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             FASCISMO 
             IL DOVERE DI MATTEOTTI
             "Al prof. Luigi Lucchini Roma 10 maggio 
            1924 
            Illustre Professore, Ritrovo qui la sua lettera 
            gentile, e non so come ringraziarla delle espressioni a mio 
            riguardo. Purtroppo non vedo prossimo il tempo nel quale 
            ritornerò tranquillo agli studi abbandonati. Non solo la 
            convinzione, ma il dovere oggi mi comanda di restare al posto più 
            pericoloso, per rivendicare quelli che sono, secondo me, i 
            presupposti di qualsiasi civiltà e nazione moderna. Ma quando io 
            potrò dedicare ancora qualche tempo agli studi prediletti, ricorderò 
            sempre la profferta e l'atto cortese che dal maestro mi sono venuti 
            nei momenti più difficili. Con profonda osservanza, dev.mo 
            Giacomo Matteotti" 
            Questa lettera, che viene alla luce sessanta anni 
            dopo l'assassinio del deputato socialista, dovrebbe essere affissa, 
            su invito del ministro Moratti, nelle aule di tutte le scuole. La 
            storia del suo invio, del suo ritrovamento sono raccontati da Marzio 
            Breda nel "Corriere della Sera" del 9 giugno 2003. E' la risposta 
            a un invito del prof. Lucchini, apprezzato docente di diritto 
            penale, che invita Matteotti a riprendere lo studio e l'insegnamento 
            scientifico nell'Università, accantonati per i suoi impegni di 
            dirigente e deputato socialista, negli anni dell'assalto violento al 
            potere messo in atto dai fascisti. Da un manipolo di questi, un 
            mese dopo la lettera, Matteotti verrà rapito e ucciso.  A noi 
            piace accompagnarla dalla lettera scritta alla vedova Velia dallo 
            storico Gaetano Salvemini, pubblicata anch'essa nello stesso 
            articolo. 
            "Detestavo i fascisti e non avevo fiducia negli 
            antifascisti. Me ne stavo tra i miei libri, risoluto a non 
            entrare più in politica…quando lui fu ucciso mi sentii in parte 
            colpevole. Lui aveva fatto tutto il suo dovere, e per questo era 
            stato ucciso. Io non avevo fatto il mio dovere, e per questo mi 
            avevano lasciato stare. Se tutti avessimo fatto il nostro dovere, 
            l'Italia non sarebbe stata calpestata e disonorata da una banda di 
            assassini."  |