Tiziano era apparso come in una visione, nei giardini dell’ospedale di Emergency a Kabul: era l’inverno del 2001. Con la sua veste di cotone bianco come la barba, i sandali e una borsa di cuoio a tracolla, noi con giacche a vento e maglioni. Veniva dal Pakistan. Ha voluto girare subito per le corsie: salutava, chiedeva "come stai?" a gente sconosciuta, sorrideva ai bambini, ascoltava. Cenammo insieme quella sera, a "casa mia". E parlammo a lungo, dell’India - "dovresti venire a trovarmi nel mio rifugio vicino all’Himalaya", un’altra promessa che non ho mantenuto - del nostro lavoro e delle sofferenze della gente dell’Afghanistan, che lui amava. E soprattutto parlammo, con molta tristezza, della follia della guerra e dei suoi perché. Ascoltavo i suoi pensieri. Sulla incapacità di molte persone di diventare esseri "umani", sulla ricchezza talmente ricca da non avere più senso né uso possibile, sul razzismo, anche quello "democratico", che sembra dilagare ovunque, sulla necessità - per Tiziano un bisogno fisico - di ricominciare a studiare, a pensare, a riconoscere sé stessi per ritrovarci tutti con un qualche sogno, speranza, progetto comune. Quando riuscii a rintracciarlo per telefono, nel settembre 2002, per proporgli di unirsi a noi nel lanciare la campagna "Fuori l’Italia dalla guerra", Tiziano non esitò un attimo: "Ci sarò, ci vediamo a Roma per la conferenza stampa".
E per mesi fu un appassionato ambasciatore di pace, con la sua unica capacità di affascinare le coscienze e di riempirle di onestà e di verità. So che a Tiziano è costato molto quel periodo, togliendogli tempo alla meditazione che lo ha sempre accompagnato. "Per colpa tua - mi disse scherzando un giorno - sono rimasto prigioniero per troppo tempo in Italia. Parto per l’India la settimana prossima, ma sarò lo stesso con voi". Ed è stato così. In molti momenti, nei più belli e in quelli più difficili dell’impegno di questi anni, Tiziano era lì, è venuto in mente a me e a tantissimi di noi. Un esempio, una certezza, un uomo che sapeva dare umanità, "curare" altri uomini proprio perché si era sempre curato di tutti, nel sua vita e nel suo lavoro di straordinario uomo di pensiero. Pochi mesi fa ho cercato di contattarlo: avevo bisogno delle sue parole e dei suoi pensieri. Non è stato possibile, e il perché ora lo sappiamo tutti. Stava scrivendo, ancora una volta cose importanti, forse le più importanti. Un giorno mi è arrivato un regalo da Tiziano: il suo ultimo libro. Con una dedica che mi ha fatto piangere allora e non smette di farlo oggi. Finisce così: "...e questo per spiegarti alcune mie assenze. Ma non preoccuparti, io ci sono nella lotta per la pace. Ci sono! E ci sarò sempre!"
Gino Strada Khartoum, Sudan, 29 luglio 2004 ---------------------------------------------------------