiadi puo' portare comunque un po' di
luce in un mondo oscurato dalle guerre. Per farlo basterebbe ricordare ai
nostri governanti tutti i grandi campioni che nel corso della storia hanno
colorato i cinque anelli con i colori dell'arcobaleno. Oppure basterebbe
riflettere sulle parole di speranza pronunciate da Akii Bua, il primo
campione olimpico ugandese che ha conquistato la medaglia d'oro dei 400 a
ostacoli durante Monaco '72: "se avessimo le scarpe, le maglie e gli stadi,
se avessimo le nostre strutture sarebbe difficile per l'Europa competere
con l'Africa. Ma finché i corridori africani avranno fame dovremo affidarci
agli exploit dei singoli. Sono fiducioso: un giorno troveremo la soluzione
di questi problemi. E allora l'Africa sarà il primo dei continenti".