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E.Deiana-soldati italiani in Iraq
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 344 del 22/7/2003
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI
Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 10
luglio 2003, n. 165, recante interventi urgenti a favore della popolazione
irachena, nonché proroga della partecipazione italiana a operazioni
militari internazionali (4154).
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, ho già avuto modo di sottolineare
durante la discussione svoltasi nelle Commissioni congiunte che il
provvedimento in esame rappresenta un vero e proprio imbroglio. È un
imbroglio del Governo ai danni del Parlamento, dell'opinione pubblica e
delle Forze armate. Queste ultime vengono invocate continuamente come
baluardo della nostra credibilità all'estero e sono, invece, costrette da
una forsennata campagna ideologica a svolgere un ruolo letteralmente in
contrasto con la Costituzione.
Si tratta di un imbroglio, caro sottosegretario Cicu, fondato su un
castello di bugie micidiali che sono partite dall'amministrazione Bush e
dal Pentagono e che il Governo Berlusconi ha avvalorato, legittimato,
sostenuto e continua a sostenere indefessamente in questo periodo. Mi
riferisco a bugie a sostegno di una guerra che appartiene alla schiera di
quelle che, non io ma uno storico esimio della destra, Franco Cardini,
definisce guerre saggiamente vili. Queste costano apparentemente poco per
la nostra parte del mondo e dovrebbero produrre, nelle intenzioni di chi le
fa, grandi spostamenti di potere sul piano mondiale.
Vi sono bugie su tutti i fronti: ad esempio, quella sulle armi di
distruzioni di massa mai trovate. Negli accurati tentativi di ricostruzione
delle ragioni che renderebbero valida questa legge non vi è mai un accenno
alle ragioni che hanno portato a giustificare la guerra e che sono state
fatte proprie da questo Governo: è un capitolo scomparso, non c'è più. Vi
sono bugie sulle armi, bugie sull'imminente attacco di Saddam Hussein agli
Stati Uniti e all'occidente, bugie sulla natura della missione italiana in
Iraq.
Chiedo - ma una risposta la do - perché insistete tanto, contraffacendo in
maniera addirittura banale la realtà, sul carattere umanitario della
missione quando i fatti contraddicono apertamente tale asserzione? Voi
parlate di missione umanitaria perché è il modo per intontire ed obnubilare
l'opinione pubblica. Quest'ultima, anche nelle fila del vostro elettorato,
è larghissimamente contraria alla guerra e lo ha dimostrato in tutti i
modi. Manifestazioni, appelli ed altri fatti hanno dimostrato come vi sia
stata una grandissima opposizione alla guerra. Dunque, in che modo
imbrogliare l'opinione pubblica? Far credere che l'Italia si sia imbarcata
non in un'impresa di partecipazione alla strategia degli Stati Uniti di
controllo del territorio mediorientale e centro asiatico, ma in una
generosa missione umanitaria per fare del bene e portare vantaggi, cura e
tutele, come si è affannato a dimostrare l'onorevole Landi di Chiavenna
nella sua relazione.
È un imbroglio mastodontico e micidiale spacciare per missione umanitaria
un'impresa che, invece, ha tutte le caratteristiche, da una parte,
dell'impresa militare, della partecipazione ad un'occupazione neocoloniale,
dall'altra, di aprire la strada per un grande business italiano in Iraq
(quando e come sarà possibile fare affari in quel disgraziato paese).
Sono assolutamente sconcertata dell'assoluta impermeabilità che gli
esponenti del Governo continuano a mostrare, così come anche l'appassionato
intervento del sottosegretario Cicu, agli argomenti della realtà (e non
alle sciocchezze dell'ideologia). Vi sono dei fatti; a tali fatti non si da
alcuna risposta, bensì si risponde con delle costruzioni mitiche, con delle
favole, anzi delle favolette, perché non hanno neanche la dignità delle
grandi favole della tradizione classica: favolette per ragazzini stupidi,
con un tentativo di ridurre questo Parlamento ad un luogo dove si ascoltano
delle sciocchezze, dove non si procede ad effettuare nessun approfondimento
della realtà e dove praticamente si mette a disposizione un voto, per
salvare la faccia di un Governo che sta prendendo delle decisioni
gravissime, per quanto riguarda la collocazione del nostro paese nel
contesto internazionale.
Credo, allora, che oggi questo Parlamento, per evitare un coinvolgimento in
un'avventura che rischia di essere veramente senza fine e di portarci assai
lontano dagli elementi ancora fondativi del nostro paese, oltre che lontano
dalla saggezza politica sul piano internazionale, dovrebbe fare alcune cose
fondamentali: innanzitutto chiedere l'immediato rientro in Italia del
contingente militare (perché questo dovrebbe essere deciso immediatamente);
allo stesso tempo, dovrebbe chiedere che il ministro (italiano) della
cultura, che il nostro Governo ha installato nel Governo Bremer, cioè nel
Governo fantoccio filo americano che regge in questo periodo le sorti
dell'Iraq, venga destituito e richiamato nel nostro paese, per non avallare
quell'operazione incredibile di costruzione appunto di un Governo fantoccio.
Il Parlamento dovrebbe, inoltre, chiedere al Governo di ricercare una
soluzione internazionale seria della questione irachena: una soluzione
alternativa, radicalmente alternativa, a quella dell'occupazione da parte
delle truppe angloamericane. Una soluzione che dovrebbe articolarsi su
alcuni punti essenziali: in primo luogo, la richiesta che le truppe alleate
se ne tornino a casa, perché questa è la condizione primaria affinché in
Iraq possa riavviarsi un processo di pacificazione; in secondo luogo,
contestualmente al rientro delle truppe angloamericane nei loro paesi, ci
dovrebbe essere l'assunzione piena e centrale da parte dell'ONU della
responsabilità di garantire, sul piano politico ed istituzionale, ma anche
militare (appunto con i caschi blu), le condizioni per l'avvio di un
processo di pacificazione e di stabilizzazione democratica nel paese, che
può avvenire soltanto attraverso il circolo virtuoso tra la responsabilità,
in funzione terza, dell'ONU e l'attivazione di un processo di
responsabilità delle forze irachene; in terzo luogo, ci deve essere la
promozione di forme di aiuto umanitario, in coordinamento con le agenzie
delle Nazioni Unite, fino a che non si sia formato un Governo iracheno
legittimo e riconosciuto internazionalmente.
Credo che il Parlamento italiano debba lavorare su questo pacchetto di
proposte, facendo assumere al nostro paese un ruolo importante, propositivo
e costruttivo all'interno della comunità internazionale.
Questa deve essere la strada, altrimenti l'altra strada è quella di
continuare a seguire gli Stati Uniti d'America nella loro strategia di
guerra al mondo e di continuo tentativo di assoggettare l'Europa, l'ONU,
l'Italia, i paesi cosiddetti volenterosi - cioè quelli più disponibili a
seguire la strategia americana - a muoversi in questo contesto verso una
rimappatura delle relazioni internazionali e una ridefinizione delle regole
della politica internazionale.
La guerra contro l'Iraq ha segnato un vero e proprio salto di qualità non
soltanto sul piano della violazione del diritto internazionale e
dell'evidente illegittimità delle giustificazioni addotte per colpire quel
paese, ma anche su quello del tentativo degli Stati Uniti di ridisegnare
una mappa delle relazioni internazionali, delle regole, delle funzioni.
Ci siamo incamminati sulla strada che ci conduce a farci carico della
responsabilità di condividere questa nuova strategia imperiale degli Stati
Uniti. Dunque, responsabilità gravissime che pesano innanzitutto sul
Governo, ma anche sul Parlamento.
Intendo sottolineare un aspetto che per noi è di estrema importanza. La
missione italiana in Iraq non è legittimata né sul piano internazionale -
come ricordato dai colleghi che mi hanno preceduta - né su quello interno.
La risoluzione n. 1438, alla quale continuamente i colleghi della
maggioranza e gli esponenti del Governo fanno riferimento, non legittima
affatto la partecipazione italiana e l'occupazione militare. Tant'è vero
che alcuni paesi importanti della comunità internazionale finora hanno
rifiutato di inviare aiuti militari, chiedendo una nuova risoluzione che
deve avere quale aspetto fondamentale quello della ridefinizione della
centralità dell'ONU nella fase postbellica.
L'Italia compie una scelta di guerra - ritengo che su ciò si debba essere
molto chiari - in quanto vi è continuità con le scelte precedenti. Vi è
continuità con la scelta di appoggiare, legittimare ed offrire tutti gli
aiuti militari, che il Governo Berlusconi ha operato con riferimento alla
guerra contro l'Iraq. Una scelta di continuità e di legittimazione delle
nuove strategie americane, di accettazione dell'unilateralismo della Casa
Bianca, di accettazione della posta in gioco di tale strategia che è quella
di far deflagrare il contesto internazionale di regole e di funzioni
istituzionali previste dalle Nazioni Unite, dal diritto internazionale e
dalle convenzioni. Insomma, si vuole far deflagrare tutto quello che, nella
seconda metà del novecento, ha significato il tentativo di escludere la
guerra come scelta automatica per la risoluzione delle controversie
internazionali.
Non c'è stata nessuna soluzione di continuità tra la guerra e il dopoguerra
né sul piano politico né su quello istituzionale e giuridico. Tant'è vero
che gli Stati Uniti hanno continuato ad affermare che loro avrebbero dovuto
governare il dopoguerra e che l'ONU - che nelle intenzioni degli americani
viene ridotta ad un'agenzia umanitaria -, al massimo, avrebbe dovuto
svolgere una funzione di supporto logistico.
Neanche oggi gli Stati Uniti d'America, che in Iraq sono in gravissima
difficoltà, chiedono l'intervento di tutti per essere aiutati e per essere
supportati; neanche adesso dicono che l'ONU dovrebbe avere un ruolo
diverso, cioè praticamente dovrebbe essere un loro supporto e non certo un
soggetto centrale in questa nuova fase. Quindi, si tratta di una scelta di
guerra perché non c'è stata alcuna soluzione di continuità con la guerra e
perché questo dopoguerra rischia di entrare - ed in parte già è entrato -
in una dinamica di guerriglia e di conflitto armato.
Quello che sta avvenendo in Iraq può essere definito come ognuno crede ma,
sicuramente, è tutto fuorché quella pacificazione e quel processo di
democratizzazione che il Presidente Bush, non si sa bene in preda a quale
raptus di narcisismo, aveva dichiarato che si sarebbe avviato con il suo
discorso alla nazione, proclamando la fine della guerra e l'avvento di una
nuova era di pacificazione e democrazia per l'Iraq. Sostenere, come il
Pentagono e l'amministrazione Bush fanno, che gli attentati ai militari
anglo-americani siano atti di delinquenza comune, di terroristi o di
settori reazionari e dire che questa è la verità, come fa anche il Governo
italiano, significa non capire quello che sta avvenendo in quel luogo e
continuare a tessere la storia della vicenda irachena sulla base di
menzogne, di bugie e di imbrogli.
Nell'Iraq del dopoguerra si è scatenata una situazione di estrema
instabilità, che è assolutamente spiegabile in termini di dialettica tra
occupanti e popolazioni residenti. Esiste un caos incredibile perché c'è
stata la deflagrazione di tutti gli assetti autoritari, repressivi e
ignobili del regime di Saddam Hussein - che, comunque, funzionavano da
contesto politico, istituzionale e sociale - e le truppe occupanti, gli
americani, non hanno fatto nulla ne avevano intenzione di fare alcunché per
ristabilire un nuovo ordine. Si è aperta una situazione di massima allerta
per quanto riguarda le condizioni sanitarie, di sicurezza e di tutela delle
popolazioni, che si è aggiunta al degrado già operante nel paese a causa
dei 10 anni di embargo contro Saddam Hussein.
È una situazione che la commissione di inchiesta del Pentagono, inviata a
verificare le condizioni dell'Iraq, ha definito di estremo allarme,
arrivando a dire che, se entro tre mesi non si ristabilisce una situazione
di normalizzazione, la situazione è destinata ad evolvere ancora più
negativamente e a diventare incontrollabile. È da questa analisi e da
questa valutazione, fatta dalla stessa commissione istituita dal Pentagono,
che sono venute fuori le richieste di aiuto e di coinvolgimento di altri
paesi: quindi, si tratta di una situazione di estrema e crescente
insicurezza.
Anche su tutto questo non c'è nulla nelle relazioni che il Governo ha
presentato, come non c'è assolutamente nulla di quello che, invece, i
rappresentanti delle organizzazioni non governative - persone che da sin
dai tempi dell'embargo lavorano in Iraq e che alcuni di noi hanno
incontrato questa mattina - sottolineano, cioè l'estremo rischio, ormai
molto palpabile, che tutte le forze militari di occupazione vengano
identificate come truppe occupanti dalle popolazioni e dai gruppi locali,
sia religiosi sia politici, che si stanno costituendo.
Praticamente, vi è il rischio che vengano identificati come nemici da
abbattere, nemici da colpire, nemici contro cui attivare le forme di una
resistenza, nell'unico modo possibile, vista la disparità enorme delle
forze militari e tecniche tra truppe occupanti e popolazioni e gruppi
locali.
Di fronte a tutto questo, il tentativo dell'amministrazione americana è
quello di lavorare su due piani. Da una parte, si stabiliscono regole
interne assolutamente discutibili, come quella di organizzare squadre di
poliziotti privati iracheni stipendiati dagli americani. Ovviamente, si
tratta di gente che corre il rischio di far parte del calderone dei
collaborazionisti, introducendo, quindi, altri elementi di insicurezza
incredibile. Vi sono misure su cui mi piacerebbe che il Governo italiano
dicesse qualcosa, come per esempio il decreto che stabilisce rigidi limiti
nella libertà di stampa e di movimento dei giornalisti. Sul piano
internazionale, invece, si lavora alla richiesta di aiuto: ONU, NATO,
Unione europea, in una strategia multiforme di utilizzazione degli
strumenti a disposizione, secondo le esigenze del momento, che le teste
d'uovo dei centri studi strategici americani chiamano cherry picking, vale
a dire prendere dove si può, prendere il meglio, dove si può. Quindi, se la
NATO è disponibile, chiamiamo la NATO. Se allarghiamo lo schieramento dei
paesi volenterosi, vediamo di coinvolgere l'ONU. Usiamo quello che c'è:
praticamente, si tratta della famosa strategia a geometria variabile che
gli Stati Uniti hanno inaugurato con la guerra in Afghanistan e che,
ovviamente, noi accettiamo acriticamente ma, soprattutto, accettiamo senza
alcuna volontà di chiarificazione. Questo Parlamento parla di argomenti che
sono di una portata storica e politica grandissima, come se si trattasse di
favolette. Lo ripeto. L'ho già detto prima e mi dispiace per il
sottosegretario Cicu. Noi siamo buoni. I nostri soldati sono buoni.
L'Italia è un paese buono. Noi amiamo gli altri e, quindi, andiamo lì ad
aiutare gli iracheni, dopo che, per dieci anni, non abbiamo detto
assolutamente nulla - lo ripeto: assolutamente nulla - degli effetti
disastrosi che l'embargo produceva sui bambini, sulle donne, sugli anziani,
sui settori sociali più indifesi. Noi abbiamo taciuto. Noi abbiamo
partecipato all'operazione di strangolamento di quel paese, che ha fatto la
fortuna di Saddam Hussein, che ha fatto la fortuna del regime autoritario.
Se l'Iraq fosse stato aiutato democraticamente, questo avrebbe favorito una
grande dialettica interna. I regimi dittatoriali crescono nell'isolamento,
crescono quando la gente non vede altro spiraglio fuori dal regime e vede
l'isolamento e l'emarginazione. Allora, siamo stati responsabili di questa
operazione di gravissimo depauperamento della nazione irachena, di
isolamento e di impoverimento estremo. Oggi, invece scopriamo che siamo
«italiani brava gente» e, quindi, andiamo lì. Sono favolette. Sono
favolette che, tra l'altro, si possono raccontare soltanto in questo
Parlamento, sui giornali, in questo paese, perché, su questi fatti, in
altri grandi paesi occidentali la discussione, perlomeno - lo ripeto:
perlomeno - si fonda sulla realtà dei fatti e non sulle favole che il
Governo pretende di raccontare ai parlamenti e all'opinione pubblica.
Dicevo prima che la missione non ha alcuna legittimazione sul piano
internazionale - e l'ho spiegato -, perché la risoluzione ONU n. 1483 non
dà alcuna autorizzazione all'occupazione da parte di altre truppe
volenterose.
Ma questa missione non è autorizzata neanche sul piano interno. Anche qui
alcuni esponenti dell'opposizione l'hanno ripetuto e qui lo ribadisco. La
mozione approvata in questo Parlamento dalla vostra maggioranza,
sottosegretario Cicu, non vi autorizza a fare questa operazione militare e
ad organizzare una presenza militare e militarizzata di italiani lì, in
supporto degli angloamericanai. Lei dice, sottosegretario, che ci vanno gli
sminatori, ci vanno gli NBC, ci vanno esperti di questioni tecnologiche e
di questioni logistiche. Ma mi pare evidente che ci debba andare gente come
questa: chi ci devono andare? I fanti della prima guerra mondiale? Ci
devono andare i soldatini? Chi ci deve andare? Ci vanno i massimi esperti
di questioni militari, ci vanno uomini e qualche donna addestrati alle
grandi questioni tecnologiche, visto che siamo un paese in grado di fornire
questo tipo di aiuto militare, quasi alla pari della tecnologia e delle
capacità sul campo, logistiche ed operative delle altre forze armate, degli
angloamericani, degli australiani, dei polacchi e di chi più ne più ne
metta. Sarebbe assolutamente ridicolo, invece, che noi mandassimo chissà
chi. Sono esattamente questi: vanno lì perché sono queste le funzioni
militari che servono. Infatti, se non va gente così, altro che
impallinatura di uno, due o tre militari al giorno! Se ci andasse altra
gente, figuriamoci che cosa succederebbe.
La mozione del Parlamento assolutamente non legittimava questa missione
militare, perché la missione approvata dalla maggioranza era costruita
tutta sulla bugia della missione umanitaria, per le ragioni che ho detto
prima, dal momento che neanche la vostra maggioranza in Parlamento era
disponibile - e forse non lo è ancora - ad approvare una mozione che dica
chiaramente che le truppe italiane vanno lì a sostenere l'occupazione
militare, a sostenere un Governo illegittimo, un Governo fantoccio
filoamericano e ad aprire la strada al business italiano. Io credo che
questo non possa essere detto chiaramente e quindi si costruisce
l'imbroglio della missione umanitaria.
Il Governo ha operato una gravissima torsione negativa di quella mozione e
l'ha usata a proprio aggio, a proprio vantaggio. Tra l'altro, le continue
dichiarazioni dei ministri competenti Frattini e Martino, a leggerle bene,
contenevano diverse e spesso contrastanti interpretazioni del carattere e
della natura di questa missione. Comunque, il testo parla chiaro: si tratta
di una missione militare, con finalità militari, con scopi di concorrere
alla occupazione e alla ridisegnatura del paese iracheno, così come
pretenderà, vorrà e cercherà di imporre l'amministrazione Bush.
Io credo che la scelta operata sia estremamente grave, così come credo che
sia stata grave e continui ad essere grave la scelta di mandare i militari
italiani in Afghanistan. Su questo punto concludo, perché non voglio
continuare a ragionare su queste questioni: tuttavia, anche la questione
dell'Afghanistan è di estrema gravità. Riprendo molto brevemente la
sottolineatura fatta dai colleghi che mi hanno preceduto sulla necessità
che d'ora in poi le varie missioni vengano affrontate con provvedimenti
distinti, visto che sono assolutamente diverse, in quanto io rivendico,
come parlamentare, il diritto di poter votare diversamente su ciascuna di
esse, secondo il giudizio che ho su ciascuna di esse. Infatti, questa è una
privazione del diritto democratico e parlamentare di poter liberamente
esprimermi e diversamente esprimermi sui carabinieri a Hebron - su cui
credo sia giusto che stiano lì: anzi ce ne dovrebbero essere molti di più -
e sulla missione in Afghanistan.
Si tratta anch'essa di una missione di guerra: con riferimento alla
medesima è stato detto, come risulta da notizie apparse sui giornali, che
esiste un dossier del SISMI nel quale si parla di gravissimi rischi sia a
Khost (abbiamo già avuto notizia dei medesimi) sia a Kabul. La calma,
dicono gli agenti del SISMI, è solo apparente ed il rischio è gravissimo.
Anche a tale riguardo, si può esprimere un voto sul rifinanziamento di una
missione cruciale e nodale, come quella in Afghanistan (sia sotto il
profilo della missione ISAF sia sotto quello dell'operazione Enduring
Freedom), senza che si svolga una discussione politica sul contesto, su ciò
che sta avvenendo, sulle voci che si stanno diffondendo in merito al
tentativo degli Stati Uniti, del Pentagono di riallacciare i legami con i
talebani, espressione dell'etnia più numerosa dei Pashtun, di fronte alla
quale l'alleanza del nord risulta essere inadeguata per quanto riguarda il
controllo dell'intero territorio?
Noi apprendiamo le notizie dai giornali (soprattutto se qualcuno di noi ha
voglia di leggere la stampa estera da Internet), ma non sappiamo nulla di
ciò che dovremo sapere dal Governo, dai ministri competenti.
Per tutte le ragioni che ho esposto (lo ribadiremo domani nella
discussione), mi sembra evidente che la nostra contrarietà sia assoluta;
inoltre, la nostra richiesta di ritiro delle truppe italiane dall'Iraq, del
ministro italiano della cultura dal Governo Bremer e la ridiscussione
radicale delle due missioni italiane in Afghanistan sono per noi elementi
assolutamente fondamentali (Applausi dei deputati del gruppo di
Rifondazione comunista).