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(Fwd) Jugoslavia ovvero: la coscienza sporca del centrosinistra




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Date forwarded: 	Tue, 19 Aug 2003 16:58:01 +0200
Date sent:      	Tue, 19 Aug 2003 15:22:28 +0200
Subject:        	Jugoslavia ovvero: la coscienza sporca del centrosinistra
From:           	andrea <andreamartocchia@libero.it>
To:             	scienzaepace@jolly.bo.cnr.it, balcani@peacelink.it,
  	forum@liste.bologna.social-forum.org
Forwarded by:   	balcani@peacelink.it
Send reply to:  	balcani@peacelink.it

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Penso che questa documentazione possa essere un buon vademecum per 
chi
 si trova oggi nella necessita' di scegliersi interlocutori nel 
centrosinistra, nella prospettiva della cacciata di Berlusconi. 
Andrea


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Da: "Coord. Naz. per la Jugoslavia" <jugocoord@tiscali.it>
Data: Gio 3 Lug 2003  17:00:21 Europe/Rome
A: crj-mailinglist@yahoogroups.com, jugoinfo@domeus.it,  
aa-info@yahoogroups.com
Oggetto: [JUGOINFO] Jugoslavia ovvero: la coscienza sporca del  
centrosinistra


      Jugoslavia ovvero:
      la coscienza sporca del centrosinistra


(Riflessioni e materiali sparsi, quattro anni dopo la interruzione
della aggressione della NATO e la occupazione militare della 
provincia
del Kosmet)


0. Preambolo: LA MEMORIA CORTA DI MASSIMO D'ALEMA

1.  LA COMPOSIZIONE DEL PRIMO GOVERNO D'ALEMA
(21 ottobre 1998)

2. SERBIA: ORDIGNI NATO INESPLOSI IN 40 SITI, ANCHE IN FABBRICA
(ANSA del 14 febbraio 2003)

3. LE ANALISI
La "grande scacchiera" e la guerra della Nato
(Fausto Sorini su Liberazione del 5 giugno 1999)
La guerra del Kosovo, o dei Balcani...
(Angelo d'Orsi su "Liberazione)
E il dollaro va alla guerra contro l'euro
(Rita Madotto su Liberazione del 29 aprile 1999)

4. GLI UMORI DELLA BASE
Comunicato del Gruppo Zastava Trieste in occasione del quarto
anniversario dell'inizio della aggressione.
La macchia mai rimossa (Edgardo Bonalumi sul Manifesto del 26 marzo
2003). Un commento di Roberto dalla lista no-ogm-ra@yahoogroups.com.
Uno scambio di vedute tra un iscritto del PRC ed uno del PdCI.

5. GUERRA CONTRO L'INFORMAZIONE
Chi ricorda la tv serba bombardata? L'informazione negata. Ieri come
oggi (da L'Unita' del 25/3/2003) Giornalismo target. Dalla tv di
Belgrado all'Hotel Palestine. Quel «vicino» 23 aprile (Domenico Gallo
sul Manifesto del 23 aprile 2003)

6. DIRITTO
Sull'immodificabilita' dell'articolo 11 della Costituzione Italiana e
sulla necessita' di perseguire penalmente ai sensi di legge i 
golpisti
e gli stragisti (Peppe Sini sul bollettino La nonviolenza e' in
cammino, dicembre 2002) PROCESSIAMOLI! Noi sottoscritti firmatari di
questo appello accusiamo le massime autorità della Repubblica in
carica nel marzo 1999 - in particolare il presidente del Consiglio 
dei
Ministri Massimo D'Alema e i membri del Governo... (Sezione Italiana
del "Tribunale Clark", 1999)


SI VEDANO ANCHE:

* JUGOINFO 12 marzo 2001:
La vigilia della guerra: Come gli Usa hanno operato, attraverso la
Cia, per trascinare l'Italia nell'aggressione contro la Jugoslavia 
(di
Domenico Gallo)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/823 oppure
http://www.lernesto.it/5-00/Gallo-5.htm * JUGOINFO 7 giugno 2001: Il
governo D'Alema nacque per rispettare gli impegni Nato (ex ministro
della difesa Carlo Scognamiglio Pasini)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1035 *
JUGOINFO 10 giugno 2001: Attacco contro Milosevic: fu il mio governo 
a
dire sì (ex pres. del consiglio Romano Prodi) Prodi diede solo le
basi, noi inviammo gli aerei (ex ministro della difesa Carlo
Scognamiglio Pasini)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1042 *
JUGOINFO 16 giugno 2001: Onorevole Prodi, non tolga a D'Alema il
"merito" della guerra! (comunicato Peacelink - allegati atti governo
Prodi) http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1060 
*
JUGOINFO Prodi non aveva i voti per rispettare gli impegni Nato (ex-
presidente e sen. a vita Francesco Cossiga)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1067


=== 0. PREAMBOLO ===


LA MEMORIA CORTA DI MASSIMO D'ALEMA

<<Vorrei ricordare che quanto a impegno nelle operazioni militari noi
siamo stati, nei 78 giorni del conflitto, il terzo Paese, dopo gli 
USA
e la Francia, e prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi,
hanno fatto molta politica ma il loro sforzo militare non è
paragonabile al nostro: parlo non solo delle basi che ovviamente
abbiamo messo a disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle
nostre navi. L'Italia si trovava veramente in prima linea.>>

(On. Massimo D'Alema)

<<E' difficile definire le regole di appartenenza al giro nobile dei
grandi, non esiste uno statuto. Di fatto ti rendi conto di essere
entrato in una certa agenda di telefonate del presidente degli Stati
Uniti>>

(tratto da: M. D'Alema "Gli italiani e la guerra", Mondadori)

---

172 missioni in Kosovo dell'Aeronautica militare italiana

Dal "Giornale di Brescia", Sabato 10 Luglio 1999

A guerra conclusa, svelati dal colonnello Francesco Latorre
i numeri dell'operazione "Alled Force"

Sesto Stormo, 172 missioni per il Kossovo
Da Ghedi sono stati schierati in Puglia 85 uomini e 12 velivoli, per
418 ore di volo. Missioni di ricognizione e di attacco a terra.

(...) L'altra sera il colonnello Latorre ha svelato tutti i numeri
della cosiddetta operazione Aled Force conclusasi il 10 Giugno con la
resa di Milosevic (sic). Lo ha fatto davanti ai militari del VI 
Stormo
e alle loro famiglie (cui e' andato il sincero ringraziamento del
comandante...) ma anche davanti al Generale Gargini, al prefetto, al
vicequestore e al comandante provinciale dei Carabinieri. Il
colonnello ha cominciato spiegando che, a causa della posizione
centrale in una zona perennemente in crisi (....), "l'Italia e'
considerata una sorta di portaerei nel Mediterraneo. Non a caso, nel
corso dell'Allied Force, l'85% delle missioni ha decollato dalle
nostre basi". (...) Naturalmente, gli uomini e i mezzi del VI stormo
hanno fatto la loro parte. Anzi hanno fatto molto. "L'impegno
operativo del VI Stormo - ha detto Latorre - s'e' concretizzato in
missioni di ricognizione (2 sortite per due giorni la settimana) e in
missioni d'attacco effettuate in un primo periodo da Ghedi, poi da 
una
cellula schierata a Gioia del Colle (6/8 sortite giornaliere per 6
giorni la settimana)". (...) da Ghedi in Puglia sono arrivati 85
uomini, 12 velivoli e 12 laser pod. ll rischieramento ha consentito 
di
effettuare 418 ore di volo, che si traducono in 172 sortite: 6 di
ricognizione e 166 di attacchi veri e propri, sferrati contro
obiettivi selezionati di tipo prettamente militare: depositi di
munizioni, caseme, aeroporti. V'e' inoltre da specificare che, per 
gli
attacchi, sono state utilizzate bombe a puntamento laser e a caduta
libera. Il colonnello Latorre ha anche spiegato come tecnicamente
avvenivano le missioni. Dopo la preparazione alla base, "i nostri
aerei decollavano da Gioia del colle, quindi, fatto rifornimento in
volo sull'Adriatico, si mettevano in "zona d'attesa" su cieli non
ostili, tipo la Macedonia e l'Albania: l'attesa dipendeva dal fatto
che si viaggiava in pacchetti di aerei e che ogni pacchetto aveva
tempi precisi per entrare in azione. Poi, quand'era il nostro turno,
si andava sull'obiettivo, quindi, seguendo rotte prestabilite, si
tornava. Anche grazie alla preparazione dei nostri equipaggi, tutto 
ha
funzionato a meraviglia, tant'e' vero che, nel 100% delle operazioni,
uomini e mezzi sono rientrati alla base (....)

Vedi anche:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1026
Dal Corriere della Sera del 22 maggio 2001
«Così l' Italia vinse la sfida in Kosovo»
Il generale Usa Clark: «Volevo usare i vostri elicotteri per prendere
Pristina». In un libro di memorie elogi al governo di Roma...

---

http://www.panorama.it/italia/indiscrezioni/articolo/ix1-
A020001018102

La memoria (corta) di D'Alema
"Panorama" del 17/3/2003

Mentre si avvicina il giorno cruciale nel quale il Parlamento deve
votare sulla concessione agli Usa delle basi italiane (e il
centro-sinistra prepara le barricate), a Montecitorio qualcuno ha
tirato fuori una interessante fotocopia.

«Chiedo al Parlamento di non sacrificare in un momento così cruciale
il valore della coesione politica nazionale possibile, di non
sacrificare la consapevolezza trasversale ai diversi schieramenti di
una comune responsabilità verso gli interessi del Paese. Credo sia
essenziale, in momenti come questi, la ricerca della più larga unità
intorno all'azione e al ruolo internazionale dell'Italia». Parole del
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di fronte al Parlamento
chiamato a decidere se appoggiare o no la linea del governo sulla
crisi irachena? Sbagliato: sono le parole risuonate alla Camera il 26
marzo del 1999 (di fronte ad un intervento, quello in Kosovo,
ugualmente privo della copertura Onu) e pronunciate da Massimo
D'Alema, allora capo del governo ma adesso in prima fila nel
contrastare l'appello di Palazzo Chigi per una linea bipartisan.

Dopo il duro alterco sulla crisi irachena avvenuto tra D'Alema e il
ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi, a
Montecitorio hanno cominciato a circolare tra i deputati del
centro-destra le fotocopie del vecchio discorso dalemiano. E tutti
hanno notato come molte delle affermazioni contenute in quel discorso
sono improntate esattamente allo stesso spirito di quelle che in
queste ore si sentono da parte degli esponenti del governo in carica.
Esempio: «E' certamente legittimo» disse il 26 marzo 99 l'attuale
presidente della Quercia «sostenere che, sul piano strettamente
giuridico, l'intervento della Nato avviene senza mandato specifico
delle Nazioni Unite. Al contempo è impossibile negare purtroppo che
ciò dipende da una sostanziale paralisi del Consiglio di sicurezza,
bloccato nelle sue deliberazioni dai reciproci veti dei suoi membri».
Commento di molti deputati di lungo corso: «Peccato che in politica
non si utilizzino più spesso gli archivi...».


=== 1 ===


La composizione del governo D'Alema I (21 ottobre 1998)


Governo D'Alema I

Presidente del Consiglio: 	Massimo D'Alema (Ds)
Vice Presidente: 			Sergio Mattarella (Ppi)
Sottosegretario alla presidenza: Franco Bassanini (Ds)
Bilancio e Tesoro: 	                   Carlo Azeglio Ciampi
Finanze: 				          Vincenzo Visco (Ds)
Industria: 				          Pier Luigi Bersani (Ds)
Esteri: 					Lamberto Dini (Ri)
Giustizia: 				         Oliviero Diliberto (Pdci)
Interno: 			               Rosa Russo Jervolino (Ppi)
Commercio estero: 		         Piero Fassino (Ds)
Riforme costituzionali: 		Giuliano Amato
Beni Culturali Spettacoli e Sport: Giovanna Melandri (Ds)
Sanità: 					Rosy Bindi (Ppi)
Ambiente: 				Edo Ronchi (Verdi)
Funzione Pubblica: 		         Angelo Piazza (Sdi)
Comunicazioni: 			Salvatore Cardinale (Udr)
Pubblica Istruzione: 		          Luigi Berlinguer (Ds)
Ricerca Scientifica e Università: Ortensio Zecchino (Ppi)
Trasporti: 				         Tiziano Treu (Ri)
Difesa: 					Carlo Scognamiglio (Udr)
Lavori Pubblici: 			Enrico Micheli (Ppi)
Lavoro e Mezzogiorno: 	         Antonio Bassolino (Ds)
Pari opportunità: 			Laura Balbo
Solidarietà sociale: 		          Livia Turco (Ds)
Politiche agricole: 		          Paolo De Castro (Ulivo)
Rapporti parlamento: 		Guido Folloni (Udr)
Politiche comunitarie: 		Enrico Letta (Ppi)
Affari regionali: 			Katia Belillo (Pdci)

                (21 ottobre 1998)


=== 2 ===


SERBIA: ORDIGNI NATO INESPLOSI IN 40 SITI, ANCHE IN FABBRICA

(ANSA) - BELGRADO, 14 FEB - Ordigni inesplosi dei raid
della Nato della primavera 1999 sono stati individuati in 40 siti
serbi, di cui uno e' il cortile di una grande fabbrica di Pancevo (10
chilometri a est di Belgrado) tuttora in attivita'. Lo ha detto il
direttore del centro di sminamento serbo Petar Mihajlovic, precisando
che ''la maggior parte delle bombe inesplose sono nei sotterranei
dell'ambasciata cinese a Belgrado, nel quartiere  belgradese di
Zvezdara, sul monte Avala e nel sobborgo di Batajnica, dove c'e'
l'aeroporto militare''. Recentemente, i tecnici incaricati dei
progetti di bonifica del Danubio avevano  indicato nove siti in
prossimita' di altrettante cittadine e villaggi lungo il fiume. Per
l'ambasciata cinese, esperti americani avevano recentemente offerto
aiuto nel disinnescare gli ordigni, ma Pechino ha rifiutato. Secondo
la stampa serba, la sede diplomatica - bombardata nel maggio del 1999
con un bilancio di quattro morti e dieci feriti - avrebbe  nascosto 
un
centro di comando delle forze armate di Slobodan Milosevic o forse
delle gallerie di comunicazione con i centri del vecchio potere.
(ANSA). OT14/02/2003 17:32

http://www.ansa.it/balcani/serbiamontenegro/serbiamontenegro.shtml


=== 3 : LE ANALISI ===


La "grande scacchiera" e la guerra della Nato

Fausto Sorini
Liberazione 5 giugno 1999

"La grande scacchiera" è il titolo di un recensissimo libro di
Zbigniew Brzezinski, già consigliere per la sicurezza nazionale del
presidente Carter, una delle teste pensanti della politica estera
degli Stati Uniti. Esso espone, con esemplare chiarezza e senza
infingimenti "umanitari", il quadro strategico globale entro cui
collocare e comprendere le ragioni essenziali dell'aggressione della
Nato alla Repubblica Federale Jugoslava, fortissimamente voluta dagli
Stati Uniti. "Il crollo dell'Unione Sovietica - scrive l'autore - ha
fatto sì che gli Stati Uniti diventassero la prima e unica potenza
veramente globale, con una egemonia mondiale senza precedenti e oggi
incontrastata. Ma continuerà ad esserlo anche in futuro? Per gli 
Stati
Uniti, il premio geopolitico più importante è rappresentato
dall'Eurasia, il continente più grande del globo", che "occupa,
geopoliticamente parlando, una posizione assiale, dove vive circa il
75% della popolazione mondiale ed è concentrata gran parte della
ricchezza del mondo, sia industriale che nel sottosuolo. Questo
continente incide per circa il 60% sul PIL mondiale e per 3/4 sulle
risorse energetiche conosciute ... L'Eurasia - sintetizza Brzezinski -

è quindi la scacchiera su cui si continua a giocare la partita per la
supremazia globale". "Ma se la Russia - prosegue l'autore - dovesse
respingere l'Occidente, diventare una singola entità aggressiva e
stringere un'alleanza con il principale attore orientale (la Cina) ",
e con l'India, "allora il primato americano in Eurasia si ridurrebbe
sensibilmente". E così pure se i partner euro-occidentali, 
soprattutto
Francia e Germania, "dovessero spodestare gli Stati Uniti dal loro
osservatorio nella periferia occidentale" (così viene definita l'area
dell'Unione Europea), "la partecipazione americana alla partita nello
scacchiere eurasiatico si concluderebbe automaticamente". Quindi,
conclude Brzezinski, "la capacità degli Stati Uniti di esercitare
un'effettiva supremazia mondiale dipenderà dal modo con cui sapranno
affrontare i complessi equilibri di forza nell'Eurasia: e la priorità
deve essere quella di tenere sotto controllo l'ascesa di altre 
potenze
regionali (predominanti e antagoniste) in modo che non minaccino la
supremazia mondiale degli Stati Uniti". "Per usare una terminologia
che riecheggia l'epoca più brutale degli antichi imperi, tre sono i
grandi imperativi della geo-strategia imperiale: impedire collusioni 
e
mantenere tra i vassalli la dipendenza in termini di sicurezza,
garantire la protezione e l'arrendevolezza dei tributari e impedire 
ai
barbari di stringere alleanze". Gli Stati Uniti vogliono in primo
luogo evitare che in Russia si affermi un potere politico influenzato
dai comunisti, avverso al liberismo selvaggio che ha precipitato il
Paese nella crisi più nera e volto a ristabilire una collocazione
internazionale della Russia non subalterna all'Occidente. Per questo
il deposto premier Primakov era ed è considerato un avversario
temibile: è sostenuto da una Duma dominata dai comunisti, sorretto da
un consenso popolare dell'80%, favorito alle elezioni presidenziali
dell'anno prossimo, mentre il consenso degli uomini di fiducia degli
Stati Uniti, come Eltsin e Cernomyrdin è precipitato al 5-10%. Anche
per questo Eltsin lo ha destituito (rendendo ormai drammatico il
fossato tra paese reale e paese "legale", ai limiti di uno scontro
interno che potrebbe precipitare in forme drammatiche), dopo avergli
sottratto il dossier "guerra in Jugoslavia" per affidarlo a
Cernomyrdin. In modo che l'eventuale successo di una mediazione
diplomatica russa avvenga su una linea più docile alle volontà della
Nato, e che sia il nucleo eltsiniano (e non Primakov e la sua 
squadra)
a trarne i maggiori benefici di immagine, in vista delle prossime
scadenze elettorali in Russia. Gli Usa vogliono inoltre favorire una
evoluzione della Cina per cui le forze espressione di una nuova
borghesia interna legata al mercato internazionale (che auspica un
legame preferenziale e docile con gli Stati Uniti) prendano
gradualmente il sopravvento sulle forze sociali e politiche che
restano legate a un progetto originale e inedito di lunga transizione
al socialismo, con una economia mista in cui il pubblico resti
comunque prevalente sul privato. Il bombardamento pianificato
dell'ambasciata cinese a Belgrado, era certo un test per vedere fino 
a
che punto la Cina era in grado di assumere sulla guerra in Jugoslavia
un profilo forte e autonomo dagli Usa e la reazione degli studenti
cinesi (da molti considerati ormai succubi del modello americano) è
stato un segnale più che incoraggiante di tenuta di un orientamento
antimperialista, di dignità nazionale, di autonomia di valori, che
parla alle nuove generazioni del mondo intero. Ma quelle bombe si
proponevano, da parte dei fautori della guerra totale contro la
Jugoslavia, anche l'obbiettivo di inasprire le relazioni
internazionali e rendere impossibile in sede Onu una risoluzione
ragionevole e negoziata (non imposta dalla Nato) tra tutte le parti 
in
causa del conflitto balcanico. Anche sull'India, potenza nucleare, 
gli
Usa premono per sottrarla alla sua storica collocazione di non
allineamento, che conserva forti radici nel Paese, per imporle una
linea di privatizzazioni selvagge e di smantellamento del ruolo dello
Stato in economia (tuttora consistente) e omologarla al modello
neo-liberale. In Europa si cerca di impedire che si affermi un 
modello
sociale diverso da quello neo- liberale ed un sistema di sicurezza
alternativo alla Nato e alla tutela americana sull'Europa. Tanto più
se ciò dovesse prefigurare un quadro di cooperazione economica,
politica e militare di tutta l'Europa, dall'Atlantico agli Urali,
passando per i Balcani. Il che configurerebbe una entità economica
geopolitica e di sicurezza di prima grandezza nel panorama mondiale e
scalzerebbe l'influenza predominante degli Usa sul vecchio 
continente.
Proprio Primakov è stato e rimane uno dei più convinti assertori di
questo asse Russia-Unione Europea ad Ovest, e di un altro asse
Russia-Cina-India ad oriente, che marcherebbero una evoluzione
multipolare degli assetti planetari e degli stessi rapporti in seno
alle Nazioni Unite, minando il progetto americano di egemonia globale
unipolare, che comporta invece l'affossamento dell'Onu e la
trasformazione della nuova Nato a guida americana in regolatore
supremo di ogni controversia internazionale. Sul solo terreno della
competizione economica l'imperialismo americano non è in grado oggi 
di
dominare il mondo e di subordinare i suoi stessi alleati/concorrenti
come Unione Europea e Giappone. Gli Usa incidevano nel dopoguerra per
il 50% del PIL mondiale: oggi la percentuale si è dimezzata, ed è di
poco inferiore a quella dell'Unione Europea. Spostare la competizione
sul terreno militare, dove la potenza Usa è ancora di gran lunga
preponderante, significa usare la guerra come strumento di egemonia
economica e politica. Anche contro l'Europa: costringendola a subire
l'iniziativa e l'interventismo anglo-americano o ad entrare nel gioco
della grande spartizione delle zone di influenza, ma in posizione
subalterna. Come appunto è avvenuto con questa guerra. Siamo partiti,
in apparenza, da lontano, ma la conclusione è sintetica e ci tocca da
vicino. Il controllo dei Balcani è strategico nella competizione per
il controllo dell'Eurasia. I Balcani sono storicamente la porta per
l'Oriente; da lì passano oggi oleodotti e gasdotti che trasportano le
vitali risorse energetiche tra Europa e Asia. Nella contigua regione
del Mar Caspio, del Mar Nero, del Caucaso gli scienziati stimano
esservi giacimenti di petrolio e di gas naturale tra i maggiori del
mondo. L'allargamento della Nato ad Est si propone di inglobare
gradualmente tutti i paesi dell'Europa centro-orientale e dei 
Balcani,
incluse le repubbliche europee dell'ex Unione Sovietica, per farne un
grande protettorato atlantico: per controllarne le risorse e
circondare una Russia non ancora "normalizzata" e dal futuro incerto.
Mentre all'altro capo del continente eurasiatico, proprio in queste
settimane, è andata strutturandosi una "Nato asiatica", che 
comprende,
in un sistema militare e di "sicurezza" integrato, gli Stati Uniti, 
il
Giappone, la Corea del Sud e strizza l'occhio a Taiwan, cui si
assicura "protezione". Che cosa accadrebbe domani se gli Stati Uniti
decidessero di dare vita ad una nuova UCK in Cecenia, in Daghestan; 
in
Tibet o magari a Taiwan? La Jugoslavia rappresentava, agli inizi 
degli
anni '90, un ostacolo alla normalizzazione dei Balcani. Facendo leva
su processi disgregativi interni e ataviche tensioni etniche e
nazionali, alimentate dalla crisi dell'esperienza socialista 
jugoslava
(che richiederebbe un discorso a parte), la Germania prima e gli Usa
poi hanno spinto per la disintegrazione del paese (attizzare il 
fuoco,
disgregare, per poi intervenire, assumere il controllo, colonizzare).
Da qui la secessione della Slovenia, della Croazia, della Macedonia,
della Bosnia, e la trasformazione dell'Albania in una grande base 
Nato
nel Mediterraneo. Restava ancora da spappolare la Repubblica Federale
Jugoslava, e soprattutto l'indocile Serbia. Così fu aperto il dossier
Kossovo, dove certo non mancavano i presupposti per gettare benzina
sul fuoco. E dove la parte più estrema del nazionalismo serbo, con
forti appoggi nel governo di Belgrado, aveva colpevolmente 
contribuito
ad esasperare i rapporti con la popolazione kossovara di origine
albanese: a sua volta sospinta dall'UCK, armata dagli americani, a
precipitare la regione nella guerra civile, per poi invocare
l'intervento "liberatore" della Nato.. Ma questa è storia dei giorni
nostri; anzi, cronaca.


> La guerra del Kosovo, o dei Balcani...
>
> Angelo d'Orsi (da "Liberazione)
>
> La guerra del Kosovo, o dei Balcani, che ha chiuso cronologicamente
> il Novecento, ha riproposto gli stessi meccanismi del Golfo, prova
> generale per la realizzazione del "nuovo ordine mondiale", con una
> peculiarità: si è trattato di un conflitto fomentato 
> dall'Occidente, una guerra politicamente e giuridicamente evitabile,
> ma perseguita con lucidità dagli Stati Uniti e accetta  più o meno
> volentieri dall'Europa. Peraltro, con la guerra a Milosevic,
> l'Europa per la prima volta da espressione geografica e koiné
> culturale si presentava come entità politica: si è trattato  della
> prima guerra dell'Unione Europea, che ha così avuto un suo  canonico
> "battesimo del fuoco", rimanendo perfettamente in linea  con la
> tradizionale idea che senza sangue non si crea una nazione. Che poi
> la nazione europea abbia davvero potuto essere generata dal
> conflitto appare davvero dubbio, trattandosi anche di una guerra
> infraeuropea, di un'aggressione all'Europa da parte dell'Europa, per
> un verso, e di un attacco all'Europa proveniente d'Oltre Atlantico.
>
> In quella neoguerra, il ricorso all'uso politico della storia -
> forma estrema dell'uso pubblico della storia -, al suo inesauribile
> supermercato, è stato particolarmente forte e martellante. Filosofi,
> scienziati, politici e cultori professionali o dilettanti di storia
> sono stati mobilitati in massa per fornire alla classe  politica e
> ai suoi propagandisti gli strumenti e gli argomenti di varia natura
> alla preparazione ideologica e alla successiva  giustificazione
> dell'evento, che, nella buona sostanza, era semplicemente
> un'aggressione armata, condotta con mezzi aerei da cinquemila metri
> di altezza, da parte di una coalizione di diciannove Stati - quasi
> tutti i più potenti della Terra - contro  una nazione di nove
> milioni scarsi di abitanti, più piccola della  metà dell'Italia
> settentrionale. Di nuovo, come nel Golfo, ma con  intensità assai
> maggiore e un'insistenza resa più facile da false  analogie
> storico-geografiche, il ricorso al paradigma antifascista, alla più
> "giusta" delle guerre - quella condotta contro il nazifascismo da
> parte delle "democrazie" - serve a fare accettare all'opinione
> pubblica internazionale, europea soprattutto,  un'azione militare
> inaccettabile sotto tutti i principi. Ancora una volta si
> riaffacciava il fantasma di Adolf Hitler, i cui panni erano fatti
> indossare al serbo Milosevic, con la connessa, falsa e moralmente
> ripugnante equiparazione della cosiddetta pulizia etnica (rimasta
> peraltro largamente indimostrata) al genocidio ebraico; e via di
> questo passo, in un incredibile repertorio fondato su false
> analogie, anacronismi, mezze verità e palesi menzogne: il tutto
> fornito da uomini di studio, di scienza, di cultura. E anche
> recenti, rigorosamente documentati lavori di studiosi autentici
> hanno finito per avallare, passando dal piano conoscitivo a quello
> valutativo, un giudizio di "colpevolezza" serba, pur con numerosi
> distinguo e con apprezzabili sforzi di corresponsabilizzazione 
> degli altri attori, interni, ed esterni, in campo. Mentre, d'altro
> canto, statisti e commentatori professionali (pur con qualche
> lodevole eccezione, frutto talora di pentimento rispetto a posizioni
> pregresse), non si sono ritratti, nella "guerra al Terrore", dal
> riproporre una volta ancora l'equazione tra i "buoni" del momento,
> ossia gli americani e i loro alleati (succubi), e quelli del 1939-45
> (ancora gli americani e i loro alleati), e, sul fronte opposto, i
> "cattivi", equiparati a Hitler e i suoi alleati (succubi).
>
> Insomma, anche quando non hanno agito in prima persona per
> costruzione di menzogne a fini di legittimare quel che era
> impossibile legittimare su ogni piano, gli intellettuali si sono
> assunti una responsabilità negativa, nel senso che non hanno fatto
> ciò che ad essi primariamente compete, o lo hanno fatto troppo poco,
> episodicamente: un'opera di demistificazione critica, di denuncia
> proprio delle manipolazioni, delle corruzioni e degli  inquinamenti
> della verità, che, al comodo riparo di una storia  bric-à-brac, sono
> alle nostre spalle, e, purtroppo, pur all'interno di un lento
> processo di presa di distanza dalle (dichiarate) ragioni del
> conflitto.
>
> Né sufficiente è apparsa la mobilitazione intellettuale davanti
> all'ultimo obbrobrio: la "guerra preventiva", estremo vulnus al
> diritto, alla logica, alla storia. Troppi chierici hanno taciuto,
> approvato, giustificato, colpevolmente.
>
> Pessimismo eccessivo? Catastrofismo (appunto)? Se si vuole una
> piccola nota di moderato ottimismo teorico si può ricordare che la
> teoria delle catastrofi applicata all'ambito politico - come per
> esempio fa Georges Sorel nelle sue Réflexions sur la violence
> (1908), riprendendo e sviluppando Marx a proprio modo - vede appunto
> una "catastrofe" a segnare il passaggio da un'epoca ad un'altra,
> superiore, per livello di civiltà. Tale sarà il passaggio dal
> capitalismo al socialismo; ma, egli aggiunge, non è poi certo e
> nemmeno necessario che ciò accada; basterà che l'evento 
> catastrofico sia atteso come un mito vivificante per produrre
> conseguenze.
>
> Non abbiamo la fede di Sorel, ma piuttosto la passione per la
> ricerca e l'acribia: è piuttosto a Marc Bloch che si può guardare 
> con reverente attenzione. Ponendoci sulla scia di un tale gigante
> della storia (dunque della ricerca appassionata della verità), ci
> chiediamo se un lavoro, insieme modesto e difficile, di scrupolosa
> raccolta di dati e di loro interpretazione (ci auguriamo corretta),
> non possa costituire un pur minimo contributo utile per evitare la
> "catastrofe".
>
> Con il che dall'accezione corrente del termine catastrofe ritorniamo
> alla sua origine: evento (perlopiù doloroso) o insieme di eventi che
> portano allo scioglimento della tragedia, fornendo un ammaestramento
> agli uomini (e alle donne). Non sta a chi scrive dire se qualche,
> pur piccolo e modesto "ammaestramento" possa uscirne per il lettore.
> Ma sia lecito almeno esprimere l'auspicio che in quel lettore sorga,
> da questo libro, il desiderio di capire e sapere di più.

http://digilander.libero.it/economiadiguerra/euro_kosovo_usa.htm

E il dollaro va alla guerra contro l'euro

Tina Menotti
(Rita Madotto)

Liberazione 29 aprile 1999

Della guerra della Nato in Kosovo ne sa piú Alan Greenspan -
presidente della Federal Reserve - che Bill Clinton. La natura di
questa guerra, infatti, è preminentemente economica e finanziaria. E
il disorientamento dei commentatori che accettano passivamente la 
tesi
della "guerra umanitaria" la dice lunga sul processo di omologazione
all'ideologia della superpotenza Usa avvenuta negli ultimi due 
decenni
e che non ha risparmiato la cultura della "sinistra riformista". Il
ruolo predominante degli Stati Uniti nel decidere tempi e modalità
della guerra è sotto gli occhi di tutti, ed evidenzia che gli Usa non
hanno alcuna fretta di chiudere il conflitto, anzi hanno bisogno di
allargarlo.

La rendita degli Usa

I Balcani e la pulizia etnica in Kosovo non sono la vera materia del
contendere, ma lo strumento attraverso cui gli Stati Uniti hanno
deciso di destabilizzare l'Europa:  un'area economica che, dopo
l'unificazione monetaria, può minacciare la rendita di posizione 
degli
Usa sui mercati internazionali. Un'egemonia incontrastata e 
rafforzata
dal ruolo politico e militare degli Usa nel mondo dopo la caduta del
muro di Berlino. Erodere la supremazia del dollaro significa, 
infatti,
rompere quel  meccanismo attraverso cui gli Usa esportano 
sistematicamente le loro crisi economiche, godendo cosí di 
un'economia
in buona salute nonostante l'alto indebitamento delle famiglie e il
pazzesco indebitamento con l'estero. Lo scenario economico che si è
determinato negli ultimi due anni mostra con chiarezza che tale
rendita di posizione è seriamente minacciata. Il terremoto 
finanziario
partito dal Sud-est asiatico e il Giappone e che ha investito la
Russia e il Brasile è partito  essenzialmente da due fattori
concomitanti. La liberalizzazione selvaggia del movimento dei
capitali, voluta dagli Usa per trovare collocazione alle ingenti
risorse finanziarie liberate dalle politiche di riduzione del debito
statale, che hanno determinato minori rendite sui  titoli pubblici, e
soprattutto dalla privatizzazione del sistema previdenziale. Ciò ha
consentito ai paesi emergenti forti indebitamenti a breve, mentre la
veloce rivalutazione del dollaro nell'estate del '97 (il secondo
fattore scatenante) ha fatto esplodere il debito estero di questi
paesi innescando la crisi a livello globale. I capitali sono 
ritornati
sulle piazze europee e su quella statunitense  con l'effetto di
alimentare ancora di piú la bolla speculativa che da anni ormai
incombe come una bomba a orologeria. Greenspan metteva in guardia il
sistema quando il Dow Jones - l'indice azionario - era a quota 6.500
(settembre). La successiva riduzione del tasso di sconto per dar 
fiato
al sistema del credito, dopo il crack del fondo speculativo Long Term
Credit Management che ha rischiato di innescare una serie di
fallimenti a catena, ha portato l'indice a oltre diecimila punti. La
sopravvalutazione dei corsi azionari oscilla cosí tra il 25 e il 40% 
e
ciò mette in crisi tutto il sistema. Crisi di questa natura non sono
una novità per il mercato ma la differenza con il passato l'ha fatta
il varo dell'euro: un progetto che, nell'intenzione dei promotori,
aveva la finalità di creare un mercato unico di merci e capitali
capace di competere con gli altri due blocchi economici, il Giappone 
e
le tigri asiatiche, e il Nafta (mercato unico del centro e nord
America).

La concorrenza dell'Ue

Una solida moneta europea, capace di reggere, per dimensione delle
riserve, alle ondate speculative indurrebbe molte banche centrali e
istituti finanziari a rivedere la composizione delle proprie riserve
valutarie. L'euro farebbe concorrenza al dollaro e, visto il livello
dell'indebitamento estero degli Usa (le stime dicono che nel 1999 il
debito commerciale potrebbe superare i 200 miliardi di dollari), ne
segnerebbe il declino. Un lusso che gli Stati Uniti non possono
concedersi. Come contrastare questo processo? L'unica possibilità per
gli Stati Uniti è quella di destabilizzare l'Europa. L'occasione 
della
guerra nel cuore dell'Europa deve essere apparsa troppo ghiotta alla
leadership statunitense per non essere colta al balzo: certo è che
questo non verrà mai scritto in nessuna "dichiarazione di guerra". 
Una
guerra che destabilizza è una guerra lunga che soddisfa gli appetiti
del complesso militar-industriale degli Usa. Un terzo delle spese di
bilancio degli Stati Uniti sono spese per la "difesa" e il peso
dell'economia di guerra sul Pil è sempre stato il piú alto tra tutti 
i
paesi a capitalismo avanzato. L'aumento  della spesa attraverso gli
investimenti nel settore militare, in un contesto di deflazione
strisciante, è la strada maestra per rilanciare l'economia in un 
paese
che ha demolito qualsiasi meccanismo di redistribuzione del reddito. 
E
l'Europa? E i governanti europei, in maggioranza socialdemocratici? È
possibile che si siano  fatti parte attiva del loro stesso
depotenziamento? Intanto  l'Europa politica non esiste ed è questa la
prima grande sottolineatura di questa guerra. Su questo punto hanno
investito in primis gli strateghi statunitensi. A livello dei singoli
governi è prevalsa, poi, la politica di piccolo cabotaggio e/o gli
interessi delle lobby dell'industria degli armamenti. Gran Bretagna 
in
testa, dove agli interessi di  potenza nel settore armi si aggiunge 
la
storica allergia al progetto di unificazione monetaria che toglie a
Londra lo scettro di piú grande piazza finanziaria europea. Altro
elemento di debolezza dell'Europa sono i governi della  sinistra
moderata, la cui unica preoccupazione sembra  quella di legittimarsi 
e
a cui sfugge l'inganno della  paradossale "guerra umanitaria". Hanno
"dimenticato" le  finalità prime del varo dell'euro, avendo essi
stessi piegato la moneta unica a strumento eccellente delle politiche
restrittive di bilancio di questi ultimi cinque anni. Il risultato è
che l'Europa non ha alcun ruolo autonomo, il conflitto in corso l'ha
ridotta a una mera espressione  geografica, e nessuno può pensare, in
queste condizioni, che la sua moneta di riferimento possa essere
considerata  un "equivalente generale" affidabile.


=== 4 : GLI UMORI DELLA BASE ===


--- In aa-info@yahoogroups.com, "Gruppo Zastava - TS" ha scritto:

24 MARZO 1999 - 2003
"Chi e perché ha voluto distruggere la Jugoslavia"

Il 24 Marzo 1999 la NATO, l'Europa, gli USA, il governo D'Alema-
Ulivo,
con l'appoggio delle destre e per conto delle potenze economiche
mondiali dominanti, nell'ambito di un disegno globale di
ricolonizzazione, scatenarono una micidiale pioggia di bombe sui
popoli della Federazione Jugoslava, violando Costituzione italiana,
leggi e trattati nazionale e internazionali. Migliaia di vittime 
sotto
le bombe, missili con uranio impoverito e grafite, il più grande
disastro ambientale mai avvenuto in Europa: 20.000 morti di tumore in
4 anni di cui il 30% bambini. La Jugoslavia cancellata politicamente
da un governo fantoccio al servizio della NATO e dell'Unione Europea,
che con un consenso dell'8% applica oggi fedelmente le ricette
liberiste con licenziamenti e privatizzazioni. L'aggressione italiana
alla Jugoslavia, pur nella sua orrenda specificità, non è stato un
inizio né una fine: governi di centro- sinistra e di centro-destra, 
in
egual modo, hanno coinvolto il Paese in altre aggressioni armate.
L'esercito italiano è ad oggi impegnato in Albania (2600 effettivi),
Bosnia (1200), Serbia (Kosovo, 4900), Macedonia (120), Afghanistan
(1400), Eritrea (50), mentre l'Italia è occupata militarmente da più
di 140 basi USA e NATO. Ma la "guerra umanitaria" alla Jugoslavia del
1999, preceduta da molti altri "interventi di polizia internazionale"
(Libano '82, Iraq '91, Somalia '93, Albania '95) atti a tastare il
polso alle potenze "alleate" europee, è stata soprattutto il banco di
prova generale USA di una nuova politica egemonica, mirata a far
saltare gli ultimi residui del "diritto internazionale" ed a varare 
la
politica USA delle alleanze a "geometria variabile" definitivamente
collaudato in Afghanistan nel 2001, ed oggi tocca all'Iraq. E ancora
una volta l'Italia, sulla spinta dei suoi potentati
economico-finanziari bi-polari, vi vuole partecipare. L'orizzonte,
dopo e attraverso la distruzione della Jugoslavia, è cambiato: dalle
guerre "limitate" e "concordate" si è passati alla guerra mondiale
permanente. La feroce competizione fra gli stati "alleati" membri del
G8 sta sfociando inevitabilmente in nuove guerre, costringendo gli
Stati Uniti ad "alzare il tiro", pena la perdita dell'egemonia
mondiale. Siamo di fronte ad uno scenario di guerra globale non solo
militare e non solo contro i popoli che rifiutano di farsi
colonizzare. E' una guerra sociale ed economica contro i lavoratori 
di
tutto il mondo. Contro i lavoratori italiani costretti a subire in
questi ultimi 10 anni le politiche dei due poli che si sono alternate
al governo: tagli, privatizzazioni, bassi salari, cancellazione dei
diritti. C'è chi ha interesse che la data del 24 Marzo venga
cancellata dalla nostra memoria. Noi, invece, vogliamo farla vivere e
contestualizzarla dentro la giusta protesta, popolare e di massa, che
in questo periodo si esprime, finalmente in termini radicali, contro
la guerra. Invitiamo pertanto a partecipare alla giornata di
mobilitazione di domenica 23 Marzo, a ridosso del quarto anniversario
dei bombardamenti sulla Jugoslavia, contro la guerra, per la chiusura
della base USA-NATO di Aviano. Base da cui sono partiti, e 
partiranno,
gli aerei con il loro carico di morte.

GRUPPO ZASTAVA TRIESTE
(elaborato da un testo dei compagni romagnoli che ringraziamo per lo
spunto e per non aver dimenticato questa tragica data - yure)

---

«Colpito e terrorizzato»
La macchia mai rimossa

In questi giorni, come non bastasse l'incubo della guerra all'Irak, 
ci
tocca rivivere la vergogna della guerra del Kossovo, prevedibilmente 
e
non infondatamente rievocata dal centro-destra. Succede così 
divedere,
nelle tante maratone televisive, Melandri e Letta sostenere 
goffamente
che allora non fu violata la Costituzione, perché si agiva 
nell'ambito
Nato (cosa detta nello stesso giorno in cui Andreotti, al Senato,
dimostrava come persino il trattato della Nato fosse stato violato
nella guerra alla Jugoslavia). O di assistere al balbettio di 
Pecoraro
Scanio, il quale non trova di meglio che inventarsi che "allora era
d'accordo anche il Papa". Ed ecco, da Costanzo, l'esibizione di
Massimo D'Alema, che difende la sua guerra in un modo talmente
supponente e pretestuoso, da spingere il pubblico del Teatro Parioli,
sempre così benevolo verso l'Ulivo, ad indirizzare applausi
liberatorii alle facili confutazioni di un pensatore come Belpietro. 
E
oggi riecco il Nostro sulla Stampa, saldo come una roccia: "D'Alema
non cambia idea". E' noto che una memoria lunga è spesso d'ostacolo
all'azione politica, nella quale è utile a volte saper dimenticare: 
ma
la ferita del Kossovo è troppo recente e troppo profonda per essere
archiviata o peggio, rimossa. Anzi, è proprio in queste giornate
drammatiche, dentro la grande onda pacifista che ha sollevato il
Paese, è proprio ora che occorre ricordare, discutere, contestare
quelle scelte, come garanzia che non abbiano a ripetersi.E allora
ripetiamolo fino alla noia: l'Italia fu portata in una guerra di
aggressione a uno Stato sovrano, in violazione della Carta dell'Onu,
del Trattato del Nord Atlantico, della Costituzione repubblicana. Al
Parlamento fu consentito votare solo ad attacco già iniziato. Nei
settantotto giorni di bombardamenti devastanti i governi alleati si
macchiarono di numerosi crimini di guerra (uno per tutti: la strage
proditoria di giornalisti, tecnici, civili, compiuta con la scelta di
bombardare la Torre sede della televisione jugoslava a Belgrado).
Bohumil Hrabal usava citare un cartello esposto in una tintoria di
Praga. C'era scritto: "Si avvisa la Spettabile Clientela che alcune
macchie non possono essere cancellate senza intaccare le fibre del
tessuto". La guerra del Kossovo è una di queste macchie. E il tessuto
va intaccato, con una riflessione autocritica di fondo, o almeno con
un rinnovamento della futura leadership ristretta del centro sinistra
che metta da parte i principali responsabili di quel misfatto. Per 
ora
il solo Cofferati, che pure porta una responsabilità infinitamente
minore, ha avviato un ripensamento serio. Altri segnali non se ne
vedono. Se su questo terreno nulla dovesse cambiare di qui alle
politiche, penso che non saremmo in pochi ad incontrare qualche
difficoltà a votare Ulivo, indipendentemente dalle scelte che Rc
deciderà di operare. Non tanto per una condanna morale inappellabile
riferita al passato, quanto per una preoccupazione politica che
riguarda il futuro: perché i D'Alema, i Rutelli, i Fassino, ci stanno
dicendo che, si ripresentassero circostanze analoghe a quelle di
allora, sarebbero pronti ad una nuova guerra.

Edgardo Bonalumi
Il Manifesto - 26 marzo 2003
http://www.informationguerrilla.org/kossovo_e_la_sinistra.htm

------- Forwarded message follows -------
To:             	"no-ogm-ra" <no-ogm-ra@yahoogroups.com>
From:           	"amato.r"
Date sent:      	Tue, 15 Apr 2003 08:58:25 +0200
Subject:        	[no-ogm-ra] Re: Kosovo, gli ipocriti
Send reply to:  	no-ogm-ra@yahoogroups.com

----- Original Message -----
From: "glr"
Sent: Saturday, April 12, 2003 3:49 AM
Subject: Kosovo, gli ipocriti: La Melandri non c'era e se c'era
dormiva (Fwd) [JUGOINFO]

Gli ipocriti (2)
La Melandri non c'era e se c'era dormiva
___________

La contraddizione nelle dichiarazioni di D'Alema e altri esponenti DS
è quotidianamente sotto gli occhi e le orecchie di tutti, a me basta
ascoltare il giornale radio per sentirmi a disagio, e non credo di
essere il solo. La mancanza di coerenza è il principale pericolo per
la credibilità e il futuro della Sinistra e deve superata. Una netta
sconfessione delle posizioni di allora e l'allontanamento dei
responsabili è indispensabile, per questo preciso motivo. Errori così
gravi non possono restare impuniti. L'accusa di opportunismo e
ipocrisia (ora o allora?) da parte dell'opposizione e 
dell'elettorato,
deve essere radicalmente eliminata, eliminandone i fondamenti. E'
indispensabile e non più dilazionabile un chiarimento approfondito e
inequivocabile delle posizioni attuali dell'Ulivo rispetto alla
politica estera italiana e dei rapporti con l'"alleato" statunitense.

Roberto

---

Date: Mon, 20 Jan 2003 12:33:52 +0100
From: andrea
To: pci-epr
Subject: [Pci-epr] NO

Scusa Francesco, mi scusino gli iscritti a questa lista, ma la
ipocrisia del PdCI sulla questione della guerra e' veramente 
offensiva
ed inaccettabile. Non avete fatto nessuna autocritica sul vostro
comportamento nel 1999, sulla spaccatura del PRC e sulla
partecipazione ad un governo deciso a tavolino da Cossiga e
Scognamiglio al solo scopo di consentire la partecipazione italiana
alla aggressione contro la Jugoslavia (devo girare la documentazione
al riguardo?), ed adesso volete guidare voi il movimento contro la
guerra??? (...)

Date: Mon, 20 Jan 2003 14:23:02 +0100 (NFT)
From: francesco
To: andrea, pci-epr
Subject: Re: [Pci-epr] NO

Caro Andrea,
rispondo pubblicamente (e non in privato, come sarebbe forse
piu' opportuno per la nostra vecchia amicizia) solo per evitare che 
le
compagne ed i compagni iscritti a questa lista possno avere
l'impressione che il PdCI, che io qui rappresento ufficialmente, non
sappia come affrontare queste critiche. Nel merito quindi:

1) la partecipazione italiana alla guerra contro la Jugoslavia non
dipesa da alcun comportamento del governo D'Alema, perche' le
responsabilita' sono precedenti e collettive: essa infatti fu resa
inevitabile dalla improvvida decisione di cedere il comando delle
truppe italiane alla NATO nel caso "si fosse resa necessaria" una
operazione di "intervento umanitario" nella zona (le virgolette
specificano i termini usati nella votazione parlamentare). Purtroppo,
questa decisione fu presa ALL'UNANIMITA' dalle Camere nell'ottobre 
del
1998 e fu votata ANCHE DAL PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA: i
Parlamentari che successivamente hanno aderito al PdCI hanno
riconosciuto, pochi mesi dopo, che si tratto' di un tragico errore,
dettato dalla mancanza di approfondimento sulla situazione. I
Parlamentari rimasti nel PRC hanno solamente rimosso questo episodio 
e
non ne hanno mai piu' parlato. Tuttavia, da quel momento in poi, le
operazioni NON SONO PIU' PASSATE PER UN CONTROLLO PARLAMENTARE e
neppure governativo in Italia: questo e' stato, all'epoca e
successivamente denunciato con forza dal PdCI, che non ha mai
riconosciuto, dalla sua nascita, ne' una validita' alla cosiddetta
"guerra umanitaria" del 1999 ne' alla demonizzazione della Jugoslavia
ne' a tutta la propaganda bellicista dell'epoca e successiva.

2) Quando la NATO (cioe' in pratica gli USA) diedero inizio alle
ostilita', senza che nessuno potesse piu' impedirlo (come e' noto, i
governi venivano informati, non coinvolti e neppure consultati) il
PdCI ha fatto tutto il possibile per far terminare il conflitto al
piu' presto e con il minore numero di vittime. So che sull'efficacia
di questi interventi abbiamo punti di vista diversi, perche' io
continuo a pensare che l'aver impedito il cosiddetto "intervento di
terra" sia stato utile, mentre, dalle diverse discussioni che abbiamo
avuto sull'argomento, so che tu pensi che se la NATO lo avesse
tentato, si sarebbe cacciata in un "cul-de-sac" esiziale. Tuttavia
nessuno puo' negare che questi interventi ci furono e che ebbero un
risultato: se si vuole, si tratta di analizzare in dettaglio queso
risultato ma non credo che si possa fare per mail.

3) quanto alla nascita del PdCI, no, qui non discuto neppure: fu
un errore gravissimo, del quale scontiamo tutti ora le conseguenze, 
la
posizione di Bertinotti sul Governo Prodi, che non comprendeva alcun
punto sulla guerra (sai benissimo che l'ala trozkista di 
Rifondazione,
che faceva e fa parte integrante ed insostiuibile della maggioranza 
di
quel partito non ha mai avuto dubbi sulla realta' della "pulizia
etnica dei serbi", su quanto fosse cattivo Milosevic, ecc., tutte 
cose
che invece vanno adeguatamente ridiscusse) ma che riguardava solo il
punto assolutamente surrettizio della "svolta o rottura" sulla
politica sociale ed in particolare sulla legge relativa alle 35 h
lavorative a settimana. Fu l'unica cosa da fare partecipare al 
governo
che si formo' e sulla nascita del quale chi vuol dare credito a
Cossiga lo faccia pure (...)


=== 5 : GUERRA CONTRO L'INFORMAZIONE  ===


CHI  RICORDA LA TV SERBA BOMBARDATA?

mauri ti segnala questo articolo pubblicato sul sito
http://www.unita.it
e aggiunge il seguente commento:
<<Quando si dice di essere patetici,non sono sicuro di chi governava
nel 1999.Forse l'unita stava contro la NATO. Forse le Bombe
intelligenti non apprezzano la Televisione. Forse La rai o la cnn o 
le
reti mediaset sono la massima espressione della libertà
d'informazione...>>

Chi ricorda la tv serba bombardata? L'informazione negata. Ieri come
oggi di an.ca.   Diritto internazionale e informazione. Durante la
guerra, il primo viene spazzato via definitivamente dai rapporti di
forza, la seconda scivola sempre più nella propaganda. Mentre si
susseguono notizie e smentite dall’ Iraq, la presentazione di
“Sedicipersone”, un documentario di Corrado Veneziano realizzato con
la consulenza giuridica del giudice Domenico Gallo, dà questo
contributo alla riflessione sulle implicazioni di un conflitto 
armato.
In 32 minuti, attraverso le testimonianze di giornalisti e operatori,
italiani e serbi, si ricorda il bombardamento del palazzo della Radio
Televizija Srbije, la tv nazionale di Belgrado. Alle 2 e 16 del 23
aprile di quattro anni fa, 16 persone che erano all’interno
dell’edificio rimangono uccise.  Su quell’episodio , sostiene 
Domenico
Gallo, il Tribunale internazionale per la ex-Iugoslavia e la Corte
Europea «dissero ai giudici di tacere». Secondo il primo protocollo
della Convenzione di Ginevra del 49 il bombardamento di un obiettivo
non militare è vietato. La Corte di Cassazione italiana nel febbraio
2002 affermò che il bombardamento su un edificio all’estero non
rientra nella giurisdizione italiana. Se la vicenda giudiziaria è
conclusa, ha proseguito Gallo, la vicenda storica rimane ancora
aperta. I Cruise della Nato che colpiscono il palazzo
dell’informazione di Belgrado sono un simbolo, ha ricordato Paolo
Serventi Longhi, segretario della federazione nazionale della stampa,
che induce ancora una volta a riflettere su come si possa costruire
una democrazia con le bombe e cosa significhi fare informazione. Nei
giorni successivi, quel bombardamento fu presentato come un errore, -
ha ricordato Tana de Zelueta, parlamentare Ds- e solo grazie ad una
indiscrezione trapelò che quella operazione fu voluta. Davanti alla
telecamera, un parente delle vittime spiega l’effetto, l’unico, di 
una
guerra: svuotare le cose e le parole. Anche i giornali, ha aggiunto
Lucio Caracciolo direttore di Limes, nel suo intervento. Infine la
denuncia di Ennio Remondino, per anni inviato della Rai dai Balcani.
Ormai le guerre si fanno per convincere, non per vincere, ed il 
grande
sconfitto per Remondino sembra essere l’informazione. Per Remondino, 
o
sei trombettiere o ti bombardano.   se vuoi leggerlo online:
http://www.unita.it/index.asp?topic_tipo=&topic_id=24422 (assicurati
che l'indirizzo qui sopra sia riportato per intero nel browser) Vieni
a trovarci su http://www.unita.it

---

il manifesto - 23 Aprile 2003
GIORNALISMO TARGET

Dalla tv di Belgrado all'Hotel Palestine. Quel
«vicino» 23 aprile

DOMENICO GALLO

Ksenija Bankovic aveva 28 anni il 23 aprile del 1999 ed era molto
contenta del suo lavoro di assistente al montaggio, anche Jelika
Munitlak aveva 28 anni ed era contenta del suo lavoro di
truccatrice.Oggi, dopo quattro anni, Ksenija e Jelika hanno ancora 28
anni. Infatti sono state spogliate della vita alle ore 2,06 del 23
aprile 1999, assieme ad altre quattordici persone, come loro addette
al lavoro presso gli studi della Rts (Radio Televisione  Serba) di
Belgrado. Un missile «intelligente» della NATO aveva deciso di
impadronirsi della loro vita e c'è riuscito, centrando, con 
precisione
millimetrica, l'ala centrale dell'edificio della televisione, dove
ferveva il lavoro dell'equipe tecnica. I vertici dell'Alleanza sono
così riuscite a spegnere per sempre il sorriso di Ksenija e di Jelika
che, chissà per quale oscura ragione, dava loro tanto fastidio.
Quattro anni fa l'opinione pubblica non era ancora abituata a
considerare le equipe televisive ed i giornalisti addetti al loro
lavoro come obiettivi militari, come bocche e come occhi da chiudere
per sempre, con l'argomento irresistibile del tritolo. Per questo,
all'epoca si levò un fremito di indignazione che raggiunse,
addirittura, i vertici politici coinvolti in quella sciagurata
impresa. Il ministro italiano degli Esteri dell'epoca, l'on. Dini, da
Washington, dove si era riunito il Summit dell'Alleanza per celebrare
i 50 anni della Nato, dichiarò ai giornalisti italiani «è terribile,
disapprovo, non credo che fosse neppure nei piani». Ma  fu
immediatamente sconfessato dal suo Presidente del Consiglio, l'on.
Massimo D'Alema, che dichiarò: «Non si può commentare ogni giorno
dov'è caduta una bomba», precisando che la sua reazione alla notizia
risultava «attenuata dal fatto che in Jugoslavia non esiste una 
stampa
libera» (Corriere della Sera, 24 aprile 1999). Così il 23 aprile del
1999, nel processo della modernizzazione che incombe sul nostro 
tempo,
è entrato una preziosa acquisizione giuridica: il diritto alla vita
dei giornalisti (e di tutti coloro che lavorano nel mondo dei media) 
è
un diritto affievolito, dipende dal grado di libertà di stampa
esistente in un determinato contesto. Quando la televisione
costituisce uno strumento di propaganda di un regime politico
autoritario, allora può essere silenziata con la giusta dose di
tritolo. D'altronde è proprio quello che sostenevano i portavoce 
della
Nato, nel briefing quotidiano con la  stampa. Il colonnello Konrad
Freytag, sempre nella fatidica giornata del 23 aprile, dichiarava che
la Nato aveva continuato gli attacchi volti a indebolire gli apparati
di propaganda della Jugoslavia e per questo aveva colpito gli studi
radiotelevisivi della Tv di Belgrado: «la più grande istituzione dei
mass media in Yugoslavia, che orchestra la maggior parte dei 
programmi
di propaganda del regime». Anche in Iraq, come tutti sanno, non
esisteva una stampa libera, per questo le forze dell'Alleanza del
bene, il giorno prima della capitolazione di Baghdad hanno distrutto
il terrazzo da cui trasmetteva la Tv Al Jazeera, uccidendone
l'inviato, ed hanno bombardato l'Hotel Palestine, uccidendo altri due
giornalisti, che non avevano capito bene che il regime di Saddam non
garantisce la libertà di stampa. L'esempio della Rts ha fatto scuola.
Sono passati solo quattro anni da quell'evento, ma sembra che sia
trascorso un secolo. In Jugoslavia del regime di Milosevic non è
rimasta più traccia alcuna: i dignitari del regime o sono morti per
faide interne o sono finiti in prigione all'Aja. La stessa Jugoslavia
non esiste più, ha cambiato nome: adesso si chiama Serbia e
Montenegro. Apparentemente ci sono tutte le ragioni per aprire una
casella negli scaffali della storia dove archiviare definitivamente 
la
guerra Nato di Jugoslavia e passare ad altro. Ma i conti non tornano,
questa stagione non riesce a concludersi, perché sino ad oggi nessuno
ci ha dato conto della atroce morte di Ksenija e dei suoi compagni.
Nessuno ha pronunziato una parola di giustizia che consentisse ai
morti di riposare in pace. Di fronte a questo evento sta il silenzio
assordante delle Corti e dei sistemi giudiziari di cui l'Occidente
mena gran vanto. In primo luogo il silenzio di quell'organo che l'Onu
aveva creato per proteggere gli abitanti della ex Jugoslavia dalla
barbarie della guerra. Il Tribunale penale per i crimini commessi
nella ex Jugoslavia non ha detto una parola. Non ha potuto, in quanto
il suo Procuratore, Carla Del Ponte, ha deciso di non chiedere ai 
suoi
giudici di giudicare ed ha dichiarato, il 5 giugno del 2000 al
Consiglio di Sicurezza dell'ONU di essere «molto soddisfatta» per 
aver
archiviato le denunzie relative ai crimini commessi dai vincitori -
accuse depositate da Amnesty International e Human Right Watch. In
secondo luogo il silenzio di quella Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo, che ha deciso, il 12 dicembre 2001, pronunziandosi sul
ricorso presentato dal papà di Ksenija Bankovic, di non giudicare,
decretando che i diritti dell'uomo non sono poi tanto universali. In
terzo luogo il silenzio della Cassazione, le cui Sezioni unite  
civili
hanno imposto, nel giugno del 2002, ai giudici italiani di tacere, di
non raccogliere il grido di dolore delle
   vittime, per non disturbare la libertà di bombardamento del
   sovrano.
Com'è noto, al di sopra delle Sezioni Unite, c'è solo il Tribunale di
Dio. Quindi i sommi giudici credevano di mettere la parola fine a
questa vicenda, ma hanno commesso uno sbaglio. I morti non sono
d'accordo. Lo spettro delle sedici vittime innocenti (che tornano in
questi  giorni d'attualità) continua ad aggirarsi nelle Cancellerie e
nelle Corti di Giustizia. I leaders politici, responsabili della 
morte
fisica, ed i magistrati, responsabili della morte giudiziaria, non se
ne potranno liberare e trasaliranno, vedendoseli comparire dinanzi,
come Macbeth quando vedeva riaffiorare lo spettro di Banquo.


=== 6 : DIRITTO ===


-------- Original Message --------
Subject: La nonviolenza e' in cammino. 454
Date: Mon, 23 Dec 2002 02:15:02 +0100
From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
To: "centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace
di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore 
responsabile:
Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e
fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

(...)

RIFLESSIONE. PEPPE SINI:
ANCORA SULL'IMMODIFICABILITA' DELL'ARTICOLO 11
DELLA COSTITUZIONE ITALIANA E SULLA NECESSITA' DI PERSEGUIRE
PENALMENTE AI SENSI DI LEGGE I GOLPISTI E STRAGISTI

Poiche' si persiste in un equivoco e una resa sciocchi e pusillanimi
sara' utile ripetere una volta di piu' quanto segue. 1. L'articolo 11
della Costituzione fa parte di quei "principi fondamentali" (articoli
1-12) che costituiscono i "valori supremi" in cui si sostanzia e su
cui si fonda la Costituzione della Repubblica Italiana. L'ultimo
articolo della Costituzione, il 139, stabilisce che tutta la
Costituzione puo' essere modificata secondo le procedure da essa
stessa previste, tranne la sua forma repubblicana. La Corte
Costituzionale in un memorabile pronunciamento di qualche decennio fa
ha fornito l'interpretazione autentica - e quindi inequivocabile e
cogente - di quanto disposto dall'articolo 139 Cost. sopra 
richiamato.
Ovvero che della forma repubblicana sono elementi fondanti ed
imprescindibili i valori supremi definiti nei principi fondamentali.
Cosicche' l'articolo 11 della Costituzione non e' modificabile se non
con un colpo di stato. Ma chi fa un colpo di stato e' un fuorilegge e
va perseguito penalmente ai sensi di legge. 2. Il fatto che
ripetutamente dal 1991 ad oggi l'articolo 11 della Costituzione sia
stato violato da governi, parlamenti e capi dello stato golpisti e
stragisti non significa che esso non vale piu', cosi' come il fatto
che vengano commessi degli omicidi in Italia non significa che
l'articolo del codice penale che punisce l'omicidio sia da
considerarsi per questo abolito. 3. Coloro che si arrendono ai
golpisti e agli stragisti sono dei vigliacchi e dei complici. Coloro
che predicano la rassegnazione all'illegalita' dei potenti sono dei
provocatori che, per torpore morale o perche' assoldati dai golpisti
stragisti, vogliono renderci tutti favoreggiatori del colpo di stato
dei gangster al potere. 4. E' invece dovere morale e civile del
movimento per la pace, ma anche di ogni persona di volonta' buona e 
di
ogni cittadino onesto, difendere la vigenza della Costituzione della
Repubblica Italiana, difendere lo stato di diritto, la democrazia, la
legalita', e denunciare coloro che l'articolo 11 della Costituzione
hanno gia' violato e coloro che hanno gia' annunciato di apprestarsi 
a
farlo di nuovo. Dobbiamo denunciare alle competenti magistrature i
golpisti stragisti e chiedere che le forze dell'ordine intervengano
per metterli in condizione di non nuocere ed assicurarli
all'amministrazione della giustizia. 5. Ovviamente questo non basta;
ma il fatto che non basti non ci esime dal farlo: dobbiamo 
contrastare
la guerra e i suoi apparati e i suoi folli e criminali promotori 
anche
con l'azione diretta nonviolenta, anche con la disobbedienza civile 
di
massa, anche con lo sciopero generale, certamente; ma dobbiamo
contrastarli anche in nome della legge, con la forza del diritto
stabilito nel nostro ordinamento giuridico, denunciando i golpisti e
gli stragisti alla magistratura per i delitti di attentato alla
Costituzione e crimini di guerra e contro l'umanita'.

(Numero 454 del 23 dicembre 2002)


> P R O C E S S I A M O L I  !!
>
> Il 31 luglio 1999 hanno avuto inizio a New York le attivita' del
> "TRIBUNALE INTERNAZIONALE INDIPENDENTE CONTRO I CRIMINI DELLA NATO
> IN JUGOSLAVIA", promosso da Ramsey Clark, con la stesura di 19 punti
> di accusa contro la NATO ed i governi occidentali.
>
> Le attivita' del "Tribunale" hanno trovato seguito in molti altri
> paesi del mondo. In Italia il primo novembre 1999 alla presenza di
> Ramsey Clark ha preso il via la sezione italiana del Tribunale. Nel
> corso di questi mesi, confortati dal crescente interesse suscitato e
> dalle numerose iniziative di presentazione del "Tribunale Italiano"
> in molte citta', abbiamo potuto verificare  con dati oggettivi la
> veridicita' delle nostre accuse.
>
> A completamento del lavoro svolto in questi mesi, noi sottoscritti
> firmatari di questo appello accusiamo le massime autorità della
> Repubblica in carica nel marzo 1999 - in particolare il presidente
> del Consiglio dei Ministri Massimo D'Alema e i membri del Governo
> per la partecipazione alla guerra illegale e il Presidente della
> Repubblica Oscar Luigi Scalfaro per non aver difeso la Costituzione
> - nonchè i loro successori per quanto attiene ai crimini in
> continuità con l'aggressione armata, ciascuno secondo la personale
> responsabilità scaturente dalle diverse competenze, azioni e
> omissioni:
>
> - per avere collaborato attivamente all'aggressione contro la
> Repubblica Federale Jugoslava, paese sovrano da cui non era venuta
> nessuna minaccia nè all'Italia nè ai suoi alleati;
>
> - per aver liquidato e vanificato con l'aggressione militare le
> iniziative internazionali tendenti a favorire la soluzione con mezzi
> pacifici dei problemi  esistenti nel Kosovo;
>
> - per avere violato tutti i principi del diritto internazionale e in
> particolare la Carta delle Nazioni Unite, i principi del Tribunale
> di Norimberga, le Convenzioni di Ginevra e i protocolli aggiuntivi
> sulla tutela delle popolazioni civili, nonchè lo stesso trattato
> istitutivo della NATO;
>
> - per aver consentito che dal proprio territorio partissero attacchi
> contro istallazioni e popolazioni civili, condotti su obiettivi e
> con armi appositamente studiate per infliggere il massimo danno,
> anche protratto nel tempo, alle persone e alle loro condizioni di
> vita (attacchi deliberati contro strutture civili, bombe a
> grappolo);
>
> - per aver consentito l'utilizzo massiccio di proiettili e missili
> all'uranio impoverito, causando danni incalcolabili e per un tempo
> indeterminato alle popolazioni della Federazione Jugoslava, con
> enormi rischi attuali anche per i volontari civili e per i militari
> italiani impegnati nel Kosovo.
>
> - per aver partecipato al bombardamento di impianti chimici e
> farmaceutici, causando deliberatamente danni ambientali di
> enorme rilevanza, tali da configurare una vera e propria guerra
> batteriologica, chimica e nucleare;
>
> - per aver danneggiato l'economia della Costa Adriatica con la
> chiusura degli aeroporti civili e per aver consentito e cercato di
> occultare lo smaltimento di ordigni bellici nelle acque territoriali
> italiane e in quelle immediatamente adiacenti, causando danni alle
> persone, all'ambiente, all'economia;
>
> - per aver violato la Costituzione italiana e ignorato le procedure
> che essa impone in caso di stato di guerra, guerra che non può mai
> essere intrapresa dall'Italia ma solo combattuta per difendere
> dall'aggressione altrui il nostro paese e i paesi di cui l'Italia
> sia impegnata a condividere la difesa;
>
> - per avere attivamente collaborato ad affamare e sacrificare la
> popolazione della Jugoslavia, sia nel corso della guerra sia con
> l'imposizione di misure di embargo internazionalmente illegittime;
>
> - per avere attivamente collaborato a esercitare pressioni e
> ingerenze contro un paese sovrano e le sue legittime istituzioni;
>
> - per avere inviato truppe e personale civile a governare territori
> ridotti di fatto a nuovi protettorati e colonie, senza peraltro
> impedire nel Kosovo la persecuzione sistematica e l'espulsione della
> popolazione di etnia serba e di altre etnie non albanesi, nonchè
> degli stessi abitanti di etnia albanese considerati non affidabili o
> dissidenti dal nuovo potere di fatto ivi insediato in violazione
> della risoluzione 1244 dell'ONU;
>
> - per aver usato la Missione Arcobaleno come operazione di
> promozione e legittimazione della guerra, e per avere allo stesso
> fine attivato o favorito una disinformazione e propaganda di guerra;
>
> - per avere rinunciato all'esercizio della sovranità del nostro
> paese e al diritto-dovere di controllo delle attività che vi
> svolgono comandi, strutture e mezzi militari stranieri;
>
> - per avere acconsentito a modificare, senza nessuna decisione del
> Parlamento, lo "status" politico e giuridico della NATO.
>
> ...




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Il documentario di M. Collon e V.Stojiljkovic finalmente
in versione italiana.  Per vedere quello che i media non
possono mostrare. Per capire la "democrazia" della NATO.

               *** I DANNATI DEL KOSOVO ***

Le copie del video si possono richiedere al  338-1755563
o scrivendo a: posta@resistenze.org (SOS Yugoslavia Torino)
--------------------------------------------------------
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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia (CNJ).
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le posizioni ufficiali o condivise da tutto il CNJ, ma
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