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             IL CONTROLLO DAL BASSO PER IL POTERE DI TUTTI 
             LA MALFA E CAPITINI
             Si è ricordato, nella ricorrenza della 
            scomparsa, Ugo La Malfa. Si è ricordata la sua alta personalità 
            politica e morale, il suo intransigente antifascismo. Noi lo 
            ricordiamo per il suo rapporto con Capitini e per l'errore che 
            commise, secondo noi, con notevoli conseguenze sulla società 
            italiana post fascista. Come ci racconta Capitini in "Non 
            Mollare!", n. 46 (nuova serie, anno 11, n. 9), 2 marzo 
            1946: "…Firenze ebbe un'importanza decisiva per la costituzione 
            del Movimento liberalsocialista nel 1937.  Luogo facilmente 
            raggiungibile da Pisa e da Perugia, ci era servito già negli anni 
            precedenti per numerosi convegni, accentrati principalmente ora in 
            casa dell'uno o dell'altro di cinque amici qui residenti: Emanuele 
            Farneti, oggi liberale, Cesare Luporini, oggi comunista, Guido 
            Calogero, Enzo Enriques Agnoletti e Tristano Codignola, oggi del 
            partito d'azione.  Da Pisa venivano dalla Scuola normale 
            superiore, da Perugia io, Walter Binni, Bruno Enei. 
             L'intonazione generale era chiaramente antifascista, sebbene vi 
            fossero dentro contributi e sfumature diverse, dagl'interessi 
            teosofici di lmelde Della Valle al crocianesimo di Farneti, 
            dall'esperienza sociale concreta di Enzo Enriques Agnoletti 
            all'umanitarismo sempre meglio articolato di Gianni Guaita.  Ma 
            questo non faccia pensare a divergenze profonde; nell'insieme 
            eravamo molto concordi sui punti fondamentali, che erano tre: primo, 
            l'esigenza di un rinnovamento profondo che colpisse il fascismo non 
            su dettagli, ma lo rovesciasse per un moto intimo, che, prima che 
            politico, era morale, e per qualcuno perfin religioso, di una 
            religiosità moderna.  I cattolici, come in generale nel decennio 
            più difficile dell'antifascismo, dal '29 al '39, non ci dettero 
            quasi nessun aiuto reale, e se mai solo qualche prudente, platonico 
            omaggio personale.  Il secondo punto era l'esigenza della 
            libertà; il terzo l'esigenza sociale, per i più, addirittura 
            socialista.  Sicché, quando nel '37 a Perugia, io, Apponi e 
            Binni, decidemmo di costituire un vero e proprio movimento, 
            trovavamo già la preparazione ideologica, e le persone disseminate 
            in Italia, e il gruppo più forte e più valente a Firenze.  Così 
            mentre in Spagna il fascismo, svelato sfacciatamente il suo volto 
            reazionario, trionfava, in Italia lo insidiavamo con un allineamento 
            di giovani, di intellettuali e di operai.  Il nostro piano 
            conteneva queste direttive: non avere contatti con l'estero, per non 
            farci scoprire e per non ricever ordini che potevano risultare 
            astratti, non fare per ora nessun gesto o tentativo esterno, che 
            scoprisse il movimento prima che avesse compreso le principali 
            città; rivolgerci specialmente ai giovani, per sottrarli alla 
            corruzione che operava Bottai, più astuto e più coperto di 
            Mussolini; costituire in ogni città un gruppo che entrasse in 
            contatto con tutte le forze antifasciste, e stabilisse con esse un 
            comitato.  Quanto all'ideologia che tutti elaboravamo con diversi 
            contributi ed eguale tensione, essa era liberalsocialista, cioè di 
            superamento dell'antitesi prefascista tra le due correnti politiche. 
             La libertà doveva essere concreta, dinamica, tale da risolvere i 
            problemi circostanti, che per l'Italia non erano solo quello di 
            restituire le libertà giuridiche e politiche, ma di stabilire una 
            giustizia sociale per tutti, che portasse le moltitudini italiane a 
            un effettivo esercizio delle libertà.  Il socialismo, avvertito 
            del danno del centralismo statalistico e dittatoriale, si 
            approfondiva e ritrovava sé stesso, come elemento di libertà, in 
            quanto, come il liberalismo aveva abbattuto l'assolutismo, il 
            federativismo internazionale democratico aveva avviato a contrastare 
            all'imperialismo, così il socialismo, eliminando l'oppressione 
            capitalistica, avrebbe, sulla stessa linea, accresciuto la libertà 
            della società e dei singoli.  Escirono dattiloscritti ed anche 
            libri ispirati da queste idee. Il movimento era nazionale; e Firenze 
            punto costante di ritrovo.  Fu quasi giusto, direi, che nel '42 
            la prigionia di molti liberalsocialisti avvenisse a Firenze, e che 
            ci ritrovassimo alle Murate: ma il movimento oramai era vitale e 
            nazionale.  E da Firenze è partita la mozione che ha messo in 
            primo piano, entro il partito d'azione, la caratterizzazione 
            liberalsocialista."  
            Ancora Capitini: 
            "Parlammo di assimilare non soltanto la Rivoluzione 
            francese, come si era proposto il liberalismo e la democrazia, ma 
            anche la Rivoluzione collettivistica, dando anzi a questa una testa, 
            un'anima, conforme alle nostre esigenze.  Si doveva ripetere, 
            molto più in grande e in un orizzonte intercontinentale, quanto il 
            Mazzini e il romanticismo avevano sostenuto ed effettuato rispetto 
            alla rivoluzione dell'89: fare qualcosa di analogo e di superiore. 
            Non era questo e non è affatto moderatismo, e quasi neutralizzazione 
            reciproca dei due termini, libertà e socialismo; ma due rivoluzioni 
            invece di una, massimo socialismo e massimo liberalismo." (NUOVA 
            SOCIALITA' E RIFORMA RELIGIOSA, pag.91) 
            "Oggi sono una cosa sola: liberalismo o senso della 
            ricerca e dell'interiorità; socialismo o organizzazione della 
            giustizia sociale su base comune togliendo la schiavitù dell'uomo 
            dall'uomo." (NUOVA SOCIALITA' E RIFORMA RELIGIOSA, pag.90) 
            "Lo scritto "Orientamento per una nuova socialità" è 
            del 1943. Lo preparai in occasione di un convegno, in agosto, a 
            Firenze con i miei amici antifascisti. Volevo chiarire questi 
            termini: o continuare il movimento imprimendogli quei caratteri di 
            novità che sostenevo come autentici di un liberalsocialismo; o 
            accettare la trasformazione del movimento in partito, come era 
            sostenuta principalmente da Ugo La Malfa e come già si attuava in un 
            periodico di tipo repubblicano democratico. Spiegai ai miei amici 
            (Guido Calogero, Alberto Apponi, Franco Mercurelli, Tristano 
            Codignola, Carlo Ludovico Ragghianti, Enzo Enriques Agnoletti, ed 
            altri) il mio pensiero e detti loro una copia di questo scritto 
            Orientamento per una nuova socialità  Ma essi non accettarono la 
            mia critica al sorgente partito d'azione, né la mia impostazione di 
            un movimento extrapartitico di "centri".  Così il giorno dopo 
            essi parteciparono a un convegno del partito d'azione, e io no; 
            continuando da allora a chiamarmi liberalsocialista o indipendente 
            di sinistra. (NUOVA SOCIALITA' E RIFORMA RELIGIOSA, pag.72) 
            Tra poco, agosto 2003, fanno sessant'anni da quel 
            giorno di agosto del 1943 in cui, sotto la spinta di La Malfa, il 
            movimento liberalsocialista, creato sei anni prima da Capitini, 
            intraprese l'esperienza di partito d'Azione contro il parere del 
            fondatore. L'Italia, come il resto del mondo capitalista, si è 
            trasformata radicalmente, ma non con lo spirito che animava gli 
            azionisti e tanto meno sul percorso pensato da Capitini. Oggi che 
            il liberismo sfrenato è in crisi e ricorre alle vecchie ricette 
            della guerra, nel confuso dibattito che la sinistra mondiale produce 
            e con le realtà dei movimenti dal basso che rivendicano libertà dai 
            monopoli economici e culturali, sono le proposte di Capitini a 
            essere lì fresche e concrete, malgrado la quarantena subita per 
            tanti 
anni.  |